SI FA PRESSANTE IL PROBLEMA
TBC
Una serie di indicatori segnalano concordemente
che il problema della TBC in Italia si sta facendo sempre più importante.
In Lombardia è stato segnalato un lento
ma costante aumento dei casi denunciati che, si fa presente, sono certamente
sottostimati. Particolarmente colpiti i giovani tra i 20 e i 39 anni. Imputato
numero uno, a detta del dirigente del settore Igiene, è l'immigrazione
irregolare da paesi con alta endemia; contribuiscono l'infezione da HIV
e la socializzazione da discoteca. Il 50% dei casi attualmente riscontrati
riguarderebbe infatti, in tale ambito territoriale, immigrati extracomunitari.
L'immigrazione è posta sul banco degli imputati anche dall'Istituto
Superiore di Sanità: in un recente convegno (Giornata Mondiale contro
la TBC) è stato rilevato come il trend di morbilità in Italia
sia in continuo aumento. Pur risultando ancora (con 13 casi ogni 100.000
abitanti) ancora “area a bassa prevalenza”, l'Italia è destinata,
nei prossimi anni, a vedere diffondere la malattia soprattutto nelle face
di popolazione più a rischio. Per fare un paragone, il tasso di
morbilità è di 8/100.000 negli USA, 6/100.000 in Australia.
A Singapore invece (paese “ricco” ma particolarmente colpito) , il tasso
è stato di 58/100.000, con 125 decessi e 1.800 nuovi malati nel
1998. Una delle cause favorenti la diffusione della malattia in Italia,
a detta del responsabile del Progetto Nazionale TBC, è l'impreparazione
dei medici, che hanno “dimenticato” come si diagnostica tempestivamente
l'infezione tubercolare.
(ADNkronos Salute, condensato da diverse news
da D.Z.)
NUOVO VIRUS SCOPERTO IN MALESIA
Il Governo Malese ha annunciato la scoperta di
un nuovo virus in una regione di allevamenti, già sede di focolaio
di encefalite giapponese. Si tratta di un paramyxovirus, che non ha legami
col virus dell'encefalite giapponese ma sarebbe imparentato invece con
un virus identificato per la prima volta nel 1994 in Australia. Si trattava
di un morbillivirus, circolante nel sangue dei piccoli roditori ma mortale
se trasmesso ai grandi animali e all'uomo. Tale virus, chiamato Hendra,
venne classificato nel 1996 nella categoria degli agenti infettivi che
necessitano di misure di alta sicurezza per l'alta patogenicità
e le modalità di trasmissione.
(ADNkronos Salute)
INNOCENTE LA CHLAMYDIA PNEUMONIAE
NELL'INFARTO?
Uno studio effettuato dai ricercatori dell'Harvard
Medical School sembra demolire quella che stava diventando una certezza
ma che, secondo gli stessi ricercatori, è invece una osservazione
basata solo su pochi dati epidemiologici: il ruolo causale dell'infezione
da Chlamydia Pneumoniae nell'infarto e il ruolo dello stesso batterio
nell'aterosclerosi. Lo studio è stato condotto su 343 casi di infarto
e altrettanti controlli. Si trattava di persone tutte incluse nel Physicians'
Health Study che ha avuto un follow-up di 12 anni. La ricerca degli
anticorpi ematici contro la Chlamydia Pneumoniae ha verificato che
non esisteva correlazione tra tale infezione ed il rischio di infarto.
(Qualità della vita: n. 12/1999)
DIURETICI E BETABLOCCANTI
NON MODIFICANO I LIPIDI PLASMATICI NEGLI UOMINI IPERTESI
La terapia anti-ipertensiva ha ridotto significativamente
la mortalità per tutte le cause, gli stroke, gli infarti miocardici
e l'insufficienza cardiaca nei trials clinici di morbilità e mortalità.
