Medico Colpa professionale omissiva Nesso causale con levento di danno Criterio di probabilità vicino alla certezza Necessità.
CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 28 settembre 2000 n. 1688, Pres. Pioletti. Rel. Battisti Baltrocchi
La ricerca scientifica impone, con il suo rigore, di interpretare le
norme del Codice vigente, sul rapporto di causalità, nel senso che la condotta deve
essere condizione necessaria dellevento.
Se la condotta - azione od omissione - deve essere, per definizione, la condizione
necessaria dellevento, non potrà mai dirsi che una condizione, che avrebbe
potuto essere causa soltanto al 50% o al 28%, è stata la condizione necessaria
dellevento.
Le percentuali pari a 50% o 28% di probabilità di evitare un evento di danno attuando una
condotta che si è invece colposamente omessa - sono ben lontane dalla "quasi
certezza", dall'essere "vicine a cento", come vogliono la scienza, la
logica e come, conseguentemente, deve volere il diritto, sono ben lontane, dunque, dal
poter essere per il giudice quella legge di copertura necessaria perchè il rapporto di
causalità venga costruito in termini scientificamente e, quindi, penalmente
soddisfacenti.
La filosofia della scienza, la logica e il diritto esigono che, in tanto il giudice
può affermare il rapporto di causalità, anche nei reati omissivi, in quanto - pena anche
il rinnegamento del principio di personalità della responsabilità - abbia accertato che,
con probabilità vicina alla certezza, con probabilità vicina a cento, quella
condotta, azione od omissione, è stata causa necessaria dell'evento come verificatosi hic
et nunc.
Il forse è il regno del possibile, il forse non è probabilità vicina alla
certezza, non è percentuale di casi vicina a cento, è ben troppo poco per
laffermazione della responsabilità a parità delle altre condizioni necessarie per
questa affermazione.
Se la stessa spiegazione del nesso causale nei reati commissivi ha struttura
probabilistica, stante la rilevanza ai fini della decisione anche di leggi statistiche, le
differenze nel livello di certezza del rispettivo accertamento della causalità reale e
della causalità omissiva finiscono, forse, con il ridimensionarsi.
Il giudice non può non tenere conto, nell'esaminare le fattispecie concrete, dei migliori
esiti della ricerca scientifico/giuridica, di quegli esiti la cui applicazione alla
fattispecie in esame assicuri, al maggior livello possibile, il rispetto dei principi di
tassatività e di stretta legalità.
1 - Il pretore di Milano, con sentenza del 2 giugno 1998, assolveva M. B. - medico di turno, il 4 marzo 1995, al Servizio Accettazione Pronto Soccorso dell'ospedale di R. - dalla imputazione di omicidio colposo, in danno di C. V., per non aver commesso il fatto.
2 - Il pretore accertava che, nella serata del 3 marzo 1995, il V.,
mentre era in casa, aveva accusato un malore e il medico curante, dopo averlo visitato e
dopo avere diagnosticato "bronchite cronica e crisi ipertensiva", aveva redatto
certificato di ricovero con la diagnosi di: "BPCO - bronco polmonite cronica
ostruttiva - riacutizzata, crisi ipertensiva, paziente noto per precedenti ricoveri,
pregresso IMA - infarto miocardio acuto -, in terapia con Lanoxin, Capoten 50".
Il V., la mattina del 4 marzo, veniva accompagnato dai familiari al Pronto Soccorso
dell'Ospedale di R., dove, dopo alcuni esami, il medico di turno, il dott. B., ritenendo
non necessario il ricovero, lo dimetteva prescrivendo una terapia aerosolica ed una visita
specialistica da effettuarsi il giorno dopo.
Tornato a casa, il V. vi decedeva in serata.
3 - Il B. veniva citato a giudizio perché rispondesse del reato di omicidio colposo: aveva cagionato la morte del V. per non averne effettuato il ricovero e, comunque, per non averlo tenuto in osservazione e ciò sebbene l'emogasanalisi avesse evidenziato "ipossia, ipercapnia ed alcalosi metabolica", sicché il V., rinviato al proprio domicilio, "era stato privato di tutte le terapie idonee a prevenire e a fronteggiare la crisi cardio-respiratoria a seguito della quale era deceduto".
4 - Il pretore, pur rilevando che la condotta dell'imputato era,
certamente, gravemente censurabile, in quanto non si era reso conto, pur dovendolo, delle
reali condizioni del paziente, fortemente indicative di una elevata probabilità di morte
imminente, riteneva che il B. dovesse essere assolto "non essendo emersi elementi che
consentissero di affermare, con sufficiente grado di certezza, la derivazione
causale della morte del V. dalle prospettate condotte - omissioni - del sanitario, essendo
rimasta dubbia l'idoneità degli ipotetici trattamenti terapeutici alternativi, conformi
alle regole di diligenza, a scongiurare il decesso del paziente o, comunque, a diminuirne
il pericolo in misura percentualmente rilevante".
"Mancavano - proseguiva il pretore - adeguati fondamenti per affermare che cure
ispirate ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche avrebbero quanto meno,
spostato nel tempo il decesso ritardandone l'accadimento".
Aggiungeva che, per ritenere il rapporto causale, non poteva utilizzare "criteri di
addebito vaghi quali qualche speranza o limitata probabilità o possibilità, non
quantificabile esattamente, di salvezza".
5 - Proponevano appello sia il procuratore generale, sia il procuratore della Repubblica.
I - Il procuratore generale sottolineava che il pretore non aveva tenuto nel debito conto, pur richiamandolo, "il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale là dove è in gioco la vita umana anche solo poche possibilità di esiti favorevoli sono sufficienti a far ritenere la sussistenza del rapporto di causalità". Nel caso in esame, poi, "il perito e i consulenti non avevano affatto escluso che trattamenti adeguati avrebbero potuto dare qualche possibilità di esito favorevole, ma avevano espresso solo il dubbio che detti trattamenti potessero effettivamente impedire il decesso del V.".
II - Il procuratore della Repubblica, dopo aver svolto tutta una serie di considerazioni per dimostrare che era stata raggiunta la prova della necessità del ricovero del V. e della necessità di più approfonditi accertamenti diagnostici anche a fronte di una minima probabilità di successo, osservava che "la stessa giurisprudenza di legittimità è nel senso che sussiste il nesso di causalità tra la condotta e l'evento anche se lintervento del sanitario offre non già la certezza bensì serie ed apprezzabili possibilità di successo, tal che la vita del paziente possa essere salvata con certa probabilità".
6 - La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 19 novembre 1999,
in riforma della sentenza del pretore, dichiarava l'imputato colpevole del reato
ascrittogli condannandolo alle pene di legge.
La corte, posto in rilievo che "l'avere il B. dimesso il V. con un quadro di
emogasanalisi patologico configurava comportamento gravemente colposo" e che,
pertanto, "era pienamente giustificata e condivisibile la conclusione cui erano
pervenuti i consulenti del p.m., secondo i quali l'emogasanalisi, francamente
patologica, doveva necessariamente sollecitare provvedimenti terapeutici e condurre alla
decisione di, quanto meno, tenere in osservazione il paziente", si soffermava
sul nesso di causalità con le seguenti proposizioni.
a - "Due osservazioni dovevano essere fatte in ordine alle conclusioni del perito:
I - questi non aveva affermato che una terapia adeguata non avrebbe evitato nellimmediato l'evento morte;
II - le probabilità, ritenute dal perito, di sopravvivenza di mesi o anche di settimane erano inferiori al 50%, ma non erano irrilevanti, come da statistiche in nota, anche se molto limitate: in dibattimento il Perito ha affermato che era da ritenere che ad 80 anni, con una grave cardiopatia, con un fibrotorace, queste probabilità fossero estremamente basse";
III - "non dissimili erano state le conclusioni dei consulenti del p.m., della parte civile e della difesa".
IV "Tali essendo le conclusioni del perito e dei consulenti tecnici, l'affermazione del primo giudice che mancavano adeguati fondamenti per affermare che cure ispirate ed aggiornate acquisizioni scientifiche avrebbero quanto meno spostato nel tempo il decorso ritardandone laccadimento non appariva fondata in fatto, dal momento che lo stesso pretore aveva ritenuto che nelle fattispecie omissive improprie non occorre la certezza che il comportamento positivo avrebbe impedito l'evento ma è sufficiente una spiegazione probabilistica del non accadimento di esso e, nel caso in esame, vi erano elevate probabilità che 1'evento morte - così come verificatosi a distanza di poche ore dal controllo medico al Pronto Soccorso - potesse essere evitato".
V - "Ma, nemmeno appariva fondata in diritto la tesi sostenuta dal primo giudice secondo cui il nesso di causalità sarebbe escluso quando vi siano non elevate probabilità, ma solo alcune concrete possibilità che il comportamento positivo richiesto - ed omesso - avrebbe impedito l'evento", ché, "secondo il consolidato insegnamento del giudice di legittimità, in tema di responsabilità per colpa professionale sanitaria, il rapporto di causalità tra la condotta omissiva colposa del sanitario e l'evento mortale che ad essa abbia fatto seguito è ravvisabile se il comportamento, non tenuto, ma astrattamente ipotizzabile, conforme a prudenza e perizia, aveva serie ed apprezzabili possibilità di successo, fermo che, là dove è in gioco la vita umana, anche solo poche possibilità di esito favorevole sono sufficienti per far ritenere la sussistenza del rapporto predetto".
7 - Il difensore ricorre per cassazione con due motivi denunciando, con
il primo, "manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo, laddove si
ritiene che la decisione di dimettere il paziente fu un grave errore diagnostico e
terapeutico che configura colpa professionale grave del sanitario" e, con il
secondo, "manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo laddove la
corte di appello discredita la tesi del giudice di primo grado sulla esclusione del nesso
di causalità tra l'operato del sanitario e l'evento mortale, tesi formulata dal pretore
perché nessuno degli esperti esaminati - consulenti tecnici e perito - era stato in grado
di pervenire con convinzione ad un favorevole giudizio prognostico riguardo alla effettiva
possibilità di sopravvivenza per il deceduto oltre la sera del 4 marzo 1995".
