(a cura di Daniele Zamperinimd8708@mclink.it, Amedeo Schipanimc4730@mclink.it, Massimo Angelonimc1448@mclink.it)
Il file viene inviato gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. E' sufficiente comunicarlo ad uno dei redattori.
VEGETALI
EVIDENCE-BASED E DIABETE
Premessa. Bandolier (un’organizzazione
che si occupa di Evidence Based Medicine, N.d.r.) è affascinata
dagli studi di alta qualità che associano il comportamento, soprattutto
il mangiare e il bere, con le conseguenze sulla salute. Tali studi non
possono provare un legame, semplicemente suggeriscono un’associazione.
Possono esserci variabili che confondono o fattori cui nessuno ha ancora
pensato, e i legami possono non essere ti tipo causale. Ma, quando vengono
fuori modelli coerenti che collegano un tipo di comportamento a buoni risultati
sulla salute, e quando il trial randomizzato “definitivo” non può
mai essere fatto, dobbiamo chiederci quando l’evidenza è sufficiente
per farci cambiare comportamento. Ciò può comprendere non
solo la forza delle prove disponibili, ma anche le nostre stesse speranze,
i timori, e i pregiudizi. Noi possiamo temere il cancro più delle
malattie di cuore, o il diabete più di entrambi. In questo c’è
pregiudizio. Bandolier apprezza i vegetali e le insalate, così ha
posto attenzione ad uno studio che associa il consumo annuale di vegetali
in insalata con un diminuito rischio di diabete, specialmente quando lo
studio è grosso e ben fatto.
Studio. Lo studio (pubblicato sul numero di aprile
1999 del Journal of Clinical Epidemiology), fa parte dello Isle
of Ely Study (portato avanti da Cambridge), che sta studiando in modo
prospettico l’eziologia del diabete di tipo II. Da un campione di popolazione
di età tra i 40 e i 64 anni selezionato in modo casuale, e dopo
aver escluso le persone con diabete e quelli che si erano spostati, furono
incluse nello studio 1122 persone (il 73% di quelle a cui era stato chiesto
di partecipare). Queste vennero al centro di screening e furono sottoposte
a un test standard di tolleranza al glucosio con 75 grammi di glucosio
orale, a un sacco di misurazioni e domande; in particolare risposero ad
una serie di domande riguardo il loro consumo di cibo. I dati sulla frequenza
di consumo dei cibi furono codificati nelle ampie categorie di “frequente”
(= consumo giornaliero di cibo per gran parte dei giorni) e “non frequente”.
La frutta, i vegetali crudi e da insalata furono divisi negli ampi raggruppamenti
di “frequente tutto l’anno”, “frequente solo in estate” e “ non frequente
per tutto l’anno”.
Risultati. 51 persone, (= 4.5%), erano affette
da diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM) e 188, (= 7%), avevano
una ridotta tolleranza al glucosio, secondo i criteri dell’OMS. Queste
persone erano più vecchie, più grasse e meno attive di quelle
con normale test di tolleranza al glucosio.
Coloro che mangiavano vegetali da insalata frequentemente
durante tutto l’anno avevano un’incidenza di ridotta tolleranza al glucosio
minore (13%) rispetto a quelli che ne mangiavano con meno frequenza (17%).
Ancora più importante, però, fu l’incidenza di NIDDM, che
era solo dell’1% tra coloro che mangiavano vegetali da insalata frequentemente
durante tutto l’anno, in confronto a quasi il 6% tra coloro che durante
l’anno ne mangiavano non frequentemente. I risultati per il consumo di
vegetali da insalata rimasero significativi anche dopo vari aggiustamenti.
Ciò fu evidente nelle persone che non erano in soprappeso. Il consumo
frequente di frutta non fu associato in modo significativo con una minore
incidenza di diabete.
Commento. Un altro mattone sulla parete del mangiare
sano e vivere in salute evidence-based. Le prove, che associano il consumo
di vegetali ad un effetto protettivo contro le brutte cose che accadono
alla salute di un individuo, continuano a crescere. Mangiare vegetali sembra
proteggere dalle malattie cardiache e dall’ictus, probabilmente protegge
da alcuni tipi di cancro, e adesso è implicato nella protezione
dallo sviluppo del diabete.
Sarebbe interessante speculare se cambiamenti significativi
nello stile di vita potrebbero contribuire a ridurre la richiesta di cure
mediche. Se le malattie cardiovascolari, il cancro e il diabete sono i
principali consumatori di risorse sanitarie, e l’incidenza di queste malattie
si riducesse perché mangiamo più vegetali, di che cosa moriremmo?
O non consumeremmo invece più servizi sociali? Qualcuno deve aver
organizzato tutto ciò.
Bandolier, 10 luglio 1999
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L’HELICOBACTER
PYLORI NON E’ ASSOCIATO CON LE MANIFESTAZIONI DELLA MALATTIA DA REFLUSSO
GASTROESOFAGEO
229 pazienti con sintomi suggestivi di patologia del
tratto digestivo superiore sono stati sottoposti a manometria esofagea,
pH-metria delle 24 ore ed esofagogastroduodenoscopia con biopsie dell’antro
gastrico, della giunzione gastroesofagea e dell’esofago distale. In questi,
ed in altri 114 pazienti con adenocarcinoma dell’esofago e della giunzione
gastroesofagea, è stata determinata la presenza di Helicobacter
pylori con la colorazione di Giemsa. La presenza di malattia da reflusso
gastroesofageo, definito come anormale esposizione dell’esofago all’acido,
e le sue manifestazioni (flogosi del cardias, esofagite erosiva, metaplasma
intestinale limitata alla giunzione gastroesofagea, esofago di Barrett
e adenocarcinoma dell’esofago e della giunzione gastroesofagea) sono state
messe in correlazione con la presenza di H. pylori.
Risultati. L’H. pylori è stato trovato
nei campioni bioptici dell’antro gastrico nel 14.0% (32/229) dei pazienti
con patologia benigna. Esso non era in relazione con i vari aspetti della
malattia da reflusso gastroesofageo, compresi l’anormale esposizione esofagea
all’acido, l’esofagite erosiva o l’esofago di Barrett. La presenza di mucosa
del cardias infiammata a livello della giunzione gastroesofagea (cardite)
era inversamente correlata all’infezione da H. pylori e fortemente associata
con un’aumentata esposizione dell’esofago all’acido. Non c’era associazione
tra la presenza di metaplasia intestinale e l’infezione da H. pylori. L’H.
pylori è stato trovato in 22 (19.3%) dei 114 pazienti con adenocarinoma
esofageo, una prevalenza non diversa da quella dell’H. pilori nei pazienti
con patologia benigna.
Conclusioni. L’H. Pylori non ha un ruolo nella
patogenesi della malattia da reflusso gastroesofageo o delle sue complicanze.
Archives of Surgery, luglio 1999
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SULL’EFFICACIA
DELL’AGOPUNTURA
Il Comitato di Consenso del National Institute of Healt
(USA) (composto da studiosi esperti non direttamente interessati al problema)
ha esaminato con una particolare procedura (discussione pubblica, seguita
da conclusioni discusse riservatamente) gli studi più importanti
finora effettuati sull’agopuntura nel periodo tra il 1970 e il 1997.
Le conclusioni sono state le seguenti:
L’agopuntura è largamente usata negli USA come
misura terapeutica. Ci sono stati molti studi riguardanti la sua potenziale
utilità ma molti di essi sono viziati da evidenti difetti nell’organizzazione
o nella progettazione dello studio, oppure da scarsa numerosità
dei campioni studiati. Ulteriore complicazione deriva inoltre dal fatto
che esistono obiettive difficoltà nell’individuazione e nell’organizzazione
di controlli idonei: sia gruppi con trattamento placebo, sia quelli con
trattamenti mediante “finta agopuntura”. Malgrado ciò sono emersi
risultati che, pur non conclusivi, appaiono promettenti, dimostrando l’efficacia
del trattamento in alcune condizioni quali la nausea e vomito post-operatori
o post-chemioterapia, o nel dolore dentario e post-operatorio. La Commissione
conclude pure per una potenziale utilità, come terapia aggiuntiva,
in condizioni quali la tossicodipendenza, la riabilitazione dei casi di
ictus, le cefalee, i crampi mestruali, il gomito del tennista, la fibromialgia,
il dolore miofasciale, la sindrome del tunnel carpale, l’asma. In queste
condizioni morbose l’agopuntura può essere inserita in programmi
di trattamento multifattoriale o proposta come alternativa terapeutica
accettabile. La ricerca ha evidenziato plausibili meccanismi d’azione,
tra cui la liberazione di peptidi oppioidi e di altri peptidi attivi sul
SN, nonché alcune modificazioni delle funzioni neuroendocrine. Si
auspicano e si incoraggiano nuovi studi sull’argomento; è probabile,
si conclude, che ulteriori ricerche rivelino ancora altri campi di utilità
dell’agopuntura.
