DIABETE E INCIDENTI AUTOMOBILISTICI NEGLI ANZIANI
Il diabete è una delle poche condizioni per le quali esistono
limitazioni o divieti alla possibilità di guidare, specie in riferimento
alla guida di autoveicoli commerciali [In Italia il Ministero dei Trasporti
con decreto del 16 ottobre 1998 ha stabilito che “la patente di guida può
essere rilasciata o rinnovata al candidato o conducente colpito da diabete
mellito, con parere di un medico autorizzato e regolare controllo medico
specifico per ogni caso” con l'esclusione dei diabetici insulino-dipendenti.
Infatti “La patente di guida non deve essere né rilasciata né
rinnovata al candidato o conducente di questo gruppo colpito da diabete
mellito che necessiti di un trattamento con insulina, salvo casi eccezionali
debitamente giustificati dal parere di un medico autorizzato e con controllo
medico regolare”. Una circolare del 22 gennaio 1999 ha poi precisato che
quest'ultima disposizione “si applica esclusivamente alle patenti di guida
del gruppo 2, ossia alle categorie superiori (C, C1, D, D1,E)” quindi non
alla categoria B. (N.d.A.)]
L'obiettivo dello studio è stato valutare l'associazione tra
il diabete e le sue complicanze e gli incidenti automobilistici “per colpa”
nei guidatori anziani. Si tratta di uno studio di popolazione di tipo caso-controllo.
Tra tutti i soggetti residenti a Mobile County, Alabama (U.S.A.) di età
³ 65 anni (39.687 persone) sono stati considerati 1906 soggetti che
nel corso del 1996 hanno avuto un incidente automobilistico. Di questi,
560 sono stati selezionati in modo casuale per essere intervistati telefonicamente.
447 (79.7%) hanno partecipato, 84 (15%) hanno rifiutato di partecipare,
24 (4.2%) non hanno potuto continuare l'intervista a causa di impedimenti
vari, e 6 (1%) erano deceduti al momento della tentata intervista. I partecipanti
non differivano per età e sesso dai non partecipanti. 249 dei 447
soggetti (56%) che avevano avuto un incidente erano almeno parzialmente
colpevoli (secondo i dati tratti dai files del Dipartimento di Pubblica
Sicurezza). I rimanenti, ossia i non colpevoli, sono stati presi come primo
gruppo di controllo. Un secondo gruppo di controllo è stato composto
selezionando in modo casuale 613 guidatori non coinvolti in incidenti automobilistici.
Le interviste telefoniche sono state effettuate da intervistatori esperti
che erano “ciechi” in relazione allo status del caso. Oltre ad informazioni
demografiche standard (età, sesso, razza, stato civile, scolarità)
sono state raccolte informazioni sul diabete, altre condizioni mediche,
terapie, abitudini di guida e funzione visiva. I soggetti che riferivano
diabete venivano interrogati anche sulla durata della malattia, la severità
(per esempio, frequenza di episodi di iperglicemia/ipoglicemia), la terapia
(ipoglicemizzanti orali, insulina), e sui sintomi (per es. vertigini, pollachiuria).
A questi soggetti veniva anche chiesto se un medico, o infermiere o altro
operatore sanitario avesse loro detto che avevano una neuropatia o una
retinopatia. In generale non c'è stata associazione tra diabete
e incidenti colposi. L'Odds Ratio per diabete è stata di 1.1 (C.I.
0.7-1.9) quando i soggetti del caso sono stati confrontati con entrambi
i gruppi di controllo. Tuttavia, l'Odds Ratio per diabete è stata
di 2.5 (C.I. 0.9-7.2) tra soggetti che erano stati coinvolti in un incidente
nei quattro anni precedenti il 1996, mentre è stata di solo 0.9
(C.I. 0.5-1.7) tra quelli che non lo erano stati. Non c'è stata
evidenza di associazione tra tipo di terapia e coinvolgimento colposo in
un incidente. Nei soggetti in esame c'era una frequenza maggiore di neuropatia
(Odds Ratio 2.4), comunque non significativa (P = 0.25), in confronto con
entrambi i gruppi di controllo, mentre la retinopatia non era associata
ad un aumento del rischio di incidenti. In conclusione, questo studio non
fornisce prove che i guidatori anziani affetti da diabete siano a maggior
rischio di incidenti automobilistici. Rimane la possibilità che
i diabetici con malattia più severa o che abbiano avuto incidenti
multipli siano a maggior rischio.
