LA TUBERCOLOSI OGGI
La tubercolosi è una malattia conosciuta fin dall'inizio dei
tempi: i paesi industrializzati potevano considerare la TBC un problema
superato, in quanto sembrava diventata una malattia esclusiva dei Paesi
più poveri, destinata alla definitiva estinzione. Attualmente, al
contrario, si rileva una tendenza alla diffusione e ad un aumento della
mortalità: infatti attualmente si registra un suo progressivo aumento
per cui 9 milioni di nuovi casi sono diagnosticati nel mondo. Nel corso
del nostro Secolo si è registrata una costante riduzione degli indici
epidemiologici: l'incidenza minima in Italia è stata registrata
nell'83 con 4,9 casi per 100.000 abitanti. Successivamente al 1983 si è
osservata una inversione di tendenza con un raddoppio degli indici nel
1994 (9,6 casi per 100.000 abitanti), probabilmente sottostimati. Tale
situazione trova riscontro anche nel resto d'Europa. Rispetto alle altre
malattie infettive la TBC differisce in quanto le modalità evolutive
della malattia e della suscettibilità dell'ospite fanno sì
che in una determinata popolazione l'epidemia turbercolare si sviluppi
nell'arco di parecchi decenni completandosi in alcuni secoli.
Molteplici sono le cause della recrudescenza:
ź Carenza di controlli sanitari nei confronti delle correnti
migratorie riversatesi nel nostro Paese (ricordiamo che nei Paesi del Terzo
Mondo la TBC è ancora molto attuale)
ź Diffusione della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita che
deprime le difese immunitarie aprendo la strada al Bacillo Tubercolare
ź Diffusione di farmaci antireattivi, antiblastici o antirigetto
che deprimono l'immunità umorale e cellulare
ź Abolizione della rete dei presidi antiturbercolari avvenuta
negli anni '80 con conseguente riduzione della vigilanza e mancanza di
sicuri dati epidemiologici aggiornati
É necessario riprendere lo studio sistematico della prevalenza
dell'infezione tubercolare, incrementando i controlli con una particolare
attenzione anche e soprattutto da parte dei Medici di famiglia, anche tenendo
conto delle difficoltà diagnostiche conseguenti ai frequenti casi
di anergia tubercolinica, spesso presente in questi soggetti.
(R. Zamboni, Bollett. O.P.M. di Roma, n.8/1998)
(D. Z.)
PAESINO: CHE DEPRESSIONE!
Un italiano su quattro è a rischio di depressione: il sondaggio
M.I.N.I. condotto in Italia su 3.550 persone e presentato a Parigi in un
Congresso di neuropsicofarmacologia ha evidenziato appunto che circa un
quarto della popolazione ha (o ha avuto) esperienza di depressione almeno
una volta nella vita. Le donne sono colpite più dei maschi (28,6%
contro 25,5%) e l'età più a rischio appare quella compresa
tra i 30 e i 40 anni (32,3%) seguita poi dai quella 40-50 (30,4%). La cultura
sembra avere un potere almeno in parte protettivo: i laureati soffrono
di depressione solo nel 21,6% dei casi contro il 28,8% dei diplomati alla
scuola media inferiore. L'attività lavorativa più a rischio
appare quella delle casalinghe (30,2%) contro il 27% dei pensionati e il
22% dei disoccupati. La parte d'Italia più colpita appare il Nord-Est
(31%) contro il 22% del Centro. Appare curioso che i soggetti più
a rischio (29,4%) vivono in piccoli paesi (meno di 5000 abitanti) contro
il 27,7% dei residenti nelle grandi città. Stanno meglio (25,1%)
gli abitanti delle cittadine intermedie (fino a 20.000 abitanti). In Europa
si ritiene che circa il 5-7% della popolazione sviluppi la depressione
nell'arco di un anno; rapportando tale dato alla durata media della vita,
si è calcolato che il rischio-depressione arrivi al 5-10% negli
uomini e al 10-15% nelle donne, con una virtuale popolazione di 3 milioni
e mezzo di depressi in Italia.