Deduce che la corte di merito erra nell'affermare che "vi erano elevate
probabilità che l'evento morte, così come verificatosi, a distanza di poche ore dal
controllo del medico del Pronto Soccorso, potesse essere evitato se il B. avesse fatto
ciò che doveva"; ed erra sia perché, secondo la stessa corte, il perito e i
consulenti avevano detto che "le probabilità di sopravvivenza di ore, giorni,
settimane, mesi, erano inferiori al 50%", sia perché, sempre secondo la corte, -
pag. 18 - ciò significava che "non erano irrilevanti, anche se molto limitate",
le probabilità di sopravvivenza, sia perché, infine, è la corte che, a questo
punto, cita quanto affermato dal perito in dibattimento: "ad 80 anni, con una grave
cardiopatia, con un fibrotorace sinistro, queste probabilità erano estremamente basse".
Motivi della decisione.
1. Il secondo motivo - la censura sul nesso di causalità ritenuto dalla corte di appello - è fondato, fondatezza che, per quel che si dirà, importa l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, il che esime dal soffermarsi sul primo motivo, con il quale è stata denunciata, quanto alla colpa, la mancanza di motivazione e la illogicità della sentenza: se, nella specie, il rapporto di causalità non sussiste, costituirebbe vano esercizio porsi a risolvere il problema della rimproverabilità o esigibilità della condotta.
2 - Questa suprema corte da ormai un decennio - Cass., sez IV, 6 dicembre 1990, Bonetti e, in seguito, tra le altre, Cass., 27 maggio 1993, Cass. pen., 1995, 2900 - ha fatto proprie, in tema di rapporto di causalità, le riflessioni della migliore dottrina e le conclusioni cui la stessa è pervenuta.
I - In quella sede la corte di cassazione dava ormai per acquisito che,
come si esprime, sull'argomento, una delle voci più autorevoli della dottrina, "il
problema causale nel processo penale consiste nello stabilire, attraverso la formulazione
di un giudizio controfattuale - di un giudizio, cioè, compiuto pensando assente (contro i
fatti) una determina condizione e chiedendosi se, nella situazione così mutata, sarebbe
stata da aspettarsi, oppure no, la medesima conseguenza - se la condotta dell'uomo sia
oppure no raffigurabile come condizione necessaria dellevento o, meno
tecnicamente, come circostanza responsabile dell'accaduto".
Si è anche chiarito, in quella sede, che il giudice, con il giudizio controfattuale, può
ritenere di aver conoscenza di ciò che sarebbe o non sarebbe accaduto "non facendo,
però, ricorso ad individualizzazioni, alla ricerca della causa caso per caso, alla
ricerca della causa con l'intuizione, con la immaginazione creatrice", ma, in
ossequio al principio di stretta legalità o di tassatività, facendo ricorso al modello,
generalizzante, della sussunzione sotto leggi scientifiche, le uniche in grado di rendere
solido l'accertamento del nesso, leggi che, proprio per questa garanzia di solidità, sono
denominate leggi di copertura.
Si è aggiunto, poi, che "le leggi generali di copertura accessibili al giudice sono
sia leggi universali, che sono in grado di affermare che la verificazione di un evento è
invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento, sia le leggi
statistiche che si limitano, invece, ad affermare che il verificarsi di un evento
causa è accompagnato dal verificarsi di un altro evento - l'evento -
soltanto in una percentuale di casi, con la conseguenza che questi ultimi sono tanto più
dotati di validità scientifica quanto più possono trovare applicazione in un numero
sufficientemente alto di casi e di ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova
razionali e controllabili".
Si è detto, inoltre, che "il giudice non può conoscere tutte le fasi intermedie
attraverso le quali la causa produce il suo effetto, sicché, per un verso, deve
ricorrere ad una serie di assunzioni nomologiche tacite e dare per presenti condizioni
iniziali non conosciute o soltanto azzardate e, per altro verso, il nesso di
condizionamento potrà essere riconosciuto presente soltanto con una quantità di
precisazioni e purché sia ragionevolmente - e non con certezza - da escludere
lintervento di un diverso processo causale".
Si è concluso asserendo - ed è questo il punto che è in questione nel caso in esame -
che "il giudice, avvalendosi del modello della sussunzione sotto leggi statistiche -
ove non disponga di leggi universali - dice che è probabile che la condotta dell'agente
costituisca, caeteris paribus, una condizione necessaria dell'evento, probabilità
che altro non significa se non probabilità logica o credibilità razionale, probabilità
che deve essere di alto grado, nel senso che il giudice dovrà accertare che, senza il
comportamento dell'agente, l'evento, con alto grado di probabilità, non si sarebbe,
appunto, verificato".
II - Prima di riflettere sul significato che deve attribuirsi
all'espressione con alto grado di probabilità e nel prendere atto che, nel caso in
esame, si verte in una fattispecie di causalità omissiva è da porre in evidenza che
sulla natura della omissione e sulla conseguente costruzione della causalità omissiva la
dottrina ormai da tempo, non è più pacifica.
Se, invero, la dottrina dominante nega che nei reati omissivi il rapporto di causalità
sia identico a quello che si riscontra nei reati di evento commessi mediante azione,
perché in questi ultimi si deve accertare l'eventuale nesso tra dati reali del mondo
esterno, mentre nelle fattispecie omissive improprie quel nesso si accerta con un
giudizio ipotetico o prognostico supponendosi realizzata l'azione doverosa e chiedendosi
se, ove fosse stata presente, l'evento lesivo sarebbe venuto meno, altra parte della
dottrina è, invece, dell'avviso che la causalità omissiva, lungi dall'essere causalità
"ipotetica", è, anch'essa, vera e propria "causalità reale", dovendosi
tenere conto che, "in una visione moderna della causalità, le entità che entrano in
relazione di causa ed effetto non sono forze o energie materiali, ma processi
o eventi, sicché, se ciò è vero, bisogna includere tra quelle entità anche i
processi statici - il tavolo che rimane immutato, si dice, è un processo, un
processo statico, nel quale le grandezze considerate si mantengono costanti nel tempo -
con la conseguenza che, nella relazione di causa ed effetto, entra anche l'omissione, il
non-fare, chè una condizione statica è pur sempre una condizione".
Anche il non-fare, dunque, deve considerarsi causale quando risulti che, senza lo stato
della persona costituito dal non compiere l'azione dovuta levento lesivo non si
sarebbe verificato. Da tutto ciò - aggiunge questa dottrina - consegue che,
"sotto il profilo dell'accertamento, il procedimento utilizzato per stabilire se
l'omissione è condizione statica necessaria non è diverso, ma identico, nella
sua struttura, a quello cui si ricorre per giustificare la causalità dell'azione".
"Identico è, infatti, l'oggetto della spiegazione: un avvenimento del
passato; identico il giudizio che si deve compiere per individuare la condizione
necessaria: il giudizio controfattuale o ipotetico teso ad appurare se, senza la condotta
attiva od omissiva, l'evento si sarebbe o non si sarebbe verificato; identico il
procedimento da impiegare, in via strumentale, per compiere il giudizio controfattuale:
una spiegazione legata all'oggettivo sapere scientifico, che consenta di ricollegare
l'evento lesivo ad un insieme di condizioni empiriche antecedenti, variabili o statiche; identica
la struttura probabilistica della spiegazione offerta e identico perciò
il carattere probabilistico dell'enunciato esplicativo".
III - La dottrina dominante, ponendo l'accento non sull'omissione come stato
condizionante della persona, ma sullazione doverosa omessa afferma,
anch'essa, che, per effettuare il giudizio ipotetico o prognostico necessari per
determinare il nesso omissione-evento, "il giudice suppone mentalmente come
realizzata l'azione doverosa omessa e si chiede se, in presenza di essa, l'evento
lesivo sarebbe venuto meno", che il giudice, cioè, si avvale pur sempre del
giudizio controfattuale.
E anch'essa ritiene che "il giudice, per effettuare una simile prognosi, non potrà
basarsi soltanto sulle sue personali conoscenze, ma, anche dinanzi alla omissione, i
criteri di giudizio da adottare non possono che essere quelli del modello della
sussunzione sotto leggi".
Questa dottrina è, però, dell'avviso, "quanto al problema del grado di certezza
raggiungibile nell'accertamento della causalità omissiva", che questo accertamento,
risolvendosi in un giudizio effettuato in termini ipotetici, non può dare lo stesso
rigore esigibile nell'accertamento del nesso causale vero e proprio, sicché "ciò
dovrebbe indurre ad accontentarsi di richiedere, in sede di applicazione della formula
della condicio, che l'azione doverosa, ove compiuta, valga ad impedire l'evento con una
probabilità vicina alla certezza".
"Ma - si osserva autorevolmente - se si accoglie la tesi che la stessa spiegazione
del nesso causale nei reati commissivi ha struttura probabilistica, stante la rilevanza ai
fini della decisione anche di leggi statistiche, ci si accorge che le differenze nel
livello di certezza del rispettivo accertamento della causalità reale e della causalità
omissiva finiscono, forse, con il ridimensionarsi".
IV - Preso doverosamente atto di tutto ciò - il giudice non
può non tenere conto, nell'esaminare le fattispecie concrete, dei migliori esiti della
ricerca scientifico/giuridica, di quegli esiti la cui applicazione alla fattispecie in
esame assicuri, al maggior livello possibile, il rispetto dei principi di tassatività e
di stretta legalità - e constatato che, pur prescindendo dalla disputa, tutt'altro
che infeconda, sulla natura della omissione, le conclusioni cui i due indirizzi
pervengono, quanto al grado di certezza raggiungibile nell'accertamento della causalità
omissiva, finiscono pressoché per coincidere, il problema del significato da attribuire
alla espressione con alto grado di probabilità - il giudice deve accertare che
quella azione o quella omissione è stata causa dell'evento con alto grado di
probabilità - non può essere risolto se non attribuendo alla espressione il valore, il
significato, appunto, che le attribuisce la scienza e, prima ancora, la logica, cui la
scienza si ispira, e che non può non attribuirle il diritto.
