PILLOLE DI MEDICINA TELEMATICA Settembre 1998
Suggerimenti per il Medico di Medicina Generale
a cura di Daniele Zamperini md8708@mclink.it
e Amedeo Schipani mc4730@mclink.it
SIMG – ROMA

ALCOOL E CONTROLLO GLICEMICO IN DIABETICI DI TIPO I

È ampiamente accertato che il consumo di alcoolici in pazienti con diabete di tipo I sia associato a maggior rischio di ipoglicemia. Non vi sono però studi definitivi sull'argomento. L'esame della letteratura disponibile suggerisce che un moderato consumo di alcoolici in soggetti in buone condizioni di nutrizione non provoca episodi acuti di ipo- o iperglicemia, anche se può esserci un rischio di ipoglicemia tardiva (mattutina ) dopo assunzione serale di alcoolici. L'alcool può portare ad un'ipoglicemia potenzialmente pericolosa in soggetti a digiuno o in persone con dipendenza da alcoolici; inoltre è stato associato a episodi asintomatici di ipoglicemia.
(Meeking D.R. e al. Diabet-Med 1997 Vol.: 14(4), P:279-283)

ASSOCIAZIONE DEL DIABETE MELLITO CON LA DEMENZA: STUDIO ROTTERDAM
La demenza e il diabete di tipo II sono prevalentemente disturbi dell'età avanzata. È stato più volte riferito che il diabete modifica le funzioni cognitive, ma la correlazione con la demenza non è certa. È stato perciò effettuato lo studio Rotterdam: 6330 partecipanti, età tra i 55 e 99 anni. Il diabete veniva diagnosticato in 724 soggetti. Nei pazienti individuati come dementi (265) il 22% aveva il diabete.
L'analisi statistica corretta per età e sesso indicava associazione positiva (indipendente da istruzione, fumo, pressione arteriosa, obesità, ecc.) tra diabete e demenza, particolarmente elevata (circa il triplo) nei soggetti diabetici trattati con insulina. La relazione era più stretta con le forme vascolari di demenza, ma era presente anche con forme di Alzheimer.
I risultati suggeriscono che il diabete di tipo II possa essere associato a demenza, con Alzheimer più frequente in diabetici trattati con insulina.
(Ott. A. e coll. Diabetologia vol. 39(11),P. 1392-97)

COLESTEROLO IN UN GRUPPO DI NOMADI
È stato preso in considerazione un numeroso gruppo di nomadi (2-3000 individui) stabilitisi in Sicilia all'epoca della prima guerra mondiale. Si tratta di una comunità prevalentemente "chiusa", con matrimoni generalmente intrarazziali e scarsi incroci con la popolazione locale. Le abitudini alimentari dei nomadi sono risultate poco influenzate dal consumismo, restando legate alla cucina contadina siciliana (frittate, frattaglie, carne rossa e bianca, verdura varia raccolta nelle campagne). Da un esame retrospettivo dei dati sanitari del gruppo, integrato con un questionario ai MG che avevano in cura tale popolazione, è risultato che
 Ÿ Nessun nomade era in cura con ipocolesterolemizzanti.
 Ÿ Solo due nomadi presentavano colesterolemia superiore a 280 (la media era di circa 190 contro i 230 della popolazione generale).
 Ÿ Il consumo di vino rosso era paragonabile alla media della popolazione generale
 Ÿ Le patologie cardiovascolari sono pressoché assenti nella popolazione nomade.

Gli autori si chiedono quanto possa avere influito il patrimonio genetico restato segregato rispetto alla popolazione locale, e quanto le abitudini alimentari rimaste invariate nel tempo.
(C. Mangiameli, "Biologi Italiani" maggio 1998)

