Novembre
2000

"PILLOLE"
DI MEDICINA TELEMATICA
Periodico di aggiornamento e varie attualita'

Patrocinate
da
- SIMG-Roma
 
-A.S.M.L.U.C.

  A cura di:  Daniele Zamperini dzamperini@bigfoot.com , Amedeo Schipani mc4730@mclink.it
Iscrizione libera e gratuita dietro semplice richiesta. L' archivio dei numeri precedenti e' consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm (Visitate anche le altre pagine, sono ricche di informazioni!)
I contenuti di questa e delle altre pagine sono di libero uso purche', per correttezza, se ne citi la provenienza.


INDICE GENERALE

  PILLOLE

 

MINIPILLOLE

 

NEWS

 

APPROFONDIMENTI

 

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica


Pillole di buonumore (oggi citazioni da "Ho la Vagina Pectoris" ed. Stampalternativa)
Le malattie strane 1

Ho la Vagina Pectoris"
Mio marito ha avuto l' ictus cereale...
Ho l' orso poroso! (osteoporosi)
Ho una colica perpendicolare! (appendicolare)      (continua....)


PILLOLE

Gli inibitori della cox2 sono utili contro il cancro prostatico?

Sono stati recentemente evidenziati effetti positivi deli inibitori della COX2 su alcuni tipi di tumore, come quello colorettale. Gli studi ora si spostano su altre forme neoplastiche, come quelle prostatiche.
Sono stati recentemente presentati due lavori su questo argomento:

1) I medici dall' ospedale di Hammersmith a Londra, ad esempio, (Health-Media Net 2000, 22/9/00) sostengono che le comuni compresse di aspirina potrebbero contribuire a salvare la vita di migliaia di uomini con il cancro della prostata.
Il cancro della prostata è ogni anno responsabile della morte oltre di 10.000 uomini ed è la seconda piu' comune causa di morte per cancro negli uomini nell' emisfero occidentale. Sono calcolati nell' 80% gli ultraottantenni affetti dalla malattia.
Gli studi epidemiologici mostrano un' associazione fra l' alimentazione ricca di grasso, soprattutto di origine animale, icolare, e l' incidenza della malattia. Tali grassi sono in relazione, mediante una via metabolica che coinvolge le ciclossigenasi I e II, con lo stimolo degli degli acidi grassi n-6 polinsaturi (PUFAs) sulla ghiandola prostatica.
I farmaci antinfiammatori non-steroidei (FANS), quale l' aspirina, inibiscono le COX; il loro uso normale puo' portare una diminuzione dimostrata del 40 - 50 per cento nel rischio relativo di cancri quali il carcinoma colorettale ed ora, a quanto sembra, del cancro della prostata.
I ricercatori precisano pero' che " l' aspirina, tuttavia, non è una cura per il cancro della prostata e non raccomandiamo i pazienti di prendere il farmaco a questo fine " pur suggerendo di approfondire l' argomento mediante lo studio di farmaci che inibiscano specificamente la produzione di COX-II.

2) A queste affermazioni fa subito eco un lavoro sperimentale pubblicato su J.Urol 2000;164:820-825.

Gia' alcuni studi "in vitro" avevano fatto ipotizzare una azione anti-angiogenetica tumorale di questi famaci; in questo studio e' stato studiato un inibitore selettivo della cicloossigenasi II (COX2) avente sigla NS398. Questo farmaco ha dimostrato avere un effetto soppressivo sullo sviluppo di cellule cancerose prostatiche.
I ricercatori (Dott. Xin Hua Liu e coll) hanno studiato l' attività di NS398 contro la linea umana androgeno-indipendente delle cellule del cancro della prostata PC-3 in vitro ed nel topo.
In vitro il farmaco ha provocato, in misura dose-dipendente, apoptosi diffusa delle cellule tumorali. In vivo ha prodotto una inibizione continua dello sviluppo tumorale e la remissione completa dei tumori in tre di 14 topi.
E' stato osservato che i tumori trattati con NS398 mostravano una significativa diminuzione dell' angiogenesi tumorale, con una importante riduzione dei livelli del " vascular endothelial growth factor" (VEGF) tumorale dopo 9 settimane successive del trattamento.
L' inibitore della COX2 agirebbe percio', secondo gli autori, con una combinazione di meccanismo diretto (induzione di apoptosi delle cellule del tumore) e indiretto (riduzione del fattore di angiogenesi tumorale).
Questi dati, secondo gli autori, forniscono una spiegazione razionale per l' uso degli inibitori della seconda generazione COX-2 attualmente disponibili come agenti chemioterapeutici sicuri ed efficaci per il trattamento del cancro della prostata.
Daniele Zamperini

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Il cancro è anche una questione di povertà

E’ stato recentemente pubblicato il rapporto "EuroCare 2" ove sono analizzati oltre un milione e 300.000 casi di tumore verificatisi in 17 paesi europei tra il 1985 e il 1989. Tra i dati importanti messi in luce da tale rapporto si evidenzia come la sopravvivenza dei malati europei e’ aumentata per quasi tutte le neoplasie. A cinque anni dalla diagnosi si muore meno per i tumori del colon retto (oltre il 10% di aumento di sopravvivenza) della mammella, del testicolo, per il melanoma e per il linfoma di Hodgkin.
Recentemente si e’ registrato un miglioramento della sopravvivenza anche per i malati del tumore alla prostata, anche se per valori inferiori. Non e’ sicuro se tale miglioramento derivi dalla possibilita’ di una diagnosi piu’ precoce mediante dosaggio di PSA o da altri fattori non ancora valutati.
Si e’ osservato tuttavia come la sopravvivenza dei malati di tumore sia abbastanza legata anche alla ricchezza e alla organizzazione sanitaria locale. Si e’ osservata una correlazione positiva per cui i paesi piu’ ricchi e che spendevano di piu’ per il Sistema Sanitario potevano vantare una sopravvivenza maggiore di quelli che invece impiegavano meno risorse nella difesa della salute dei cittadini: la Svizzera ad esempio vantava percentuali di sopravvivenza maggiori rispetto all’Italia avendo una differenza di circa il 25% di spesa sanitaria in piu' pro capite.
Si e' rilevato pure un aumento dei tumori geriatrici, sia in numero assoluto di casi che in percentuale. Cio’ deriva sia dalla maggiore sopravvivenza e dalla maggior lunghezza di vita ma anche da un conseguente aumento di probabilita' di ammalarsi di tumore.
In tutto il Continente si e' osservato che le donne resistono ai tumori meglio degli uomini e vantano una sopravvivenza maggiore. Sono state offerte diverse spiegazioni: le donne sono piu’ assidue nei controlli rivolti a individuare il cancro nelle fasi precoci (pap test o mammografia) inoltre soffrono di meno di malattie concomitanti e non di rado hanno tumori meno aggressivi, ma c’e’ anche chi sostiene che potrebbero essere per natura piu’ resistenti e dotate di difese immunitarie efficienti.

