Elettrosmog: mito o realta'? (Di Luca Puccetti)

Cercherò di fornire un contributo per una serena discussione, al riparo dagli eccessi polemici che spesso contraddistinguono manifestazioni di cronaca che si fondano su un atteggiamento che spesso rincorre mode e non si fonda su un convincimento ponderato, ma su eccessi dialettici non sempre immuni da conflitti di interesse o da strumentalizzazioni di partiti e movimenti. Prima di tutto come cittadino, prima che come medico, sono preoccupato del fiorire di un sentimento diffuso che permea sempre più la nostra società e che si configura come una sfiducia, quasi aprioristica nei confronti delle massime istituzioni scientifiche e sanitarie, spesso ignorate o derise e talora demonizzate  come Enti asserviti al potere od a gruppi di interesse più o meno palesi.

La sfiducia verso queste Istituzioni è particolarmente grave perché rischia di minare fin dalle fondamenta la convivenza civile. Come potremo infatti stare tranquilli se L’Istituto Superiore di Sanità, tanto per fare un esempio, l’Ente che addirittura stabilisce se si può partire con una sperimentazione di un farmaco nell’uomo, fosse, come viene talora dipinto, un portavoce di interessi di parte, da screditare in quanto non allineato ai voleri delle mode dei salotti più esoterici che contribuiscono ad alimentare ataviche paure nelle folle ?

E veniamo allora allo specifico problema.
Un comitato di esperti nominato dal Governo Italiano nel febbraio del 2002 ha presentato un rapporto in cui si faceva presente che le valutazioni nazionali ed internazionali di scienziati indipendenti sono riconosciute dalla comunità scientifica come le più qualificate a fornire informazioni attendibili e scientificamente sostenibili. Nel rapporto si sostiene che i pareri individuali, anche quando forniti da scienziati, non sono attendibili come quelli offerti da comitati multidisciplinari di esperti.
Gli stessi concetti sono stati espressi anche da organizzazioni internazionali, consapevoli, ad esempio, che sono state espresse opinioni personali presentate come parere di esperti.

Prima di tutto occorre distinguere nettamente le conoscenze relative ai campi cosiddetti a bassa frequenza, come gli elettrodotti, ma anche elettrodomestici, e quelle riguardanti i campi ad alta frequenza, come televisione, radio, telefonia cellulare e telecomunicazioni in genere.
Per quanto riguarda il primo settore, si è raggiunto un consenso. L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), nel 2001, ha classificato i campi magnetici a bassa frequenza come possibilmente cancerogeni per l'uomo. La conclusione è basata su dati relativamente labili e la stessa IARC precisa che l'espressione «possibilmente cancerogeno per l'uomo» significa che una spiegazione in termini di causalità è credibile, ma non si può escludere che altre siano le cause degli effetti osservati.
Diverso è il caso dei campi ad alta frequenza, su cui, anche se manca ancora un documento formale dell'IARC, si è raggiunto un consenso della comunità scientifica estremamente elevato, che indica, contrariamente alla percezione generale dei cittadini, una totale assenza di evidenze di effetti nocivi. L'Organizzazione mondiale della sanità, già nel 1998, affermava che in base ad una propria valutazione e revisione dell'intero corpo della letteratura scientifica, non vi fosse alcuna evidenza convincente che l'esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza abbreviasse la durata della vita umana né che inducesse o favorisse il cancro.
Tale valutazione riguarda tutti campi ad alta frequenza e, in modo particolare, quelli della telefonia cellulare, su cui in anni recenti, successivamente alla documentazione appena citata, sono stati pubblicati importanti lavori scientifici, che hanno indicato una totale assenza di effetti tumorali. L'Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito il proprio parere e l'Istituto svedese per la protezione dalle radiazioni, che ha fornito una valutazione estremamente recente risalente al novembre 2002, sostiene che, nel complesso, gli studi epidemiologici e di laboratorio abbiano escluso, con ragionevole grado di certezza (si tratta di elementare prudenza scientifica, non appartenendo la certezza alla scienza) che i telefoni cellulari provochino il cancro, almeno per la durata d'uso fino a cinque anni, quella fino ad oggi sperimentabile.
Se ciò è vero per i telefoni cellulari, ancora più nette sono le conclusioni per ciò che costituisce, oggi, motivo di maggiore preoccupazione per i cittadini, cioè le stazioni radio, le quali invece emettono minori radiazioni. Una commissione del Parlamento francese ha pubblicato un ampio rapporto in cui si fa presente che la maggior parte delle persone che si oppongono alle stazioni radio base usano i telefoni cellulari e li lasciano usare ai propri bambini, non comprendendo che, se esiste un rischio, esso è a livello di cellulari, che provocano un'esposizione molto più elevata.   Nel 1997 l'Istituto svedese già citato sosteneva che le stazioni radio base non costituissero un rischio per quanto riguarda la protezione dalle radiazioni. Nel 1999, in Canada si sosteneva che non vi fosse alcun aumento coerente di rischio per la salute, essendo le stazioni radio base d'intensità talmente bassa da non lasciar prevedere effetti nocivi per la salute.
Nel 2000 il Consiglio sanitario nazionale dell'Olanda sosteneva che l'eventualità che possano verificarsi effetti presso stazioni radio base è trascurabile. Nel 2000 il famoso rapporto Stewart concludeva che il complesso delle evidenze indica che non vi sia alcun rischio per la popolazione che vive vicino a stazione radio base. Infine, nel marzo 2003, l'Agenzia francese per la sicurezza e la protezione ambientale sostiene le seguenti conclusioni: l'esposizione della popolazione alle onde delle stazioni radio base non dà luogo ad alcun rischio per la salute, confermando un precedente rapporto del 2001.
Si tratta di valutazioni che vanno dal 1997 al 2003. Nel 1996 l’Istituto superiore di Sanità  ha pubblicato un documento in cui si affermava che i risultati della ricerca scientifica allora noti non suffragassero alcuna ipotesi di effetti a lungo termine dei campi elettromagnetici.