Per la scienza non v'è alcun dubbio che dire "alto grado di probabilità",
"altissima percentuale", "numero sufficientemente alto di casi",
voglia dire che, in tanto il giudice può affermare che una azione od omissione sono state
causa di un evento, in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di
una legge o proposizione scientifica che "enunci una connessione tra eventi in una
percentuale vicina a cento", espressione che, come può notarsi, equivale a quella
che usa la dottrina che, in tema di causalità omissiva, ritiene che il giudice può
ravvisare il nesso causale se l'azione doverosa avrebbe impedito l'evento con una
probabilità vicina alla certezza: è, infatti, difficile negare che, sul piano logico,
l'espressione vicina alla certezza voglia dire qualcosa di diverso dalla
espressione vicina a cento".
"In via conclusiva - osserva sul punto la autorevole dottrina alla quale si deve
anche la costruzione della causalità omissiva come causalità non ipotetica, ma reale -
si può dire che una spiegazione statistica adeguata del singolo evento lesivo presuppone
una legge statistica con un coefficiente percentualistico vicino a 100 e deve sfociare in
un giudizio sul nesso di condizionamento di alta probabilità logica o di elevata
credibilità razionale dove alta ed elevata stanno ad indicare un giudizio che si avvicina
al massimo, alla certezza".
V - Questa stessa dottrina si sofferma anche sulle affermazioni
che, sul rapporto di casualità, si incontrano nella giurisprudenza sia di legittimità,
sia di merito e le sottopone a critica alla luce del principio che alta probabilità
logica o elevata credibilità razionale vogliono indicare un giudizio che si
avvicina alla certezza, che si avvicina a cento.
"I giudici - questa la critica - debbono dar addio a due pretese antitetiche, la
pretesa di approdare alla formulazione di giudizi di certezza e la pretesa di poter basare
l'accertamento del nesso di condizionamento tra omissione ed evento su dei giudizi di mera
possibilità, su serie ed apprezzabili possibilità dì successo".
"La prima pretesa, quella della certezza, prosegue la critica - è chiaramente
utopistica, ché ciò che si può richiedere al giudice, anche sul terreno della
causalità omissiva, è unicamente un giudizio provvisto di elevata credibilità
razionale o alta probabilità logica o quasi certezza; la
seconda pretesa risulta, invece, decisamente insostenibile".
"I giudizi di mera possibilità sono, infatti, del tutto incompatibili
con l'idea stessa di spiegazione dell'evento, ché un accadimento storico può ritenersi
spiegato, può essere reso intelligibile attraverso una risposta alla domanda
perché?, solo se si ha a disposizione una legge scientifica di forma
universale o una legge statistica che enunci una regolarità nella successione di eventi
in un'alta percentuale di casi, in una percentuale, cioè, vicina a cento, perché solo
così si può pervenire ad un giudizio di elevata credibilità razionale sulla esistenza
del nesso di condizionamento: dire che è possibile che senza l'omissione l'evento
non si sarebbe verificato si dice che forse gli eventi avrebbero potuto seguire un corso
diverso, ma non si dà una risposta razionalmente accettabile in misura elevata al perché
l'evento si è verificato".
"Troppo poco, dunque - è la conclusione - dal punto di vista della filosofia della
scienza; troppo poco dal punto di vista logico e troppo poco dal punto di vista del
diritto penale, che non può certo accontentarsi di un giudizio forse di responsabilità
penale".
VI - Quanto si è detto - avendo avuto cura di sintetizzare, sul tema
del nesso di causalità, il complesso iter della dottrina giuridica, le premesse culturali
dalle quali quest'ultima muove, cultura dove filosofia della scienza, pura logica e
diritto si intrecciano - consente di affermare che la corte di merito, che si ispira al
criterio delle serie ed apprezzabili possibilità di successo, erra quando,
riportando il giudizio del perito, dice che, secondo quest'ultimo, "le probabilità
di sopravvivenza in mesi o anche in settimane erano inferiori al 50%, ma non erano
irrilevanti, anche se molto limitate", aggiungendo, peraltro, che, in
dibattimento, il perito aveva affermato che "era da ritenere che ad 80 anni, con una
grave cardiopatia, con un fibrotorace, queste probabilità fossero estremamente
basse".
La corte di merito, allorquando sottolinea che le probabilità di sopravvivenza erano
limitate, ma non irrilevanti, cita, a conforto, alcuni dati statistici, offerti dal
perito e citati nella nota 18 a pag. 18. La nota è del seguente tenore: "il
perito ha ricordato che in un lavoro su 157 ricoveri per insufficienza
respiratoria... è riportata una sopravvivenza, nel gruppo di età tra i 75 e gli 80 anni,
del 50%, mentre in uno studio precedente la mortalità era superiore; nello stesso studio
si riportano come fattori di rischio l'età ed un pH basso, ma non i livelli di
ipossiemia; da questa statistica è stata ricavata una formula di probabilità di morte...
del 50%... che non appare, peraltro, corretta nel caso specifico in quanto si riferisce a
pazienti con pH basso e PCO2 alta e non è noto se la popolazione studiata avesse tutti
gli altri fattori di rischio... del paziente in esame.... in ogni caso, di tutta la
casistica, quindi anche di pazienti con età inferiore a 75 anni, la sopravvivenza a 65
anni era del 28%".
Per rendersi conto che, sul piano scientifico, questi dati statistici non sono tali da
suffragare le conclusioni cui è pervenuta la corte, è sufficiente riflettere che una
percentuale del 50%, se può anche essere non irrilevante, è certamente, e lo è per la
stessa corte, molto limitata e, a maggior ragione, molto limitata è una
percentuale di sopravvivenza del 28%, sicché con queste percentuali, con questi dati
statistici, non è davvero possibile costruire un rapporto di causalità scientificamente
e/o penalmente rilevante.
Quelle percentuali - 50%, 28% - sono, infatti, ben lontane dalla "quasi
certezza", dallessere "vicine a cento", come vogliono la scienza,
la logica e come, conseguentemente, deve volere il diritto, sono ben lontane, dunque, dal
poter essere per il giudice quella legge di copertura necessaria perché il
rapporto di causalità venga costruito in termini scientificamente e, quindi, penalmente
soddisfacenti.
E la impossibilità di ravvisare un rapporto di causalità ove si abbia a disposizione una
legge statistica che non vada aldilà del 50% o, addirittura, del 28%, l'impossibilità di
poter effettuare un utile giudizio controfattuale con quei dati risulta chiarissima se si
considera che il problema, in tutti i casi in cui ci si avvalga di leggi statistiche con
grandezze lontane da cento o non prossime a cento, non è tanto sapere che le cure
avrebbero salvato il paziente - nel caso di specie, il V. - al 50%, ma il non sapere e
l'impossibilità di sapere se il paziente, il V., è morto per quella mancanza di cure -
e, quindi, per l'omissione - o, invece, per il residuo 50% di cause-ragioni che,
nonostante le cure, lo avrebbero potuto condurre ugualmente alla morte.
Se la condotta - azione od omissione - deve essere, per definizione, la condizione
necessaria dell'evento, non potrà mai dirsi che una condizione, che avrebbe
potuto essere causa soltanto al 50% o al 28%, è stata la condizione necessaria
dellevento.
E' proprio la legge statistica, che si invoca, che dice che quell'evento non è
necessariamente riconducibile a quella causa, potendo essere ricondotto alla stessa o,
con altrettante o, addirittura, maggiori probabilità - 72% - ad altre cause e il
giudice non può ritenere che un fatto possa essere attribuito a qualcuno ove sia
consapevole - ed è la stessa legge di copertura che invoca che gli impone di esserlo
- che l'evento, se può esser stato cagionato da una certa condotta, può anche non
esserlo stato, se, dunque, è da escludere, sul fondamento di quella legge statistica,
che quella condotta possa essere definita condizione necessaria allevento.
VII - E' il caso di porre in evidenza, a questo punto, che il "Progetto
Preliminare di riforma del codice penale", elaborato dalla "Commissione
ministeriale per la riforma del codice penale istituita con D. M. 1 ottobre 1998",
dispone, nell'art. 13, dedicato al "rapporto di causalità", che "nessuno
può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se la sua azione od
omissione non è condizione necessaria dell'evento da cui dipende l'esistenza del
reato" e, nell'art. 14, dove si interessa della causalità nei reati
omissivi, che "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire
equivale a cagionarlo, se il compimento dell'attività omessa avrebbe impedito con
certezza l'evento".
L'uso delle locuzioni "condizione necessaria, con certezza" dice con
chiarezza che le premesse dalle quali muove il progetto, in tema di rapporto di
causalità, sono esplicitamente quelle che si sono dianzi riassunte, premesse che
la dottrina ha formulato in relazione alle norme, sul rapporto di causalità, del vigente
codice, premesse che la "Relazione", che accompagna il Progetto, ribadisce con
una serie di osservazioni che meritano di essere riportate per la loro valenza anche
a prescindere dal Progetto il quale, peraltro, "non si discosta troppo dal testo
del codice penale Rocco, al fine di sottolineare la continuità con una tradizione
normativa consolidata ed idonea a fondare applicazioni corrette", come la Relazione
scrive sub 2/2.
La Relazione, dopo aver premesso che "il tema del rapporto di causalità, che per
ragioni di tempo non era stato affrontato nella prima fase dei lavori, ha costituito
oggetto di una discussione particolarmente ampia della Commissione", così prosegue.
"La Commissione ha, innanzitutto, preso atto che la causalità, ed in particolare il
modello nomologico-deduttivo, integrato dalle leggi di copertura, sta attraversando una
fase critica. Vi sono, infatti, materie in cui lerosione da parte della
giurisprudenza di tale paradigma causale appare evidente e con riferimento alle quale
tende ad affermarsi una ricostruzione della causalità ancorata a fattori di tipo
prognostico-probabilistico, se non addirittura consistente nella rilevazione del rischio
connesso all'esercizio di una determinata attività".