I dati di Eurocare 2 in conclusione possono fornire utile materiale di riflessione nella programmazione delle risorse destinate al S.S.N.
(Daniele Zamperini. Fonte: A. Codignola, "Il Policlinico" n. 11 Giugno 2000)

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Nuova tecnica radioterapica intraoperatoria

I radioterapisti si sono sempre trovati di fronte al grosso problema che, per irradiare efficacemente una neoplasia situata in profondita’, sono costretti ad irradiare notevolmente anche i tessuti sani circostanti, con effetti non sempre piacevoli. Il problema appare particolarmente delicato allorche’ si tratti di tumori cerebrali in quanto ad essere irradiato viene a essere il tessuto cerebrale sano, assai delicato e sensibile alle radiazioni. Gli effetti negativi erano sempre piuttosto importanti.

Allo scopo di ovviare a questi problemi e’ stato progettato il PRS (Photon Radiosurgery System), una sonda a raggi X sperimentata prima a Boston e attualmente usata anche in Europa e in Italia. Il PRS, a differenza della classica strumentazione a raggi X molto ingombrante e problematica, e’ una sorgente di radiazioni versatile, di peso poco superiore al Kg., facilmente sterilizzabile e attiva in sala operatoria. Esso emette raggi X dalla punta di una sonda di appena 3 mm. di diametro della lunghezza di 10 cm. ed e’ in grado di irradiare con la massima intensita’ nel raggio di appena due cm. Le irradiazioni intraoperatorie effettuate con questo macchinario permette di utilizzare dosi molto piu’ elevate di quelle normalmente usate in quanto si va ad irradiare direttamente il tessuto malato risparmiando il tessuto sano circostante. Viene ridotto il tempo di trattamento, gli effetti collaterali e si migliora la qualita’ della vita del paziente. E’ possibile anche effettuare una simulazione precedente l’intervento terapeutico mediante un approccio con una TAC o con un BOLD (Blood Oxigen Level Dependent contrast), metodica per immagini tridimensionali che, individuato il bersaglio, emula l’irradiazione da effettuare in sala operatoria.

I neurochirurghi per ora usano tale tecnica soprattutto in fase postoperatoria: asportato il tumore la sonda a raggi X irradia localmente per un periodo variabile da 5 a 45 minuti i bersagli individuati nella preparazione al trattamento. I risultati sono finora incoraggianti; la sonda puo’ essere usata anche in ambito pediatrico e non si esclude che tale metodica possa essere estesa ad altri tumori corporei. Si prevede che la radioterapia intraoperatoria con macchinari di questo genere possa sostituire in un futuro, con una singola seduta un intero ciclo di radioterapia.

(D.Zamperini. Fonte: M.Guiotto, "Le Scienze", Settembre 2000)

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L’urinocoltura rende inutile la visita ginecologica annuale nelle adolescenti sessualmente attive? Opinioni a confronto. 1) Sì: Raccomandare la visita annuale non è evidence-based.

Mary-Ann Shafer, Department of Pediatrics University of California, San Francisco, School of Medicine San Francisco, CA 94143-0503

Negli Stati Uniti due adolescenti su tre hanno avuto rapporti sessuali all’età di 19 anni, e la maggior parte usa i profilattici in modo incoerente, mettendo se stesse a rischio di infezioni sessualmente trasmesse e di gravidanze indesiderate. Le frequenze di clamydia e di gonorrea in questo gruppo di età sono sei volte maggiori della media nazionale. La maggior parte di queste infezioni sono asintomatiche, cosicché lo screening diventa una tecnica essenziale per il controllo dell’infezione. L’infezione da papilloma virus umano è l’infezione sessualmente trasmessa più comune in questa popolazione, ed è stata collegata ad un aumento del rischio di sviluppo del carcinoma della cervice.
Sulla base di questo rischio, e della possibilità di indagare per il carcinoma della cervice mediante il PAP test, un certo numero di organizzazioni professionali – quali l’Istituto di Medicina e il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie – raccomandano visite ginecologiche annuali appena una giovane adolescente diventa sessualmente attiva. Tuttavia, a ben pensarci, queste raccomandazioni non sono evidence-based (ossia basate su una solida letteratura scientifica, N. d. R.), ma sono state sviluppate per lo più da comitati di consensus.
Il cancro della cervice è un evento raro tra le adolescenti. Il registro dei tumori in California riporta che ci vorrebbero 500.000 esami ginecologici con PAP test per identificare un carcinoma in questo gruppo di età. Questa bassa frequenza di cancro nelle adolescenti è supportata dalla più recente revisione critica degli strisci nelle adolescenti, in cui non un caso di carcinoma è stato identificato in più di 10.000 strisci ricontrollati. La più ampia casistica di strisci in adolescenti e giovani donne sessualmente attive riportava una bassa frequenza (1.9%) di lesioni intraepiteliali squamose (
Squamous Intraepithelial Lesions = SIL).
La maggior parte dei citopatologi sono oggi d’accordo che la SIL di basso grado rappresenta un’infezione da papillomavirus umano e che l’infezione si risolve entro 24 mesi. Nella maggior parte dei casi, le variazioni citologiche ritornano alla normalità. Quindi, un approccio interventivo aggressivo alla SIL di basso grado, inclusa la colposcopia, non è più largamente accettata.
Se il cancro non è diffuso in questa popolazione, e se una condizione diagnosticata comunemente – la SIL di basso grado – regredisce nella stragrande maggioranza delle pazienti, chiaramente bisogna che noi rivediamo il programma di PAP test annuale. Ci sono costi non quantificabili, ma reali, di modifiche falsamente anormali (“falsi positivi”) negli strisci: le giovani donne possono diventare eccessivamente preoccupate di sviluppare un cancro e possono doversi sottoporre a ripetuti esami non necessari.
Le infezioni sessualmente trasmesse, piuttosto che il cancro cervicale, rappresentano una più immediata minaccia per le adolescenti. Attualmente sono disponibili tests di screening urinari accurati per le infezioni da clamydia e da gonococco, e lo screening per la chlamidia è valido dal punto di vista del rapporto costo-beneficio, rendendo obsolete le visite ginecologiche annuali per le adolescenti sane. Continuando a raccomandare lo screening annuale per le malattie sessualmente trasmesse, ma introducendo in sostituzione le nuove tecniche basate sull’urina, la sfida che abbiamo davanti a noi è quella di stabilire quali giovani donne necessitano di un PAP test, quando dovrebbe iniziare lo screening, e quanto spesso questo dovrebbe essere fatto.

