Il danno biologico (Avv. Bruno Sechi)
Con il termine "danno biologico" si
intende il danno alla salute della persona, la cui tutela giuridica trova il suo
fondamento normativo nella Carta Costituzionale ( artt. 2, 3, 32 Cost. ).
Occorre, però, precisare che la dizione " salute " è intesa secondo
unaccezione ampia: essa, sganciandosi da un criterio di determinazione puramente
medico-legale, va a coincidere con il "valore" della persona nel suo complesso,
costituito da un patrimonio di utilità "scarse".
In altri termini, secondo linterpretazione costituzionalmente orientata del nostro
ordinamento giuridico, la persona viene considerata e tutelata nel suo modo di esistere,
di essere e, quindi, in tutte le occupazioni (presenti e future ) nelle quali si realizza
la propria personalità.
La giurisprudenza di merito e di legittimità è giunta alla definizione di danno
biologico come la lesione alla integrità psicofisica dellindividuo, "in quanto
incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione".
Lintenso lavorìo della dottrina, dapprima accolto dalle Corti di merito, in favore
di una collocazione autonoma del danno biologico, ha dato i suoi frutti a partire dagli
anni 70, con importanti sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione.
Prima di esporre in sintesi il percorso dellelaborazione giurisprudenziale (diritto
vivente), è opportuno sottolineare che il motivo o, meglio, la ratio di questa crociata
in favore della persona, è stata proprio lassenza di una effettiva tutela
giuridica.
Fino a 30 anni fa, circa, venivano risarciti solamente i danni patrimoniali ex art. 2043
c.c. e i danni morali ex art. 2059.
Lindividuo, in quanto titolare di un patrimonio, valutabile secondo un criterio
economico- contabile, poteva invocare la tutela giuridica, qualora il predetto patrimonio
subisse un danno, nella forma della perdita subita o del mancato guadagno (lucro cessante)
ex art. 1223.
Lipotesi tipica era rappresentata dalla diminuzione della capacità di produrre
reddito in concreto, a causa di una lesione fisica invalidante e il relativo danno veniva
commisurato sulla base del reddito lavorativo.
Inoltre, lindividuo poteva ( e può ) richiedere il risarcimento del danno morale
derivante da reato ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., che si risolvesse in un patema
danimo o dolore psicofisico "transeunte", senza produrre postumi
invalidanti sulla persona medesima. In tal caso, il risarcimento del danno viene a
compensare, in qualche modo, il dolore subito ( assurgendo alla funzione di " pretium
doloris ").
Questo impianto di tutela escludeva quella forma di danno che può riguardare tutti gli
individui, compresi coloro che sono privi di un reddito lavorativo.
In sostanza, colui che subiva un danno psicofisico che lo limitava nella sua
"attività di tutti i giorni", era un individuo senza tutela, qualora non fosse
titolare di un reddito.
Il sistema così descritto, operava un meccanismo di esclusione giuridica nei confronti di
chi già ricopriva una posizione fattuale di svantaggio; ciò andava in palese contrasto
con i dettami della Carta Costituzionale ( arrt. 2, 3, Cost. ).
Inoltre, lart. 32 Cost. (tutela della salute) restava completamente inoperante.
Abbiamo accennato alle coraggiose pronunce delle Corti di merito negli anni 70, grazie
anche alla costante attenzione della dottrina sul versante della tutela della persona.
Sicuramente la sentenza del Tribunale di Genova, datata 25 maggio 1974, rappresenta il
primo tentativo, da parte della giurisprudenza, di ovviare alle mancanze del legislatore.
Infatti, nella sentenza suindicata, in accoglimento delle istanze dottrinarie, si
stabilisce che il danno alla persona si riferisce alle attività lavorative ed
extralavorative, comprendendo queste ultime le attività per mezzo delle quali si realizza
la personalità dellindividuo.
Di già, con la sentenza in questione si sposta lasse dellattenzione dal
criterio patrimoniale al criterio della "ingiustizia" dello stesso.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n° 88/79, individua nellart. 32 Cost. la
norma che assicura la effettività della tutela della salute quale " diritto
fondamentale dellindividuo
.. come diritto primario ed assoluto e
pienamente operante nei rapporti tra privati ".
