IL PRIMARIO OSPEDALIERO RISPONDE DEGLI ERRORI TERAPEUTICI ANCHE SE HA AFFIDATO IL
PAZIENTE AD UN MEDICO DIPENDENTE Egli ha inoltre il dovere di informare la
persona ricoverata della eventuale mancanza di strumentazioni necessarie (Cassazione
Sezione Terza Civile n. 6318 del 16 maggio 2000, Pres. Grossi, Rel. Amatucci).
I coniugi E.B. e D.P. hanno avuto nel giugno del 1983 un figlio nato in seguito a parto
prematuro dellOspedale Giovanni Evangelista della USL RM/26 di Tivoli. Il bambino è
risultato poi affetto da menomazioni irreversibili a carico del sistema nervoso centrale.
Gli è stata diagnosticata tetraparesi spastica con note di ritardo mentale, di gravità
tale da renderlo totalmente dipendente dai genitori.
Nel 1988 i genitori in proprio e in rappresentanza del figlio minore hanno promosso
davanti al Tribunale Civile di Roma unazione giudiziaria nei confronti della USL e
del primario della divisione ostetrica P.V., nonché del dott. A.T. e dellostetrica
D.M. che avevano assistito al parto, chiedendo il risarcimento dei danni derivati dalle
lesioni subite dal minore al momento della nascita a causa di una grave asfissia
attribuita a errori o omissioni di diagnosi, di cura e di intervento. I convenuti hanno
chiesto il rigetto della domanda contestando che si fossero verificati errori o
negligenze. Il primario ha inoltre sostenuto di non essere responsabile
dellattività dei sanitari subordinati.
Il Tribunale di Roma, in base alle indagini tecniche svolte dai consulenti dufficio
ha accertato:
- che la prematurità del feto, tra 32 e 33 settimane di età al momento della
nascita, non avrebbe, in sé, costituito un fattore di rischio se non si fosse verificata
una grave asfissia al momento della nascita, culminata in un arresto cardiocircolatorio;
- che non era stato effettuato un monitoraggio sistematico e continuo durante i
cinque giorni di permanenza della puerpera prima del parto e durante il travaglio, in
quanto lapparecchio necessario, il cardiotocografo, era guasto;
- che il periodo dilatante era stato troppo lungo e non era stato tempestivamente
accelerato, dato che alle ore 15,30 con un travaglio iniziato alle 14,10, o
addirittura alle 5,35 secondo i dati della cartella neonatale la dilatazione era di
cm.7, che era rimasta invariata dopo due ore e che era apparsa finalmente completa solo
alle 19,30, dopo la somministrazione di ossitocina effettuata alle 18,30.
La condanna
Il Tribunale ha ritenuto che, in un contesto connotato da carenza di
controlli durante il ricovero in relazione alla immaturità del feto ed alla omessa
accelerazione della prima (dilatazione) e della seconda (espulsione) fase del parto, la
responsabilità del primario derivasse dal non avere egli mai visitato la paziente, né
impartito le istruzioni e le direttive che il caso richiedeva subito dopo linizio
del travaglio; quella del dott. A.T., che aveva seguito privatamente la puerpera prima del
ricovero e che era entrato in servizio venti minuti prima della nascita del bambino, dalla
condotta colposa afferente al periodo compreso tra il ricovero ed il trasporto della donna
in sala parto, nonché dal ritardo nellapprestamento delle cure da parte
dellèquipe; quella della Usl dal suo inadempimento contrattuale, provocato
dallopera dei medici di cui si era avvalsa la struttura ospedaliera.
Pertanto il Tribunale ha condannato solidalmente i medici e la USL al risarcimento dei
danni subiti dagli attori nella misura complessiva di L.1.121.728.000, assolvendo da ogni
pretesa risarcitoria lostetrica. La Corte dAppello di Roma ha escluso la
responsabilità del medico T.A., per essere questi intervenuto poco prima del parto,
confermando per il resto la sentenza del Tribunale.