Western Journal of Medicine, 5 Novembre 2000

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L’urinocoltura rende inutile la visita ginecologica annuale nelle adolescenti sessualmente attive? Opinioni a confronto. 1) No: la visita ginecologica continua ad avere un ruolo determinante.
Jessica A. Kahn,
Division of Adolescent Medicine Children's Hospital Medical Center 3333 Burnet Ave Cincinnati, OH 45229

La visita ginecologica è una componente fondamentale dei servizi di ginecologia per le adolescenti sessualmente attive. Coloro che ritengono che la visita ginecologica fatta di routine sia oggi non necessaria, in quanto le infezioni da N. gonorrhoeae e Chlamydia possono essere diagnosticate mediante campioni di urine, perdono di vista diversi aspetti fondamentali per la salute delle giovani donne.
Primo, l’esame dei genitali esterni e quello con lo speculum sono spesso necessari per diagnosticare infezioni asintomatiche trasmesse sessualmente. Le adolescenti spesso non riconoscono segni e sintomi di herpes genitale, condilomi e sifilide, che possono presentarsi come lesioni vulvari, vaginali o cervicali. La trichomoniasi provoca una morbilità importante, ma è spesso asintomatica e richiede un tampone vaginale per la diagnosi. Ci sono dati insufficienti riguardo la qualità dei campioni auto-raccolti nelle adolescenti, e molte adolescenti sono intensamente a disagio nell’auto-inserirsi un tampone. Se queste infezioni non vengono diagnosticate, si perde un’opportunità fondamentale per fornire counseling sulla prevenzione, curare le infezioni e prevenire la trasmissione ai partners sessuali.
Secondo, l’esame con lo speculum è necessario per fare un PAP test. L’infezione da papillomavirus umano (HPV) è molto diffusa tra le adolescenti. Molte adolescenti infettate in giovane età per trasmissione verticale o per abuso sessuale sono a rischio per displasia cervicale, e la prevalenza generale di alterazioni del PAP test nelle adolescenti è elevata quanto nelle donne adulte, ed è probabilmente in aumento. Invece di sospendere lo screening citologico, noi dovremmo sviluppare iniziative di prevenzione primaria e strategie innovative che consentano agli operatori di predire quali adolescenti sono a rischio di sviluppare displasia cervicale progressiva, così da evitare PAP test e colposcopie non necessari.
Terzo, la visita ginecologica offre una valida opportunità per educare le adolescenti riguardo la loro anatomia riproduttiva e per insegnare e rafforzare pratiche di prevenzione in ginecologia che possono prevenire morbilità e mortalità nel corso della vita. I medici di famiglia di fiducia si trovano nella posizione ottimale per fornire questa educazione. Sebbene la visita generi imbarazzo e timore in alcune adolescenti, ciò certamente non giustifica il non eseguire un importante servizio di medicina preventiva. Invece, dovremmo focalizzare l’attenzione su come trasmettere agli operatori sanitari le capacità tecniche e di comunicazione necessarie per eseguire una visita che sia confortevole e riguardosa.
Molte organizzazioni mediche che si dedicano alla salute delle adolescenti e delle donne giovani hanno sviluppato linee guida le quali stabiliscono che le adolescenti sessualmente attive dovrebbero ricevere una visita ginecologica di routine. La raccomandazione di eliminare queste visite manda il pericoloso messaggio che noi non diamo importanza ai servizi di ginecologia per le ragazze adolescenti. Invece, noi dovremmo batterci per i bisogni specifici delle adolescenti nel corrente dibattito sull’allocazione delle risorse per la medicina preventiva.
Western Journal of Medicine, 5 Novembre 2000

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Insufficienza di Evidence-based Medicine nel trattamento dell’ipertensione nei pazienti anziani
Obiettivo. Nel corso degli anni ’90, il Joint National Committee on Detection, Evaluation, and Treatment of High Blood Pressure (Comitato congiunto nazionale per il rilevamento, la valutazione e la terapia dell’ipertensione arteriosa) ha raccomandato una terapia antiipertensiva iniziale con un diuretico tiazidico o un beta-bloccante, sulla base di evidenze provenienti da trials randomizzati e controllati, a meno che non esistesse un’indicazione per un’altra classe di farmaci. Il comitato raccomandava anche i beta-bloccanti nei pazienti ipertesi con storia di infarto miocardio, e gli ACE-inibitori in pazienti con insufficienza cardiaca congestizia.
Il nostro obiettivo è di controllare se le pratiche prescrittive nei pazienti anziani ipertesi sono coerenti con le linee guida evidence-based.
Metodi. Abbiamo esaminato le prescrizioni fatte dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 1995 per 23.748 di 65 o più anni con una nuova diagnosi di ipertensione dal New Jersey Medicaid program e dal Pharmacy Assistance for the Aged and Disabled program. Abbiamo inoltre collegato i dati sull’utilizzo dei farmaci con informazioni su variabili demografiche e condizioni mediche di comorbilità.
Risultati. Durante il periodo dello studio, i calcioantagonisti sono stati i farmaci più comunemente prescritti per l’ipertensione (41%), seguiti da ACE-inibitori (24%), diuretici tiazidici (17%) e beta-bloccanti (10%). L’esclusione dei pazienti con diabete mellito, insufficienza cardiaca congestizia, angina, o storia di infarto miocardico non modificava sostanzialmente questi risultati. In generale, l’utilizzo di un tiazidico come farmaco iniziale è passato dal 22% nel 1991 al 10% nel 1995, mentre l’uso di un calcioantagonista è aumentato dal 28% al 43%, nonostante la pubblicazione in questi anni di studi che dimostrano un effetto benefico dei tiazidici nei pazienti anziani. Solo il 15% dei pazienti ipertesi anziani con storia di infarto miocardico ha ricevuto beta-bloccanti.
Conclusioni. Le pratiche prescrittive per i pazienti anziani ipertesi non sono coerenti con le linee guida evidence-based. Necessitano interventi per incoraggiare pratiche prescrittive guidate dall’evidenza per la terapia dell’ipertensione.
Journal of General Internal Medicine, ottobre 2000

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L’attività fisica previene la vasculopatia periferica? L’esperienza di Framingham
Obiettivo. E’ stato dimostrato che l’attività fisica previene molte patologie e ne cura molte altre. Mentre rappresenta un trattamento efficace per la vasculopatia periferica, nessuno studio ne ha analizzato l’efficacia nel prevenire la vasculopatia periferica.
Metodi. Uomini e donne del Framingham Heart Study sono stati esaminati con cadenza biennale dal 1948 per la presenza di vasculopatia periferica e altre malattie cardiovascolari, così come per i fattori di rischio di malattie cardiovascolari (fumo, peso, livello di colesterolo, pressione arteriosa, intolleranza al glucosio, e ipertrofia ventricolare sinistra). L’attività fisica è stata valutata nel 1956-58 utilizzando l’Indice di Attività Fisica di Framingham precedentemente validato. I soggetti sono stati inquadrati sulla base dei livelli valutati di attività fisica, e quindi raggruppati in quartini. Abbiamo verificato l’incidenza di vasculopatia periferica a 20 anni e a 36 anni di follow-up, aggiustando per i livelli iniziali di fattori di rischio per malattie cardiovascolari e per la presenza di altre malattie cardiovascolari. Abbiamo incluso nello studio 1745 uomini e 2220 donne che all’inizio erano esenti da vasculopatia periferica e malattie cardiovascolari, che hanno risposto alle domande sull’attività fisica e sono sopravvissuti almeno fino al primo follow-up.
Risultati. Fra i soggetti esenti da altre malattie cardiovascolari, l’incidenza di vasculopatia periferica a 30 e a 36 anni di follow-up è stata rispettivamente del 4.3% e del 5.3% negli uomini e del 2.3% e 4.5% nelle donne. Comprendendo coloro che avevano altre malattie cardiovascolari, l’incidenza di vasculopatia periferica a 20 e a 36 anni di follow-up è stata rispettivamente del 6.6% e del 11.1% negli uomini e del 3.9% e 7.9% nelle donne. Sia per gli uomini che per le donne non c’è stata differenza inll’incidenza di vasculopatia periferica tra il quartine meno attivo e ognuno dei tre quartini più attivi. Questa assenza di differenza si è mantenuta sia nelle analisi aggiustate solo per l’età, sia in quelle aggiustate per i fattori di rischio di malattie cardiovascolari. Non c’è stata inoltre alcuna differenza sia che venissero sia che non venissero inclusi pazienti con altre malattie cardiovascolari.
Conclusioni.  L’attività fisica, mentre può essere un efficace trattamento per la vasculopatia periferica, non sembra prevenirla.
Journal of General Internal Medicine, Novembre 2000