La medesima Corte precisa che il diritto alla salute, in virtù anche del suo carattere
privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32 ) e, nel caso di sua
violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del
collegamento tra lart. 32 Cost. e lart. 2059 c.c.
Questultima norma, a detta della medesima Corte, si riferisce a tutti i danni non
patrimoniali, relativi alla lesione di interessi non economici.
Al di là della configurazione del danno alla salute quale danno non patrimoniale, la
sentenza in questione, costituisce uno dei passaggi piu importanti nella creazione
del diritto vivente, nel settore della tutela dellindividuo.
Dal punto di vista strettamente normativo, la Corte valorizza la Costituzione e in
particolare uno dei principi fondamentali ( la tutela della salute ).
La Carta Costituzionale rischiava di restare " sulla carta ".
Ma la sentenza della Corte Costituzionale, considerata storica, è rappresentata dalla n°
184/86.
La sentenza in esame conferma che la tutela della salute trova il suo fondamento
nellart. 32 Cost., immediatamente applicativo.
La tutela effettiva è garantita dal combinato disposto dellart. 32 Cost. e
dellart. 2043 c.c., in quanto si tratta di un danno ingiusto.
Il danno alla salute appartiene ad un "tertium genus", differente ed autonomo
rispetto al danno strettamente patrimoniale e al danno morale; il danno in esame,
denominato biologico, costituisce " levento costitutivo" del
fatto-lesione.
La fattispecie, in sostanza, è costituita dai seguenti elementi: condotta illecita
dellagente, evento-lesione o evento-danno biologico, nesso causale tra la condotta e
levento.
La Corte si spinge piu avanti, affermando che il danno biologico " è sempre
presente" nel caso di lesione e non occorre " alcuna prova del bene giuridico
salute".
Il danno biologico è distinto ed autonomo rispetto al danno patrimoniale e al danno
morale; questi ultimi sono danni-conseguenza, ulteriori rispetto al danno biologico.
Ora appare piu significativo il passaggio della sentenza in cui si afferma che il
danno biologico è sempre presente.
La giurisprudenza di legittimità ha sostanzialmente seguito le conclusioni sopraccitate
della Corte Costituzionale.
Non possiamo trascurare unaltra sentenza della medesima Corte ( n° 372/94 ) che
considera il danno alla salute di natura non patrimoniale e inquadrabile nellalveo
dellart. 2043 c.c. per analogia iuris.
In tal modo si assicurerebbe la effettività della tutela della persona e si eviterebbe la
declaratoria di incostituzionalità dellart. 2043 c.c.
La Corte Costituzionale così sentenzia: " dalla ratio dellart. 2043 c.c.,
coordinata con lesigenza di effettività della tutela dei diritti fondamentali,
questa soluzione ermeneutica argomenta un principio di risarcibilità dei danni piu
generale di quello originariamente tradotto nella regola del codice civile, comprendente
non solo i danni patrimoniali, ma pure i danni non patrimoniali causati dalla lesione di
un diritto personale costituzionalmente protetto, quale il diritto alla salute ".
La Corte Costituzionale, nella sentenza suindicata, esamina in particolare lipotesi
del danno biologico da morte del congiunto.
Dalla lettura della sentenza si ricavano i seguenti principi:
nel caso di lesione al bene salute, causante la morte dellindividuo, sorge un
diritto di risarcimento in capo al deceduto per i danni subiti " dal momento della
lesione a quello della morte ", con esclusione, pertanto, nel caso di morte
immediata.
Qualora la morte sopraggiunga dopo un significativo lasso di tempo, subentra, nel
patrimonio dellindividuo, il diritto al risarcimento dei danni subiti, dal
verificarsi della menomazione psicofisica al decesso.
Per tale motivo, i parenti potranno esercitare, iure hereditatis, il diritto al
risarcimento.
Potrà, inoltre, ipotizzarsi, in capo ai congiunti, un danno biologico e la relativa
pretesa risarcitoria, iure proprio, qualora dalla morte del parente sia derivata "una
lesione fisio-psichica ( infarto da shock o uno stato di prostrazione tale da spegnere il
gusto di vivere )".
Esso costituisce non un danno evento ma conseguenza " della lesione di un diritto
altrui ".
Come è stato già precisato dalla famosa sentenza n° 184/86 della medesima Corte, si
tratta di danni " eventuali", conseguenza, la cui sussistenza deve essere
concretamente provata.