(JAMA, 1998; 280: 1518-1524,
riportato su JAMA ed. it. Marzo 1999, disponibile su Web a: http://consensus.nih.gov
)
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EFFETTI
TERAPEUTICI NON IPOLILPEMIZZANTI DELLE STATINE
Gli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi svolgono notoriamente
un’azione ipolipemizzante e parallelamente un’azione antiaterosclerotica
clinicamente importante. I due aspetti sono stati ritenuti strettamente
connessi ma recenti studi hanno evidenziato come invece l’azione antiaterosclerotica
sia parzialmente indipendente da quella ipolipemizzante. L’azione delle
diverse statine non è sovrapponibile in quanto si rilevano discrete
differenze nell’ambito della categoria.
Sono stati documentati: un’inibizione dell’esterificazione
del colesterolo delle placche ateromasiche, e una stabilizzazione della
placca per inibizione dell’attività proteolitica dei macrofagi;
una diminuzione della proliferazione e della migrazione delle cellule muscolari
lisce vasali; una diminuzione della proliferazione intimale; inoltre si
è osservata una modulazione della formazione del trombo da parte
delle piastrine, della secrezione e ossidazione delle lipoproteine, della
produzione di ione superossido, della funzionalità delle cellule
T, e altre azioni ancora in studio.
In conclusione le statine svolgono una efficace attività
farmacologica mediante meccanismi complessi, non basati sulla sola riduzione
dei livelli serici di colesterolo.
(S. bellosta e al., Metabolismo
Oggi, n. 1, 1999)
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LA
NEBBIA: SORGENTE SECONDARIA DI MICRORGANISMI
Da molti anni la nebbia è stata riconosciuta come
importante fattore interferente con le condizioni di salute umane: è
stata studiata sia dal punto di vista chimico (presenza di sostanze inquinanti)
che fisiopatologico (effetto scatenante delle iperreattività bronchiali
aspecifiche), attualmente se ne studia la componente biologica.
E’ ampiamente noto come nell’aria esista normalmente
un aerosol biologico che comprende una grande varietà di microrganismi,
dai virus ai batteri, ai miceti. La concentrazione di questi microrganismi
varia molto a seconda delle condizioni atmosferiche, della temperatura
e dell’umidità dell’aria. Le turbolenze atmosferiche sono in grado
di trasportare questi microrganismi a grandi distanze, anche se spesso
in condizioni sfavorevoli alla loro riproduzione e sopravvivenza. E’ stato
dimostrato il ruolo di alcuni batteri come agenti nucleanti (vale a dire
come centro attorno al quale avviene la condensazione) nella formazione
di cristalli di ghiaccio.
Le goccioline di nebbia vengono raccolte in condizione
di sterilità e seminate in idonei terreni di coltura. Vengono poi
identificati e contati i microrganismi in esse contenuti. Sono stati
evidenziati batteri del tipo Bacillus spp., Pseudomonas e Acintobacter,
lieviti (Candida) e miceti del genere Aspergillus e Penicillium. La concentrazione
dei vari microrganismi variava significativamente a seconda del PH e della
temperatura della nebbia, con prevalenza dei miceti e dei batteri sporigeni
in condizioni “difficili” e, al contrario, un aumentato numero di batteri
vegetativi in caso di clima mite.
Complessivamente, paragonando i valori riscontrati in
caso di nebbia con quanto osservabile in giorni invernali privi di nebbia,
si è osservato che, malgrado una certa dispersione di valori, si
raggiungevano, nel primo caso, concentrazioni batteriche maggiori fino
a due ordini di grandezza rispetto ai giorni di aria chiara.
Si conclude che, contrariamente alle comuni cognizioni
circa le capacità biocide dell’atmosfera, la nebbia può agire
come mezzo di coltura sospeso in atmosfera, favorendo soprattutto la riproduzione
dei microrganismi a rapida moltiplicazione, quali i batteri. La nebbia
può costituire perciò una sorgente secondaria di microrganismi
attivi, potenzialmente patogeni.
(P.Mandrioli, Aria, Ambiente &
Salute, n.4, 1998).
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TESSUTO
ADIPOSO COME ORGANO ENDOCRINO
Benché classicamente il tessuto adiposo sia stato
considerato essenzialmente come un organo “deposito”, da parecchi anni
ne sono state messe in evidenza funzioni metaboliche dapprima insospettate
che permettono di considerarlo vero organo endocrino.
E’ noto come il tessuto adiposo sia distinto in due generi:
il tessuto “bianco” (cellule con accumulo citoplasmatico di trigliceridi
in un unico grande vacuolo che occupa quasi l’intera cellula, con il tipico
effetto “a castone”) e il tessuto “bruno” (trigliceridi diffusi nel citoplasma
in numerosi piccoli vacuoli, che ne facilitano l’utilizzazione metabolica).
E’ stato documentato come le cellule adipose rispondano
a stimoli estrinseci al tessuto stesso (insulina, catecolamine, asse ipofisario
anteriore) producendo in risposta numerosi mediatori chimici. In particolare
viene prodotta l'adipsina (o fattore D) e altri due fattori (C3 e B) della
via alternativa del complemento; inoltre l’angiotensinogeno, l’inibitore
dell’attivatore del plasminogeno di tipo I, il fattore di necrosi tumorale
(TNF-a), il CEPT (proteina che trasporta gli esteri del colesterolo) e
infine la leptina. La produzione di leptina è specifica del tessuto
adiposo ma questi, insieme al fegato, è la principale fonte di angiotensinogeno
e CEPT.
E’ stato osservato che il TNF-a produce apoptosi (necrosi
programmata) degli adipociti bruni; si ipotizza che questo fattore, prodotto
in quantità aumentata dagli adipociti bianchi dei soggetti che sviluppano
obesità, rappresenti inizialmente un tentativo di compenso, riducendo
la massa adiposa bruna e aumentando la produzione di leptina (che svolge
un’azione anoressizzante centrale). Col progredire dell’obesità
si manifestano gli altri effetti metabolici (insulinoresistenza) che ne
vanificano l’azione e aggiungono il quadro della tipica atrofia del tessuto
bruno degli obesi.
Non sono ancora stati del tutto chiariti i complessi
meccanismi che entrano in gioco nella secrezione di questi diversi fattori:
studi sul topo hanno evidenziato come la leptina svolga un ruolo importante
sia nella regolazione dell’appetito (sembra che una “resistenza” genetica
all’azione della sostanza sia alle origini di certe forme di obesità);
un ruolo importante verrebbe svolto anche nella regolazione di altri sistemi
ormonali (surrenalici, tiroidei, sessuali ecc.).
Queste osservazioni possono offrire importanti indicazioni
per la spiegazione di tanti quadri clinici nell’uomo, in cui all’obesità
si affiancano dismetabolismi complessi e compromissione, ad esempio, dello
sviluppo sessuale.