"Ciò si verifica, ad esempio, in settori quali: a) l'attività medica, dove,
a fronte della pluralità dei fattori causali che sembrerebbero entrare in gioco, lo
strumento statistico e la epidemiologia sono spesso diventati indicatori decisivi agli
effetti della rilevazione del rapporto causale; b) le alterazioni ambientali, in cui gli
eventi (in genere macro-eventi) dipendono da una serie di condotte e situazioni, spesso
differite nel tempo e concorrenti con fenomeni naturali, con riferimento alle quali
risulta difficile risolvere il problema causale limitandosi a richiedere se non aver
tenuto una di quelle condotte avrebbe evitato l'evento nelle dimensioni verificatesi; c)
la fenomenologia del danno da prodotto, nei cui confronti è ricorrente la impossibilità
di identificare con certezza, o anche soltanto con elevata probabilità, quale sia stato
il fattore produttivo di nocumento".
"La giurisprudenza, che si sta orientando verso ricostruzioni della causalità
centrate su mere rilevazioni di tipo probabilistico, o su mere correlazioni
condotta-rischio (o aumento del rischio), coglie un aspetto sicuramente importante della
società moderna, sempre più caratterizzata da attività complesse, professionalizzate,
che presuppongono un alto livello di organizzazione, all'interno delle quali non è molte
volte agevole provare rigorosamente l'esistenza di un rapporto di condizionalità
necessaria. In questo senso essa risponde alla esigenza di rafforzare la tutela
penale in materie che coinvolgono beni giuridici di rilevante spessore (vita, salute,
ambiente), introducendo una flessibilità applicativa delle norme sulla causalità che
consentono di raggiungere livelli di intervento penale altrimenti impensabili in ragione
della difficoltà della prova".
"Il costo di scelte di questo tipo è, tuttavia, elevato sul terreno della
salvaguardia del principio di legalità e di tipicità delle fonti di responsabilità
penale, rischiando, nei casi più macroscopici, di attentare al principio di personalità
della responsabilità penale".
"Come è stato giustamente rilevato, mentre la causalità, ricostruita con il ricorso
a leggi di copertura e ancorata al metodo dell'accertamento nomologico-deduttivo, svolge
una importante funzione delimitativa della punibilità, consentendo di selezionare,
nell'ambito delle fattispecie casualmente orientate, le condotte tipiche, il
superamento di questo modello allarga la sfera di applicabilità del precetto, attraendo
nella sua orbita anche eventi che non possono essere ritenuti, dal punto di vista
logico-scientifico, conseguenza della condotta".
"Il principio di tassatività-determinatezza e il principio di personalità della
responsabilità, che conformano il sistema penale anche a livello di enunciato
costituzionale, impongono pertanto di salvaguardare la funzione selettiva del nesso di
causalità e di formulare una disciplina per quanto possibile tassativa".
"La soluzione proposta risulta ispirata ai seguenti criteri:
- prevedere come principio cardine che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se la sua azione od omissione non è condizione necessaria dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato: si tratta sostanzialmente della enunciazione del principio della condicio sine qua non, già enunciato nel comma 1 dell'art. 40 c.p. Rocco, qualificato dal riferimento al concetto di condizione necessaria (sostanzialmente conforme il progetto Riz, che con espressione un po ridondante parla di condizione indispensabile e necessaria)
- separare, in ragione della evidente diversità di struttura e della opportunità di formulare una disciplina specifica che tenga conto delle sue peculiarità, la c.d. causalità nei reati omissivi rispetto alla causalità materiale dei reati di azione, pur sottolineando, nel comma 1 dell'art. 13, che in entrambi i casi il profilo di condizionalità necessaria costituisce requisito indispensabile". Ecc.
"Enunciata la disciplina del rapporto causale nei termini sopra
menzionati, la Commissione sottolinea che essa, ponendosi in continuità con la
tradizione, intende contrastare le tendenze a forzare il criterio della condizione
necessaria e ad eludere le esigenze di rigoroso accertamento del nesso causale
relativamente all'evento in concreto verificatosi. La Commissione è ben consapevole che
tali tendenze si sono manifestate con riguardo a materie in cui sono in gioco esigenze di
tutela di beni fondamentali (per es., la salute); ma, ritiene che, di fronte a fenomeni
che non si prestino ad essere ricondotti ad un modello verificabile di causalità,
strumenti di tutela adeguati vadano ricercati sul terreno della parte speciale: si pensi,
in proposito, alla possibile introduzione di specifici e sufficientemente tipizzati
delitti di rischio ".
"Sul problema della causalità nei reati omissivi, la Commissione ha ritenuto di
dovere proporre una formulazione che, pur muovendosi nel solco del vigente art. 40 cpv.,
comporta una meditata presa di distanza dall'interpretazione che ne é data dalla
giurisprudenza prevalente".
"Secondo l'art. 14 'non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire
equivale a cagionarlo, se il compimento dell'attività omessa avrebbe impedito con
certezza l'evento".......
"L'aggiunta apportata al vigente dettato normativo ha funzione restrittiva rispetto
all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'omissione antidoverosa sarebbe causale
quando l'impedimento dell'evento si sarebbe ottenuto con un grado di probabilità
apprezzabile, anche lontana dalla certezza. La Commissione è ben consapevole che tale
ultimo indirizzo risponde ad esigenze condivisibili di reazione contro inadempimenti
colpevoli anche gravi, ma ritiene che una soluzione che rinunciasse al requisito
dell'impedimento certo si porrebbe in contrasto non semplicemente con il criterio della
condizione necessaria, ma, soprattutto, con il principio di personalità della
responsabilità (per l'atteggiamento critico nei confronti della sopra menzionata
giurisprudenza è significativo il parere formulato dalla Commissione della Procura
Generale)".
"Senza la certezza dell'effetto impeditivo (s'intende quella probabilità confinante
con la certezza che può ragionevolmente raggiungersi) è, infatti, logicamente
contraddittorio attribuire all'omissione, ancorché antidoverosa, il valore di condizione
sine qua non dellevento, non potendosi escludere che l'evento si sarebbe verificato
anche se l'azione doverosa omessa fosse stata compiuta. In tal caso sarebbe, per
l'omittente, un fatto altrui, che non può essere ascritto a suo carico pena la violazione
dell'art. 27 Cost".
VIII - Come si è già accennato, non sembra possa dubitarsi che le proposizioni della Relazione valgano, oltre che de jure condendo, de jure condito, consentendo - anzi, potrebbe dirsi, imponendo, con il suo rigore - la ricerca scientifica di interpretare le norme del Codice vigente, sul rapporto di causalità, nel senso che la condotta deve essere condizione necessaria dell'evento ed essendo innegabile che la filosofia della scienza, la logica e il diritto esigano che, in tanto il giudice può affermare il rapporto di causalità, anche nei reati omissivi, in quanto - pena anche il rinnegamento del principio di personalità della responsabilità - abbia accertato che, con probabilità vicina alla certezza, con probabilità vicina a cento, quella condotta, azione od omissione, è stata causa necessaria dell'evento come verificatosi hic et nunc.
IX - La corte di appello ha anche detto più volte nella
sentenza che "il perito non ha affermato che una terapia adeguata non avrebbe evitato
nellimmediato, l'evento morte" tanto da farle concludere che "nel
caso in esame vi erano elevate probabilità che l'evento morte - così come
verificatosi a distanza di poche ore dal controllo medico al Pronto Soccorso - potesse
essere evitato".
Ebbene, non v'è il minimo dubbio che "la spiegazione causale rilevante è quella
dell'evento, descritto dalla norma, quale si verifica hic et nunc", con
la conseguenza che deve ritenersi "causa dell'evento quell'antecedente che abbia
anticipato il suo verificarsi anche di una frazione di tempo" (anche Cass., 8
marzo 1974, Riv. pen. 1975, II, 782).
Non v'è ugualmente alcun dubbio che è proprio del giudice di merito la valutazione
critica delle prove e, quindi, la valutazione/interpretazione critica degli atti,
valutazioni che sfuggono al controllo in sede di legittimità purché correttamente
motivate, sicché è anche certo, tra l'altro, che la corte di cassazione può
disattendere la valutazione delle prove e la interpretazione degli atti date dal giudice
di merito, e trarne le dovute conseguenze, ove dal testo del provvedimento impugnato
risulti che quel giudice, date le premesse, non sarebbe mai potuto pervenire a
determinate conclusioni.
Ebbene, la corte di Appello per dimostrare che le dichiarazioni del perito, se
autorizzavano a ritenere che il V. al 50% non sarebbe sopravvissuto per settimane o per
mesi, consentivano, però, di affermare che il V. non sarebbe morto se il B. avesse fatto
quanto doveva - donde il ricordato giudizio di "elevate probabilità che l'evento
morte, cosi come verificatosi a distanza di poche ore dal controllo medico al Pronto
Soccorso, potesse essere evitato" - richiama, oltre che le dichiarazioni del perito,
quelle dei consulenti del p.m., della difesa e della parte civile e attribuendo ad
esse il significato, il valore, attribuito alle dichiarazioni del perito.
Ma, sono proprio le dichiarazioni di uno dei protagonisti del processo, della parte civile
- di colei che, sul piano processuale, avrebbe avuto interesse ad affermare il contrario,
ad interpretare le affermazioni del perito così come le ha interpretate la corte nella
sentenza - dichiarazioni che, giova ripeterlo, la corte pone sullo stesso piano di
quelle del perito, che, per la loro inequivoca formulazione, impongono si dica che è
lo stesso testo del provvedimento impugnato che nega radicalmente le conclusioni cui la
corte è pervenuta.
"Il C.T. di parte civile - così la sentenza - ha dichiarato: "certamente un
intervento terapeutico appropriato poteva, se non salvare completamente la vita di
questo soggetto, forse prolungargliela un attimino
ore, giorni,
settimane, mesi, forse non andrei in là".