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Pillole di buonumore
Malattie strane 2

Ho l' ernia letale (iatale)
Mia figlia ha un' erezione cutanea (eruzione..., eruzione...)
C' ho l' etabeta (diabete) e la glicemilla alta
Mio padre ha il morbo di Pakistan (Parkinson)


MINIPILLOLE

 

Utilità dello spironolattone nell'acne delle donne adulte

Lo spironolattone, antagonista dei recettori androgeni, era gia’ stato studiato in precedenza e giudicato efficace nel trattamento dell’acne nelle donne adulte. Tale trattamento trovava pero’ i suoi limiti negli effetti collaterali riscontrati. Recentemente e’ stato effettuato uno studio (85 donne con acne) con trattamento di spironolattone da 50-100 mg. al giorno assunto in monoterapia o associato ad altri trattamenti. La durata massima del trattamento e’ stato di 24 mesi. Delle pazienti sottoposte al trattamento circa 1/3 ha mostrato un netto miglioramento, 1/3 ha avuto un parziale miglioramento e solo il 7% non ha avuto alcun beneficio. Gli effetti collaterali sono stati poco piu’ del 42%.
Gli autori concludono che lo spironolattone a basso dosaggio puo’ essere usato correttamente e proficuamente nella terapia dell’acne nella donna adulta.
("Journal of the American Accademy of Dermathology" 2000;43:498-502)

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L'allattamento artificiale protegge dal virus HIV

E’ noto che la trasmissione del virus HIV puo’ venire anche attraverso il latte materno. Tuttavia non e’ mai stata studiata l’effettiva incidenza della malattia derivata da tale trasmissione e la sua rilevanza clinica. E’ stato effettuato a Nairobi un trial randomizzato dal 1992 al ’98 in circa 400 madri positive per HIV e in fase di allattamento. Per un gruppo di neonati e’ stato permesso di continuare l’allattamento al seno mentre per gli altri e’ stato istituito un programma a base di latte artificiale. Si e’ riscontrato un significativo aumento di sieropositivita’ per i neonati allattati al seno rispetto a quelli trattati con latte artificiale (36% contro 20% circa). Tra i neonati risultati poi sieropositivi si e’ rilevato che in circa il 44% dei casi il contagio era da ricondurre al contatto con il latte materno infetto effettuato soprattutto entro i primi sei mesi. La mortalita’ a due anni e’ risultata sovrapponibile ma la liberta’ da infezione era molto piu’ lunga nei casi nutriti con latte artificiale.

Gli autori concludono che il programma di allattamento artificiale ha permesso di limitare la diffusione del virus tra i neonati da madre HIV positiva.

(JAMA, 2000; 283:1167-74)

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L'epatite C può essere iatrogena

E’ stata studiata in Egitto la diffusione dell’infezione da virus HCV correlandola con campagne vaccinali e soprattutto con la campagna vaccinale messa in opera in Egitto fino alla meta’ degli anni ’80 contro la schistosomiasi, malattia parassitaria diffusa in tale paese. Sono poi stati valutati oltre 8000 pazienti, prendendo in esame un coefficiente di correlazione tra l’esposizione alla terapia e la probabilità di infezione da HCV. I ricercatori americani hanno riscontrato una forte associazione tra queste due variabili per 4 zone geografiche del paese, soprattutto per la popolazione meno giovane, in correlazione con l' epoca di effettuazione delle campagne vaccinali.

Gli autori concludono percio’ che in Egitto esiste un ampio numero di portatori di HCV in esito a una trasmissione iatrogena del virus su scala nazionale.
(Lancet 2000;355:887-91)

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La terapia con interferone migliora il quadro istologico nell'epatite C

E’ stato rilevato in diversi studi tendenti a valutare la variazione dei parametri istologici nel caso di pazienti con epatite C, un miglioramento di detti parametri in corso di fibrosi epatica trattata con interferone. Al fine di valutare la sussistenza di tale meccanismo i ricercatori dell’universita’ di Tokio hanno effettuato uno studio retrospettivo su circa 600 pazienti con epatite cronica C sottoposti a biopsia epatica nel periodo 1987-1997. Un certo numero di questi soggetti (106) erano stati trattati successivamente con interferone. I ricercatori hanno riscontrato, correlando esami bioptici effettuati successivamente al trattamento con quello rilevato in precedenza come esista una correlazione diretta tra il miglioramento dei parametri virologici e la riduzione della fibrosi. Tale miglioramento era sempre piu’ evidente col progredire dei tempi di follow-up.

Gli autori percio’ confermano l’esistenza di una correlazione tra il miglioramento dei parametri virologici conseguenti alla terapia con interferone e il miglioramento progressivo del quadro bioptico epatico in tali pazienti.
(An. Intern. Med. 2000;132:517-2

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Il dosaggio del fattore XI della coagulazione evidenzia un aumentato rischio di trombosi venosa

Da molto tempo si cerca di individuare fattori predittivi che consentano di monitorare attentamente i soggetti affetti da un rischio maggiore di trombosi venosa profonda. Elevato interesse desta il fattore XI in quanto ritenuto costituire valido fattore predittivo. Il fattore XI e’ un componente della via intrinseca della coagulazione. Partecipa alla sintesi della trombina (che a sua volta induce alla formazione di fibrina) e svolge un’azione antifibrinolitica. E’ ben noto come la sindrome emorragica si manifesti allorche’ si verifichi un deficit di questo fattore ma non e’ noto invece l’impatto clinico in caso di valori superiori alla norma. Per questo motivo il dott. Mejers e coll. hanno esaminato i livelli di fattori XI in 474 pazienti arruolati nel Leiden Trombophilia Study, correlando i livelli di fattore XI con l’incidenza degli episodi di trombosi venosa profonda. E’ stato riscontrato come un aumento di questo componente oltre ai valori corrispondenti al 90° percentile aumenta il rischio relativo di insorgenza di trombosi venosa profonda di un fattore 2,2 rispetto ai soggetti con valori normali. Sono stati depurati tutti i fattori concorrenti (sesso, contraccettivi, altre malattie coagulative) ma l’aumento di rischio e’ risultato invariato.

Si conclude quindi che alti livelli di fattore XI arrivano a raddoppiare il rischio di malattia trombotica.