( E. Nisoli e al. “Metabolismo
oggi” n.1, 1999)
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PESCE:
DUE O PIU' VOLTE A SETTIMANA RIDUCE RISCHIO TUMORI
Aviano, 15 lug. (Adnkronos)- Due o piu' porzioni a settimana di pesce riducono del 30-50% il rischio di tumori del tratto digestivo, come il cancro esofageo, dello stomaco, del colon o del retto. E' quanto afferma uno studio italo-spagnolo sul numero di luglio dell'American Journal of Clinic Nutrition, dopo aver comparato il consumo di pesce tra oltre 10mila pazienti ricoverati in ospedale con quello di circa 8mila persone senza cancro. E non solo. Il forte consumo di pesce e' risultato protettivo anche nei confronti dei tumori della laringe, dell'endometrio e delle ovaie, mentre non ha influenzato il rischio di linfoma, o di carcinoma del seno, del fegato, della cistifellea, della vescica, del rene o della tiroide. Diversi studi precedenti, scrivono gli autori guidati da Esteve Fernandez dell'universita' di Barcellona, avevano indicato il ruolo protettivo del pesce contro le malattie cardiovascolari, ma minor attenzione ''era stata prestata al ruolo del consumo di pesce nel rischio cancro''. ''Sostituire carne o formaggio con pesce due o piu' volte alla settimana -afferma l'epidemiologa Silvia Franceschi del Cro di Aviano che ha partecipato allo studio- riduce il rischio dei tumori di quasi il 50%''. Torna alle News Torna all'inizio |
INFLUENZA:
IN AUTUNNO AVREMO L'ANTIDOTO SPRAY
Milano, 16 lug. (Adnkronos) - La prossima epidemia di influenza in Italia sara' simile alla precedente, ma questa volta i casi potranno essere inferiori ai 10 milioni di colpiti grazie all'arrivo dell'antidoto in polvere inalabile che dovrebbe essere in farmacia per l'autunno inoltrato. Lo comunica il professor Fabrizio Pregliasco, responsabile del centro di riferimento per l'influenza dell'universita' di Milano. ''I ceppi contenuti nel vaccino che sara' disponibile da ottobre - spiega Pregliasco all'Adnkronos - sono A H3N2 Beijing, A H1N1 Sidney e B Beijing, quindi simili allo scorso anno: cinese-australiana. Il piano sanitario nazionale auspica il 75% di copertura vaccinale per gli ultra65anni, ma le nostre indagini danno uan previsione di non oltre il 45% di vaccinazioni per questa fascia di eta'''. ''Pur prevedendo quindi un numero di casi intorno ai 10 milioni come lo scorso anno - sottolinea Pregliasco - la prossima stagione influenzale potra' essere mitigata dall'arrivo sul mercato dello zanamivir, inibitore della neuraminidasi. Si tratta di un farmaco in polvere inalabile che puo' essere assunto due volte al giorno entro le 36 ore dall'insorgenza dei sintomi''. Torna alle News Torna all'inizio |
CANCRO:
LEZIONI DI CUCINA PREVENTIVA PER MILLE DONNE A RISCHIO
Milano, 16 lug. (Adnkronos) - Corsi di cucina per donne che hanno avuto un cancro al seno prima dei 40 anni e loro sorelle ad alto rischio genetico in modo da riuscire a modificare il regime alimentare aumentando l'assunzione di fitoestrogeni e riducendo zuccheri, grassi, carni e cibi raffinati. Sono gia' 300 le donne che hanno contattato l'Istituto Tumori di Milano dopo l'appello del centro di epidemiologia a questa prevenzione dietetica, e i ricercatori contano di arrivare a quota mille. L'equipe guidata dal dottor Franco Berrino ha ottenuto dei risultati estremamente interessanti sul ruolo della dieta nel determinare le alterazioni ormonali associate con un maggior rischio di carcinoma mammario. ''Con la dieta - ha detto Berrino - e' possibile, da un lato, ridurre i livelli di insulina, privilegiando alimenti integrali rispetto agli zuccheri raffinati e ai grassi, e, dall'altro, contrastare gli ormoni sessuali aumentando il consumo di alimenti ricchi di fitoestrogeni, sostanze vegetali che agiscono come estrogeni deboli, ma sono in grado di sostituirsi ai piu' forti ormoni sessuali sintetizzati dall'organismo, antagonizzandone l'azione. Competono con gli estrogeni forti impedendo loro di legarsi ai recettori ormonali e inibiscono gli enzimi che trasformano gli androgeni in estrogeni''. ''Queste sostanze vegetali sono contenute nella soia, in tutti i legumi, nei semi (lino, sesamo), nei cereali integrali, nelle noci e nei frutti di bosco - dice Berrino - abbiamo condotto due studi uno su donne sane e un secondo in donne che avevano gia' avuto un carcinoma mammario per verificare se un intervento di dietoterapia fosse in grado di modificare il quadro ormonale.Le donne che hanno partecipato a questi studi venivano riunite due volte la settimana per vere e proprie lezioni di cucina, durante le quali imparavano ad impostare la loro alimentazione in modo diverso''. Torna alle News Torna all'inizio |
ESTETICA:
ENTRO 5 ANNI 'CAMBIEREMO' PELLE VECCHIA CON GIOVANE
Padova 19 lug. - (Adnkronos) - Ringiovaniremo la nostra pelle sostituendola con una nuova piu' 'fresca'. Sara' possibile entro cinque anni grazie agli esperimenti in corso al centro di ingegneria tissutale dell'universita' di Padova che ha realizzato la pelle completa artificiale gia' applicata con successo in ustioni, ulcere e cicatrici. ''Come al solito in medicina all'inizio ci si rivolge sempre alle patologie - spiega il professor Giovanni Abatangelo, direttore della cattedra di istologia dell'universita' di Padova e membro del comitato tecnico di Bionova - infatti non a caso l'epidermide e' stata prodotta per gli ustionati; poi abbiamo cominciato a produrre il derma sia per gli ustionati che per la cura delle ulcere. Ecco che siamo passati all'estetica, all'invecchiamento della cute e alla qualita' della vita''. ''Abbiamo gia' la possibilita' di costruire una pelle completa e intera - dice Abatangelo - equilibrandola anche come miscela di colore. Possiamo quindi dedicarci al problema estetico ed entro 5-7 anni sara' possibile arrivare alla sostituzione della pelle invecchiata con una giovane in alcune parti del corpo. La realizzazione e' gia' possibile oggi, ma abbiamo problemi per la vascolarizzazione nel soggetto piu' anziano''. Torna alle News Torna all'inizio |
INTERNET:
PSICHIATRI CLASSIFICANO LA SINDROME DA DIPENDENZA
Vienna, 19 lug. - (Adnkronos) - Debutta nei manuali psichiatrici di fine millennio una nuova malattia: la Sindrome da Internet Dipendenza. Cosi' i medici hanno classificato il complesso di disturbi, come disorientamento, senso di isolamento, per citare i piu' diffusi, provocati da un eccessivo ''net-surfing'' in rete. Chiunque trascorre oltre 38 ore alla settimana al computer, hanno spiegato alcuni specialisti alla Seconda Conferenza Internazionale di Psicoterapia in corso a Vienna, sicuramente e' destinato a sviluppare problemi psicologici. Torna alle News Torna all'inizio |
BIONICA:
UN PERNO NEL FEMORE E' L'ANTI-FRATTURA
Roma, 24 lug. - (Adnkronos) - Progressi della bionica. Un perno metallico nel collo del femore inserito attraverso una sonda teleguidata che penetra dal ginocchio e' in grado di impedire eventuali fratture tipiche di una certa eta'. E' il risultato di uno studio internazionale applicato in Italia dal professor Wolfram Thomas presidente del comitato scientifico dell'Aila, associazione italiana per la lotta all'artrosi e all'osteoporosi. ''L'intervento fa parte di un progetto internazionale tra chirurghi tedeschi, austriaci e svizzeri - dice Thomas - e viene effettuato tramite l'artroscopia attraverso il ginocchio inserendo una minisonda che percorre l'osso del femore fino al collo e vi applica un perno snodabile di 6-7 centimetri, che ha la funzione di stabilizzare la parte impedendo eventuali fratture''. ''E' una chirurgia a distanza - spiega Thomas - che evita di intervenire direttamente sul collo del femore per evitare rischi determinati dall'incisione della cute, della fascia muscolare e dell'osso. Basta invece una piccola incisione a livello del ginocchio, in cui viene inserito un particolare tubo chirurgico teleguidato, che va a ristabilizzare l'osso 'indebolito'. I soggetti per cui e' indicato l'intervento sono di due tipi: quelli che hanno gia' subito la frattura di un femore e che quindi sono ad altissimo rischio per l'altro; quelli che mostrano agli esami strumentali una diminuzione della densita' ossea, cioe' un quadro di osteoporosi'' Torna alle News Torna all'inizio |
FARMACI:
IN AUMENTO I CONSUMI IN ITALIA