Ab contario, il danno alla salute, essendo evento costitutivo della lesione, è insita
nella medesima lesione: la Corte afferma che la prova della lesione è, in re ipsa, prova
dellesistenza del danno.
In ogni caso, ai fini del risarcimento " è sempre necessaria la prova ulteriore
dellentità del danno": in altri termini, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 2056 e 1223 c.c., il soggetto leso deve provare la perdita di quelle utilità
"afferenti alla persona", di natura non patrimoniale, suscettibili di
valutazione equitativa da parte del giudice.
Secondo la Corte, nella sentenza 372/94, il danno biologico, risarcibile iure proprio,
derivante da morte del congiunto, rientra nella disciplina dellart. 2059 c.c.; non
può essere inquadrato nellambito dellart. 2043 c.c., poiché si includerebbe,
arbitrariamente, una ipotesi di illecito colposo fittizio, in netto contrasto con lo
spirito dellart. 2043 c.c. ( " Qualunque fatto doloso o
colposo
." ).
Infatti, normalmente, il soggetto che cagiona la morte, non può essere considerato autore
del danno biologico dei congiunti, poiché non rientra nella sua sfera di previsione.
La Corte, in relazione al danno biologico patito dai congiunti per morte del parente,
definisce la responsabilità dellautore dellillecito, una
"responsabilità oggettiva per pura causalità".
Il danno in questione rientra nella disciplina dellart. 2059 c.c., poiché deriva da
un fatto reato, a prescindere dalla colpevolezza dellautore medesimo. In
virtu di tale principio si garantisce la tutela costituzionale del bene-salute.
Il danno biologico da morte del parente, secondo la Corte, assorbe il danno morale
soggettivo, costituito dal patema danimo o sofferenza "transeunte".
Riporto le parole testuali di questo passaggio, che hanno messo in serio pericolo il
principio di autonomia del danno biologico, rispetto alle altre voci di danno: " Il
danno alla salute è qui il momento terminale di un processo patogeno originato dal
medesimo turbamento dellequilibrio psichico ", costituito dal danno morale
soggettivo.
La Corte di Cassazione ha in buona parte recepito i principi espressi nella sentenza n°
184/86, relativamente alla tutelabilità del danno biologico, ex artt. 32 Cost, e 2043
c.c., in quanto danno ingiusto ( Cass. Sez. III 11164/90 ).
I giudici di legittimità hanno consolidato negli ultimi decenni laccezione ampia
del termine salute, comprendente tutte le " funzioni naturali afferenti al
soggetto" nel suo ambiente e aventi " rilevanza non solo economica ma anche
biologica, sociale, culturale ed estetica" ( Cass. Sez. Lav. 7101/90 ).
La Giurisprudenza e la stessa dottrina, in virtu di un lavorìo incessante, hanno
enucleato il " genus " del danno biologico, nelle sue piu significative
sfaccettature.
Rientrano nel concetto di danno biologico le seguenti figure: il danno alla vita di
relazione, il danno estetico, il danno psichico, il danno alla sfera sessuale, il danno
derivante da perdita di chance lavorative, il danno da riduzione della capacità di
concorrere, il danno alla capacità di produrre reddito in astratto, il danno
esistenziale, il danno edonistico etc
Il danno alla vita di relazione: sulla scorta delle fondamentali
sentenze della Corte Costituzionale, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la
menomazione della integrità psicofisica incide negativamente sulla realizzazione della
personalità dellindividuo, non solo nelle attività strettamente lavorative,
economiche, ma anche nelle "attività sociali e ricreative " ( Cass. Sez. III
8287/96 ), che lo pongono in relazione con terzi (Cass. Sez. IV 3564/96).
Il tempo e le ore che lindividuo utilizza per scopi extralavorativi acquistano un
loro valore, in termini di rinuncia alle ore lavorative retribuite.
Lindividuo deve " programmare "o, meglio, fare una scelta del tempo da
utilizzare per condurre quella vita di relazione che lo appaghi.
La dottrina, a tal proposito, in riferimento alla scelta del tempo e delle relative
utilità " scarse " a disposizione del soggetto, ritiene che anchessi
abbiano un valore, un prezzo dato dagli stessi individui nel mometo in cui rinunciano alle
ore lavorative; il meccanismo in questione può definirsi dei costi-opportunità.