(N.E.J.M. 2000, 342:696-701)

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I nitrati non influiscono sull'eziologia del diabete mellito

Sono stati segnalati da alcuni autori una correlazione positiva in Colorado (USA) e nello Yorkshire (UK) di una correlazione positiva tra esposizione ai nitrati nell’acqua potabile e l’insorgenza del diabete di tipo 1. Gli autori hanno voluto verificare tale correlazione in Sardegna valutando una correlazione lineare tra i nitrati presenti nell'acqua potabile nei vari comuni sardi, rilevata da fonti ufficiali, e l’incidenza di soggetti con diabete di tipo 1. Veniva riscontrata una elevata dispersione dei valori dei nitrati cosi’ come dei soggetti diabetici nei vari comuni sardi esaminati.

Il coefficiente di correlazione non ha mostrato alcuna significativita’ statistica. Hanno inoltre correlato delle aree omogenee per l’incidenza di diabete con le rispettive medie pesate di nitrati nell’acqua potabile. Limitando questo studio a aree altamente rappresentative. Neanche in questa evenienza e’ stata riscontrata alcuna correlazione con le concentrazioni medie pesate di nitrati. In conclusione l’indagine effettuata in Sardegna non ha evidenziato alcuna correlazione significativa tra le concentrazioni di nitrati e l’incidenza di diabete giovanile nell’intera Sardegna. Gli autori si sentono di escludere cosi’ un ruolo dei nitrati nell’eziologia della malattia diabetica in accordo con altre indagine effettuate in altri paesi europei.

(S.A. Montoni e al., GIDM n 1 2000)

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Ritirato il Troglitazone

La Parke-Davis/Warner-Lambert, casa farmaceutica produttrice del Rezulin (troglitazone), ha acconsentito alla richiesta della FDA di ritirare il prodotto dal mercato americano. La FDA ha avanzato tale richiesta successivamente alla valutazione dei dati emersi dal confronto tra Rezulin e altri due farmaci: Avandia (rosiglitazone) e Actos (pioglitazone). Entrambe queste molecole come il troglitazone sono indicate nel trattamento del diabete di tipo 2. Il troglitazone rispetto alle altre due molecole ha mostrato la stessa efficacia ma una maggiore tossicita' epatica tale da sconsigliarne seriamente l'uso. Gia' in passato in seguito al verificarsi di gravi episodi di epatotossicita', la Parke-Davis aveva dovuto aggiungere delle annotazioni alla scheda tecnica del Rezulin e inoltre l' uso era stato raccomandato solo nei pazienti che non rispondevano a nessun' altra terapia. Avandia e Actos costituiscono una valida alternativa terapeutica al Rezulin nei soggetti con diabete di tipo 2.

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Il ministero mette in guardia dall'associazione tra FANS e SSRI

La serotonina o 5HT e’ un indolamina diffusa nell’organismo di cui non si conoscono ancora bene tutte le funzioni. E’ stato studiato il suo ruolo di neurotrasmettitore sinaptico ed e’ noto che le piastrine immagazzinano la 5HT che si libera dalle cellule cromaffini intestinali. Questa diffusione fa si' che gli inibitori della ricaptazione della 5HT cosi' come gli inibitori non selettivi, tutti largamente utilizzati in clinica come antidepressivi, possono ridurre il contenuto di HT nelle piastrine. Non sono ben note le conseguenze che queste alterazioni portino nell’individuo sano: alcuni studi effettuati finora non avrebbe messo in rilievo alterazioni del processo di aggregazioni ne’ avrebbero presentato un’alta frequenza di sanguinamenti nei vari distretti cutanei. Una ricerca presentata sul B.M.J. avrebbe evidenziato, mediante un confronto di oltre 1600 pazienti con sanguinamento gastrointestinale e un gruppo di 10.000 soggetti di controllo scelti a caso, che i soggetti che facevano uso di SSRI erano di tre volte superiori nel gruppo dei pazienti con sanguinamento rispetto al gruppo di controllo. Sono stati presi in esame in modo particolare i trattamenti contemporanei con altri farmaci potenzialmente gastrolesivi come corticosteroidi, FANS e aspirina a dose antiaggregante. Il calcolo del rischio aggiuntivo connesso con l’uso dei farmaci ha dimostrato chiaramente come la contemporaneita’ dei due trattamenti aumenti molto il rischio emorragico rispetto ai singoli trattamenti: il rischio relativo sale da valori di 3,7 ( FANS da soli) e 2,6 (SSRI da soli) a quello di 15,6.

In definitiva, benche' questa ricerca necessiti di ulteriori controlli, si puo’ concludere che il trattamento con soli SSRI comporta modesti aumenti di rischio, tuttavia importante e’ porre attenzione all’associazione di questi farmaci con FANS o con altri farmaci potenzialmente emorragici o inibitori delle piastrine.

(fonte "Ministero della Sanita’", Giofil , De Abajo, B.M.J. e al. 1999;319:1106-9).

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Un nuovo approccio contro l'HIV

E’ stato recentemente individuato uno dei meccanismi per cui alcuni soggetti risultano immuni dall’attacco dell’HIV: infatti e’ stato documentato come il virus HIV penetri nelle cellule bersaglio tramite una proteina chiamata CC-R5 e che agganciatasi a un recettore CD4 permette l’aggancio e la penetrazione nella cellula. Si e’ scoperto che le persone che nascono per un difetto genetico prive della molecola CC-R5 o che comunque producono anticorpi contro questa molecola sono in effetti immuni all’attacco dell’HIV in quanto questi, privo della proteina che consente l’adesione non puo’ moltiplicarsi nei loro linfociti.

La ricerca si e’ quindi orientata sulla possibilita’ di riprodurre artificialmente questa situazione che rappresenta potenzialmente una efficace il sistema di prevenzione e cura dell’AIDS. Tale sistema avrebbe il vantaggio di funzionare con tutte le varianti del virus in quanto il legame con la CC-R5 e’ indispensabile a tutti i tipi di HIV conosciuti. Alcuni ricercatori (J. Schiller del "National Cancer Institute" di Washington) hanno pensato di indurre una reazione autoimmunitaria mediante uno dei meccanismi naturali riconosciuti per questo evento: e’ stato infatti gia’ documentato come le reazioni autoimmunitarie vengano spesso scatenate da parte di una infezione di un virus che casualmente portasse su di se una proteina simile a una umana; nell’attacco contro il virus il sistema immunitario riclassifica la proteina come estranea e inizia a distruggerla anche nei propri tessuti creando danni sempre piu’ estesi e sintomi della malattia autoimmune. I ricercatori hanno cosi’ creato un falso virus composto dalla capsula proteica del papillomavirus umano che portasse incastonata la proteina CC-R5. Questo "virus artificiale" e’ stato sperimentato sui topi e sulle scimmie; in entrambi i casi gli animali hanno sviluppato una forte reazione immunitaria contro la proteina recettore e, a un controllo in vitro, le cellule con la CC-R5 distrutta dagli anticorpi sono risultate resistenti al virus HIV. Questa malattia autoimmune non sembra aver danneggiato la salute degli animali da esperimento in quanto la proteina CC-R5 non sembra indispensabile al funzionamento del sistema immunitario.