Roma, 28 lug. (Adnkronos) - Consumi di farmaci in aumento in Italia. Le ricette nei primi cinque mesi di quest'anno sono aumentate del 6,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche il valore medio per ricetta e' aumentato, di un +3%, mentre +10,5% si registra per la spesa farmaceutica netta a carico del Ssn (6.104 mld). Dalle proiezioni sull'intero anno risulta che il tetto di spesa sara' superato di 2 mila miliardi. I dati sono stati diffusi oggi da Federfarma, l'associazione che riunisce le 16 mila farmacie private che sottolinea inoltre un progressivo calo dell'incidenza del ticket sulla spesa farmaceutica (9,7 rispetto al 10,2 del '98 e al 10,5 del '97). Secondo Federfarma ''e' stato prescritto un maggior numero di ricette e quindi un maggior numero di farmaci anche perche' sono divenuti concedibili nuovi farmaci tra cui gli antidepressivi e, dall'inizio dell'anno, i farmaci per il trattamento dell'osteoporosi, patologia molto diffusa. Da meta' luglio '98 e' intervenuto un aumento del prezzo dei prodotti seguito da un ulteriore aumento nel luglio di quest'anno. Il valore medio ricetta e' aumentato ed e' destinato a lievitare ancora''. La regione con maggior numero di ricette pro-capite e' l'Umbria (2,86), seguita dalla Campania (2,84), la Sicilia (2,79), Abruzzo (2,66), Lazio e Liguria (2,65). Torna alle News Torna all'inizio |
EPATITE
C: INTERFERONE PIU' EFFICACE SE QUOTIDIANO
Pavia, 2 ago. (Adnkronos) - Il trattamento quotidiano con interferone alpha nei pazienti colpiti dal virus dell'epatite C, rispetto al trattamento standard di 3 somministrazioni a settimana, sembra essere piu' efficace. E' quanto emerge da uno studio italiano pubblicato nel Clinical Drug Investigation e condotto dall'equipe del dottor Raffaele Bruno dell'Universita' di Pavia che ha preso in esame 100 pazienti affetti da epatite C cronica trattati per 12 mesi con 6 MU di interferone 3 volte alla settimana e con 3 MU di interferone tutti i giorni. L'84% dei pazienti trattati con la somministrazione quotidiana ha risposto alla terapia con interferone (negativizzazione della carica virale), rispetto al 42% di quelli trattati con terapia standard. Inoltre, anche il tasso di risposta dei pazienti che, per almeno sei mesi ha mantenuto un miglioramento, si e' raddoppiato (54,7% contro 23,8%). Dopo 24 mesi, il 47% dei pazienti che aveva risposto al trattamento quotidiano con interferone ha manifestato un miglioramento istologico rispetto al 20% del gruppo standard. L'efficacia del trattamento, precisano gli autori, dipende solo dalla frequenza con cui viene somministrato il farmaco che aumenta l'attivita' antivirale e blocca l'uscita di quasi-specie. Torna alle News Torna all'inizio |
INFARTO:
RISCHIO PIU' ELEVATO DEL 40% NELLE PRIME ORE MATTINO
Milano, 5 ago. (Adnkronos) - Il rischio di infarto miocardico e' piu' elevato del 40% nelle prime ore del mattino, tra le sei e le dieci, e quello della morte improvvisa del 29%. Lo evidenza una metanalisi di 30 lavori relativi alla distribuzione nel corso della giornata di infarti miocardici in 66.635 soggetti e di 19 lavori relativi al verificarsi di morte improvvisa in 19.390 individui. Ma l'influenza dei ritmi circadiani - si legge nel notiziario Searle on line - si fa sentire anche per l'ictus: una metanalisi di 31 pubblicazioni riguardanti 11.816 casi di ictus ha rilevato che tra le 6 e le 12 del mattino il rischio di un evento cerebrale aumenta del 79%, rispetto alle altre diciotto ore del giorno. Molti sono i meccanismi coinvolti che possono spiegare il fenomeno: anzitutto, prima del risveglio si ha un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, dovuto a un'attivazione del sistema nervoso simpatico; e contemporaneamente si verifica un aumento della concentrazione ematica di cortisolo e un'azione vasocostrittrice dovuta a un rialzo delle catecolamine circolanti. D'altra parte, nelle stesse ore l'attivita' fibrinolitica e' al minimo, mentre l'aggregabilita' piastrinica e' piu' pronunciata. Questo insieme di fattori favorirebbe la formazione di trombi e di conseguenti episodi ischemici. Da qui l'ipotesi di ottimizzare la terapia antipertensiva, tenendo presente questi fattori. Ipotesi che intende verificare lo studio Convince (Controlled Onset Verapamil Investigation of Cardiovascular Endpoints), il primo trial internazionale disegnato ''ad hoc'' per verificare appunto i vantaggi di un approccio cronoterapico nella cura dell'ipertensione arteriosa. Torna alle News Torna all'inizio |
MEDICINA:
COCAINA INIBISCE MENTE PER UN MESE DA ULTIMA DOSE
(ANSA) - Roma, 4 agosto - Gli effetti negativi dell'uso di cocaina sull'abilità manuale e la capacità di risolvere problemi o di reagire prontamente alle situazioni critiche si risentono fino ad un mese dopo l'assunzione della droga. E' quanto emerge da uno studio, condotto congiuntamente dell’Istituto Nazionale per l'Abuso di Droghe e la Johns Hopkins University, che ha confrontato le funzioni cognitive di 30 consumatori di cocaina con quelle di 21 persone che non hanno mai fatto uso di droghe, eccetto la nicotina, e che non avevano bevuto più di 4 bicchieri di alcol negli ultimi 30 giorni. I due gruppi erano simili per età, quoziente intellettivo e cultura. Inoltre, al momento del reclutamento, i soggetti che assumevano cocaina erano positivi al test delle urine, ma per essere ammessi hanno dovuto rinunciare all'uso di stupefacenti per un mese. Tramite una serie di questionari è stato infine stabilito da quanto tempo il soggetto si drogava, la quantità di droga assunta (grammi per settimana) e il numero di dosi alla settimana. L'elaborazione dei dati ha rivelato che ad incidere sul deficit cognitivo causato dall'abuso di cocaina è la quantità droga assunta alla settimana. Lo stupefacente inibisce la zona perifrontale del cervello, cioè l'area responsabile della concentrazione e del ragionamento e per poter osservare qualche miglioramento delle funzioni neurofisiologiche occorre che passino 28-29 giorni dall'ultima dose assunta. Torna alle News Torna all'inizio |
MASTICARE
GOMME RENDE PIU' INTELLIGENTI, PSICOLOGO TEDESCO
(ANSA) - Berlino, 5 agosto - Coloro che hanno sempre pensato che il masticare gomme sia prerogativa di leggerezza e segno di superficialità e sufficienza forse dovranno ricredersi. Uno studio condotto dal ricercatore e psicologo tedesco Siegfried Lehrl ha infatti dimostrato che i movimenti di masticazione delle chewing-gum aumentano le capacità intellettive, accrescono la memoria e stimolano la comprensione. Lo studio - condotto su un campione di 123 persone e presentato oggi a Erlangen, in Baviera - ha rivelato che gli affezionati delle gomme riescono a ritenere almeno il 30 per cento in più di informazioni rispetto a chi non mastica. Sulla base di tali risultati, lo studioso ha sollecitato una revisione del comportamento nei riguardi degli studenti affezionati delle gomme, solitamente proibite a scuola. Particolare non secondario: la ricerca è stata sostenuta e sponsorizzata dalla Federazione dei produttori di chewing-gum, che ha fornito le gomme da masticare impiegate nei test. L'idea dello studio era venuta a un gruppo di ricercatori dell’Università di Erlangen, dopo aver osservato che i ciclisti risultano essere più concentrati, rapidi e vigili. "Ci siamo chiesti come si potessero trasferire gli effetti positivi dei movimenti ripetuti in situazioni di apprendimento statico, come la scuola. Ed è stato così che siamo arrivati alle chewing-gum”, ha detto Lehrl. Torna alle News Torna all'inizio |
PIOGLITAZONE
APPROVATO PER LA TERAPIA DEL DIABETE TIPO 2