INQUINAMENTO VIRALE AEREODISPERSO IN UN IMPIANTO DI DEPURAZIONE DI LIQUAMI URBANI
Il rischio infettivo dovuto a diffusione aerea da liquami sottoposti a trattamento è stato finora poco studiato. Gli autori hanno esaminato la diffusione di microbi e di virus nell'atmosfera, onde valutare opportunamente l'eventuale rischio infettivo. Sono stati effettuati prelievi di aria atmosferica sopra una vasca di depurazione e poi, sottovento, ad una distanza di 25 e 50 metri. I risultati dello studio hanno mostrato un elevato grado di contaminazione microbica dell'aerosol, che tende a diminuire con la distanza e che può variare, per alcuni germi (come i colifagi), con la stagionalità. Mentre la carica batterica diminuisce significativamente con la distanza, al punto che a 50 metri risulta quasi azzerata, la carica virale (reovirus ed enterovirus) non mostrava tale tendenza, rimanendo consistente con valori molto simili sia a 20 che a 50 metri dall'impianto. Tale diffusa presenza e persistenza virale può costituire un potenziale rischio infettivo specie per il personale addetto.
(A. Carducci e al. "Biologi Italiani" Maggio 98)

NUOVI IPOGLICEMIZZANTI ORALI NEL DIABETE DI TIPO II
Sono allo studio nuove molecole per la terapia orale del diabete di tipo II, alcune delle quali rivelatesi promettenti e, probabilmente, di prossima introduzione nei Prontuari.
 Ÿ REPAGLINIDE: entità chimica nuova, strutturalmente simile alla parte NON sulfanilureica della glibenclamide. Pur non essendo una sulfanilurea, la repaglinide ha un'azione simile in quanto stimola la beta-cellula pancreatica in modo analogo, bloccando i canali del potassio ATP-dipendenti. Il sito di legame tuttavia è diverso. Assorbito rapidamente, ha un'emivita breve e viene metabolizzata ed eliminata per via epatica (interessante per i diabetici nefropatici). Tollerabilità, sicurezza ed efficacia sono buone, simili alla glibenclamide.
 Ÿ GLIMEPIRIDE: sulfanilurea a lunga azione, avrebbe mostrato anche effetti extrapancreatici nonché (in uno studio sul ratto) un effetto di prevenzione sul diabete e sugli eventi autoimmunitari collegati. Uno studio multicentrico avrebbe evidenziato risultati sostanzialmente analoghi alla glibenclamide; a parità di compenso metabolico vengono però riportati valori inferiori di insulinemia e C-peptide nei trattati con glimepiride.
 Ÿ TROGLITAZONE: Facente parte di una nuova classe di antidiabetici orali (derivati dal tiazolindindione), questa molecola ha un effetto periferico paragonabile alle biguanidi. Uno studio su isole pancreatiche di ratto avrebbe però evidenziato anche un effetto diretto pancreatico. Emivita di circa 10 ore, con eliminazione prevalentemente epatica. I dati clinici confermano finora le premesse; il farmaco non provoca ipoglicemia, migliora i parametri glicemici del diabetico di tipo II, riduce i trigliceridi e probabilmente aumenta le HDL (ai massimi dosaggi). Tollerabilità buona, con lievi alterazioni dei parametri epatici in qualche caso.
(V. Pezzino. "Il Diabete" vol 8 n. 2)