Qualora i successivi esperimenti dimostreranno la resistenza degli organismi trattati con questo sistema all’infezione retrovirale e la sua permanenza nel tempo, scevra da effetti collaterali importanti, e’ possibile che si sia scoperto un nuovo sistema originale ed efficace per la difesa contro questo virus.

( D.Z. da: A. Saragosa "Le Scienze", Settembre 2000).

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Psicologia dei sopravvissuti a neoplasie infantili

Molto ci si preoccupa della sopravvivenza fisica dei soggetti affetti da neoplasia ma inferiori sono gli studi sull’impatto psicologico che tale patologia comporta. Ancora inferiori sono gli studi effettuati sull’argomento in soggetti pediatrici. I lavori effettuati finora presentano risultati contraddittori per cui si e’ effettuato un ulteriore studio presso l’universita’ di Manchester (dott.ssa E. Mackie) che ha esaminato 102 sopravvissuti da leucemia acuta o tumore di Willms in eta’ pediatrica. I soggetti apparentemente erano clinicamente guariti e liberi da recidive da almeno 5 anni. L’indagine e’ stata effettuata in confronto con un campione di controllo di pari numero ed eta’. Non e’ stato evidenziato un aumento nell’incidenza di malattie psichiatriche vere e proprie nel campione dei sopravvissuti, tuttavia sono risultati aumentati in maniera evidente i disturbi della sfera affettiva e sessuale. Tali peggioramenti da tali patologie sono stati evidenziati soprattutto nei soggetti che avessero subito un trattamento chemioterapico in epoca recente.

Gli autori concludono che le neoplasie in eta’ infantile sono causa di disturbi psicologici e relazionali a lungo termine di cui non si conoscono ancora bene gli intimi meccanismi.

(Lancet 2000; 355:1310-14)

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Pillole di buonumore
Gli strani accertamenti

Ho fatto l'esame metereologico vaginale (batteriologico)
Ho fatto il test alla paperina (papaverina)
Ho fatto l' RX alla colonna lombarda (lombare)
Mi hanno fatto la gastrofobia (gastroscopia)


 

NEWS 

 

Nuovo approccio al trattamento del dolore
Sembra finalmente possibile usare le cellule del sistema nervoso per trasportare i medicinali antidolorifici.

Le Scienze, 16.11.2000 -
Chi è riuscito a sintetizzarla la definisce «la prima vera medicina scoperta nel XXI secolo». Si tratta di una nuova struttura molecolare che promette di rivoluzionare la terapia del dolore, consentendo il rilascio di anestetici direttamente nell’area del corpo interessata, in dosi ridotte e con effetti collaterali ridotti al minimo.
L’annuncio è stato dato, nella conferenza della «Society for Neurosciences» che si è recentemente tenuta a New Orleans, dal neurochirurgo Aaron Filler, che ha guidato un gruppo di ricercatori dell’UCLA e della Università di Cambridge. La nuova metodologia sfrutta il trasporto assonale, processo con cui le cellule del sistema nervoso effettuano la trasmissione di proteine e altre componenti molecolari, attraverso l’assone e le terminazioni nervose. A prima vista può non sembrare una gran novità, vista la gran quantità di studi già esistenti sul trasporto assonale, ma questa è la prima volta in cui si sono ottenuti successi nella sperimentazione su modelli animali e in cui l’applicazione clinica sembra davvero realizzabile: i trial sono già stati pianificati e prenderanno il via all’inizio del 2002.
I ricercatori hanno messo a punto una nuova sostanza, dalla struttura molto complessa, basata su un ATF (Axonal Transport Facilitor), che può essere iniettata nel paziente e trasportare l’anestetico, attraverso il sistema nervoso, ai vari tessuti. Attualmente, gli antidolorifici vengono immessi nel flusso sanguigno e, oltre a raggiungere la zona che deve essere trattata, si disperdono in tutto il corpo, con effetti collaterali che vanno dalla nausea alle difficoltà respiratorie.
«Una singola iniezione causa il 50 per cento di riduzione nell’ipersensibilità al dolore che può durare fino a quattro giorni» sostiene Filler. «Per ottenere un effetto analogo con le medicine esistenti occorrerebbe iniettare, in dosi multiple, una quantità di antidolorifico 300 volte maggiore».
Si ipotizza che la nuova tecnologia potrà trovare applicazione in varie patologie in cui la somministrazione di medicinali risulta difficoltosa, infarto e Alzheimer inclusi.
Renato Torlaschi

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Cellule staminali al lavoro
Una ricerca condotta sui topi sembra indicare la capacità di queste cellule di riparare gravi lesioni del midollo spinale

Le Scienze, 16.11.2000 -
Le cellule staminali, cioè quelle cellule ancora indifferenziate caratteristiche degli embrioni ma presenti in piccola quantità anche negli organi adulti, si rivelano sempre più una risorsa estremamente promettente per i medici del futuro. Per qualche motivo ancora non chiarito le cellule staminali inserite nel sistema nervoso sembrano essere irresistibilmente attratte dai punti, come i siti di lesioni o di degenerazione, nei quali c'è più bisogno di loro. Una volta arrivate in loco, queste cellule perdono la loro indifferenziazione e si trasformano in neuroni in grado di sostituire quelli distrutti o danneggiati.
Per questo motivo le cellule staminali sono quindi oggetto di attiva ricerca per il trattamento di malattie come il morbo di Parkinson, gli ictus e persino i tumori cerebrali. Ma il loro campo d'azione potrebbe essere ancora più vasto, andando al di là delle lesioni del cervello. Questo è almeno quanto si ricava da una ricerca effettuata al John Hopkins Institute di Baltimora.
Qui gli sperimentatori hanno iniettato cellule staminali provenienti da embrioni di topo nel midollo spinale di topi adulti resi paralitici da un virus - chiamato Sindbis - che attacca le cellule nervose motorie. La metà dei topi trattati con le cellule staminali ha mostrato segni di miglioramento, fino a riuscire di nuovo ad alzare e appoggiare al suolo le zampe.
Nonostante le cellule staminali fossero state iniettate alla base della spina dorsale, esse sono risalite fino ad arrivare al nodo da cui si dipartono i nervi motori destinati alla metà posteriore del corpo e, lì, una percentuale di esse compresa tra il 5 e il 7 per cento si è trasformata in cellule nervose adulte, riparando, almeno in parte, i danni causati dal virus o, secondo altri scienziati, preservando da ulteriori danni e stimolando, le cellule nervose superstiti.
L'uso di cellule staminali per questo scopo potrebbe essere una cura per quelle malattie in cui esiste una degenerazione dei neuroni motori del midollo spinale, come una delle più diffuse malattie neurologiche ereditarie, l'atrofia motoria spinale - che colpisce un neonato su 6000-20.000, portandoli quasi sempre alla morte - o la sclerosi amiotrofica laterale, che causa un deterioramento progressivo dei neuroni motori. I sintomi di queste sindromi sono simili a quelli causati dal virus Sindbis e i ricercatori del John Hopkins sperano di compiere i primi test con cellule staminali su esseri umani affetti da queste malattie entro due anni.
Alessandro Saragosa