(PNN Pharmacotherapy Line, 16 July 1999). L'FDA ha oggi approvato il Pioglitazone per la terapia orale del diabete di tipo 2. Sviluppato dalla Takeda America, il Pioglitazone è il terzo agente sensibilizzante all'insulina, appartenente al gruppo del tiazolidinedione, che raggiunge il mercato USA. Esso è indicato per il trattamento una volta al giorno dei pazienti con diabete di tipo 2 in monoterapia o in combinazione con sulfaniluree, metformina o insulina. Nei trials clinici 45 mg di Pioglitazone somministrati una volta al giorno hanno abbassato significativamente i livelli medi di glicemia a digiuno, in pazienti che non stavano già assumento farmaci antidiabetici, di 63.7 mg/dL. I livelli di emoglobina glicosilata sono scesi fino a 1.9 punti percentuali in meno rispetto ai valori basali. Inoltre, il Pioglitazone ha significativamente diminuito i livelli medi dei trigliceridi e aumentato i livelli medi di HDL sia in monoterapia che in combinazione. A causa dei problemi osservati col Troglitazone, sebbene col Pioglitazone finora non sia stata rilevata tossicità, si raccomanda il monitoraggio degli enzimi epatici (all'inizio della terapia, ogni due mesi per il primo anno, e periodicamente dopo). Come con altri agenti che riducono l'insulino-resistenza, donne senza ovulazione in premenopausa possono andare incontro ad ovulazione una volta iniziata la terapia, col rischio di una gravidanza. Gli effetti collaterali più frequenti riferiti nei trials clinici sono: sintomi di infezione del tratto respiratorio superiore, cefalea, sinusite, mialgia, disordini a carico dei denti, mal di gola. Sono stati riscontrati aumento di peso, edema e anemia. I pazienti che ricevono Pioglitazone in combinazione con insulina o sulfaniluree possono essere a rischio di ipoglicemia, e può essere necessario ridurre la dose di insulina o di sulfaniluree. Torna alle News Torna all'inizio |
UNA
CIOCCOLATA AL GIORNO LEVA IL MEDICO DI TORNO
NEW YORK, 6 agosto (Reuters Health). Il cioccolato, specialmente il cioccolato nero, contiene alti livelli di antiossidanti, il che suggerisce che questo dolce molto chiaccherato potrebbe oggi essere buono per voi. In un nuovo studio, è stato scoperto che il cioccolato ha un contenuto di catechine (un tipo di antiossidante) quattro volte superiore a quello del tè nero. Alcuni studi hanno suggerito che i bevitori di tè siano a minor rischio di malattie cardiovascolari e possibilmente di cancro, sebbene il collegamento non sia decisivo. Comunque, se l'effetto protettivo del tè sulla salute è dovuto alle catechine, il beneficio sulla salute può estendersi altrettanto bene al cioccolato, secondo il dr Ilja C.W. Arts, del National Institute of Public Health and Environment, Bilthoven, the Netherlands, e colleghi. Nello studio, i ricercatori olandesi hanno analizzato la quantità di sei diverse catechine, e hanno trovato che il cioccolato nero ne contiene la quantità maggiore, 53.5 mg di catechine per 100 grammi. Il cioccolato al latte ne contiene 15.9 mg per 100 grammi, e il tè scuro 13.9 mg per 100 ml, secondo quanto riportato nel numero di Lancet del 7 agosto. "Poiché è probabilmente più gradevole bere 1 litro di tè che mangiare un kg di cioccolato, noi abbiamo mirato a scoprire l'importanza del cioccolato come fonte di catechine nella dieta abituale", scrivono gli autori. Essi hanno scoperto che il tè è la fonte più importante di antiossidanti, fornendo il 55% del rifornimento totale di antiossidanti per i cittadini olandesi. Tuttavia, anche il cioccolato è una fonte importante, in quanto fornisce il 20% dell'introito totale in questa popolazione. La scoperta ha importanti implicazioni per gli studi sugli effetti del tè sulla salute, notano i ricercatori, che dovrebbero tenere conto anche di altre fonti di catechine, come il cioccolato. "Alla fine," concludono i ricercatori, "l'antica abitudine olandese di bere una tazza di tè e mangiare un pasticcino al cioccolato potrebbe essere non solo piacevole ma anche salutare". FONTE: The Lancet 1999; 354:488. Torna alle News Torna all'inizio |
TERAPIA
DEL DIABETE E RISULTATI ORIENTATI AL PAZIENTE (= PATIENT-ORIENTED).
(Contempo 1999 – Aggiornamenti
che collegano prove di efficacia ed esperienza)
(N.d.R.: traduzione integrale)
Un problema importante nell’odierna terapia del diabete
mellito è lo scarso trasferimento delle conoscenze derivate dalle
ricerche cliniche nella pratica clinica ordinaria[1].
Per migliorare gli standards e i risultati della terapia del diabete appare
determinante l’impegno nelle seguenti aree: 1) le procedure diagnostiche
e la condotta terapeutica devono essere basate sulle prove di efficacia
(= evidence-based); 2) bisogna che i pazienti siano coinvolti più
attivamente nella gestione della loro malattia; 3) ogni centro o
area geografica deve effettuare controlli di qualità basati su risultati
patient-oriented.
1) OBIETTIVI DELLA TERAPIA PATIENT-ORIENTED
E TERAPIA DEL DIABETE EVIDENCE-BASED
Solo da poco sono disponibili prove di efficacia
adeguate, in accordo coi criteri della evidence-based medicine[2],
per guidare la gestione routinaria del diabete affinché si ottengano
risultati specifici orientati al paziente.
Diabete mellito tipo 1. I risultati attesi,
orientati al paziente, della terapia del diabete di tipo 1 comprendono
il mantenimento di una qualità di vita il meno possibile compromessa
dalla malattia, la prevenzione delle complicanze acute (chetoacidosi, ipoglicemia
iatrogena) e la prevenzione delle complicanze microangiopatiche tardive
e della successiva macroangiopatia. Nei primi anni novanta il Diabetes
Control and Complications Trial [3]e altri studi[4]
hanno dimostrato il nesso di causalità tra il grado di controllo
glicemico e l’incidenza e progressione della microangiopatia diabetica
nel diabete mellito di tipo 1. Nel Diabetes Control and Complications
Trial l’insulinoterapia intensiva (iniezioni quotidiane multiple di
insulina oppure infusione sottocutanea continua di insulina, con dosi di
insulina adattate in base ad un automonitoraggio della glicemia) ha permesso
di ottenere un miglioramento del controllo glicemico con una riduzione
del livello medio di emoglobina glicosilata (HbA1c)
di circa il 2% rispetto alla terapia convenzionale, ma a ciò si
associava un aumento di tre volte del rischio di ipoglicemia. Questi risultati
hanno fatto nascere preoccupazioni riguardo la sicurezza dell’insulinoterapia
intensiva nella pratica usuale. Tuttavia, quando viene integrata in uno
specifico programma terapeutico che enfatizza l’autocura del paziente,
l’intensificazione della terapia insulinica ha dimostrato di ridurre i
livelli di HbA1c senza
un aumento del rischio di ipoglicemia severa anche quando usata come trattamento
di routine[5-9]. In pazienti che hanno già sviluppato
un danno d’organo microangiopatico, la fotocoagulazione laser per la retinopatia
diabetica[10], la normalizzazione della pressione arteriosa
elevata[11] e una particolare cura dei piedi[12]
hanno dimostrato di essere trattamenti efficaci che riducono l’incidenza
rispettivamente della perdita del visus, dell’insufficienza renale e dell’amputazione.
D’altro canto, gli asseriti benefici della dieta
e dell’esercizio fisico per pazienti con diabete mellito di tipo 1 non
sono stati sostenuti da adeguate prove di efficacia, anche se sono stati
portati come pietre angolari della terapia del diabete ben avanti negli
anni novanta[1]. La prescrizione di esercizio fisico regolare è
stata abbandonata solo di recente[13], mentre la prescrizione
dietetica sotto forma di pianificazione dei pasti viene ancora raccomandata[14].
Tra le terapie ancora in esame sono compresi gli
analoghi dell’insulina ad azione rapida, come l’insulina lispro. Sebbene
le proprietà farmacocinetiche e la biodisponibilità dell’insulina
lispro dopo iniezione sottocutanea appaiano favorevoli a causa di un profilo
di azione più rapida, la documentazione dei suoi potenziali vantaggi
rispetto all’insulina regolare nella pratica clinica è tuttora in
discussione. In una metanalisi di otto grandi trias clinici randomizzati
di confronto tra l’insulina lispro e l’insulina regolare umana non c’era
un miglioramento dei livelli di HbA1c,
e la riduzione del rischio di ipoglicemia severa da 18.2 a 14.2 casi per
100 pazienti/anno nei pazienti trattati con insulina lispro è stata
solo di significato clinico marginale[15]. I risultati
di studi che suggeriscono miglioramenti nella qualità di vita associati
all’insulina lispro[16] sono difficilmente interpretabili
in quanto nessuno degli studi era adeguatamente “in cieco”. Sono in fase
di sviluppo analoghi dell’insulina a lunga durata d’azione con migliori
profili di efficacia per la modifica del fabbisogno basale di insulina,
ma resta da vedere se questi sforzi si tradurranno in miglioramenti nella
terapia insulinica intensiva. Poiché nessuno di questi analoghi
dell’insulina esiste in natura, essi hanno potenziali rischi biologici[17]
che vanno adeguatamente valutati rispetto ai benefici che possono avere;
un processo decisionale, questo, che richiede la partecipazione attiva
del paziente informato.