(Diabetes Care, 02/99)
NIFEDIPINA E ANGINA PECTORIS
Il lavoro consiste in una metanalisi di 60 trials randomizzati e controllati,
allo scopo di confrontare la frequenza di eventi cardiovascolari in pazienti
con angina stabile trattati con nifedipina in tutte le formulazioni, in
monoterapia o insieme con altri farmaci, e in pazienti con angina stabile
trattati con altri farmaci. Su 2.635 pazienti trattati con nifedipina sono
stati riportati 30 eventi cardiovascolari (1.19%), contro 19 eventi in
2.655 pazienti trattati con altri farmaci (0.72%). L'Odds Ratio per la
nifedipina versus i controlli è stata di 1.40 (95% C.I. = 0.56-3.49)
per gli eventi maggiori (morte, infarto miocardico non fatale, stroke,
intervento di rivascolarizzazione), di 1.75 (95% C.I. = 0.83-3.67) per
l'aumento di angina e di 1.61 (95% C.I. = 0.91-2.87) per tutti gli eventi
(eventi maggiori più aumento di angina). Gli episodi di angina aumentata
sono stati più frequenti con la nifedipina a rilascio immediato
[Odds Ratio 4.19 (95% C.I. = 1.41-12.49)] e con la nifedipina in monoterapia
[Odds Ratio 2.61 (95% C.I. = 1.30-5.26)]. L'Odds Ratio per la nifedipina
a rilascio immediato è stato significativamente più alto
(P = 0.001) che per la nifedipina sustained-release e la nifedipina estended-release
(rispettivamente nifedipina ritardo e nifedipina crono), e l'Odds Ratio
per la nifedipina in monoterapia è stato più alto che per
la nifedipina in terapia combinata con altri farmaci (P = 0.03). L'aumento
del rischio di eventi cardiovascolari in pazienti con angina stabile in
trattamento con nifedipina è stato dovuto principalmente all'aumento
del numero di episodi di angina, limitatamente alla formulazione a rilascio
immediato e alla nifedipina in monoterapia. Le formulazioni a lento rilascio
e l'uso concomitante con betabloccanti non sembrano essere associati ad
aumento di rischio negli studi inclusi in questa metanalisi.
(Hypertension, 01/99)
ANTIBIOTICI E RISCHIO DI INFARTO MIOCARDICO
Dati sempre più numerosi avvalorano l'ipotesi di un'associazione
causale tra alcune infezioni batteriche e l'aumento del rischio di sviluppare
infarto miocardico acuto. Se tale associazione causale esiste, i soggetti
che hanno fatto uso di antibiotici attivi contro i batteri, indipendentemente
dall'indicazione, potrebbero essere a minor rischio di sviluppare infarto
miocardico acuto rispetto a chi non ne ha fatto uso. Uno studio di popolazione
caso-controllo è stato fatto utilizzando un database comprendente
350 ambulatori di medicina generale del Regno Unito. Sono stati confrontati
3.315 pazienti di età £ 75 anni con una diagnosi di primo
infarto miocardico tra il 1992 e il 1997, e 13.139 controlli senza infarto
miocardico, confrontabili con i primi per età, sesso, ambulatorio
frequentato e periodo di tempo. È stato verificato l'uso di antibiotici
tra coloro che avevano o no avuto un primo infarto miocardico acuto. L'incidenza
di infarti era significativamente inferiore in soggetti che avevano usato
tetracicline (Odds Ratio 0.70; 95% C.I. = 0.55-0.90) o chinolonici (Odds
Ratio 0.45; 95% C.I. = 0.21-0.95), mentre nessun effetto è stato
riscontrato per l'uso precedente di macrolidi (soprattutto eritromicina),
sulfamidici, penicilline o cefalosporine. I risultati di questa ampia analisi
caso-controllo forniscono ulteriori, sebbene indirette, evidenze per un'associazione
tra infezioni batteriche da microrganismi sensibili a tetracicline o chinolonici
e il rischio di infarto miocardico acuto. Questi risultati di natura preliminare
dovrebbero stimolare ulteriori ricerche per esplorare il ruolo delle infezioni
nell'eziologia dell'infarto miocardico acuto.
(JAMA, 3.2.99)
DNA A TRIPLICE CATENA
Già nella seconda metà degli anni '50 si scoprì
che, sia in vitro che in vivo, si potevano costituire tratti di DNA in
triplice elica. Di tale scoperta sfuggiva però il significato biologico,
né se ne vedeva un possibile utilizzo in ambito medico. Nei successivi
decenni si sono evidenziati alcuni processi biologici che richiedevano
la costituzione di triplici eliche polinucleotidiche, per cui l'interesse
per tali strutture rinacque, intuendosi anche una possibile implicazione
nelle tecnologie del DNA ricombinante. Ulteriori recenti ricerche hanno
dimostrato che, mediante la formazione di tali strutture, fosse possibile
controllare in vitro l'espressione genetica.
La genesi di una triplice elica di DNA passa attraverso la somma di
un desossi-oligo-nucleotide ad un corrispondente tratto di DNA a doppia
elica. La struttura che in questo modo si forma, si regge grazie allo stabilirsi
di legami idrogeno che si aggiungono a quelli canonici (i legami di Watson
e Crick), con formazione di una struttura stabile. I legami idrogeno coinvolgerebbero
l'anello purinico N7 piuttosto che l'N1.