I farmaci usati in questi trials sono stati in gran parte i diuretici e
in minor misura i betabloccanti. Nel 1997 il JNC-VI ha raccomandato che
diuretici e betabloccanti siano considerati come i farmaci di prima scelta
nella terapia dell'ipertensione non complicata. Tuttavia, negli Stati Uniti
il numero di prescrizioni annuali di calcioantagonisti e ACE-inibitori
attualmente supera quello di diuretici e betabloccanti. Una ragione per
preferire queste nuove classi di antiipertensivi è stata la preoccupazione
riguardo i potenziali effetti negativi di diuretici e betabloccanti sui
lipidi e le lipoproteine plasmatiche. Ci sono parecchi report riguardo
gli effetti avversi di questi farmaci sui lipidi nel breve termine, ma
non è chiaro se questi effetti permangono a lungo. Un totale di
1292 uomini di età da 21 anni in su, con pressione diastolica compresa
tra 95 e 109 mmHg, sono stati randomizzati a ricevere un placebo o uno
di sei farmaci antiipertensivi: idroclorotiazide, atenololo, captopril,
clonidina, diltiazem o prazosin. Dopo aggiustamento della dose, i pazienti
con pressione diastolica inferiore a 90 mmHg sono stati seguiti per un
anno. I lipidi e le lipoproteine sono stati dosati all'inizio, dopo l'aggiustamento
della dose e dopo un anno. CONCLUSIONI: Nessuno di questi sei antiipertensivi
ha, a lungo termine, effetti avversi su lipidi e lipoproteine plasmatiche
e possono quindi essere prescritti in tutta sicurezza. Gli effetti avversi
a breve termine precedentemente descritti per l'idroclorotiazide sono limitati
ai soggetti non responder.
(Archives of Internal Medicine, 22.3.99)
TOSSINA BOTULINICA EFFICACE
IN BAMBINI AFFETTI DA PARALISI CEREBRALE SEVERA
Al meeting annuale della American Academy
of Neurology tenutosi a Toronto dal 17 al 24 aprile '99 è stato
presentato uno studio fatto da Petr Kanovsky, neurologo della Masaryk
University in Brno, Repubblica Ceca, che dimostra l'utilità
della tossina botulinica in bambini che non possono camminare perché
affetti da paralisi cerebrale. In precedenza erano stati trattati bambini
affetti da paralisi cerebrale che potevano camminare. I ricercatori hanno
iniettato la tossina botulinica nei polpacci di 27 bambini di età
dai 2 ai 7 anni, incapaci di camminare o di stare in piedi. Le iniezioni
sono state fatte a intervalli di 3-4 mesi per un periodo di 3 anni. Tutti
i 27 bambini hanno avuto un miglioramento della funzione muscolare da tre
a sei mesi dopo la prima iniezione. Sei di questi sono stati in grado per
la prima volta di stare in piedi, con un aiuto. Non ci sono stati effetti
collaterali. Il trattamento è più efficace se fatto in combinazione
con la fisioterapia.
(Doctor's Guide, 19.4.99)
OSPEDALIZZAZIONE A DOMICILIO
Studi recenti che evidenziano gli effetti avversi
associati con il ricovero in ospedale rendono più attraente il trattamento
domiciliare, specialmente per i pazienti anziani, che notoriamente in ospedale
soffrono un'alta incidenza di complicazioni. Se trattati a domicilio i
pazienti non devono modificare il loro ambiente o la loro routine, non
sono esposti a infezioni nosocomiali e non si devono adattare alla cultura
sociologica dell'ospedale. È stato effettuato uno studio randomizzato
e controllato su 100 pazienti (per il 69% di età superiore ai 65
anni) con una varietà di affezioni acute, che erano state ritenute
meritevoli di ricovero ospedaliero da parte del dipartimento di emergenza.
I pazienti sono stati allocati in modo random ad essere ospedalizzati presso
il loro domicilio o ad essere ammessi in ospedale. Sono state valutate
le complicazioni geriatriche (confusione, cadute, incontinenza urinaria
o ritenzione, incontinenza fecale o costipazione, flebite), la soddisfazione
del paziente e del medico, gli eventi avversi e la morte. RISULTATI: tra
i pazienti ospedalizzati a domicilio c'è stata una minore incidenza
di confusione, di complicanze urinarie o intestinali. Non ci sono state
differenze significative nel numero di eventi avversi e di morti fino a
28 giorni dopo la dimissione, nei due gruppi. La soddisfazione dei pazienti
e dei medici è stata significativamente più alta nel gruppo
degli ospedalizzati a domicilio. CONCLUSIONI: Il trattamento a domicilio
sembra offrire una valida alternativa per pazienti selezionati, e può
essere preferibile per alcuni pazienti anziani.
(MJA, aprile 1999)