E allora da ricordare che, come si è visto essere stato autorevolmente osservato,
il forse è il regno del possibile, che il forse non è
probabilità vicina alla certezza, non è percentuale di casi vicina a cento, che
dal forse, dunque, del tutto illogicamente si argomenta, come fa la corte, "l'elevata
probabilità che l'evento, così come verificatosi, a distanza di poche ore dal controllo
medico al Pronto Soccorso, potesse essere evitato", che dal forse non si
deduce che la condotta del B. è stata condizione necessaria dell'evento, ma
soltanto che forse lo è stata, forse che è, in conclusione, ben
troppo poco per l'affermazione della responsabilità a parità delle altre condizioni
necessarie per questa affermazione.
3 - Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma il 28 settembre 2000.
Una svolta della Cassazione penale: il nesso di causalità materiale nelle condotte mediche omissive deve essere accertato con probabilità vicina alla certezza.
1. La sentenza n. 1688/2000 pronunciata il 28 settembre 2000 dalla
sezione IV della Cassazione appare come un passaggio auspicabilmente decisivo nel diritto
vivente di questi ultimi anni, sia rispetto al grave problema della responsabilità penale
dei medici, sia sotto il generale profilo del nesso causale nelle condotte omissive.
La Corte Suprema, a partire dal 1990, si era già pronunciata in numerose importanti
sentenze in favore del contemperamento del regime condizionalistico, che sta alla base
del nostro ordinamento, con criteri desumibili dalla dottrina della sussunzione
sotto leggi scientifiche elaborata nel 1931 in Germania da Karl Engisch ed importata
in Italia, con adattamenti ed ampiezza di argomentazioni e di approfondimenti, dal
penalista Federico Stella. Ma tali sentenze, ci sembra, sono rimaste relativamente in
ombra, oscurate, in ambito di responsabilità medica, da un orientamento di segno opposto,
molto pubblicizzato nei mass media. Nello stesso decennio, infatti, è stata
ampiamente pubblicizzata, ed ha esercitato un notevole effetto sui giudizi di merito, la
non condivisibile sentenza n. 371/1992, detta anche del 30%.
La sentenza qui commentata - il cui estensore è stato, non a caso, il giudice Battisti
che ha dato inizio nel 1990 a tale orientamento - imprime un confortante nuovo impulso a
questo indirizzo applicandolo alla responsabilità professionale dei medici. La sua
importanza si deve attribuire anche all'ulteriore approfondimento delle motivazioni - che
si avvalgono anche di citazioni di parti della Relazione della Commissione Grosso per la
riforma del codice penale, istituita con D. M. 1 ottobre 1998, che ha dedicato gli
articoli 13 e 14 del Progetto al rapporto di
causalità - circa lutilizzo della dottrina della sussunzione sotto leggi
scientifiche al fine di accertare il nesso causale.
Il commento che di questa sentenza proponiamo è per ora concentrato su alcune
considerazioni relative alla nozione scientifica di probabilità e sulla criteriologia
medico-legale in tema di nesso causale: argomento, questultimo, cui abbiamo
dedicato recentemente unanalisi metodologica. La lettura dellintero testo
della sentenza è infatti ben più eloquente di quanto non possa risultarne un riassunto e
una rielaborazione sia pure al fine di approvarne le conclusioni. Tali sono la chiarezza e
lampiezza di convincenti e coerenti motivazioni giuridiche da produrre non soltanto
la condivisione (pur associata ad alcune indispensabili precisazioni criteriologiche
medico-legali), bensì anche il sentimento di viva - benché quasi incredula - speranza
che questo giro di boa, ispirato a principi inderogabili, riporti finalmente il diritto
vivente fuori dalle sabbie mobili in cui un recente passato più volte lha fatto
smarrire, perlomeno in alcuni centrali settori. Tra questi figura in prima fila la
responsabilità professionale del medico, che ha conosciuto le traversie più inquietanti
fino a produrre assurde imputazioni e condanne per omicidio preterintenzionale: un tema,
questultimo, che investe i fondamenti della liceità
della professione medica, sul quale la Cassazione è pure intervenuta di recente con la
sentenza della sezione IV penale n. 585 pronunciata il 9 marzo 2001 (ricorrente: Barese),
altro interessante segno di un mutamento di clima, la quale verrà prossimamente
pubblicata e commentata su questa Rivista.
2. Il caso, riassunto come di consueto nella prima parte della sentenza
in epigrafe, è di frequente osservazione nella pratica medico legale in tema di
responsabilità medica, riguardando il mancato ricovero di pazienti giunti al Pronto
Soccorso con sintomi inscritti in storie di patologia cronica, ovvero con sintomi nuovi ma
privi di riscontri oggettivi clinici e strumentali: conseguendone il rinvio a domicilio
seguito tuttavia, poche ore dopo, da un cospicuo aggravamento, talora dalla morte. In
queste evenienze manca di frequente la dimostrazione che, a fronte della scarsa
disponibilità di posti letto e nel contempo in presenza di sintomi ambigui, o di scarso
rilievo, sia da considerarsi colposa la condotta del medico di Pronto Soccorso su cui incombe un ruolo difficile, ed anche sgradevole, di selezione
tra i malati che hanno reale bisogno di ricovero e quelli che non sembrano averne
necessità urgente.
Le difficoltà diagnostiche differenziali, e soprattutto prognostiche, sono purtroppo la
causa di rinvii al domicilio nellambito dei quali un numero per fortuna ridotto di
casi presenta levoluzione sfavorevole cui abbiamo fatto cenno e che ha connotato il
caso su cui la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sotto il profilo della
legittimità. La casistica è in proposito abbastanza ampia ed è costituita
prevalentemente, ma non esclusivamente, da patologie cardiovascolari nel caso di soggetti
adulti (anche le ambigue urgenze chirurgiche hanno una loro rappresentanza), mentre nella
patologia pediatrica figurano spesso le malattie infettive acute. Non solo il carattere
colposo di queste condotte è spesso opinabile, ma ancor più frequentemente lo è il
nesso causale tra condotta ed esito sfavorevole del trattamento medico-chirurgico.
3. La sentenza n.1688/2000 è auspicabile possa costituire una svolta, in tema di responsabilità medica, segnando anche (ma non soltanto) latteso ritorno al rispetto del principio di eguaglianza davanti alla legge, costituzionalmente garantito (art. 3 Cost.), per una categoria di cittadini, i medici, per i quali un diritto vivente, sempre più differenziato a loro sfavore, ha squilibrato il suddetto principio in misura ormai inaccettabile.
Alludiamo al criterio di accertamento del nesso causale tra le condotte
omissive dei sanitari e gli eventi di danno, lesioni e/o morte, che nellultimo
ventennio, a causa di due sentenze - una poco nota del 12 maggio 1983 n. 4320, l'altra la
notissima e per di più in parte equivocata n. 371 del 17 gennaio 1992 (detta
sbrigativamente "del 30%") - ha subito una distorsione a carattere
ingiustificatamente discriminatorio nei confronti degli esercenti l'attività
medico-chirurgica.
Nella prima delle due sentenze si è affermato che "al criterio della certezza degli
effetti si può sostituire quello della probabilità di tali effetti (e della idoneità
della condotta a produrli) quando è in gioco la vita umana". Affermazione che in
linea di massima si può accettare se la Corte non ne avesse aggiunto un'altra che
contraddice gravemente il principio di "probabilità". Affermava infatti la
Corte che sono "sufficienti anche solo poche probabilità di successo di un
immediato o sollecito intervento chirurgico, sussistendo, in difetto, il nesso di
causalità qualora siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell'incuria del
sanitario che ha visitato il paziente".
La sentenza n. 371 pronunciata dalla Cassazione nel luglio del 1991, e pubblicata il 17
gennaio 1992, ha a sua volta clamorosamente affermato che basta il 30% di probabilità di
successo della omessa prestazione per riconoscere la sussistenza del nesso causale.
Le altre sentenze in tema di responsabilità medica pronunciate dalla Corte in questo
lungo periodo hanno più volte confermato la legittimità di fare ricorso al
"criterio di probabilità" (cfr. ad esempio Cass. 22 febbraio 1993 n. 1594),
ma hanno preteso che tale probabilità sia "seria ed apprezzabile" (Cass. 10
luglio 1987 n. 8290, che quantifica nel 70/80% la "probabilità di esito
favorevole" richiesta; Cass. 12 maggio 1989 n. 7118;
Cass. 5 giugno 1990 n. 8148 della IV sezione penale; Cass. 10 agosto 1990 n. 11389; Cass.
16 agosto 1990 n. 11484; Cass. 23 novembre 1990 n. 15565).
Con la sentenza 16 novembre 1993 n. 10437 - di appena un anno successiva alla 371/1992 -
la Cassazione penale aveva richiesto invece "un sufficiente grado di
certezza", in tal modo collocandosi di fatto sul binario delle sentenze citate
nella nota n.1 ed anticipando la sentenza in epigrafe.
Vale a questo punto la pena di ricordare una esemplare massima contenuta in una ormai
lontana sentenza della sezione III civile, datata 13 maggio 1982, n. 3013 secondo cui
"Lindagine sulla sussistenza del nesso di causalità fra un'affezione o lesione
personale ed una terapia medica od un intervento chirurgico, al fine dell'eventuale
risarcitoria dell'autore di tale terapia o intervento, implica il necessario ausilio di
nozioni di patologia medica e medicina legale, con la conseguenza che non potendo
questa fornire un grado di certezza assoluta sulla derivazione di un certo evento da un
determinato antecedente, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere
esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e
ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie quando non risulti la
preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori idonei a provocare l'evento
medesimo".
Questa massima è particolarmente rilevante non solo per il riferimento al criterio di
probabilità scientifica, ma anche perchè richiama con chiarezza la
necessità di applicazione del cosiddetto "criterio di esclusione di altre
cause", cioè della diagnosi eziologica medico-legale differenziale, che è
passaggio centrale della criteriologia medico-legale in tema di nesso causale.