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Le statine posso aiutare a prevenire la demenza

BMJ, 18 Novembre – La classe di farmaci che abbassano il colesterolo conosciuta come statine, già ampiamente utilizzata per prevenire cardiopatia e ictus, può anche ridurre il rischio di malattia di Alzheimer, secondo due nuovi studi.
Nel primo studio, che ha utilizzato i dati di 368 practices (= gruppi di medici riuniti come nella nostra medicina di gruppo, N.d.R.) del Regno Unito, i ricercatori hanno confrontato i dati di 284 pazienti con morbo di Alzheimer e altre demenze con 1080 controlli senza demenza. Essi hanno riscontrato che le persone che stavano assumendo statine avevano circa il 70% di probabilità in meno di avere una demenza rispetto a persone a cui non era stata diagnosticata un’iperlipidemia o che stavano assumendo farmaci ipolipemizzanti diversi (Lancet 2000;356:1627-31). Sembra che le statine facciano ben più che abbassare la concentrazione di colesterolo, in quanto i pazienti che prendevano altri farmaci ipolipemizzanti non avevano una significativa riduzione di demenza rispetto ai pazienti senza colesterolo elevato.
Le statine aumentano la concentrazione di nitrossido-sintetasi endoteliale, consentendo alla microcircolazione di essere più flessibile e di incrementare il flusso sanguigno. “Sospettiamo, ma non abbiamo prove, che ciò potrebbe essere in parte responsabile per la riduzione del rischio di demenza che abbaimo osservato nel nostro studio” ha detto il dr Drachman.
Questi riscontri sono supportati dai risultati di un altro studio epidemiologico che è apparso nel numero di ottobre di Archives of Neurology (2000;57:1439-43). Anche questo studio, Del dr Benjamin Wolozin e coll., ha dimostrato che le persone che assumono statine hanno un rischio più basso di sviluppare una malattia di Alzheimer.
Gli scienziati ancora non sanno quale meccanismo sia responsabile per questo risultato. A causa del suo disegno l’ultimo studio non può dare una risposta conclusiva. Per esempio, persone più ricche, più colte, che tendono ad avere un rischio di demenza più basso, possono più verosimilmente assumere farmaci che abbassano il colesterolo.
L’unico modo per stabilire in maniera conclusiva quale meccanismo sia in opera, sarebbe di assegnare in modo casuale le persone ad assumere farmaci che abbassano colesterolo o placebo e seguirli nel tempo per vedere chi sviluppa una demenza.
Scott Gottleib
, New York 

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Fumo: gli alibi di chi ha il vizio
Roma, 18 nov. (Adnkronos) - Se smetto, ingrassero'. Oppure, fumare mi rilassa. E, ancora, ormai il danno e' fatto. Questi gli alibi dietro cui si trincerano gli italiani con il vizio, ben 14 milioni, pur di non rinunciare alle sigaretta. Luoghi comuni senza fondamento, sfatati dagli esperti riuniti al convegno sul tabagismo che si e' svolto oggi nella Casa di cura S.Raffaele a Velletri.
Ecco le 5 scuse piu' comuni per non smettere e le risposte degli specialisti che le smontano cosi': 1) Non voglio aumentare di peso. Non e' vero: solo 1 fumatore su 10 ingrassa dopo aver chiuso con le 'bionde' e, in ogni caso, basta aumentare l'attivita' fisica. 2) Il danno ormai e' fatto. Falso: bastano pochi anni di 'astinenza', soprattutto se il fumatore ha meno di 45 anni d'eta', per recuperare i valori normali di funzionalita' respiratoria. Anche il rischio di tumore si attenua dopo qualche anno. 3) Non ho abbastanza forza di volonta'. Smettere e' difficile, e' vero, ma non impossibile: ogni anno ci riescono milioni di persone e nel nostro Paese sono 9 milioni i pentiti della sigaretta. 4) Fumare mi rilassa. Cosi' sembra, ma in realta' avviene il contrario: il fumo aumenta la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e il livello di adrenalina nel sangue. 5) Ho gia' provato senza riuscirci. Si puo' smettere anche dopo diversi tentativi andati a vuoto: bisogna volerlo davvero e chiedere l'aiuto di un esperto.

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Ridere fa bene al cuore
Resta ancora da capire il perché di un fenomeno che sembrerebbe confermare un celebre detto popolare
Le Scienze, 20.11.2000 -
Fra i tanti lavori presentati alla 73° sessione scientifica dell'American Heart Association uno sembra confermare un vecchio detto della saggezza popolare: il riso fa buon sangue. Secondo i cardiologi del Centro Medico dell'Università del Maryland, le persone propense all'umorismo e alle risate facili hanno il 40 per cento in meno di possibilità rispetto ai «musoni» di essere soggette ad attacchi cardiaci. Lo studio - condotto da Michael Miller, direttore del Centro di cardiologia preventiva, e dai suoi colleghi - ha esaminato il senso dell'umorismo di 300 persone, metà delle quali sane e con il cuore in buono stato e metà, di età media e stile di vita simile ai primi, che avevano subito un attacco cardiaco. Alle 300 persone sotto esame è stato chiesto di rispondere a due questionari, il primo pensato per misurare la facilità al riso o a risolvere in allegria situazioni fastidiose o imbarazzanti della persona in esame, il secondo per valutare il grado di ostilità e rabbia del soggetto. Esaminando le risposte è stato molto chiaro che le persone soggette ad attacchi cardiachi avevano mediamente un carattere molto meno incline al riso e all'umorismo dei soggetti sani. Viceversa, i primi erano molto più chiusi e ostili e diffidenti verso le altre persone dei secondi. Stabilito che il riso è veramente benefico per la salute del cuore, resta da capire il perché di questa strana associazione. Le ragioni esatte, ovviamente, sono tutt'altro che chiare, ma secondo i cardiologi che hanno condotto lo studio questo effetto positivo può essere compreso se si considerano gli effetti che lo stress ha sull'endotelio, il rivestimento dei vasi sanguigni. Persone soggette a forti stress mentali mostrano un diffuso danneggiamento di questo rivestimento, il che conduce a reazioni infiammatorie nell'interno dei vasi sanguigni, le quali a loro volta conducono all'accumulo di placche che occludono i vasi e alle conseguenti malattie circolatorie. Il riso, e in generale un carattere allegro, è un buon rimedio contro lo stress. Quindi, da oggi, accanto all'eliminazione del fumo, l'attenzione alla dieta e all'esercizio fisico, ricordatevi di fare le vostre quattro risate quotidiane, se volete mantenere il cuore in ordine.
Alessandro Saragosa

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Udito: applicato in Italia orecchio bionico invisibile
Milano, 23 nov. - (Adnkronos) - Un orecchio bionico invisibile, una protesi in cui microfono e processore sono interamente inseriti nella scatola cranica. Messo a punto in Germania dal professor Hans Peter Zenner lo ha applicato, per la prima volta in Italia, il professor Vittorio Colletti oggi presso la Casa di cura La Madonnina di Milano. L'intervento e' stato effettuato su un uomo di 70 anni affetto da indebolimento progressivo dell'udito.
''L'elemento di novita' - spiega Colletti - e' rappresentato dal fatto che tutta la struttura bionica e' contenuta all'interno della scatola cranica, compresi il microfono e il processore che nelle protesi tradizionali sono posti all'esterno. I messaggi sonori che arrivano all'orecchio sono captati dal microfono, che e' posto in prossimita' del timpano, ma sotto la cute del condotto. Questi messaggi vengono elaborati, filtrati e amplificati dal processore, anch'esso posto sotto la cute nella regione mastoidea, e vengono trasmessi alla catena degli ossicini (staffa, incudine e martello)''.