Chiaramente questi risultati non escludono la messa in atto, se si volesse, di misure di prudenza e di precauzione. È importante che queste siano adottate con equilibrio e saggezza e per questo la scienza e la tecnica possono dare il loro contributo. Può essere il caso delle recenti antenne cosiddette “intelligenti” od a schiere adattative che riducono l’intensità del segnale dove non serve concentrandolo nel tempo e nello spazio laddove sia necessario.  In particolare bisogna essere consapevoli, come sottolinea il rapporto della commissione parlamentare francese, che reclamare l'allontanamento o l'eliminazione delle stazioni radio base non può che aumentare l'esposizione tanto dei telefoni cellulari qua
nto delle stazioni radio base.
È significativo in proposito quanto accaduto in una scuola di Marsiglia, che aveva ottenuto lo smantellamento di un'antenna installata sul suo edificio, ma ha constatato che il livello di radiazioni misurate nel cortile era cresciuto in seguito a questa operazione per l'aumento delle emissioni delle antenne vicine.
In base a questo la Francia ha abolito per le stazioni radio base il concetto dei cosiddetti siti sensibili, perché non si vede una apparente giustificazione per la specificità dei siti sensibili, essendo la sensibilità legata alla percezione del rischio e non ad un rischio sanitario identificato. La raccomandazione precedente, ossia di mantenere le antenne lontane dai siti sensibili, che mirava a rassicurare, ha sortito l'effetto opposto, aumentando le preoccupazioni. A fronte di problemi ancora sul tappeto, in larga misura ipotetici, esiste un problema reale di percezione del rischio con conseguenze sanitarie certe in termini di stato di ansia, tensioni sociali e ciò che ne consegue per la salute. Questo problema si collega strettamente con quello della corretta comunicazione del rischio.
Esiste dunque
una percezione del rischio da parte del pubblico, riconosciuta a livello internazionale, che è molto diversa dalla valutazione che dello stesso dà la comunità scientifica.
L’evidenza scientifica di assoluta negazione di un effetto sulla salute dei campi elettromagnetici ad alta frequenza è superiore all'evidenza scientifica di molti altri settori. Ci sono migliaia di studi che dimostrano che manca un effetto negativo sulla salute; non manca l'evidenza scientifica e dire che essa è insufficiente significa affermare il falso. Per quanto riguarda i campi a bassa frequenza un preliminare, ma significativo calcolo, eseguito dalla Commissione nazionale italiana, presieduta da un premio Nobel, aveva rilevato che se ci fosse un'associazione con la leucemia, per esempio, si potrebbe correre il rischio di avere un caso in più all'anno in tutto il paese. Qualsiasi variazione del rischio difficilmente sarebbe misurabile in termini di variazione di quel caso. L'effetto sulla salute probabilmente sarebbe invisibile. Questo problema riveste tutta l'area dei campi magnetici. Molti metodi epidemiologici di studio non sono adeguati a rilevare fenomeni nel modo con cui sono presentati. Ad esempio vi sono studi di mortalità in cui si rileva quanti morti di un determinato evento patologico - come, ad esempio, di leucemia - vi sono in una certa area geografica ed immediatamente li si mettono in relazione ad una misura di campi elettromagnetici. Tali studi non forniscono mai la verità, perché, metodologicamente, non hanno il potere statistico di rilevare l'effetto. Perciò, alla fine, ciò che scaturisce da tali tipi di studi, mal condotti, è il dubbio e non una risposta, positiva o negativa che sia.
Specialmente in Italia, nutriamo tanti dubbi, che sono quelli che hanno alimentato tale falsa percezione di rischio che tutti gli studi appropriatamente condotti e pubblicati dalla comunità scientifica negano. Vi è una sorta di “fai da te” dell'attività di ricerca epidemiologica che, specialmente in Italia, è in crescita. Qualsiasi regione, provincia o comune acquisisce dati di mortalità, che oggi sono disponibili su Internet, e afferma: «vi è un cluster di tumori nella mia area, poiché è presente la fabbrica x, la stazione radio y o l'impianto z».