Poiché le attività sociali e ricreative non sono caratterizzate da una funzione
economico-retributiva, ma integratrice della personalità, una loro eventuale lesione per
fatto illecito, non rientrerebbe nella categoria del danno patrimoniale, ma del danno
biologico, nella sua accezione dinamica.
Infatti, nellambito del danno biologico, il danno alla vita di relazione si
distingue dalle manifestazioni statiche della lesione alla salute.
La menomazione della integrità psicofisica in sé e per sé considerata, costituisce
laspetto statico del danno alla salute, perché incide direttamente
sullaspetto medico-legale della lesione ( per es. rottura di un arto ).
Laspetto dinamico, invece, pur conseguendo dalla medesima causa, va ad incidere
sulla realizzazione della personalità " in movimento " dellindividuo.
Sulla base di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale n° 372/94, nel primo caso (
aspetto statico ), il danno ( rectius la prova del danno ) alla salute è in re ipsa nella
prova della lesione medesima; in tal caso il danno biologico "è presunto".
Il danno, nel suo aspetto dinamico, invece, deve essere provato, senza poter ricorrere a
presunzioni, poiché non è così "scontato" che la lesione psicofisica, possa
avere arrecato un danno alla sfera sociale e ricreativa del soggetto.
E chiaro che ai fini del risarcimento, in ambedue i casi, valgono le regole di cui
agli artt. 2056,1223,1226 c.c.
Il danno alla vita di relazione rappresenta una " necessaria componente del danno
biologico " ( Cass. Sez. III 4909/96 ), e deve essere risarcito a tale titolo ( Cass.
Sez. III 9170/94 ).
Unaltra manifestazione del danno biologico è il danno estetico.
Lesempio classico è lo sfregio arrecato al viso. Il tipo di lesione in esame dà
luogo sicuramente al danno biologico, secondo la comune esperienza.
Lalterazione morfologica del viso viene ad incidere sul modo di essere della
persona, sulla sua attività relazionale con il mondo esterno ( Cass. Sez. III 755/95 ).
Può comportare serie e rilevanti limitazioni nella realizzazione della sua personalità (
art. 2 Cost. ).
Unaltra ipotesi affrontata dalla giurisprudenza è la perdita totale della
capigliatura che, sulla base degli schemi suindicati, va considerata quale forma di danno
estetico.
Dalla lesione possono derivare danni patrimoniali ( diminuzione della capacità reddituale
in concreto ), danni morali ( ex art. 2059 c.c. ).
Non bisogna trascurare unaltra significativa forma di danno
biologico, costituito dal danno psichico, che si differenzia dal danno morale, come sopra
specificato ( Cass. Sez. III 6607/86 ).
Esso consiste in quelle menomazioni o alterazioni dellequilibrio psichico del
soggetto ( es. ansia depressiva, insonnia, etc
).
Secondo buona parte della giurisprudenza, il danno psichico, affinché possa essere
inquadrato nellambito del danno biologico, deve sfociare in una forma patologica, da
accertare mediante la consulenza medico-legale.
Nella realtà, pertanto, lindividuazione e laccertamento del danno psichico
presenta maggiori difficoltà, rispetto alla menomazione fisica.
Il quadro probatorio si complica qualora il soggetto danneggiato soffra di pregresse
patologie psichiche che lo rendano particolarmente vulnerabile al verificarsi di
determinati fatti illeciti.
Il danno biologico può manifestarsi quale danno alla capacità
lavorativa generica, a prescindere, cioè, dalla titolarità di un reddito.
La giurisprudenza ( Cass. Sez. III 1198/96 ) lo definisce una lesione " alla
potenziale attitudine del soggetto allattività lavorativa, indipendentemente dalla
produzione di un reddito "
Il danno biologico, limitando o escludendo tale attitudine, incide direttamente sul
"valore persona" e sulle sue possibilità di realizzazione.
La giurisprudenza ha approfondito altri aspetti del danno biologico, quali la perdita di chance lavorative, la maggior fatica nel lavoro, la riduzione della capacità di concorrenza ( Cass. Sez. 755/95 ), linfermità determinata dallattività lavorativa usurante ( Cass. Sez. Lav. 2455/00 ).