(Qualità della vita, n. 43/1998)
Commento: Non ci risulta, benché riteniamo possa avere una certa
influenza, che sia stata presa in considerazione, nell'indagine, la condizione
economica degli intervistati, ma del resto non sapremmo proprio quale credito
dare all'informazione!
(D. Z.)
INVECCHIARE SECONDO IL MESTIERE
Gli esperti del progetto “Hiris” hanno stilato una classifica dei “mestieri
a rischio invecchiamento precoce”. In cima alla classifica delle vittime
dei radicali liberi e dello stress ossidativo professionale si situano
i vigili urbani assieme, purtroppo, a due categorie mediche: radiologi
e anestesisti. Seguono, a non eccessiva distanza, pescatori, bagnini, piloti
d'aereo, cosmonauti, addetti agli impianti nucleari e addetti alle industrie
di vernici.
Per prevenire, gli stessi esperti hanno stilato un (ennesimo) decalogo:
1. Non fumare
2. Esporsi con cautela agli ultravioletti
3. Evitare le località ad alto tasso di inquinamento
ambientale
4. Non eccedere con gli alcoolici
5. Verificare l'introduzione nella dieta di olio d'oliva,
pesce, frutta e verdura
6. Evitare sovrappeso e obesità
7. Ridurre lo stress psicofisico
8. Svolgere, senza eccedere, attività fisica
9. Evitare troppo frequenti voli aerei
10. Evitare radiazioni ionizzanti
(Qualità della vita n. 43/1998)
(D. Z.)
AIDS NEL MONDO
L'AIDS torna ad essere la Peste del 2000? L'ONU ha dichiarato che quest'anno,
in 34 paesi (29 in Africa più Cambogia, India, Thailandia, Brasile
e Haiti), la popolazione verrà drasticamente ridotta dall'epidemia
di AIDS. In questi paesi vivono l'85% dei sieropositivi del mondo e si
registrano il 91% dei decessi totali. Nei paesi africani l'aspettativa
di vita, in conseguenza dell'infezione da HIV, è scesa di sette
anni, a 47 anni di età. Nei paesi più colpiti l'aspettativa
di vita è ancora più bassa di 10 anni. In Botswana, ad esempio,
è calcolata, nel periodo 2000-2005, una discesa dell'aspettativa
di vita fino ai 29 anni. Su scala planetaria l'incremento annuo di popolazione,
stimato nel 2% in assenza di AIDS, scende per tale motivo all'1% scarso.
(Qualità della vita, n.43/1998)
(D. Z.)
TERAPIA MEDICA DELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE
Revisione critica di un articolo pubblicato su: Neurology, 1998; 51:390-3
col titolo "Short-term medical therapy for carpal tunnel syndrome". Le
terapie attualmente raccomandate per la sindrome del tunnel carpale (CTS)
comprendono farmaci per os, la fasciatura del polso con stecche, l'iniezione
locale di corticosteroidi e la chirurgia. Questo studio valuta l'efficacia
di un diuretico (triclormetiazide), un FANS a lento rilascio (tenoxicam
SR) uno steroide (prednisolone) e un placebo nel trattamento della CTS
di gravità lieve-moderata. Sono stati coinvolti 91 pazienti che
presentavano segni e sintomi lievi o moderati di CTS, confermata in tutti
i casi con tecniche elettrodiagnostiche. Sono stati esclusi i casi con
CTS severa, o con evidenza di altre condizioni quali una radicolopatia
che poteva simulare una CTS, o che presentavano controindicazioni ai farmaci,
o con deficit cognitivo. Lo studio è stato condotto in modo prospettico
per quattro settimane, randomizzato, in doppio cieco, controllato versus
placebo. Ogni paziente è stato intervistato all'inizio del trial
e valutato sulla base di cinque sintomi (dolore, parestesia, torpore, debolezza,
risvegli notturni) utilizzando una scala di 10 punti (0 = assenza di sintomi,
10 = sintomi severi) e sommando i vari punteggi per ottenere il punteggio
globale (Global Symptom Score = GSS) per la CTS. I pazienti sono stati
quindi assegnati in modo random ad uno di quattro gruppi: 1) quattro settimane
di placebo, 2) quattro settimane di tenoxicam SR 20 mg al giorno, 3) quattro
settimane di triclormetiazide 2 mg al giorno, 4) due settimane di prednisolone
20 mg al giorno seguite da altre due settimane di 10 mg al giorno. Tutte
le compresse erano bianche e di uguale forma e dimensione. Ogni paziente
è stato valutato a due e a quattro settimane utilizzando le stesse
tecniche usate all'inizio del trial, dallo stesso medico che aveva fatto
la valutazione iniziale. Sono stati controllati anche gli effetti collaterali.