Diabete mellito di tipo 2. L’obiettivo
terapeutico principale della terapia del diabete mellito di tipo 2 è
di prevenire l’eccessiva morbilità cardiovascolare e la mortalità
associata con questa condizione. Simile per disegno all’unico altro studio
precedente sugli effetti delle terapie antidiabetiche sulle complicanze
vascolari (lo University Group Diabetes Programme)[18],
lo studio United Kingdom Prospective Diabetes
Study
(UKPDS),
pubblicato di recente, ha confrontato gli effetti del controllo intensivo
della glicemia con la terapia convenzionale per dieci anni in circa 4000
relativamente giovani pazienti (età media 53 anni, +/- 9) affetti
da diabete mellito tipo 2 da poco diagnosticato[19].
Dopo tre mesi di dieta (perdita media di peso corporeo di 3.7 kg) e dopo
stratificazione in base al peso corporeo ideale, i pazienti sono stati
assegnati in modo casuale ad una terapia intensiva con dieta e varie terapie
orali e/o insulina, oppure ad una dieta convenzionale con terapia orale
o insulina aggiunte quando necessario. L’obiettivo terapeutico per il gruppo
in terapia intensiva era una glicemia inferiore a 6 mmol/L (= 108 mg/dL)
e, per il gruppo in terapia convenzionale, una glicemia inferiore a 15
mmol/L (270 mg/dL) senza sintomi iperglicemici. Durante il periodo di osservazione
di 10 anni, i pazienti assegnati alla terapia intensiva hanno avuto livelli
medi di HbA1c più
bassi rispetto ai pazienti del gruppo in terapia convenzionale (7.0% vs
7.9%; P < 0.001).
Nessuno dei trattamenti antidiabetici, sia nello
University Group Diabetes Programme, sia nello UKPDS[18, 19], ha ridotto
efficacemente le complicanze macroangiopatiche. Infatti, nello UKPDS, non
c’è stata riduzione di rischio negli end points macrovascolari nei
pazienti trattati con terapia intensiva rispetto ai pazienti che avevano
ricevuto una terapia convenzionale[19]. Soltanto il controllo intensivo
della glicemia con metformina in monoterapia nei soggetti obesi con diabete
di tipo 2 ha ridotto la mortalità per tutte le cause rispetto alla
terapia convenzionale[20]. La validità di questi
risultati è stata messa in discussione su basi biometriche[21],
soprattutto da quando, nello stesso studio, la terapia con metformina in
associazione con una sulfanilurea è stata associata ad un aumento
della mortalità correlata al diabete.
Restano tuttora le preoccupazioni iniziali riguardo
i possibili effetti cardiotossici delle sulfaniluree nel trattamento di
pazienti affetti da diabete di tipo 2 e da malattia coronarica[18], sostenute
da recenti dati di fisiopatologia[22], in quanto i pazienti
con coronaropatia clinicamente significativa sono stati esclusi dallo UKPDS[19].
In uno studio prospettico randomizzato, la terapia con infusione di insulina-glucosio
per almeno 24 ore seguita da una terapia insulinica multidose a pazienti
con diabete di tipo 2 dopo infarto miocardico acuto ha avuto come risultato
un importante miglioramento del rischio di mortalità: la mortalità
attuariale a 3.5 anni è scesa dal 44% nel gruppo in terapia standard
al 33% nel gruppo di intervento (rischio relativo, 0.72; intervallo di
confidenza [CI], 0.55-0.92; riduzione di rischio assoluta, 11%; numero
necessario da trattare [NNT] 3.5 anni
= 9)[23]. Il motivo di questi risultati non è
completamente chiaro, ma la sospensione del trattamento con sulfanilurea
nel gruppo di intervento può aver contribuito a migliorare la prognosi
dei pazienti diabetici dopo un infarto miocardico.
L’UKPDS ha dimostrato i benefici del controllo
intensivo della glicemia per la prevenzione del danno d’organo microangiopatico.
Il miglioramento dello 0.9% nel livello medio di HbA1c
nel gruppo in terapia intensiva in confronto con la terapia convenzionale
era associato ad una riduzione statisticamente significativa del rischio
assoluto del 5.1% (NNT10 anni
= 20; 95% CI = 10-500) per l’esito globale di ogni end point correlato
al diabete e del 2.8% (NNT10 anni
= 36; CI non riportato) per le complicanze microangiopatiche]19]. Un altro
problema dello studio è stato se qualcuno dei farmaci presentava
vantaggi o svantaggi. La terapia intensiva di primo livello con insulina
o gliburide (glibenclamide), ma non quella con clorpropamide, ha ottenuto
migliori risultati a livello microvascolare rispetto alla terapia convenzionale.
La clorpropamide era associata ad un aumento della pressione arteriosa.
Questi risultati sottolineano la necessità di stabilire efficacia
e sicurezza separatamente per ogni agente antidiabetico orale. Secondo
l’UKPDS, la glibenclamide è un’alternativa evidence-based
all’insulina come terapia farmacologia di primo livello per pazienti giovani
con diabete di tipo 2 di recente insorgenza esenti da malattia coronarica.
Riguardo l’acarbose e il troglitazone, non ci sono
dati che sostengano il loro ruolo nella prevenzione delle malattie vascolari
nei diabetici di tipo 2, e ci sono preoccupazioni riguardo l’epatotossicità
e altri aspetti della loro sicurezza.
In aggiunta, l’UKPDS[24] ha rimarcato
i benefici di uno stretto controllo dell’ipertensione arteriosa nei pazienti
con diabete di tipo 2. Una terapia di primo livello con il betabloccante
cardioselettivo atenololo o l’ACE-inibitore captopril tendente ad ottenere
valori pressori inferiori a 150/85 ha dimostrato di migliorare non solo
la mortalità correlata al diabete (riduzione del rischio assoluto
= 6.6%; NNT10 anni
= 15; 95% CI = 12-18), ma anche le complicanze microvascolari (riduzione
del rischio assoluto = 7.2%; NNT10 anni
= 14; CI non riportato), un effetto, questo, apparentemente superiore a
quello riscontrato col solo controllo intensivo della glicemia. Anche l’abbassamento
dei lipidi con sinvastatina[25] e la terapia con aspirina[26]
sono considerate misure terapeutiche evidence-based in pazienti con diabete
di tipo 2. Le recenti controversie seguite ai lavori che suggeriscono un
aumento di frequenza di eventi cardiovascolari in pazienti diabetici trattati
con calcioantagonisti dovrebbe rappresentare un ulteriore ammonimento contro
l’uso di terapie non evidence-based[27-29].
2) EDUCAZIONE DEL PAZIENTE E AUTOGESTIONE
L’autogestione da parte del paziente, inclusi il controllo
metabolico e l’aggiustamento della dose dei farmaci, è stata efficace
nel migliorare i risultati della terapia nel diabete di tipo 1[30]
e di tipo 2[31]. E’ stato dimostrato che, se la
terapia insulinica intensiva è integrata in un programma educativo
strutturato utilizzando un corso formale per piccoli gruppi di pazienti[30,
32],
i livelli di HbA1c
e il rischio di ipoglicemia severa diminuiscono simultaneamente, ed è
fattibile una liberalizzazione delle rigide regole per la dieta e lo stile
di vita[5-9, 33]. In uno studio recente con 1103 pazienti
affetti da diabete di tipo 1, la partecipazione a un programma simile è
stata associata ad una riduzione del livello di HbA1c
di circa l’1.2% e un calo del rischio di ipoglicemia severa da 0.35 a 0.16
casi per paziente/anno[9]. Tali programmi di educazione terapeutica sono
verosimilmente in grado di superare il noto problema della non compliance
del paziente con le terapie prescritte, in quanto il paziente informato
definisce i suoi propri obiettivi terapeutici e sceglie le strategie terapeutiche
che egli/ella adotterà nel lungo periodo[8]. Questo nuovo approccio
va ben oltre le tradizionali strategie educative per il diabete, in quanto
tende a rendere i pazienti in grado di definire livelli programmati individuali
di HbA1c sulla base
dei rischi che essi sono pronti a correre e degli sforzi che sono pronti
a fare.
3) QUALITA’ DELLA CURA
Infine, poiché le strategie terapeutiche e preventive
per la cura dei pazienti diabetici vengono sostenute da prove di efficacia
provenienti da rigorose ricerche cliniche, sorge il problema di quanto
questi progressi siano attualmente implementati nella pratica quotidiana.
Sei anni dopo la pubblicazione del Diabetes Control and Complications
Trial, si calcola che solo il 10% dei pazienti con diabete di tipo
1 negli Stati Uniti, rispetto all’80% della Germania[34],
stiano utilizzando un tipo di terapia insulinica intensiva che tende a
raggiungere livelli quasi normali di HbA1c.