La valorizzazione del bene-persona nella elaborazione dottrinaria
e giurisprudenziale ha incluso anche la tutela della sfera sessuale degli individui.
La tutela giuridica della persona è funzionale alla garanzia dei "diritti primari
"inerenti alla persona umana e tra essi " va compreso il diritto di ciascun
coniuge ai rapporti sessuali con laltro, avente quale contenuto un aspetto dello
svolgimento della persona di ciascun coniuge nellambito della famiglia"( Cass.
Sez. III 4671/96 ).
La giurisprudenza afferma che la lesione alla sfera sessuale del coniuge causa una
altrettanto lesione del diritto dellaltro coniuge alla medesima sfera.
Il diritto-dovere ai rapporti sessuali, ineriscono al rapporto di coniugio ( Cass. Sez.
III 6607/86 ).
Queste riflessioni ci offrono lopportunità di introdurre una
importante figura del danno biologico denominata danno esistenziale.
La giurisprudenza di legittimità ( da ultima Cass. Sez. I 7713/00 ), in coerenza con i
principi stabiliti dalla Corte Costituzionale ( 184/86 ), riconosce la tutelabilità
secondo il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., di tutti i diritti che
sostanziano la persona.
Sulla base di una lettura costituzionalmente orientata delle norme giuridiche,
lindividuo è tutelato ogni qual volta subisce una " lesione in sé " dei
propri diritti fondamentali, a prescindere dalle ricadute in senso economico e/o morale.
La sentenza della Cassazione n° 7713/00 ha stabilito che il ritardato pagamento degli
assegni di mantenimento nei confronti del figlio minorenne da parte del padre naturale
concretizza una " lesione in sé " dei diritti del minorenne, cioè
"inerenti alla qualità di figlio e di minore ".
La giurisprudenza di merito ha sviluppato negli anni il concetto di
danno esistenziale, in riferimento allo status concreto della persona.
La giurisprudenza stabilisce che il decesso di un congiunto per fatto illecito, legittima
i parenti, che abbiano avuto uno stretto legame ( convivenza ) con il de cuius, a
richiedere e ottenere il risarcimento del danno ( c.d edonistico ), iure proprio ( Trib.
Firenze 451/00 ).
La morte per fatto illecito, infatti, causa anche la perdita di quello status di
parentela, di coniugio o di filiazione, costituito da una serie di rapporti morali,
giuridici, diritti, doveri che afferiscono direttamente alla persona.
La Corte di merito suindicata, parla della privazione " di quella stabilità di
situazioni che compongono lo status parentale ".
La giurisprudenza considera il danno edonistico una espressione del danno esistenziale
nellambito del danno biologico.
In relazione ai meccanismi risarcitori del danno biologico, la
giurisprudenza è concorde nellammettere il criterio della valutazione equitativa
che,di per sé, non esclude lapplicazione di altri criteri, quali il punto tabellare
( v. metodo milanese ).
Il metodo milanese è il piu seguito negli Uffici giudiziari, che hanno provveduto a
dotarsi, nel proprio ambito, di apposite tabelle, con lo scopo di razionalizzare ed
omogeneizzare la fase della liquidazione dei danni.
Tale metodo si base essenzialmente su due principi: il principio progressivo in base al
quale il valore monetario del singolo punto di invalidità aumenta con laumentare
dellinvalidità permanente complessiva; e il principio regressivo, in base al quale,
invece, il valore decresce con il crescere delletà dellindividuo leso.
In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ( Cass. Sez. III 6873/00 ) ammette che non
vi è contrasto tra la valutazione equitativa del danno e i "metodi
standardizzati", purchè questi ultimi siano criteri flessibili e siano adeguati al
caso concreto.
Infatti, il Giudice, nel riferirsi ai metodi tabellari, dovrà successivamente adeguare la
somma stabilita al caso concreto, tenedo conto "dellattività espletata, delle
condizioni sociali e familiari del danneggiato.
Qualora il Giudice decidesse di discostarsi dai criteri o modelli tabellari in uso, presso
lUfficio di appartenenza, dovrà motivare esplicitamente ladozione dei
"criteri e metodi diversi", in forza del potere discrezionale affidatogli dagli
artt. 2056 e 1226 c.c.
Senorbì-Cagliari, lì 25/07/00 Avv. Bruno Sechi avv.brunosechi@tiscalinet.it