Dei 91 pazienti arruolati, 18 non hanno completato il trial. Il tasso maggiore
di ritiri si è avuto nel gruppo placebo (7) rispetto ai 3 o 4 degli
altri gruppi. Ciò è rassicurante in quanto suggerisce che
la terapia attiva è ugualmente ben tollerata.
RISULTATI. Nella valutazione a due settimane solo il gruppo trattato
con lo steroide ha presentato una riduzione statisticamente significativa
nel GSS in confronto al placebo (da 27.9 a 15, p = 0,0002). Parimenti,
a quattro settimane, il gruppo trattato con lo steroide ha avuto una riduzione
statisticamente significativa del GSS rispetto al gruppo placebo (da 27.9
a 10, p = 0,00001). Nausea e dolore epigastrico sono comparsi con uguale
frequenza in ogni gruppo.
RACCOMANDAZIONI PER LA PRATICA CLINICA. Questo studio ha dimostrato
che il prednisolone è significativamente più efficace dei
FANS o dei diuretici nella terapia a breve termine della sindrome del tunnel
carpale. Tuttavia, gli autori di questa revisione critica ritengono che
ai pazienti dovevano essere offerte anche terapie non farmacologiche (come
lo steccaggio) e un'educazione riguardo le attività professionali
e gli hobby che possono contribuire a provocare una CTS.
Journal of Family Practice – POEMs, novembre 1998
(A. S.)
CAFFEINA E SALUTE
Bandolier cerca di fare il punto sul rapporto tra caffeina e salute
prendendo in esame tre studi recenti ben fatti, di cui due sono meta-analisi.
Il consumo di caffeina è valutato in milligrammi, tenendo presente
che una tazza di caffè ne contiene 75 mg, una tazza di tè
ne contiene circa 30 mg e una lattina di coca-cola 50 mg; attenzione particolare
merita il caffè espresso, il cui contenuto di caffeina può
arrivare a 150 mg per tazzina!
1. CAFFEINA E GRAVIDANZA. Il primo lavoro prende in esame il consumo
di caffeina in gravidanza e l'aborto spontaneo o il basso peso alla nascita
(O. Fernades, M. Sabharwal, T. Smiley et al. "Moderate to heavy caffeine
consumption during pregnancy and relationship to spontaneous abortion and
abnormal fetal growth: a meta-analysis". Reproductive Toxicology 1998;
12: 435-44). L'aborto spontaneo è stato definito come l'espulsione
dall'utero di prodotti del concepimento prima della 20ª settimana.
Il basso peso alla nascita è stato definito come inferiore a 2500
g. I soggetti di controllo sono stati donne che avevano consumato meno
di 150 mg di caffeina al giorno (due tazze di caffè o meno), mentre
sono state considerate esposte alla caffeina donne che ne avevano consumato
più di 150 mg al giorno.