Le differenze tra un centro e l’altro nell’incidenza di ipoglicemia severa
nei pazienti con diabete di tipo 1 appaiono inaccettabili[8, 32, 35].
In Europa la dichiarazione di St Vincent[36] ha incoraggiato
procedure di miglioramento continuo della qualità, stimolando un
numero crescente di centri a documentare e sottoporre al giudizio altrui
procedimenti e risultati relativi alla qualità della cura del diabete.
Se rese pubbliche ad intervalli regolari e discusse in gruppi di peer review
(= revisione tra pari), informazioni di questo tipo potrebbero aiutare
a migliorare i risultati e gli standards di cura nel diabete di tipo 1[9].
Altre iniziative per valutare la qualità
di cura si sono basate sulla documentazione dei risultati in una popolazione,
come è stato fatto mediante un registro perinatale o un registro
delle amputazioni. Negli Stati Uniti, un Patient Outcome Research Team
ha condotto uno studio di coorte che ha messo insieme dati longitudinali
provenienti da sistemi di informazione clinica, dati amministrativi e referti
di pazienti per esaminare l’efficacia e i risultati delle cure in ambienti
di pratica clinica per persone con diabete di tipo 2[37].
I dati ottenuti in questo modo possono rivelare differenze nei risultati
pazient-oriented quali la mortalità e l’incidenza di insufficienza
renale terminale in pazienti con diabete di tipo 1 e nefropatia[38].
Variazioni nei risultati relativi ai pazienti e nelle procedure di cura
dovrebbero essere rese pubbliche e disponibili per le organizzazioni di
pazienti, i fornitori di cure sanitarie e i politici, come basi per decisioni
cliniche e politiche.
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JAMA, 12 maggio 1999
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MEDICINA
DIFENSIVA
Le cronache giudiziarie degli ultimi giorni hanno riportato
prepotentemente alla ribalta un argomento gia' affrontato, quando costituiva
ancora una novita' concettuale, nel 1997.
Nell' editoriale del numero 4-5 1996 della Rivista Italiana
di Medicina Legale, a firma di Angelo Fiori, si e' dettagliatamente affrontato
l' argomento della Medicina Difensiva, argomento relativamente nuovo in
Italia ma che negli S.U. e' giunto ad interessare il Congresso, che ha
commissionato uno studio conclusosi con la pubblicazione del volume "Defensive
Medicine and Medical Malpractice".
Cos' e' la Medicina Difensiva ?
Definizione: "La M.D. si verifica quando i medici prescrivono
test, trattamenti o visite, od evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio,
primariamente (ma non necessariamente in modo esclusivo) allo scopo di
ridurre la propria esposizione al rischio di accuse di 'malpractice'. Quando
i medici eseguono extra-test o trattamenti principalmente per ridurre le
accuse di 'malpractice', essi praticano la M.D. 'positiva'. Quando essi
evitano determinati pazienti od interventi, essi praticano la M.D. 'negativa'
".
La M.D., in altre parole, e' identificabile in una serie
di decisioni, attive od omissive, consapevoli o spesso inconsapevoli, che
non obbediscono prioritariamente al criterio essenziale del bene del malato
nel rispetto di equilibrati equilibri costo/beneficio: eccessi di procedure
diagnostiche "cautelative" o scelta dei trattamenti meno rischiosi anche
se meno adatti.
La pratica medica e' "difensiva" quando il motivo principale
della scelta dei mezzi, sia pure inconsapevolmente, sia quello di evitare
problemi giudiziari.
Una importanza particolare, in questo contesto, viene
ad assumere la Medicina Legale nell'accezione di Medicina Legale
Difensiva. In estrema sintesi:
1) Il Medico-Legale e' chiamato sovente a dare un giudizio
sull' operato di colleghi denunciati per "malasanita' ".
2) Il parere del Medico-Legale puo' essere contestato
con i comuni strumenti della Consulenza di Parte o in base agli articoli
373 e 374bis c.p. (falsa perizia, falsa dichiarazione all' aut. giudiz.).
3) Si assiste alla prassi, sempre piu' frequente da parte
delle parti attrici, di denunciare il Perito quando affermi l'innocenza
del sanitario, insinuando l ipotesi di una "difesa corporativa".
4) I magistrati, e soprattutto i PM, appoggiano tale
linea procedendo contro i Periti o, nel migliore dei casi, chiedendo altre
"superperizie" chiaramente condizionate a una tesi accusatoria precostituita,
e facendo intendere ai periti "innocentisti" che, non adeguandosi, verranno
esclusi da altre perizie d' ufficio o perseguiti in altri modi.
5) I Periti medico-legali "deboli" reagiscono in modo
"difensivo" assumendo un atteggiamento colpevolistico che sanno gradito
ai Magistrati.
Dall' editoriale suddetto si possono estrapolare una serie
di considerazioni circa il coinvolgimento dei Medici di Famiglia:
1) L' atteggiamento tendenzialmente "colpevolistico"
del Medico Legale si riverbera a cascata sulle altre categorie. La ML si
presenta infatti come una "metamedicina" che, in posizione superiore, giudica
del comportamento dei clinici. Ed e' grave che moltissimi ML abbiano abbandonato
da lunghissimo tempo (o addirittura non abbiano mai praticato) la Medicina
Clinica. Questo li distacca dalle realta' operative e rende piu' facile
appiattirsi ipocritamente su posizioni colpevolistiche precostituite. Il
Medico Clinico, di fronte a questo atteggiamento accusatorio, accentua
necessariamente le tecniche difensivistiche, propagandando e rendendo abituali
certe soluzioni "prudenziali"; viene ad essere cosi' apparentemente giustificato
l'accanimento giudiziario (e dei Mass-media) contro i comportamenti non
difensivi, divenuti quindi minoritari e "anormali", e si costituisce un
circolo vizioso sempre piu' restrittivo della liberta' clinica.
2) Meno coinvolti di altre categorie (almeno finora)
nelle controversie con i pazienti, i MdF stanno sviluppando una Medicina
Difensiva verso gli Enti e le Autorita': questa si esprime in una forma
di analisi e rispetto ossessivo della normativa burocratica. Non e' un
caso che gran parte delle richieste di informazione o di chiarimento riguardi,
spesso con espressione di profondo malessere, problematiche
legal-burocratiche. E' possibile notare, esaminando l' operato dei MdF
da questo punto di vista, come le scelte diagnostiche e terapeutiche siano
sovente condizionate dai fattori "difensivistici" riferiti sopra.
Questo condizionamento sembra poi operare con vigore ancora maggiore nei
soggetti piu' attenti e scrupolosi, di elevata intelligenza ed elevata
cultura medica generale. La tendenza, in questi soggetti, e' quella di
diventare piu' realisti del re, con l'applicazione pedante e pignola
delle normative finalizzata alla difesa contro le minacciate (e purtroppo
possibili e pesantissime) sanzioni penali, amministrative e disciplinari.
Proprio perche' acutamente consci delle contraddizioni tra l' impulso operativo
e le pressioni esterne ma sprovvisti degli strumenti tecnici conoscitivi
della Medicina Legale (per quel che possano servire), i MdF reagiscono
all' ansia con un rigore massimalistico: meglio interpretare le norme in
senso restrittivo al massimo perche' cosi' si corrono meno rischi. E non
e' detto che questo atteggiamento sia sempre sbagliato, anzi! La cosa e'
avvertita acutamente da chi, come il sottoscritto, vive la professione
da entrambi i punti di vista, con la necessita' di cercare quotidianamente
il compromesso tra le regole della coscienza e della buona medicina con
quelle dell' autodifesa.
Problemi fondamentali:
-Come distinguere l' atteggiamento difensivistico dal
rigore medico-scientifico?
-L' atteggiamento difensivistico e' da combattere o da
incoraggiare (organizzando al meglio la difesa)?
-Come viene vissuto, nelle diverse realta'?
E' fondamentale prendere coscienza del problema e inquadrarlo
correttamente, in modo da potersi rendere consapevoli di eventuali degenerazioni
involontarie dei nostri comportamenti.
La soluzione del problema, in ogni caso, non puo' dipendere
dal singolo; questi puo' pero' contribuire, almeno in minima parte, migliorando
il "clima" generale, evitando ad esempio di criticare strumentalmente i
colleghi (singolarmente o come categorie) ed evitando che si propaghi ulteriormente
un clima generale di sfiducia e di incombente continua "malasanita'".
Per esperienza di chi pratica la Medicina Legale, sovente
le accuse ai medici nascono proprio da altri medici, pronti ad assumere
atteggiamenti accusatori verso l' operato dei colleghi senza considerare
pero' il rischio che la ruota, come spesso succede, giri a svantaggio di
tutti.