E sperabile che la sentenza n. 1688/2000 qui annotata - assieme a quelle sul tema
generale del nesso causale che l'hanno preceduta nell'ultimo decennio - sia diffusamente
portata a conoscenza di tutti gli operatori del diritto che si occupano di responsabilità
medica, con la stessa rapidità con cui la citata sentenza n. 371 del 1992 è stata
conosciuta tramite le stampa quotidiana, spesso incline al sensazionalismo e assai di
frequente connotata per la superficialità delle letture di eventi e di documenti. Si può
forse ritenere incredibile che presentazioni giornalistiche di questo tipo siano capaci di
raggiungere ed influenzare anche giuristi sperimentati e medici legali accreditati. Ma di
fatto ciò accade con una frequenza non irrilevante, il che mette in risalto da un lato le
responsabilità della stampa non specializzata (che alterna quasi quotidianamente
lesaltazione e la denigrazione dei medici), dallaltro le frequenti
disattenzioni culturali degli addetti ai lavori.
4. E' opportuno riflettere brevemente sulla motivazione di cui le due citate, contestabili
sentenze n. 4329/1983 e n. 371/1992 si sono avvalse per affermare la sussistenza di un
nesso causale tra condotta medica omissiva e danno anche in casi di bassa probabilità
effettiva di tale nesso.
Tale motivazione poggia essenzialmente sul valore primario del bene della salute e
della vita il quale giustificherebbe una diversa applicazione dei principi generali della
causalità nei confronti dei medici.
Tale valore, tuttavia, è in gioco anche in altri reati di
danno, come ad esempio negli incidenti stradali per i quali, se le norme vigenti possono
consentire una presunzione di colpa, pretendono comunque la prova ragionevole del nesso
causale sia nelle condotte di azione che in quelle di omissione.
Pertanto si deve ritenere che lindiscusso valore primario dei beni in gioco nei
trattamenti medico-chirurgici non debba produrre inaccettabilmente differenziati criteri
di accertamento del nesso causale tra condotta e danno, bensì semmai imporre il
massimo rigore scientifico nella fase delle indagini medico-legali dedicata allo
studio delleventuale carattere colposo delle condotte del medico, siano esse
commissive ovvero omissive.
Si può, in altri termini, invocare una particolare attenzione nell'individuare
negligenze, imprudenze, imperizie, inosservanze di norme da parte dei sanitari. Ma se il
carattere colposo della condotta sanitaria è individuato con il rigore richiesto dal
valore prioritario del bene che è in gioco, non può ammettersi tuttavia alcuna
forzatura nellaccertamento del nesso causale tra la condotta ed il danno.
Il principio condizionalistico che sta alla base dell'ordinamento è già per proprio
conto connotato da una notevole severità, per cui si deve pretendere almeno un nesso
causale dimostrato e convincente: e ciò qualunque sia l'autore della condotta, un
medico o un qualsiasi cittadino. Non è un argomento nuovo, ma le vicende giudiziarie
di cui siamo stati diretti testimoni, e non poche perizie e sentenze, dimostrano il
frequente smarrimento di principi medico-legali fondamentali e consentono di cogliere
loccasione offerta dallimportante sentenza n.1688/2000 per ribadire linaccettabilità
del criterio di accertamento del nesso causale, di esclusiva produzione giurisprudenziale,
che in caso di condotte ritenute colposamente omissive intenda porre il medico in una
posizione particolare, e discriminante, rispetto a tutti gli altri cittadini.
La sentenza n. 1688/2000, nel momento stesso in cui afferma il dovere di acquisire la
"copertura" di leggi scientifiche quando si accerta il nesso tra un
comportamento professionale ritenuto omissivo e levento di danno, riporta il
criterio scientifico al centro del contributo peritale medico-legale. E tale
riposizionamento reso necessario dalle troppo frequenti incertezze ed ambiguità
peritali, causa a loro volta di decisioni giudiziarie non convincenti assume valore
generale e quindi tutela anche i medici, spesso vittima di pareri peritali basati su
impressioni e valutazioni soggettive circa la correttezza della loro condotta e circa il
nesso tra la condotta ed il danno. Ma tutela nel contempo anche i danneggiati, in quanto
può dare maggiore consistenza al supporto probatorio medico legale delle loro tesi quando
le nozioni e informazioni scientifiche, utilizzate dai periti con adeguato
approfondimento, sono in grado di attribuire reale consistenza scientifica ai
pareri tecnici. Che poi tali pareri, sia in tema di condotta professionale che di nesso
causale, riescano a raggiungere sempre, o molto frequentemente, il livello della quasi
certezza - per il nesso causale quote percentuali di probabilità addirittura vicine
al cento percento, come afferma suggestivamente la Corte di Cassazione nella sentenza
n.1688/2000 - non ci sentiamo, sinceramente, di poterlo affermare con adeguate
motivazioni. Su questo punto, centrale in tutta la metodologia medico-legale, torneremo
tra poco.
5. La sentenza in epigrafe richiama la divergenza esistente da tempo
in dottrina sulla natura della omissione e sulla conseguente costruzione della causalità
omissiva. Si tratta di un problema che ha non solo unevidente rilevanza
generale, ma che nella responsabilità medica occupa un posto di primo piano per la
frequenza elevata delle accuse, rivolte ai medici, di condotte colpose omissive, non di
rado addebitate ad un errore (commissivo) diagnostico, cui consegue, appunto, una omessa
terapia specifica.
Ricorda la sentenza che la dottrina giuridica dominante nega che nei reati omissivi
il rapporto di causalità sia identico a quello che si propone nei reati di evento
commessi mediante azione, giacché in questi ultimi si deve accertare
l'eventuale nesso tra dati reali del mondo esterno. Nei casi in cui si addebitano invece
condotte omissive "improprie", il nesso causale si accerta "con un
giudizio ipotetico o prognostico supponendosi realizzata l'azione doverosa e chiedendosi
se, ove fosse stata presente, l'evento lesivo sarebbe venuto meno".
Unaltra parte della dottrina giuridica ritiene, invece, che la causalità omissiva
non sia una causalità "ipotetica", ma sia anch'essa vera e propria
"causalità reale", dovendosi tenere conto che, "in una visione
moderna della causalità, le entità che entrano in relazione di causa ed effetto non sono
forze o energie materiali, ma processi o eventi, sicché, se ciò è
vero, bisogna includere tra quelle entità anche i processi statici",
"con la conseguenza che, nella relazione di causa ed effetto, entra anche
l'omissione, il non-fare, ché una condizione statica è pur sempre una
condizione". Anche il non-fare, dunque, deve considerarsi causale quando risulti che,
senza lo stato della persona costituito dal non compiere l'azione dovuta,
levento lesivo non si sarebbe verificato.
Ne consegue, secondo questo indirizzo dottrinale, che "sotto il profilo
dell'accertamento, il procedimento utilizzato per stabilire se l'omissione è condizione
statica necessaria non è diverso, bensì identico, nella sua struttura, a
quello cui si ricorre per giustificare la causalità dell'azione". "Identico è,
infatti, l'oggetto della spiegazione: un avvenimento del passato; identico il
giudizio che si deve compiere per individuare la condizione necessaria: il giudizio
controfattuale o ipotetico teso ad appurare se, senza la condotta attiva od omissiva,
l'evento si sarebbe o non si sarebbe verificato; identico il procedimento da
impiegare, in via strumentale, per compiere il giudizio controfattuale: una spiegazione
legata all'oggettivo sapere scientifico, che consenta di ricollegare l'evento lesivo ad un
insieme di condizioni empiriche antecedenti, variabili o statiche; identica la
struttura probabilistica della spiegazione offerta e identico perciò il
carattere probabilistico dell'enunciato esplicativo".
Malgrado tali differenze, le conclusioni cui i due indirizzi dottrinali pervengono, quanto
al grado di certezza raggiungibile nell'accertamento della causalità omissiva,
finiscono pressoché per coincidere, affermando entrambi la struttura probabilistica
della spiegazione del nesso causale in questi casi.
6. Di particolare importanza ci appare il passo della sentenza nel
quale, richiamati con ampiezza i principi elaborati dalla Commissione che ha redatto il
Progetto preliminare di riforma del Codice penale, si fa rilevare che i principi su cui
tale Progetto si basa non valgono solo de jure condendo, ma anche de jure
condito perché rinvenibili anche nel vigente Codice Rocco. Secondo la Corte la
ricerca scientifica non solo consente ma addirittura impone, con il suo rigore,
"di interpretare le norme del Codice vigente, sul rapporto di causalità, nel senso
che la condotta deve essere condizione necessaria dell'evento ed essendo innegabile che la
filosofia della scienza, la logica e il diritto esigano che, in tanto il giudice
può affermare il rapporto di causalità, anche nei reati omissivi, in quanto - pena anche
il rinnegamento del principio di personalità della responsabilità - abbia accertato che,
con probabilità vicina alla certezza, con probabilità vicina a cento, quella
condotta, azione od omissione, è stata causa necessaria dell'evento come verificatosi hic
et nunc".
Ne deriva che se la condotta - azione od omissione - deve essere, per definizione, la
condizione necessaria dell'evento, non potrà mai dirsi che una condizione, che
avrebbe potuto essere causa soltanto al 50% o al 28%, è stata la condizione necessaria
dellevento. Sottolinea coerentemente la Corte che le percentuali pari a 50% o 28% di
probabilità di evitare un evento di danno - attuando una condotta che si è invece
colposamente omessa sono "ben lontane dalla quasi certezza,
dall'essere vicine a cento, come vogliono la scienza, la logica e come,
conseguentemente, deve volere il diritto, sono ben lontane, dunque, dal poter essere per
il giudice quella legge di copertura necessaria perché il rapporto di causalità venga
costruito in termini scientificamente e, quindi, penalmente soddisfacenti".
7. Un rilevante problema è tuttavia collocato a monte del criterio
medico-legale di accertamento del nesso causale nelle condotte omissive improprie: quando
la condotta del medico può essere qualificata "omissiva",
nellaccezione negativa del termine che implica un giudizio di colpa ?
Se si passa dalle enunciazioni giuridiche di principio, nel complesso facilmente
comprensibili anche da parte del profano, alla formulazione di categorie di condotte
professionali al fine di distinguere quelle doverose - la cui violazione
comporta un giudizio di colpa da quelle che non costituiscono regole consolidate
e fisse, risulta evidente che il sostantivo "omissione", connotato
negativamente, può essere impiegato con proprietà solo per talune categorie di condotte
mediche, ma non per altre.
