Un aspetto che condiziona pesantemente il tipo di terapia necessaria
e’ la presenza o meno di ceppi batterici resistenti ai comuni antibiotici:
E’ stato riscontrato con una certa sorpresa come in Italia il tasso di
tali ceppi resistenti sia molto inferiore a quello degli altri Paesi:
i ceppi di pneumococco resistenti alla penicillina, in Italia, si
aggirano appena sull’ 1-2% contro il 40% della Francia, il 42% della Spagna.
I Paesi scandinavi la Germania la Gran Bretagna e l'Olanda hanno percentuali
di resistenze intorno al 10%, in alcuni paesi (Ungheria) hanno superato
il 50% del totale. Per quanto riguarda l’ Haemophilus, gli ultimi dati
indicano un tasso di resistenza intorno al 4% per l’ Italia contro il 21%
della Francia e il 26% della Spagna.
Questo dato unito agli altri potrebbe far pensare come la terapia antibiotica
effettuata in Italia con antibiotici iniettivi o con antibiotici orali
a dosaggi notevolmente superiori a quelli raccomandati nei Paesi anglosassoni
e nordici abbia effettivamente la capacita’ di eradicare i ceppi batterici
responsabili delle infezioni senza consentir loro la produzione di ceppi
resistenti all'antibiotico. Viene rivalutato, con onore, l’insegnamento
dei vecchi Grandi Clinici italiani. All’apparente spreco economico conseguente
a questa politica terapeutica sembra che si riscontri, a distanza, un beneficio
di piu’ ampio raggio.
Sembra quindi possibile che il modello “italiano” di antibioticoterapia
ad alte dosi e con antibiotici potenti possa costituire il
futuro modello per i sistemi sanitari esteri e non il contrario.
Dai dati sopra esposti emerge con evidenza, infatti, qualora non ci
si voglia limitare a un esame gretto e limitato del costo del singolo episodio,
che lasciare al medico del territorio la possibilita’ di intervento per
patologie anche gravi costituisce un successo dal punto di vista dell’economia
sanitaria generale. Si riduce (come in effetti si riscontra) il tasso di
ospedalizzazione, si favorisce la mobilizzazione precoce e si evitano le
sindromi ipocinetiche da allettamento con tutte le sequele negative;
si evita che persone immunocompromesse vengano a contatto con ceppi batterici
ospedalieri, particolarmente virulenti.
Il medico puo’ agire in tal modo, pero’, solo se sufficientemente motivato
e psicologicamente rassicurato: e’ necessario che possa usare con tranquillita’
e larghezza le armi di cui dispone, sicuro di praticare della “buona medicina”.
Togliere o limitare la disponibilita’ di armi efficaci al MdF induce demotivazioni
e preoccupazioni di tipo legale e deontologico, spingendolo ad accertamenti
superflui (come in Germania) o a ricoveri impropri (come in Inghilterra).
Il punto fondamentale e’ costituito dalla necessita’ di effettuare
una diagnosi ed una valutazione precisa della gravita’ dell’ infezione
in atto, con una conseguente scelta accorta sia dell’ antibiotico che della
via di somministrazione. Le infezioni piu’ banali possono non necessitare
affatto di terapia antibiotica; gli antibiotici delle ultime generazioni
vanno poi riservati ai casi effettivamente gravi.
Questo ottimizzazione delle risorse e’ ottenibile mediante la formazione
e l’ aggiornamento continuo (previsto dalle normative ma non ancora attuato)
del MdF. Ogni diversa soluzione rischia di rivelarsi un pericoloso boomerang.
La “cattiva medicina” e’ quindi costituita essenzialmente dall’uso
incongruo (“inadeguato ed eccessivo in rapporto al caso clinico”) del farmaco
e non semplicemente dall’ uso (in se’ e per se’ piu’ che lecito) di antibiotici
iniettivi.
E’ importante per il medico non cedere supinamente alle lusinghe pubblicitarie
delle ditte produttrici finendo per usare di routine antibiotici molto
potenti, molto costosi, spesso eccessivi per la patologia in cui vengono
usati.
E’ auspicabile percio’ che, al contrario della tendenza finora seguita, ci si decida a ritrasferire dall’ Ospedale al territorio la maggior quota di assistenza sanitaria. Inoltre sarebbe utile reintrodurre sul territorio anche gli altri antibiotici per ora riservati ad uso ospedaliero, magari con un monitoraggio costante del loro uso: e’ frequente il caso che un antibiogramma evidenzi la stretta necessita’ dell’ uso di uno di tali antibiotici che pero’, essendo inibiti al MdF, obbligano ad un ricovero non indispensabile con tutti i costi che ne conseguono (sempre molto maggiori del risparmio preventivato). E’ da tener presente che il costo di una giornata ospedaliera era stata calcolata gia’ nel ’93 a oltre 600.000 lire al giorno, cifra che non viene neanche sfiorata pure con un ciclo completo del piu’ costoso degli antibiotici.
Fonti, oltre quelle citate nel testo:
- “ Qualita’ delle cure e contenimento dei costi nella
gestione delle malattie infettive”, Agora’, Business International, SIMG,
1998)
- ISTAT
- Office of National Statistic, G.B.
(Daniele Zamperini: Avvenire Medico giugno 1999)