Il certificato malattia ai fini lavorativi in assenza del medico di
famiglia: a chi tocca? Una panoramica del problema
( comportamenti difformi per un problema frequente)
La certificazione di malattia, soprattutto se ai fini del
riconoscimento del diritto all' indennita' di malattia, costituisce da sempre un problema
abbastanza spinoso per i medici.
Non sono rare le polemiche e le contestazioni insorgenti tra pazienti che accusino
malattie e, dall' altra parte, i medici curanti che debbano stilare i certificati.
I problemi si complicano quando il paziente pretenda una certificazione da un medico
diverso dal suo medico di famiglia, assente per motivi diversi (festivita', orario
notturno, patologia acuta che abbia richiesto intervento di Pronto Soccorso ecc.).
In questi casi possono insorgere problemi rilevanti sia sugli aspetti "formali"
che su quelli "sostanziali" della certificazione, nonche' sui vari obblighi e
responsabilita' interessanti le diverse categorie mediche.
Riteniamo utile percio effettuare una panoramica generale della situazione della
certificazione medica (per motivi di inabilita lavorativa) in assenza del medico di
famiglia.
Certificazione di malattia per dipendenti pubblici e privati non
soggetti a INPS
Per quanto riguarda i dipendenti pubblici (ma alcuni aspetti di quanto diremo possono
essere applicabili anche ad alcune categorie di lavoratori privati (1) ) la Legge
(art. 30 DPR 686/57) prevede che il dipendente interessato a collocamento in aspettativa
per infermita debba presentare un certificato medico sul quale debbono essere
specificate linfermita e la presumibile durata di questa (2).
La legge non richiede altro; in base a tali norme e sufficiente quindi che il
certificato venga stilato secondo le regole generali di ogni certificato
(contenendo quindi:
- generalita' del paziente,
- generalita' del medico (identificabile da un timbro o da un' intestazione)
- luogo e data del rilascio
- firma del medico
A questi requisiti "generali" devono essere aggiunti, perche'
il certificato sia valido ai fini del congedo per malattia:
a) la diagnosi
b) la prognosi
Non viene richiesto nessun modulario particolare, ne' alcuna dicitura
specifica: puo essere stilato su carta privata del medico o su carta intestata dellEnte
Sanitario che lo rilascia, purche siano in esso indicate le informazioni elencate
sopra.
Puo' accadere che il medico, non essendo perfettamente a conoscenza dell' attivita'
lavorativa svolta dal paziente, rilasci per errore il certificato al dipendente statale su
modulario INPS; in questo caso il medico non commette alcun reato, ne' il certificato
verrebbe a perdere di validita, in quanto verrebbe a contenere ugualmente i dati
indispensabili richiesti dalla legge.
E da sottolineare come la Legge non chieda una particolare specificazione della
prognosi: qualora non specificato, la prognosi ivi espressa e ritenuta "presumibilmente
lavorativa" pur rimanendo soggetta a verifica degli Enti di controllo.
Questo aspetto si differenzia sostanzialmente da quanto previsto dalla normativa per i
dipendenti soggetti a INPS.
Certificazione di malattia per dipendenti privati soggetti a INPS
Le norme riguardanti questa categoria di lavoratori risalgono al 1979 e precisamente al
D.L. 30 Dicembre 1979 n. 663 (3).
Tale decreto prevede, allart. 2, che "nei casi di infermita
comportante incapacita lavorativa, il medico curante redige in duplice copia e
consegna al lavoratore il certificato di diagnosi e lattestazione sullinizio e
la durata presunta della malattia secondo gli esemplari definiti nella convezione
nazionale unica per la disciplina normativa il trattamento economico dei medici generici e
pediatri stipulata ai sensi dellart. 9 della Legge 29 Giugno 1977 n. 349 e
successive modificazioni e integrazioni".
