RESPONSABILITA' DISCIPLINARE DEL MEDICO PER PRATICHE NON SPERIMENTALI E PRIVE DI RISCONTRO SCIENTIFICO

( Cassazione - Sezione terza civile - Sent. n. 5885/2000 - Presidente F. Sommella - Relatore A. Segreto )

Un sanitario, accusato di aver effettuato pratiche terapeutiche non validate in collaborazione con persona estranea alla categoria medica, e' stato assolto in sede penale in quanto, non avendo effettuato vera attivita' terapeutica, non poteva essere giudicato colpevole di concorso in esercizio abusivo della professione. Proprio il fatto che tale attivita' non fosse riconosciuta come effettivamente terapeutica, pero', induceva un procedimento disciplinare conclusosi con la radiazione dall' Albo. Il medico proponeva ricorso in Cassazione, che veniva respinto.

In data 17.10.1995 la Commissione medici chirurgici dell'Ordine di Torino avviava un procedimento disciplinare nei confronti del medico dr. A.D.R., con l'addebito di aver fornito la necessaria copertura, affinché G.S.S., eseguisse nei confronti di pazienti affetti da patologie oncologiche terminali pratiche terapeutiche, o asseritamente dichiarate tali, non sperimentate e prive di adeguato riscontro scientifico, a scopo di lucro.
Il medico era stato assolto dal Pretore di Torino, con due successive sentenze del 22.1.1988 e del 27.6.1996, dal reato di concorso in esercizio abusivo della professione sanitaria in quanto non avrebbe effettuato azioni riconducibili ad attivita' medica in senso stretto.
Il giudice disciplinare aveva invece inteso sanzionare con la radiazione dall' Albo il rapporto di collaborazione tra il ricorrente ed un soggetto non medico, tanto più grave perché, come riconosciuto in sede penale ed invocato dal ricorrente a sua giustificazione, l'attività posta in essere nei confronti degli ammalati non aveva natura di atto medico per cui non si comprendeva per quale motivo il ricorrente partecipava a tale attività.
La Suprema Corte rigettava il ricorso del medico.
L' assoluzione in sede penale non toglieva validita' al provvedimento disciplinare in quanto l''art. 653 c.p.p. statuisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata a seguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso, e non e' applicabile alle altre fattispecie.
Il fatto che dette pratiche non avessero carattere terapeutico e che quindi non costituissero esercizio abusivo dell'attività medica da parte del G., come accertato dal Pretore, non escludeva quindi il carattere della violazione disciplinare a carico del D.R. proprio perché l'attività posta in essere da detto medico nei confronti dei malati terminali non aveva alcuna natura di atto medico.
La Commissione, in altre parole, contestava al medico di aver effettuato, per sua stessa ammissione, attivita' non terapeutica (in quanto non validata) ricevendone un compenso e inducendo nel paziente la falsa impressione di star effettuando una terapia medica.
La Corte rigettava pure le contestazioni del sanitario circa l' eccessiva gravita' della sanzione comminata ritenendo che nel procedimento disciplinare a carico dell'esercente la professione sanitaria, l'individuazione della sanzione da irrogare sia rimessa alla discrezionale valutazione del giudice disciplinare, purché dia conto della sua scelta con adeguata motivazione.

Recensione di Daniele Zamperini (da www.giustizia.it )

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