Risultati. Su 42889 donne il tasso di aborti spontanei è stato
del 24.4% nelle donne esposte e del 20.0% nei controlli. È stato
valutato che per ogni 23 donne che consumano più di due tazze di
caffè o sei tazze di tè al giorno una avrà un aborto
spontaneo, che non avrebbe se non consumasse tanta caffeina. Su 64691 donne
il tasso di neonati di basso peso è stato del 7.7% nelle donne esposte
e del 5.5% nei controlli. Il numero minimo di donne esposte necessario
perché si verifichi il danno è stato calcolato in 46.
Commento. Trattasi di una review utile e che fa riflettere, che non
esclude possibili fattori di confusione sconosciuti, ma un'associazione
tra l'assunzione materna di caffeina e l'aborto spontaneo o il basso peso
alla nascita è probabilmente più vera che falsa. La review
ci dice anche che la caffeina è eliminata dall'organismo molto meno
rapidamente nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, e avvisa le donne
incinte di limitare l'assunzione di caffeina a meno di 150 mg al giorno.
2. CAFFÈ E CANCRO COLO-RETTALE. Un'altra meta-analisi (E. Giovannucci.
"Meta-analysis of coffee consumption and risk of colorectal cancer". American
Journal of Epidemiology 1998; 147: 1043-52) arriva alla conclusione, piuttosto
provvisoria, che l'elevato consumo di caffè riduce il rischio di
cancro del colon-retto. Il lavoro è metodologicamente solido e prende
in esame 17 studi con complessivi 6192 casi. In soggetti che bevono quattro
o più tazze di caffè al giorno la probabilità di cancro
colon-rettale è stata valutata inferiore del 24%, il rischio relativo
pari a 0.76 (95% C.I. 0.66-0.89). Il riscontro è uniforme attraverso
aree geografiche distinte e nella maggior parte degli studi, eccetto cinque
piccoli studi di coorte con meno del 15% dei pazienti esaminati. In tre
studi con 883 casi di adenoma, il rischio relativo è stato di 0.57
(95% C.I. 0.44-0.72).
3. CAFFÈ E STROKE IN IPERTESI NON FUMATORI. (AA Hakim, GW Ross,
JD Curb et al. "Coffee consumption in hypertensive men in older middle-age
and the risk of stroke: the Honolulu heart program". Journal of Clinical
Epidemiology 1998; 51: 487-94) Il consumo di caffè in uomini ipertesi
di età medio-avanzata e il rischio di stroke sono stati esaminati
in uno studio prospettico a lungo termine nelle Hawaii. L'assunzione di
caffè (tra le altre cose) fu valutata in un'ampia coorte di uomini
alla fine del 1960 e l'incidenza di stroke fu controllata nei successivi
25 anni in quasi tutti gli uomini dello studio. Questi uomini erano di
età compresa tra i 55 e i 68 anni, non fumatori, con ipertensione
(definita come pressione sistolica o diastolica superiore rispettivamente
a 140 o 90 mmHg). Su 499 uomini, 76 ebbero uno stroke, di questi 55 furono
di tipo tromboembolico. Dopo aggiustamento per l'età, il rischio
di stroke tromboembolico, ma non di quello emorragico, è stato collegato
in modo significativo alla quantità di caffè consumato. Per
i non consumatori di caffè l'incidenza in 5 anni fu del 2%, mentre
in quelli che bevevano più di tre tazze di caffè al giorno
l'incidenza fu del 4%.
COMMENTO GENERALE. Questi tre studi ci dimostrano quanto dobbiamo essere
prudenti nel dare consigli sullo stile di vita. È un po' come il
principio di indeterminazione di Heisenberg, se lo vedi non è più
lì. Dando consigli sullo stile di vita, ogni cambiamento in bene
in una direzione può essere un cambiamento in male in un'altra.
Per caffè e ipertensione, smettere di bere caffè può
ridurre l'eventualità di uno stroke, ma aumenta il rischio di cancro
colon-rettale. Difficile, vero? Ma, per le donne in gravidanza, le prove
sembrano forti: limitare l'assunzione di caffeina riduce il rischio di
un aborto spontaneo e il basso peso alla nascita.
Bandolier, dicembre 1998
(A. S.)