Alcune osservazioni preliminari:
- La norma esprime un obbligo
- Va applicata solo (e sempre) nei casi con infermita' comportanti incapacita'
lavorativa
- Riguarda i medici curanti
- Questi sono tenuti a certificare la diagnosi, l' inizio della malattia e la presunta
durata della prognosi lavorativa
- Il certificato va stilato sugli appositi moduli.
Sono necessari pero' alcuni chiarimenti:
Cosa intende la legge quando parla del "medico curante" ?
E concetto pacifico, in base ad una giurisprudenza consolidata, che vada inteso come
"medico curante" (ove non diversamente specificato) il medico che abbia prestato
la sua opera professionale nel caso in esame, a qualunque categoria professionale
appartenga.
Le leggi, i Decreti, e ancor piu' le sentenze delle Corti di vario tipo e grado, usano
tale terminologia verso ogni categoria: con il termine di "medico curante" viene
infatti chiamato, volta per volta, il medico ospedaliero, il medico di Continuita'
Assistenziale, perfino il medico privato che presti la sua opera libero-professionale. Il
"medico curante" quindi, come pacificamente assodato e confermato da diverse
Autorita' (v. note successive) non coincide necessariamente col medico convenzionato
con il SSN (4).
Cio' comporta che qualunque medico, sia esso medico di famiglia, che ospedaliero in
fase di dimissione, che medico di Pronto Soccorso o addirittura medico privato in visita
urgente, debba, a norma della legge 33/80 e degli obblighi deontologici (5) certificare
(ovviamente solo se ne riscontri la sussistenza) leventuale incapacita
lavorativa.
La legge, confermata poi da successive disposizioni (6) prevederebbe che tale
certificazione venga stilata, in ogni caso, sul modulario INPS previsto nella convenzione
dei medici di famiglia.
Tale modulario, pero, non e in libera distribuzione per tutti i medici, ma e'
di uso limitato ai medici convenzionati col SSN e agli altri medici operanti in strutture
pubbliche e convenzionate: a questi i modulari vengono distribuiti (o dovrebbero esserlo)
tramite i Direttori Sanitari (7).
Il problema del modulario
E' osservazione comune, pero', che tali strutture siano quasi sempre sprovviste di tali
moduli: durante la sua pratica professionale trentennale, chi scrive non e' mai venuto a
diretta conoscenza di un certificato-malattia rilasciato su modulario INPS da un Pronto
Soccorso o da altra struttura ospedaliera.
Infatti l' obbligo di uso del modulario INPS e' stato poi inserito nel contratto
collettivo dei medici di famiglia, ma non in quello dei medici ospedalieri; questi ultimi,
considerando il "vuoto contrattuale" e il fatto che il DL 663/79 (e modificaz.)
non prevede esplicite sanzioni per l' omesso uso di tale modulario, hanno generalmente
respinto l' ulteriore aggravio burocratico.
Attenzione, pero', perche' le disposizioni di legge hanno un valore superiore a quelle
pattizie derivate dai contratti: l' obbligo stabilito dalla legge resta pertanto in
vigore.
Per quanto riguarda i medici privati, poi, non sono state nemmeno studiate o previste
procedure che consentano loro di detenere tale modulario.
Si e posto quindi il problema di come potessero questi sanitari certificare una
inabilita lavorativa valida ai fini INPS. Onde evitare infiniti contenziosi, l' Ente
si rendeva disponibile ad accettare certificati "non regolamentari" purche'
riportanti le informazioni obbligatorie per legge (8).
La "prognosi lavorativa"
I certificati stilati su modulario non regolamentare (vale a dire su carta intestata del
medico o dell' Ospedale) riportano generalmente (benche' la legge, come abbiamo visto,
richieda una "specifica" certificazione) una prognosi non esplicitamente
determinata: non e' possibile, cioe', riconoscere presuntivamente se su un certificato
"bianco" la prognosi indicata sia "lavorativa" o esclusivamente
"clinica".