Questo è un tema che non può essere affrontato in questa sede, data la sua complessità
ed il fatto che riguarda la colpa e non il nesso causale. Ma è opportuno
richiamarlo anche in questa circostanza ricordando, con una preliminare e semplificante
notazione, che tra le basilari regole interne allarte medica figura
lantichissimo "primum non nocere" il quale, in una lettura
aggiornata, si può ritenere comprenda tutte quelle condotte prudenti e competenti
che implicano una ponderata valutazione dei pro e contro di determinati interventi
diagnostici e terapeutici. Tale principio, che ha contenuti tecnici, fa sì che
molte condotte di tipo attendista cioè deliberatamente astensionista (non
frutto, quindi, di negligenza od imprudenza) possano essere legittimamente incluse
nellarea dellopzionalità discrezionale del medico, che si avvale di
decisioni caso per caso, e momento per momento: le quali possono ovviamente anche
risultare alla fine erronee e produttrici di danno, per insufficienza intrinseca di
prevedibilità di una determinata evoluzione sfavorevole e
perché collocate spesso nella zona grigia che separa lerrore giustificato da
quello ingiustificabile.
In altri termini molte delle censure rivolte ai medici con il "senno del poi" -
cioè per lesito sfavorevole di un trattamento, e che con frequenza crescente
riguardano condotte qualificate come "omissive" - devono oggi essere
riconsiderate tramite una griglia criteriologica medico-legale che attende ancora di
essere sistematizzata nell'attuale fase di lenta e faticosa costruzione della corretta e
globale metodologia medico-legale necessaria allesercizio peritale in ambito di
responsabilità medica penale e civile. Nel contempo, come già detto al par. 4,
devono essere massimi lattenzione ed il rigore nel valutare le vere omissioni per
negligenza che indubbiamente si incontrano nella pratica medico-legale.
Non si possono invece accettare gravi violazioni del principio di legalità e di
uguaglianza che si annidano in modulazioni discriminanti dei criteri di accertamento del
nesso causale. Le regole devono valere per tutti, medici compresi, e quindi la necessità
del rigore scientifico, che autorevolmente la Corte Suprema ha affermato, appare non
contestabile malgrado le difficoltà operative medico-legali siano spesso tali da rendere
irraggiungibili i traguardi di probabilità vicini al cento.
8. Il ripetuto richiamo della sentenza n. 1688/2000 alla dottrina
della sussunzione sotto leggi e le puntualizzazioni in essa contenute (del tutto
condivisibili sul piano scientifico) circa lutilizzo rigorosamente restrittivo del
criterio probabilistico nellaccertamento del nesso causale, inducono a qualche
commento complementare sul versante medico-legale.
La complessità del mondo moderno, in crescita continua ed esponenziale, rende sempre più
profondo il solco che separa i vari settori delle conoscenze ed incrementa le difficoltà
di comunicazione tra di essi. La cosiddetta "globalizzazione", processo
che - seppur riguardante principalmente leconomia - investe indubbiamente anche il
mondo dellinformazione scientifica, può attenuare questi ostacoli attraverso le
facilitazioni introdotte dallinformatica. Oggi chi possa avvalersi di un computer
collegato con Internet è in grado di accedere in tempo reale, dal più remoto ed isolato
angolo del pianeta, ad informazioni di qualsiasi tipo, e quindi anche a quelle
scientifiche che, per di più, sono prevalentemente scritte in lingua inglese, largamente
diffusa.
Tuttavia laccesso allinformazione non significa certo poter facilmente
penetrare nellintimo delle conoscenze specifiche di settore, che sempre più
frequentemente appaiono patrimonio utilizzabile da pochi esperti, spesso
superspecializzati allinterno di una determinata area disciplinare. Coloro che a
questi esperti si rivolgono per ottenerne laiuto - come avviene nellistituto
peritale - devono accontentarsi di accettare la loro mediazione culturale attraverso
semplificazioni e volgarizzazioni di nozioni e principi molto complessi, che espongono
continuamente al rischio di erronee interpretazioni ed utilizzazioni nei casi concreti.
Senza dire degli errori di "trasmissione" di tali informazioni che provengono dagli stessi esperti: sia perché spesso si tratta
di esperti solo in apparenza, sia perché altri, pur realmente competenti, sono poco
idonei ad utilizzare i contenuti del proprio sapere a fini diversi da quelli loro abituali
ed a trasmetterli in modo sufficientemente comprensibile anche ai profani e, soprattutto,
a renderli congrui allobiettivo specifico del committente: esigenza che, in ambito
peritale, presuppone una appropriata conoscenza degli obiettivi di natura giuridica.
Listituto della perizia giudiziaria soffre in misura elevata queste difficoltà e
non soltanto nella perizia medico-legale ma anche in altre. Le conseguenze pratiche
negative di questa situazione sono sotto gli occhi di chiunque si soffermi a considerarle.
Per quanto ci riguarda siamo da lungo tempo testimoni di quanto avviene nell'area delle
perizie medico-legali ed in particolare di quelle elaborate per casi di asserita
responsabilità professionale medica.
Sempre più frequentemente, in questo settore, si osservano interventi tecnici, in
qualsiasi posizione siano collocati per laccusa e le parti civili, per la
difesa e per i giudici in cui si concentrano negativamente carenze culturali
mediche, carenze metodologiche medico-legali e gravi carenze di capacità di comunicazione
argomentata, sia nelle relazioni scritte che, ancor più, nelle perizie orali.
Laccertamento del nesso causale è tra gli aspetti che più risentono di tali
inadeguatezze.
Quanto si è detto - ripetendo del resto concetti già espressi - viene riproposto in
questa sede per la preoccupazione che gli ineccepibili principi affermati nella qui
annotata sentenza possano rimanere di fatto lettera morta nei prossimi giudizi di merito.
Ciò potrà infatti accadere se lo sforzo di approfondimento richiesto ai consulenti, e
quindi agli stessi magistrati, non si eserciterà continuamente nei casi concreti, con la
flessibilità modulata alle singole contingenze, ed avvalendosi dell'indispensabile
criteriologia operativa. Se tale esigenza di approfondimento non sarà capillarmente
soddisfatta, si correrà il rischio reale che il richiamo della Cassazione alle leggi
scientifiche rimanga una interessante petizione di principio peraltro vanificata nella
realtà dalle approssimazioni, quando non addirittura da grossolani errori.
A questo fine appare opportuno richiamare alcune elementari nozioni in tema di probabilità,
per la quale diverse sono state le teorie elaborate: a dimostrazione che questo stesso
concetto richiede, in chi se ne avvale nei casi pratici, qualche punto fermo che serva di
orientamento. Conoscere la varietà delle tesi può infatti servire, nella pratica
forense, a sollecitare la massima prudenza ed attenzione nelluso dei principi e dei
termini, in particolare degli aggettivi.
Nei giudizi medico-legali sono infatti assai frequenti le conclusioni probabilistiche
basate su valutazioni largamente approssimative, mentre sono infrequenti le circostanze in
cui ci si può avvalere di un calcolo vero e proprio: si tratta essenzialmente dei
risultati di analisi di laboratorio come le indagini di
paternità e le diagnosi "individuali" di appartenenza di tracce biologiche ad
un determinato individuo. Negli altri casi, e nella responsabilità medica in particolare,
i limiti tecnici del perito sono spesso rilevanti, per cui i giudizi probabilistici devono
essere formulati con la massima accuratezza e con una esatta criteriologia scientifica
benché priva di quantificazione percentualistica: è questo, ci sembra, il messaggio più
importante che dobbiamo cogliere nella sentenza n. 1688/2000 della Cassazione.
E dunque indispensabile avere chiaro il concetto scientifico di probabilità ed
i limiti che derivano, già in sede teorica, dallavvicendarsi e competere di
dottrine differenti sulla materia; ed in sede pratica, avere costante consapevolezza delle
difficoltà che sono intrinseche allutilizzo del criterio di probabilità per
esprimere motivati giudizi sulla sussistenza, o meno, del nesso causale: non solo nelle
condotte illecite omissive, ma spesso anche in quelle commissive.
9. Ci limitiamo a ricordare, in poche righe, che le discipline
probabilistiche (la teoria della probabilità e la statistica induttiva) ebbero una prima
soddisfacente sistemazione scientifica ad opera di P.S. de Laplace che diede dignità
scientifica a problemi legati principalmente ad aspetti della vita comune (giochi
dazzardo, determinazione di rendite, ecc.). Quella enunciata da de Laplace è
conosciuta come Teoria classica ed è basata sul principio dellindifferenza:
due eventi sono equipossibili a parità di ragioni del loro verificarsi. La
probabilità di un evento è definita come rapporto tra il
numero dei casi favorevoli al suo accadimento ed il numero dei casi
equipossibili.
La teoria classica lascia nel vago la nozione di ragione favorevole al verificarsi di un
dato evento. Per tale motivo sono state elaborate le teorie logiche (Keynes,
Johnson, Carnap, Jeffreys) che concordano nel riguardare la relazione fra unipotesi
e le sue ragioni come una relazione logica fra proposizioni.
Le teorie frequentiste (von Mises, Reichenbach ed altri), in alternativa
alla teoria classica, considerano la probabilità come la frequenza relativa di un
evento in una serie causale di eventi simili ripetibili.
Le teorie soggettive si richiamano essenzialmente alla concezione elaborata da
Savage e de Finetti. Unasserzione di probabilità, secondo queste teorie, esprime
laspettativa di un invididuo S relativamente al verificarsi di un evento E. Il grado
di fiducia di S nel verificarsi di E è una funzione dellevidenza disponibile;
partendo dallipotesi che S sia disposto a modificarlo in relazione al crescere
dellinformazione e in ottemperanza a certi requisiti di coerenza con il sistema
complessivo delle sue aspettative, la probabilità soggettiva di E viene identificata con
il grado di credenza rettificata o ragionevole di S.