Il Prof. Fiori mi ha raccontato diversi episodi emblematici
e francamente orripilanti, che non e' il caso di discutere ora. Ha anche
notevolmente approfondito molti concetti. Se l'argomento dovesse interessare,
si potra' riparlarne.
Daniele Zamperini
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"L'
INTERPRETAZIONE CORROMPE LA LEGGE" (*)
(Ma insomma, come si interpreta la Nota CUF N° 1 ?)
(*)
Rousseau
IL TESTO DELLA NOTA
"Classe B limitatamente all'indicazione: prevenzione secondaria degli episodi di sanguinamento del tratto gastro-enterico superiore, in pazienti in trattamento cronico con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)." Il testo del "Bollettino d' Informazione sui farmaci (1994): "...L' uso di ... misoprostol puo' essere considerato razionale in pazienti affetti da malattie reumatiche croniche "a rischio", trattati cronicamente con dosi elevate di acido acetilsalicilico o di altri FANS, al fine di indurre l' incidenza dell' ulcera gastrica, dell' irritazione gastrointestinale e del sanguinamento. I pazienti ad alto rischio comprendono gli anziani, i soggetti con malattie debilitanti concomitanti e con storia di ulcera". |
L' INTERPRETAZIONE "ESTENSIVA"
DOCTOR: n.9 1999, non firmato:
M.D. n.22 1999, non firmato:
Tempo Medico, 16/6/99, non firmato:
|
L' INTERPRETAZIONE FIMMG
"D.: E' possibile prescrivere il farmaco a scopo preventivo
in soggetti che non abbiano mai avuto episodi di sanguinamento gastroenterico?
|
Abbiamo osservato come a distanza di 5 anni, quasi contemporaneamente
e con parole stranamente pressoche' identiche, diverse riviste del settore
abbiano presentato una nuova interpretazione della Nota CUF numero 1.
Come estensore dell' interpretazione FIMMG (con l' approvazione
di Michele Olivetti, ex membro CUF) mi sembra utile specificare ulteriormente
il motivo per cui questa interpretazione appaia bizzarra e
non condivisibile:
1) E' ovvio, come viene rimarcato, che il trattamento
con Misoprostolo sia "razionale" in certe categorie a rischio (magari anche
in fase di prevenzione primaria) ma la "razionalita' del trattamento" non
e' equivalente a "rimborsabilita' dello stesso".
Si tratta di concetti del tutto indipendenti: il primo
esprime la validita' scientifica di una terapia, l' altro esprime la disponibilita'
dello Stato di accollarsene il costo. Molti sono i trattamenti,
pur "razionali" o "razionalissimi", che non vengono rimborsati dallo
Stato.
Se la "razionalita' del trattamento" fosse sufficiente
per poter superare le limitazioni imposte dalle Note, queste non
avrebbero motivo di esistere.
L' equivalenza espressa sopra ci sembra essere,
percio', un' acrobazia concettuale eccessiva e non fondata.
2) Sostenere che la dizione " pazienti in trattamento
cronico con FANS" sia "chiaramente equivalente" a "pazienti con
patologie croniche, che necessitino di trattamento, anche breve, con FANS"
e' una forzatura sintattica sulla quale sarebbe preferibile stendere un
velo.
Oltretutto contrasta proprio col Bollettino di
Informazione sopracitato ove specifica " pazienti affetti da malattie reumatiche
croniche ... trattati cronicamente con dosi elevate di acido acetilsalicilico
o con altri FANS ", da cui si rileva come il concetto di cronicita'
venga ad essere espressamente riferito sia alla malattia che al trattamento,
(che oltretutto deve essere "ad alte dosi").
Puo' apparire sintomatico il fatto che nessuno abbia
avuto il coraggio di firmare queste interpretazioni col proprio nome.
Siccome pero' anche la nostra e' una interpretazione,
(e quindi opinabile) ciascuno puo' ovviamente regolarsi come ritiene piu'
opportuno. E' ovvio che una interpretazione piu' estensiva puo' essere
utile al medico prescrittore, ma non ci sentiamo, fino ad una espressa
assunzione di responsabilita' da parte del Ministero (con un chiarimento
"veramente chiaro") suggerire routinariamente comportamenti troppo disinvolti.
Daniele Zamperini
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COMUNICATECI I CONVEGNI CHE ORGANIZZATE
O DI CUI VENITE A CONOSCENZA!
Li riporteremo sul Sito Web e sulle Pillole.
Ovviamente non ci assumiamo responsabilita' sulla qualita' dei contenuti
ne' dell' organizzazione degli stessi.
Da ciascun titolo, ovviamente durante il coillegamento)
si accede alla locandina corrispondente. Chi desiderasse ulteriori informazioni
(impossibile
riportare TUTTO sul web) e' pregato di contattarci.
I nuovi inserimenti sono in corsivo
REUMATISMO
E MAL DI GOLA: STRANA ASSOCIAZIONE (Il Morgagni 1881)
FOWLER: associazione delle affezioni della gola col reumatismo.
(Dallo Archives of Laringology, 1881).
FOWLER dice: "Ultimamente ho preso nota di tutti i casi
di reumatismo acuto e sub-acuto, ed ho trovato su vasta proporzione che
l'attacco di reumatismo è stato preceduto, per un elasso di tempo
che variava da circa un mese a pochi giorni, da qualche affezione della
gola. Talora è un semplice catarro e sovente un'infiammazione acuta
delle tonsille. Abbenché, presentemente, non sia al caso di dare
una esatta proporzione procentuaria del rapporto, pure non credo di poter
essere tacciato di esagerazione affermando che l'associazione di queste
due malattie occorre nell'80 per cento."
In parecchi casi la gola e le articolazioni vengono colpite
simultaneamente; ed il dottor FOWLER ha rinvenuto recidive di reumatismo
acuto nei quali l'attacco primario e la recidiva sono stati entrambi preceduti
da sintomi per parte della gola. Egli crede che questa sequela di fatti
occorra troppo frequentemente per poter spiegarla con la ipotesi di un
puro nesso casuale, cioè che le persone le quali o per freddo per
altra causa hanno avuto un mal di gola, continuandosi ad esporre allo stesso
freddo sono colte da un attacco di febbre reumatica. La tonsillite è
un'affezione molto comune, ed in parecchi casi non è seguita da
sintomi reumatici. Nondimeno, egli crede che, non infrequentemente, sia
una precoce manifestazione della diatesi reumatica, e riguardando la cosa
da questo lato noi possiamo impedire l'ulteriore sviluppo di questa tendenza.
Questo nesso non è limitato solo al reumatismo, giacché è
una comune esperienza che la scarlattina e la roseola, - malattie le quali
precedono pressoché invariabilmente parecchie affezioni della gola
- sono frequentemente seguite dalle cosiddette «affezioni
reumatiche» delle articolazioni,
dall'artrite acuta, ed eventualmente dalla piemia. Se il lettore porrà
bene mente al concetto di queste forme, vedrà che non a torto noi
abbiamo creduto richiamarvi l'attenzione.
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IL
COMPARAGGIO MEDICO (Il Morgagni 1882)
Il comparatico medico.- Da
gran tempo, ma sopra scala maggiore negli ultimi anni, vengono a ragione
segnalati, a Parigi specialmente, degli abusi scandalosi fra medici e farmacisti,
che dimenticano troppo facilmente i doveri imposti dalla dignità
professionale. Esistono in quella grande metropoli società anonime
per azioni, magnificate da nomi pompsi e che hanno per iscopo di coltivare
un certo numero di prodotti farmaceutici specializzati. I sottoscrittori
delle azioni sono da una parte dei medici che si obbligano a prescrivere
questi farmaci e dall'altra dei farmacisti che ne tengono deposito. Hanvi
ancora altre società (che contano centinaia di medici aderenti)
organizzate da farmacisti, i quali attirano, con promesse e moine e sovente
col 25% sugli utili, i giovani medici e quelli di recente stabiliti nelle
città. Questi farmacisti impresari e disonesti s'attentano di sollecitare
le adesioni recandosi all'uopo al domicilio stesso dei medici. Nulla si
risparmia da essi nel magnificare la potenza del farmaco e la fonte inesauribile
di guadagno! E' questa una nuova e vergognosissima piaga, che speriamo
non avrà ancora attecchito e non attecchirà in Italia, e
contro la quale è d'uopo, è urgente che una disposizione
legislativa venga a porre freno e pronto riparo in qualunque paese si sviluppi.