Trattandosi di certificazioni effettuate in deroga alla norma generale, esse vengono
quindi considerate dall' INPS, salvo diversa specificazione, "presuntivamente
cliniche".
L' Ente richiede quindi, per una "validazione automatica", che gli estensori (ad
es. le strutture di P.S.) completino i certificati di loro pertinenza (9)
specificando se venga ravvisata un' eventuale prognosi lavorativa.
Poiche' anche tali disposizioni vengono, per abitudine, ignorate, sono state adottate una
serie di misure vicarianti: l' INPS ha stabilito di riconoscere comunque come valida,
ai fini lavorativi, la certificazione di P.S. per il giorno della prestazione, purche'
contenente le generalita' dell' interessato, la data, la firma leggibile del medico e la
diagnosi (10). Non e' necessario, per il solo giorno della prestazione,
che sia riportata una prognosi: il certificato di PS e' comunque valido per un giorno
ai fini lavorativi.
Qualora il certificato di PS indichi invece una prognosi successiva ( non specificandone
la tipologia) sara' incarico del medico dell' INPS valutarne, in base alla diagnosi, la
congruita' ai fini lavorativi (11).
Qualora poi il certificato sia manchevole di alcuni dei dati essenziali, la sua correzione
e/o integrazione va richiesta direttamente ed esclusivamente al medico compilatore (12).
La pretesa di esigere la compilazione (nei giorni successivi) di un certificato da
parte del Medico di Famiglia che sostituisca e integri quello del P.S. appare palesemente
illegittima ( anche a non voler considerare la circolare INPS 99/96) a norma della legge
33/80, che verrebbe violata nel suo enunciato " il medico curante redige in
duplice copia e consegna al lavoratore il certificato di diagnosi e lattestazione
sullinizio e la durata presunta della malattia.
E' evidente come non sia possibile per un medico che intervenga in tempi successivi, all'
oscuro dell' obiettivita' e degli eventuali accertamenti effettuati in Pronto Soccorso,
certificare correttamente e con cognizione diretta "la diagnosi, l' inizio e la
durata presunta della malattia" come comparivano dal primo giorno. Questo medico puo'
legittimamente certificare solo quanto derivi dalla sua visita diretta, restando il
periodo precedente solo nell' ambito delle nozioni "riferite" e quindi
certificabili solo come tali. Per alcune categorie di lavoratori (ad es. i turnisti)
questo aspetto porta una serie di complicazioni non indifferenti.
Obblighi e sanzioni per i medici inadempienti
Da quanto detto si rileva come ogni medico che constati la presenza di una inabilita
lavorativa sia sempre tenuto a specificarlo in sede di certificazione.
L' omissione di questo obbligo puo' essere sanzionata amministrativamente nei confronti
dei medici di famiglia, per i quali puo' rilevarsi un' inadempienza contrattuale;
non esistono invece norme contrattuali da invocare nel caso di altre categorie mediche,
come ad es. i medici ospedalieri.
Trattandosi pero' di una violazione di legge, essa puo' rientrare in un ambito
sanzionatorio piu' generale.
Per i medici operanti in struttura pubblica potrebbe infatti essere ipotizzata lipotesi,
ad esempio, di una "omissione d' atti d' ufficio" o addirittura un "falso
per omissione" (13). E' possibile inoltre ravvisare un illecito disciplinare.
Sebbene alcune di tali ipotesi possano apparire francamente eccessive, va considerato che
la legge 33/80 ha stabilito un preciso obbligo, a cui sono tenuti, in particolare,
soprattutto i sanitari che rivestano qualifica di pubblico ufficiale.
Per quanto riguarda l' aspetto disciplinare, e anche da tener presente la posizione
presa dalla FNOMCeO sulla materia, (come citata in precedenza).
Tali aspetti non vanno percio' assolutamente sottovalutati.