Infine si deve menzionare la cosiddetta assiomatizzazione della teoria delle
probabilità, impostata verso una visione tollerante, antidogmatica, che negli ultimi
decenni si è andata diffondendo e che si ispira alla convinzione secondo cui esistono
molte interpretazioni della probabilità o meglio molti metodi di misura di
essa, ognuno dei quali si adatta meglio di altri a un particolare ambito di applicazione
delle nozioni probabilistiche.
Si è ritenuto utile citare le principali teorie probabilistiche elaborate nel tempo, con
il solo scopo di richiamare la complessità dei problemi teorici che in questo campo si
presentano. Tra le teorie citate si ha limpressione che meglio si adatti ai nostri
fini lultima, perché dotata di una maggiore ed eclettica flessibilità.
Detto questo, appare tuttavia difficile trarre dalle teorie elementi per una
trasposizione in ambito metodologico medico-legale. La conoscenza, pur anche
approssimativa, di questo affascinante ambito culturale, appare inadeguata, di per sé,
alla costruzione di una criteriologia generale applicabile con sufficiente praticità
operativa da periti dotati di bagagli professionali così eterogenei come quelli che con
crescente frequenza si incontrano nei tribunali.
Di questo rilevante ostacolo è indispensabile prendere coscienza allo scopo di rinverdire
proposte metodologiche del passato che purtroppo vediamo rarissimamente applicate benché
ad esse non siano state opposte motivate alternative. Ne faremo cenno al prossimo
paragrafo.
Nel contempo, però, è necessario trarre anche unaltra conclusione: il dovere di
informare i magistrati della povertà di mezzi di cui i periti medici legali dispongono
per dare supporto al criterio probabilistico che oggi essi, tramite la sentenza 1688/2000
della Corte di Cassazione, ripropongono in termini doverosamente rigorosi ed esigenti.
Se tale chiarimento non viene realizzato, il mutato orientamento della Corte che emerge
nella sentenza qui annotata potrebbe incontrare serie difficoltà applicative se gli
stessi periti, omettendo di avvalersi di una rigorosa criteriologia in tema di nesso
causale, continuassero a basarsi (come purtroppo spesso accade) su valutazioni soggettive
sia in ordine allesistenza di probabilità reali di un nesso causale, sia,
soprattutto, sulla quantificazione del grado di tale probabilità.
10. Più volte, in passato, uno di noi ha tentato un riordino delle
tappe criteriologiche indispensabili per la valutazione, positiva o negativa, del nesso
causale in medicina legale. E una criteriologia non indispensabile in tutti i casi
che spesso si presentano con caratteri tali da non indurre a ragionevoli dubbi
ma necessaria in altri.
Ricitare le proprie proposte non ha il pregio delleleganza. Ma daltro canto ci
si sarebbe potuto aspettare un confronto dialettico che mettesse a raffronto ipotesi
diverse. Ciò non è avvenuto ed il proponente dovrebbe prendere atto dello scarso
interesse suscitato dalla propria elaborazione. Tuttavia si è indotti ad insistere di
fronte al ripresentarsi del problema, oggi sollecitato ulteriormente dalla sentenza qui
annotata: la quale presenta esigenze metodologiche medico-legali ancor maggiori rispetto
al passato. Nella realtà peritale si ha limpressione che perfino la rituale
elencazione (ma in genere senza alcuna analisi) dei criteri di cui il perito dichiara di
essersi avvalso topografico, cronologico, di efficienza lesiva, di continuità ecc.
sia sempre più dimenticata. Ma senza essere sostituita da alcun altro criterio di
giudizio, affidato spesso invece ad impressioni tradotte in convincimento.
In campo peritale, tuttavia, non è riconosciuto il diritto al libero convincimento,
concesso invece ai giudici. Il parere tecnico deve essere motivato e la motivazione
deve avere basi scientifiche. Queste basi servono per elaborare un giudizio finale
attraverso la connessione scientifica, quindi razionale, dei dati: correlazione che passa,
appunto, attraverso la griglia di criteri.
Considerato che limpiego senza ordine gerarchico dei tradizionali criteri di
giudizio medico-legali in tema di nesso causale appare ormai insostenibile alla luce delle
attuali esigenze del criterio di certezza come pure di quello di elevata probabilità, non
resta che riconsiderare la proposta di gerarchizzazione a suo tempo formulata: ovvero di
prospettarne altre che, per quanto riguarda gli autori di questa nota, non appaiono
allorizzonte.
I due passaggi metodologici cardine costituiti dal criterio di possibilità scientifica
del nesso causale e quindi dal successivo criterio di certezza o probabilità (che
si avvale a sua volta di criteri articolati) rimangono per ora non superabili. Oggi, dopo
la sentenza 1688/2000 ed il suo richiamarsi autorevolmente alla dottrina di Engisch della sussunzione
sotto leggi di copertura scientifiche, la tappa preliminare costituita dal
"criterio di possibilità scientifica" viene ad assumere un risalto se possibile
ancora più rilevante.
Laggettivo "scientifica" indica esplicitamente che la
"possibilità" di un nesso causale deve essere primariamente indagata con le
nozioni ed i metodi della scienza moderna, il che spesso è facile per la evidenza
dei dati e del loro significato; ma di frequente è invece difficile richiedendo
studio ed approfondimento.
La tappa successiva - che nel suo obiettivo finale si propone di effettuare la
valutazione, positiva o negativa, sulla reale sussistenza del nesso causale - cerca
di proporsi il traguardo della certezza e solo subordinatamente quello della elevata
probabilità.
Di fatto la certezza medico-legale del nesso causale è raggiungibile non solo in
ambito di responsabilità medica in un numero ridotto di casi, mentre i giudizi
probabilistici, anche se non qualificati esplicitamente come tali, rappresentano
invece la maggioranza, sia nelle condotte di azione che di omissione.
E per tale ragione che i giudizi di probabilità, pur non potendo essere, purtroppo,
quantificabili in numeri percentuali (fatta eccezione per talune indagini identificative
di laboratorio), devono essere solidamente fondati su basi scientifiche e criteriologiche
tali da rendere la probabilità "seria e notevole", come più volte affermato
dalla Corte di Cassazione in precedenti sentenze relative al nesso causale nelle condotte
omissive dei medici (cfr. supra par. 3).
La sentenza n. 1688/2000 è apprezzabile anche sotto questo profilo, in quanto al punto V
dei propri motivi cita, e sembra far propria, la dottrina che include implicitamente il
pregiudiziale criterio di possibilità, ma nel contempo ne dichiara l'insufficienza
richiedendo invece la sussistenza di una alta probabilità logica o elevata
credibilità razionale: ed è questa che può considerarsi, sul piano pratico,
vicina alla certezza, vicina a cento. La pretesa della certezza "è
chiaramente utopistica", ma nel contempo, in tema di condotte omissive, il
giudice non solo non può accontentarsi della mera possibilità, ma neppure di
serie ed apprezzabili possibilità dì successo (cui hanno fatto riferimento alcune
sentenze della Cassazione in precedenza citate). Il giudizio che gli viene richiesto deve
essere invece provvisto di elevata credibilità razionale o alta
probabilità logica o quasi certezza.
11. La sentenza n.1688/2000, che merita un ammirato consenso, non può
tuttavia essere considerata un punto di arrivo, ma solo una tappa di un cammino aspro e
tortuoso.
Le speranze che essa accende relativamente al nodo tra i più cruciali
dellapplicazione del diritto, costituito dal nesso causale, non sono prive di
contestuale preoccupazione per il futuro, specie per il contenzioso sulla responsabilità
medica. Nello stesso mese di settembre del 2000 la Corte di Cassazione Civile ha infatti
reso nota una sentenza che, in tema di nesso causale, si colloca in una posizione opposta
estendendo i criteri di giudizio oltre ogni ragionevole limite, addirittura confondendo
causalità e colpa.
E dunque necessario che si apra un ampio ed approfondito dibattito in questo
delicato ed interessante momento, perché il ritrovato rigore della Cassazione penale sia
adeguatamente pubblicizzato tra magistrati, giuristi e medici legali e non rimanga invece
informazione e principio confinato a pochi cultori più attenti al dinamico mutare del
diritto vivente. Nel contempo non può negarsi la preoccupazione che il rigore invocato
dalla sentenza e previsto dalla Relazione Grosso, in tema di accertamento del nesso
causale, non preluda allintroduzione nel progettato codice penale dei reati di mera
condotta perseguibili indipendentemente dal danno arrecato: un pericolo di recente
prospettato da Iadecola.
La lettura della sentenza n.1688/2000 appare infine di grande importanza come nuovo
stimolo ai cultori della Medicina Legale affinché riprendano lopera di
approfondimento metodologico che i maestri del passato hanno compiuto nel corso di tutto
il secolo ventesimo, specie nella sua prima metà. Il diffondersi del contenzioso per
responsabilità medica, in particolare, ha aperto un capitolo della disciplina - in
passato occupato da casi sporadici - il quale presenta le massime difficoltà di
accertamento tecnico e, ancor più, di valutazione dei dati.
Il nesso causale è certo uno dei passaggi cruciali e su di esso dovranno ritornare a
confrontarsi tutti i cultori della disciplina, affinchè le nuove leve non siano lasciate
prive di un aggiornato supporto culturale nel quale le leggi scientifiche devono occupare
un posto privilegiato. Il percorso di rielaborazione dottrinale, che si presenta come
indispensabile nellorizzonte dalla Medicina Legale, potrà trovare un aiuto
rilevante, forse risolutivo, nelle idee del massimo metodologo del nostro tempo, Karl
Popper, padre dellanalisi critica dellidea di possesso della verità
scientifica (le nostre conoscenze sono approssimate e verosimili) e del principio di
argomentazione "falsificante", mediante la quale si possono dimostrare gli
errori delle nostre ipotesi senza invece pretendere in termini certi la verificabilità
degli assunti.
Su questa linea è da ritenere potrà incardinarsi il dialogo con i giuristi che i periti
(perlomeno i periti medici) hanno il dovere di informare circa i limiti delle conoscenze
scientifiche e quindi sulle difficoltà di pervenire a certezze auspicabili ma non sempre
raggiungibili.
Angelo Fiori, Giuseppe La Monaca