GESTIONE DEL DIABETE IN MEDICINA GENERALE
L'articolo di Occhio Clinico dal titolo “Il caso” prende spunto dalla richiesta di “passaggio in cura” permanente relativa ad un paziente diabetico, che un centro diabetologico fa arrogantemente ad un MG, per fare una attenta disamina sulla gestione del diabete mellito in Italia. In particolare l'autore del primo commento, Massimo Tombesi, medico di medicina generale, fa il punto su come viene gestita la malattia diabetica dai MG e su come invece dovrebbe e potrebbe essere gestita. Tombesi riporta i dati di due studi di confronto sull'assistenza offerta da centri diabetologici e da MG: in entrambi i lavori l'assistenza offerta dai centri diabetologici è migliore rispetto a quella dei MG. I diabetici seguiti dai MG sono meno sottoposti a procedure diagnostiche importanti quali il dosaggio dell'emoglobina glicosilata o il fondo dell'occhio e ricevono meno informazioni sulla dieta, il monitoraggio metabolico e la cura del piede; inoltre presentano una mortalità maggiore rispetto ai pazienti seguiti dai centri diabetologici. Le differenze osservate potrebbero essere dovute ad una non confrontabilità tra i pazienti assistiti dai centri e quelli assistiti dai MG per differenza di condizioni sociali, di età, di cultura, di atteggiamento verso le scadenze e i controlli; ma è indubbio che ci siano anche carenze organizzative. Tombesi afferma che “il punto debole della medicina generale sta nella abituale mancanza di una organizzazione del lavoro specifica per i diabetici, di un piano definito di trattamento con obiettivi da raggiungere per ciascun diabetico, e di un sistema che aiuti a ricordare e rispettare le scadenze del follow-up”. A questo proposito la Cochrane Collaboration ha dimostrato che se la medicina generale adotta un sistema che consente di richiamare i pazienti, può conseguire standard di cura altrettanto buoni o migliori di quelli dei centri ospedalieri.
Il centro diabetologico dovrebbe essere il centro specialistico a cui far riferimento per situazioni particolari, che appunto necessitino di una consulenza specialistica. Tombesi fa riferimento al protocollo d'intesa siglato nel 1995 tra SIMG (Società di Medicina Generale) e AMD (Associazione Medici Diabetologi), che prevedeva l'accesso alla struttura specialistica per le seguenti situazioni:
 Ÿ consulenza specialistica su richiesta motivata del medico di medicina generale;
 Ÿ ricerca e controllo periodico delle complicanze su programma concordato col medico di medicina generale;
 Ÿ scompenso metabolico;
 Ÿ situazioni cliniche di particolare impegno, per il tempo strettamente necessario alla risoluzione;
 Ÿ gestione del diabetico trattato con insulina limitatamente alla malattia diabetica.

In nessun caso è previsto il passaggio in cura permanente.
Lo stato assegna al medico di medicina generale compiti di prevenzione, diagnosi, cura ed educazione sanitaria. Il diabete mellito comprende tutte queste opportunità. la medicina generale deve organizzarsi per far fronte a questi compiti, se non vuole rassegnarsi ad una centralità puramente burocratica.
Occhio Clinico, settembre 1998

PRESSIONE ARTERIOSA E COMPLICANZE MACRO E MICROVASCOLARI NEL DIABETE DI TIPO 2
Il diabete di tipo 2 e l'ipertensione arteriosa sono condizioni comunemente associate, che provocano entrambi un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e renali. La prevalenza dell'ipertensione tra i diabetici è più alta che nella popolazione generale, specialmente nei pazienti più giovani. All'età di 45 anni circa il 40% dei diabetici di tipo 2 sono ipertesi; la percentuale aumenta al 60% all'età di 75 anni. L'ipertensione aumenta il già elevato rischio di malattie cardiovascolari associato al diabete ed è anche un fattore di rischio per lo sviluppo di microalbuminuria e di retinopatia.
OBIETTIVO DELLO STUDIO: stabilire se un rigido controllo della pressione arteriosa previene le complicanze macro e microvascolari nei pazienti con diabete di tipo 2.
Lo studio (un trial multicentrico controllato e randomizzato) ha posto a confronto un controllo stretto della pressione arteriosa teso ad ottenere valori <150/85 mmHg utilizzando un ACE inibitore (Captopril) o un beta bloccante (atenololo), con un controllo meno rigido teso ad ottenere valori <180/105 mmHg. Sono stati arruolati 1148 pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 (età media 56 anni, pressione arteriosa media all'inizio dello studio 160/94 mmHg), di cui 758 sono stati sottoposti a stretto controllo della pressione e 390 sottoposti a controllo meno rigido, con un follow-up medio di 4,8 anni. Sono stati valutati a) end points clinici predefiniti, fatali e non fatali, correlati al diabete (morte improvvisa, morte per iperglicemia o ipoglicemia, infarto miocardico fatale e non fatale, angina, insufficienza cardiaca, stroke, insufficienza renale, amputazione di almeno un dito, emorragia del corpo vitreo, fotocoagulazione retinica, cecità di un occhio o intervento per cataratta); b) morti correlate al diabete; c) morti per tutte le cause. RISULTATI: la pressione arteriosa media durante il follow-up è stata significativamente ridotta nel gruppo sottoposto a stretto controllo (144/82 mmHg) in confronto al gruppo sottoposto a controllo meno stretto (154/87 mmHg) (P<0,0001). La riduzione del rischio nel gruppo a stretto controllo pressorio rispetto all'altro gruppo è stata del 24% per gli end points correlati al diabete (P=0,0046; IC 95% 8-38), del 32% per le morti correlate al diabete (P=0,019; IC 95% 6-51), del 44% per gli strokes (P=0,013; IC 95% 11-65) e del 37% negli end points microvascolari (P=0,0092; IC95% 11-56), principalmente dovuta a ridotto rischio di fotocoagulazione retinica. C'è stata inoltre una riduzione, non significativa, della mortalità per tutte le cause.
CONCLUSIONI: uno stretto controllo della pressione arteriosa in pazienti con ipertensione e diabete di tipo 2 permette di ottenere una riduzione clinicamente importante del rischio di morte legato al diabete, delle complicanze legate al diabete, della progressione della retinopatia diabetica e del deterioramento del visus.
British Medical Journal, 12 settembre 1998