In realta non abbiamo rinvenuto precedenti giurisprudenziali su
tale specifico argomento; cio' puo' essere dovuto (oltre che a lacune nella nostra
ricerca) al fatto che tali figure di reato non vengono direttamente contestate, ma occorre
che vengano portate all' attenzione dell' Autorita' Giudiziaria attraverso una denuncia o
una segnalazione (cosa che certamente non avviene in assenza di conflittualita' o per casi
che vengano in qualche modo risolti).
Cio' infatti viene quasi sempre evitato, a nostro parere, sia per le autonome procedure
decisionali stabilite dall' INPS, che per i comportamenti concilianti dei medici di
famiglia i quali hanno sempre tenuto precipuamente conto degli interessi del paziente,
adoperandosi per minimizzare gli effetti negativi delle certificazioni incomplete di altre
categorie.
I medici di famiglia hanno percio' provveduto sovente, seppure non tenuti a farlo, a
regolarizzare e a validare i certificati incompleti di altre categorie sanitarie, evitando
cosi', in nome di un diverso rapporto medico-paziente, innumerevoli contenziosi
giudiziari.
E illusoria pero' la convinzione che omettendo la diagnosi "lavorativa" si
possa essere esentati dalle eventuali responsabilita connesse a questo aspetto:
nelle vesti di P.U. (e quindi tenuto, per obbligo del suo ufficio, al rispetto delle leggi
vigenti) il medico "pubblico" puo' essere, al contrario, particolarmente
vulnerabile, anche in seguito alla mutata consapevolezza degli utenti circa i propri
diritti, e al clima conflittuale che puo venirsi a creare in caso di contenziosi.
E' facilmente ipotizzabile poi che da una "cattiva" certificazione ospedaliera o
di P.S. possa scaturire in alcune situazioni, per l' utente, un "danno ingiusto"
che richiamerebbe, senza dubbio, la responsabilita' del medico certificatore, anche in ambito
civilistico.
Questo puo' verificarsi, a puro titolo esemplificativo, nei casi di negato pagamento della
diaria da parte dell' Ente assistenziale, oppure nel caso di contratti o di polizze che
comprendano il risarcimento di una diaria giornaliera solo nel caso di espressa
"inabilita' lavorativa": la mancata certificazione di una prognosi lavorativa in
caso di patologia che certamente la comporti, qualora provochi un danno al paziente, puo'
essere senza dubbio perseguibile (14).
Molto opportunamente diversi Enti Ospedalieri, pur continuando ad usare un modulario non
regolamentare, appongono una doppia prognosi: clinica e lavorativa. Questa procedura
appare senza dubbio ottima, tale da evitare qualsiasi dubbio interpretativo. E' necessario
pero' che non venga vanificata dal comportamento dei singoli medici che ritengano di non
doversi adeguare.
Dovrebbe essere cura delle Direzioni Sanitarie curare il rispetto di tali norme; puo'
essere inoltre opportuno in simili casi avviare (da parte degli interessati) quei
procedimenti che, attraverso decisioni o sentenze ufficiali prese dalle competenti
Autorita', possano finalmente sancire l' effettiva soluzione di questo problema.
Quanto scritto circa l' obbligo di certificazione ha poi valore, a
maggior ragione, per altre categorie di medici deputati all' intervento di
"urgenza" festiva, come i sanitari di Continuita' Assistenziale.
Per essi (come gia' esposto) oltre alla norma generale, e' valida anche una specifica
norma contrattuale, che stabilisce, tra i loro doveri, che " Il medico utilizza, solo a favore degli utenti registrati, anche se
privi di documento sanitario, un apposito ricettario, con la dicitura "Servizio
continuità assistenziale", fornitogli dalla Azienda per le proposte di ricovero, le
certificazioni di malattia per il lavoratore per un massimo di 3 giorni..." (15)
.
Questi sanitari, analogamente ai Medici di Famiglia, sono quindi vincolati da una
specifica norma amministrativa che li obbliga a certificare la condizione di
inabilita' lavorativa, e impone l' uso dello specifico ricettario; queste incombenze
rientrano senza dubbio anche negli obblighi d' ufficio della categoria, con tutto
cio' che ne consegue. La comune pratica clinica ci informa pero' che spesso questo non
accade.