Ciò, purtroppo, sebbene non raggiunga mai un livello di appropriatezza scientifica è più che sufficiente ad alimentare una falsa percezione. È una percezione che trova basi filosofiche e culturali nel «mistero» della radiazione. Che vi è di meglio del pensare che onde invisibili facciano male alla salute?  pensare che succeda lo stesso al nostro cervello, in prossimità ad un telefonino o ad una stazione radio? Vi è tale sorta di percezione, che oserei definire «magica», la quale non ha nulla a che vedere con la scienza. Alcune regioni hanno legiferato addirittura in assenza di quadri nazionali di riferimento dettando criteri di precauzione notevolmente più alti di quelli suggeriti a livello internazionale. Ciò anche grazie ad un uso distorto del principio di precauzione che è la negazione della scienza. Quando non si sa che affermare, si dice: «usiamo il principio di precauzione». Si tratta di un'ipocrisia: si adottano decisioni, nonostante non vi sia l'evidenza scientifica. Se le attività umane dovessero conformarsi al suddetto principio l’uomo sarebbe ancora nelle caverne. Nessun sistema può garantire l’assoluta innocuità di una nuova scoperta, tante sono le variabili in gioco, le trasformazioni ambientali nel lungo periodo che potrebbero verificarsi, dunque ciascuno è costretto ad accontentarsi delle evidenze di sicurezza che vengono ritenute appropriate per minimizzare un rischio, mai del tutto a priori eliminabile completamente, simulando uno scenario di medio periodo.  Di fronte a noi si prospetta, invece, un mostro: si tratta proprio della menzionata percezione, che determina numerosi problemi e richiede un livello di comunicazione che, probabilmente, fino ad ora, non vi è stato. In Italia è diffusa una cultura dell'inverosimile. I metodi usati in Italia, e spesso, purtroppo, anche all'estero, sono originariamente insufficienti a fornire risposte adeguate. Essi portano conseguentemente al sorgere di dubbi.
È esattamente ciò che non si deve fare...

In Italia abbiamo coniato parole non esistenti nel vocabolario di altri paesi, come "elettrosmog"!
Quando la comunità scientifica nazionale ed internazionale, nelle sue massime espressioni, esprimerà un giudizio diverso saremo i primi a prenderne atto. Quindi lungi da noi ogni preconcetto a favore o contro, ma solo un radicato convincimento a favore del valore del metodo scientifico e la più ferma determinazione a sostenere la strutturazione libera, partecipata e interdisciplinare del sapere.

Luca Puccetti, pubblicato su    http://utenti.lycos.it/PromedGalileo/index.html