NGF PROMETTENTE NELLA NEUROPATIA DIABETICA
I risultati del primo studio randomizzato sul fattore di crescita neuronale ricombinante umano (rhNGF) nella neuropatia diabetica suggeriscono che la terapia è sicura e può prevenire l'inizio e la progressione della neuropatia.
In uno studio U.S.A. in fase II, 250 pazienti con neuropatia diabetica sintomatica hanno ricevuto placebo oppure rhNGF 0,1 mg/kg o 0,3 mg/kg tre volte a settimana per 6 mesi per iniezione sottocutanea autosomministrata. Nei pazienti trattati si è osservata una migliorata risposta al caldo e al freddo e tendenza al miglioramento in altre sensazioni. Il 75% dei pazienti a cui è stato somministrato rhNGF, contro il 49% di quelli che hanno ricevuto il placebo, ha presentato un miglioramento dei sintomi. Purtroppo lo studio ha perso il carattere di cecità a causa delle reazioni nel sito di iniezione, che hanno permesso ai pazienti e ai ricercatori che li esaminavano di individuare chi stava ricevendo in rhNGF.
I risultati sono comunque molto eccitanti, perché finora avevamo solo trattamenti palliativi, niente che rendesse i nervi più resistenti ai traumi e li facesse funzionare meglio. Bisognerà comunque aspettare i risultati degli studi europei e americani in fase III al momento in corso.
Neurology 1998, 51: 695-702

SPAZZOLINI DA DENTI E STREPTOCOCCO b-EMOLITICO DI GRUPPO A
OBIETTIVO DELLO STUDIO: controllare la persistenza dello streptococco b-emolitico di gruppo A (GABHS) su spazzolini da denti e apparecchi ortodontici rimovibili in bambini affetti da faringotonsilliti acute da GABHS, e l'associazione con inefficacia della terapia penicillinica.
PAZIENTI E METODI: sono state fatte colture faringotonsillari e da spazzolini da denti in 104 bambini con faringotonsillite acuta da GABHS, prima e dopo dieci giorni di terapia con penicillina V potassica. In 25 bambini sono state inoltre ottenute colture da apparecchi ortodontici rimovibili. E' stata controllata in vitro la persistenza dei GABHS in dieci spazzolini da denti sciacquati tutti i giorni e in dieci non sciacquati.
RISULTATI: GABHS sono stati isolati da 11 spazzolini (11%) e 18 bambini (17%) dopo il completamento della terapia penicillinica. Gli spazzolini di 5 (28%) dei 18 bambini che ospitavano GABHS erano colonizzati dal microorganismo. GABHS sono stati isolati anche da 4 (19%) dei 21 apparecchi ortodontici rimovibili dopo la terapia. Gli studi in vitro hanno dimostrato la persistenza di GABHS negli spazzolini non sciacquati fino a 15 giorni. Di contro, negli spazzolini sciacquati il microorganismo non fu isolato oltre il terzo giorno.
CONCLUSIONI: gli spazzolini da denti e gli apparecchi ortodontici rimovibili che ospitano streptococchi b-emolitici di gruppo A possono contribuire alla persistenza di questi ultimi nell'orofaringe e possono spiegare il fallimento della terapia penicillinica in alcuni casi di faringotonsillite.
Archives of Otolaringology – Head & Neck Surgery, settembre 1998

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