E' evidente come, in attesa di qualche sentenza chiarificatrice, ciascuno sia libero di
dissentire dalle nostre conclusioni, e di regolarsi come crede, ma sia consapevole di
assumersi la completa responsabilita' delle proprie scelte.
Daniele Zamperini (pubblicato su Doctor, maggio 2004)
NOTE
1) Le categorie dei lavoratori per i quali va stilato il certificato
su ricettario privato non avendo diritto alle indennita INPS, sono, salvo omissioni:
gli apprendisti, le domestiche, i dipendenti di partiti politici e associazioni sindacali,
impiegati dipendenti da proprietari di stabili, impiegati di credito, assicurazioni e
servizi tributari appaltati, impiegati dellagricoltura, dellindustria,
lavoratori autonomi, portieri, pubblici dipendenti, viaggiatori e piazzisti. In seguito
alle recenti privatizzazioni alcune categorie che prima rientravano tra i pubblici
dipendenti, ora fanno parte del comparto privato. Per esse non valgono pero' le norme
specifiche per il P.I.
2) Tale orientamento e stato poi confermato dalla circolare n. 161.111/10 del
30/10/84 della Presidenza del Consiglio che riporta un parere del Consiglio di Stato dell11/10/84.
Viene specificato che lart. 5 della Legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) non
e applicabile al rapporto di lavoro dipendente allo Stato ne' e stato esteso
dalla Legge a tali categorie. La normativa sulla privacy, finora, fa salve le disposizioni
di leggi precedenti. Sono state studiate diverse soluzioni, nel caso di un esplicito
rifiuto alla esplicitazione della diagnosi, riportate in altri articoli (ad esempio:
aggiungere la dicitura "Omessa diagnosi per espressa volonta' del paziente"
(controfirmata da quest' ultimo); oppure rilasciare la certificazione in duplice copia,
una delle quali riportante la diagnosi ed una senza diagnosi, in modo analogo al modulario
INPS).
3) (G.U. 31 Dicembre 79, n. 355) convertito in Legge con modificazioni con la Legge
29 Febbraio 1980, n. 33.
4) "Si precisa che, se pure, di massima, il sanitario preposto al compito in
questione e' quello di libera scelta, l'espressione letterale "curante"
utilizzata dal legislatore, porta a dover attribuire validita', ai fini erogativi di cui
trattasi, anche alle certificazioni rilasciate, pure su modelli non "standard"
(ad es. ricettario privato), da medici diversi, ai quali l'assicurato si sia rivolto per
motivi di urgenza ovvero comunque per esigenze correlate alle specificita' della patologia
sofferta.... Il criterio vale anche per i certificati rilasciati all'atto della dimissione
dagli ospedali o dalle strutture di pronto soccorso..." (Circolare INPS n. 99 del
13/5/1996)
5) "I criteri che precedono risultano del resto condivisi dalla Federazione
Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri (F.N.O.M.C.e O.)".
(Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
6) Decreto Ministero Sanita e del Ministero del Lavoro 30 Settembre 91; Legge
29 Febbraio 80 n. 33, Legge 23/04/81 n.55
7) "Ad evitare possibili riflessi negativi sui lavoratori, sara' cura da parte
dell'INPS fornire a tutti i direttori sanitari delle strutture sanitarie pubbliche e
convenzionate il predetto modulario, da affidare al Primario responsabile del reparto e da
usare, ovviamente, nei confronti dei soli aventi diritto all'indennita' di malattia
erogata da questo Istituto." (Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
8) "La certificazione sanitaria rilasciata, anche su modulario non
regolamentare, da medici diversi da quelli di "libera scelta", compresa quella
emessa dagli ospedali e dalle strutture di pronto soccorso all'atto della dimissione, e'
da ritenere valida ai fini dell'erogazione dell'indennita' di malattia a condizione che
contenga i requisiti sostanziali richiesti (intestazione, nominativo del lavoratore, data,
firma, diagnosi e prognosi di incapacita' al lavoro). " (Circolare INPS n. 99 del
13/5/1996)
9) "[ Mentre l' Istituto]... riconosce validita' alla certificazione di
incapacita' al lavoro rilasciata su ricettario privato (v. circ. n. 134368 AGO/14 del
28.1.1981), purche', ovviamente, dalla stessa siano rilevabili i dati richiesti dalla
normativa vigente, si osserva che i referti di pronto soccorso ne sono spesso carenti,
mancando talvolta perfino l'indicazione della prognosi." (Circolare INPS n. 145 del
28 giugno 1993).
10) " Limitatamente alle giornate di ricovero e/o alla giornata in cui e
stata eseguita la prestazione di pronto soccorso cosi documentata, agli effetti del
riconoscimento del diritto della prestazione, e sufficiente che la certificazione
suddetta sia redatta su carta intestata e riporti le generalita dellinteressato,
la data del rilascio, la firma leggibile del medico e lindicazione della
diagnosi." (Circ. INPS n. 136 del 25 Luglio 2003)
11) "... pertanto qualora sul modulo di pronto soccorso non compaia la
dicitura esplicita di "incapacita lavorativa" esso andra sempre e
comunque sottoposto alla valutazione del centro medico legale, essendo precisa competenza
del dirigente medico stabilire se sul piano legale, la "prognosi clinica"
espressa e' congrua con la patologia accertata in diagnosi e assumere le successive azioni
di diretta validazione del certificato o richiederne eventuale integrazione e/o
controllo" (Messaggio INPS 07/11/2003 n. 968)
12) "Resta ferma in ogni caso che, qualora la certificazione redatta su
modulari non regolamentari pur presentando gli elementi essenziali, senza i quali latto
non e neppure qualificabile come "certificato" (e, cioe, nominativo,
intestazione e prognosi) manchi di altri requisiti rilevanti ai fini di interesse
(diagnosi data e firma), la necessaria regolarizzazione della stessa dovra essere,
operata tramite linteressato, dai medesimi redattori; in particolare non deve essere
richiesta, come talvolta e stato lamentato, autonoma tempestiva certificazione del
periodo come sopra documentato al medico di famiglia, che tra latro, potrebbe anche
non essere in grado di formulare, nel caso in specie, una corretta prognosi"
(Circolare INPS n. 99 del 13/5/1996)
13) "Omissione d' atti d' ufficio": art. 328 C.P. La fattispecie del
"falso per omissione" e stata indicata dalla Giurisprudenza come
"omissione di un dato che latto pubblico sarebbe obbligato a contenere"
(p.es., a proposito di cartelle cliniche: " È configurabile il falso anche nel caso
della omessa indicazione di una circostanza se questa doveva essere indicata nellatto."
Trib. Messina sezione II sentenza 31/3/2003".
14) E esperienza di chi scrive (anche se di puro valore aneddotico) il caso
di un soggetto riportante, in seguito ad un sinistro, una grave lesione temporanea a
carico dell' arto superiore destro. Il soggetto, oltre alla possibilita' di risarcimento
in ambito R.C., aveva anche stipulato una polizza che comprendeva una diaria giornaliera a
fronte di specifica inabilita' lavorativa. Il medico di P.S. aveva pero' in un primo tempo
rifiutato di certificare questo aspetto (prognosi clinica gg. 20, prognosi lavorativa:
zero), ricredendosi pero' frettolosamente (e rettificando il certificato) quando gli fu
comunicato che sarebbe stato citato in giudizio.
15) D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270
(1) "Regolamento di esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina
dei rapporti con i medici di medicina generale" art. 52
Daniele Zamperini (pubblicato su Doctor, maggio 2004)