Contro questa decisione il primario P.V. ha proposto ricorso per cassazione censurando la
Corte dAppello per avere escluso la responsabilità del dott. T.A., quale medico
curante della madre; egli ha inoltre sostenuto che, non avendo assistito personalmente la
partoriente, non poteva essere ritenuto responsabile dellaccaduto solo in base alla
sua qualifica di primario.
Dovere di sconsigliare il ricovero
La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 6318 del 16 maggio 2000, Pres.
Grossi, Rel. Amatucci) ha accolto il ricorso del primario solo nella parte relativa alla
posizione del medico T.A., in quanto ha ritenuto che questi avesse lobbligo di
informare, quale medico di fiducia la paziente delle inadeguatezze della struttura
pubblica ove era stata ricoverata; essendo informato della indisponibilità del
cardotocografo presso lOspedale San Giovanni Evangelista, egli avrebbe dovuto
sconsigliare il ricovero ovvero segnalare la delicatezza del caso al primario e agli altri
medici.
La Cassazione ha invece ritenuto corretta la decisione della Corte dAppello nella
parte in cui ha affermato la responsabilità del primario, facendogli carico tra
laltro, di non avere mai sottoposto a visita la paziente e di non essere intervenuto
in alcun modo durante il parto nonostante che le particolari condizioni del feto e ancor
più lindisponibilità del cardotocografo richiedessero una presenza attenta e
vigile nellimpartire le istruzioni del caso.
Le attribuzioni del primario
La Corte ha ricordato che in materia di attribuzioni del primario,
lart. 7 D.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 dispone quanto segue:
"Il primario vigila sullattività e sulla disciplina del personale
..
assegnato alla sua divisione o servizio, ha la responsabilità dei malati, definisce i
criteri diagnostici e terapeutici che devono essere seguiti dagli aiuti e dagli
assistenti, pratica direttamente sui malati gli interventi diagnostici e curativi che
ritenga di non affidare ai suoi collaboratori, formula la diagnosi definitiva,
..,
dispone la dimissione degli infermi, è responsabile della regolare compilazione delle
cartelle cliniche, .
.; cura la preparazione ed il perfezionamento
tecnico-professionale del personale..
".
In base a tale normativa ha affermato la Corte il primario ha il dovere di
informarsi dello stato di ogni paziente ricoverato, di seguirne il decorso anche quando
non provveda direttamente alla visita, di dare le istruzioni del caso o comunque di
controllare che quelle impartite dagli altri medici siano corrette e adeguate e ciò
quandanche abbia affidato lammalato ad un medico in sottordine;
laffidamento infatti determina la responsabilità del medico affidatario per gli
eventi a lui imputabili che colpiscano lammalato, ma non esime il primario
dallobbligo di assumere, sulla base delle notizie acquisite o che aveva il dovere di
acquisire, le iniziative necessarie per provocare in ambito decisionale i provvedimenti
richiesti da eventuali esigenze terapeutiche.
La mancanza, in questo caso, di un cardiotocografo non esimeva il primario dal dovere di
adottare (o di disporre e controllare che fossero adottati) i possibili accorgimenti
sostitutivi, e finanche di informare la paziente del maggior rischio connesso ad un parto
che si svolga senza il presidio dello strumento.
Il dovere di informazione
La mancanza nella legislazione italiana di uno standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica deve necessariamente disporre ha affermato la Corte - non esime il medico responsabile della cura dei pazienti dal dovere di informarli della possibile inadeguatezza della struttura per lindisponibilità, anche solo momentanea, di strumenti essenziali per una corretta terapia o per unadeguata prevenzione di possibili complicazioni, tanto più se queste siano prevedibili in relazione alla particolare vulnerabilità del prodotto del concepimento, specialmente se esso venga alla luce in condizioni di prematurità o immaturità.
Legge&Giustizia