È stata riportata da
diverse Agenzie di Stampa la sentenza 30150 della III sezione penale della Cassazione; con
tale sentenza la Corte ha assolto un dipendente ospedaliero ed il parente di un ex
ricoverato dall'accusa di violazione di segreto d'ufficio in quanto il dipendente aveva
rilasciato al familiare del ricoverato la copia della cartella clinica della degenza senza
il preventivo consenso dell'interessato.
La Cassazione ha infatti affermato che "non ricorrono gli estremi di questo
reato" [violazione di segreto d'ufficio].
Infatti afferma la Cassazione che "la cartella clinica pur essendo atto attinente a
notizie riservate, non costituisce documentazione relativa a notizie d'ufficio
segrete...".
È però da sottolineare che la sentenza, pur assolvendo gli imputati, ha tuttavia
ribadito la natura riservata di tale documentazione. È stata sottolineato che appunto
"non ricorrono gli estremi di questo reato", ma non ha affermato la liceità di
tale comportamento.
Sembrerebbe quindi che la Cassazione abbia voluto ben specificare che l'assoluzione
riguardasse specificatamente gli estremi del reato di violazione di segreto d'ufficio, ma
non sia esclusa la possibilità che tale comportamento configuri altri eventuali reati.
Le informazioni della cartella clinica ("riservate", ha sottolineato la Corte)
sono protette infatti da altre normative, come la legge sulla privacy, per cui è da
ritenersi probabile che, nel caso l'accusa fosse stata basata su tale violazione, la
decisione della Corte sarebbe potuta essere diversa.
È importante che il medico, senza fraintendere la portata della sentenza di Cassazione,
continui a proteggere la riservatezza dei dati contenuti nelle cartelle cliniche, perchè
la legge sulla privacy prevede gravi sanzioni penali, oltre alle sanzioni che
scatterebbero eventualmente in sede civile.
Daniele Zamperini