Sequenze di basi capaci di dar luogo a tale particolare tipo di DNA
sono state rinvenute essenzialmente nel genoma degli eucarioti (organismi
superiori) e molto più raramente negli eubatteri. Sono ancora abbastanza
incompleti i dati disponibili sul coinvolgimento di tali strutture nel
processo di replicazione del DNA e nella trascrizione e ricombinazione
omologa; si intravedono però importanti applicazioni terapeutiche,
grazie al fatto che tali triplici eliche potrebbero essere usate per inibire
la trascrizione di messaggi genetici patologicamente alterati, regolandone
l'espressione genetica e modulandone opportunamente l'attività.
(G.Parisi, “Biologi Italiani” n. 11/1998)
CA MAMMARIO: INTEGRAZIONI NEFASTE TRA AGRUMI E TAMOXIFENE
Secondo alcuni ricercatori Belgi sarebbe necessario vietare o quanto
meno limitare il consumo di agrumi da parte di donne trattate con tamoxifene
in quanto sarebbe stato messa in evidenza, sull'animale, una interferenza
negativa sull'efficacia antineoplastica di tale farmaco. Lo studio dimostrerebbe
che un flavonoide (la tangeretina) di per sé ininfluente sulla crescita
neoplastica, inibirebbe l'effetto dell'antiestrogeno. Oltretutto sarebbe
stata dimostrata un'azione inibitrice sull'azione citolitica dei linfociti
NK sulle cellule tumorali. Questi risultati potrebbero spiegare almeno
in parte, secondo gli autori, la perdita di efficacia del tamoxifene in
alcuni soggetti. Malgrado quanto detto sopra gli autori non arrivano a
vietare il consumo di agrumi o spremute nelle donne in trattamento con
tamoxifene, in quanto è noto che tali alimenti contengono altre
sostanze potenzialmente utili contro le neoplasie; il tasso di tangeretina,
inoltre, è molto basso. Raccomandano però attenzione all'eventuale
uso di integratori alimentari a base di agrumi e agli additivi concentrati,
contenenti elevate concentrazioni di tangeretina.
(ADNkronos: Qualità della vita, n. 8/1999)
MULTITERAPIA CONTRO LE COMPLICAZIONI DEL DIABETE MELLITO
Dallo studio danese “Steno type 2”, condotto dai ricercatori del Centro
Diabetologico Steno di Copenaghen, realizzato su 149 pazienti affetti da
diabete di tipo II con microalbuminuria sarebbe stato evidenziato come
un multitrattamento a base di farmaci, dieta equilibrata ed attività
fisica permetta di ridurre in maniera elevata le complicazioni della malattia.
Rispetto alla dieta standard, tale multiterapia include:
ź Un regime alimentare con riduzione dei grassi a non più
del 30% delle calorie totali (10% al massimo per i grassi insaturi).
ź Attività fisica di livello medio per almeno 30' per
3-5 volte la settimana.
ź Terapia con ACE-inibitori in tutti i pazienti.
ź Vitamina C, E ed Acido acetilsalicilico in caso di precedenti
ischemici.
ź Ipoglicemizzanti orali (metformina o glicazide in prima scelta)
nel caso di HbA1c > di 6,5%, con l'aggiunta di un secondo ipoglicemizzante
o di insulina se necessario.
ź Ulteriori terapie, se necessarie, per l'ipertensione (se >
di 140/85) e per le dislipidemie.
L'adozione di questi provvedimenti ha evidenziato, nell'arco di tempo
di 3-8 anni, una riduzione del 73% del tasso di progressione verso la nefropatia,
del 55% del tempo di progressione verso la retinopatia, una regressione
del 68% del tempo di progressione verso la neuropatia.
(ADNkronos, Qualità della vita, n. 8/1999)
STRESS E COLITI
Uno studio condotto in Gran Bretagna presso l'Ospedale Generale di
Sheffield e in corso di pubblicazione sulla rivista GUT avrebbe evidenziato
che i soggetti più colpiti da sindrome del colon irritabile a seguito
di infezione intestinale sono quelli che soffrono di tensioni psicologiche,
in particolare depressione, ansia e angoscia.
Lo studio ha analizzato 94 pazienti ricoverati per intossicazioni alimentari,
dissenteria e gastroenterite, evidenziando la comparsa di sindrome del
colon irritabile in un quarto dei casi nell'arco di tre mesi. In particolare
i pazienti più ansiosi e più nervosi nel corso dell'attacco
gastroenteritico erano quelli che avevano sviluppato la sindrome del colon
irritabile.
(ADNkronos “Qualità della vita” n. 8/1999)
Nota personale: questa notizia non sarebbe assolutamente meritevole
di segnalazione se non per il fatto che, sempre più spesso, “autorevoli”
studi anglosassoni pubblicati su indubbiamente “autorevoli” riviste ci
ripresentano la scoperta dell'acqua calda. Il ruolo dello stress sulle
funzioni dell'apparato digerente e, in particolare, sulle colopatie è
noto e studiato fino alla nausea. Ora, comunque, ne abbiamo autorevole
conferma! (D.Z.)