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Traguardo nella terapia delle malattie metaboliche

La novità anche nel fatto che con un organo non trapiantabile si potrebbe intervenire su più pazienti

Le Scienze, 23.11.2000 -
Per trattare malattie metaboliche a carico del fegato, fino a ieri esisteva un’unica terapia: il trapianto d’organo. Oggi, per la prima volta al mondo, grazie al trapianto di cellule epatiche in una giovane donna, a Padova si è inaugurata una nuova tecnica d’intervento per la glicogenosi di tipo IA. «All’origine di una questa malattia metabolica ereditaria - spiega Alberto Burlina della Clinica Pediatriaca - c’è la mancanza di un enzima, la glucosio 6 fosfatasi, che trasforma il glicogeno in glucosio. Non potendo liberare il glucosio immagazzinato, le persone affette da questa malattia possono facilmente andare incontro a ipoglicemia e coma». Per avere una glicemia normale, quindi, devono assolutamente introdurre glucosio ogni due ore. Anche di notte, chiaramente. Per correggere questa anomalia si è pensato di fornire alla paziente, al posto dell’organo, due miliardi di epatociti sani prelevati da un fegato sano non trapiantabile perché danneggiato in seguito a un trauma. La tecnica, è stata messa a punto dall’equipe di Maurizio Muraca, che in seguito a sperimentazione su maiali ha individuato nella vena porta l’ingresso preferenziale per infondere direttamente nel fegato le cellule sane. Bastano infatti dall’1 al 2 per cento di epatociti sani, per correggere questo difetto metabolico. La novità quindi sta anche nel fatto che con un organo, che il chirurgo non può utilizzare per il trapianto, si potrebbe intervenire su più pazienti, purché vi sia compatibilità. Anche in questo caso infatti, esiste il rischio di rigetto. «Ci rendiamo conto - afferma l’equipe medico-chirurgica - di aver abbattuto una barriera e di aver aperto potenzialmente una nuova strada alla terapia delle malattie congenite nel nostro paese». Il primo paziente a beneficiare di questo tipo di terapia nel 1994, negli Stati Uniti, era affetto da ipercolesterolemia familiare. Anche questo traguardo è stato raggiunto grazie alla stretta collaborazione di esperti delle varie discipline: dall’epatologo, al chirurgo, dal rianimatore, al pediatra che da anni segue la paziente. Il futuro è la scommessa di intervenire ad ampio raggio con questa tecnica per curare le molte patologie metaboliche ereditarie a carico del fegato: siamo solo all’inizio, ci vorranno alcuni mesi per valutare il grado di attività degli epatociti trapiantati. Al momento c’è già un dato incoraggiante: da ieri, per la prima notte nella sua vita, la paziente non si è dovuta svegliare per mangiare maltodestrine, cioè glucosio.
Maddalena Guiotto

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Impotenza: rischia il doppio chi ha il vizio del fumo
Venezia, 24 nov. - (Adnkronos) -
Ad ogni boccata, con la sigaretta va in fumo anche la virilita'. A mettere in guardia gli uomini, smantellando lo stereotipo di decenni di film, sono i risultati di uno studio scientifico, il Massachusetts Male Aging Study (Mmas), presentati nell'ambito del convegno ''La disassuefazione dal fumo in prevenzione e terapia'', in corso fino a domani alla Fondazione Giorgio Cini nell'isola di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Sotto la scure della scienza, crolla il mito del seduttore con la sigaretta fra le labbra. La passione per le bionde, infatti, e' uno dei maggiori fattori di rischio per la disfunzione erettile. Non solo: secondo la ricerca, il fumo amplifica notevolmente il rischio di impotenza associato alle malattie cardiovascolari e ai farmaci assunti per curarle.
“Nelle persone tra i 40 e i 70 anni” - spiega il professor Andrea Ledda, responsabile del Centro di ricerche in andrologia del Dipartimento di scienze biomediche dell'Universita' di Chieti – “l'incidenza di impotenza varia tra il 5 e il 15% ed aumenta in caso di malattia cardiaca. Ma diventa addirittura drammatica se a una patologia cardiovascolare si associa il vizio del fumo. Nei soggetti trattati per un problema al cuore la probabilita' di disfunzione erettile e' del 56% tra i fumatori e del 21% tra i non fumatori. Tra i pazienti ipertesi in terapia medica, i fumatori hanno presentato un'incidenza del 20%, mentre i non fumatori un rischio dell'8,5%, sovrapponibile a quello della popolazione normale”.

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Radiazioni e schizofrenia

Secondo i ricercatori il danno cerebrale avverrebbe a livello del DNA mitocondriale

Le Scienze, 24.11.2000 -
Di tutto erano state accusate le radiazioni ionizzanti, tranne che di far diventare pazzi. Bene adesso sappiamo che forse possono fare anche questo. O almeno questo è quanto si ricava dallo studio presentato da Cristoph Schmitz e colleghi dell'Università di Aachen, al 30° incontro della American Society for Neurosciences, tenutosi a New Orleans a metà novembre. Schmitz ha compiuto una ricerca sui topi, esponendo femmine incinte a dosi di raggi X relativamente basse, pari a quelli che si ricevono facendo una decina di radiografie, quando la loro gravidanza era a circa un terzo della durata. I topi nati dalle madri irradiate all'apparenza erano del tutto normali e anche esaminando attentamente il cervello di alcuni di essi non si riscontravano anomalie. Le cellule con il DNA danneggiato dalle radiazioni erano state rimpiazzate o riparate. Ma riesaminando gli stessi topi da adulti, cioè a sei mesi di età, un periodo di sviluppo che nell'uomo corrisponde circa a venti anni, Schimitz ha scoperto evidenti anomalie in una delle parti più importanti dell'encefalo, l'ippocampo, una struttura interna che interviene nei processi di apprendimento e memorizzazione. In particolare l'ippocampo di questi topi esposti ai raggi X in utero, mostrava una densità di cellule significativamente inferiore al normale. Secondo i ricercatori tedeschi questo danneggiamento ritardato del cervello, potrebbe dipendere dai danni che le radiazioni fanno non direttamente al DNA del nucleo cellulare, ma a quello presente nei mitocondri, corpuscoli presenti in molte cellule dei tessuti animali, compresi i neuroni, che servono a produrre energia. Se il mitocondrio è danneggiato la cellula ha a disposizione meno energia per la riparazione dei danni del proprio DNA nucleare, questi danni si accumulano fino a portare la cellula alla morte. Secondo Schmitz e colleghi questo studio si potrebbe collegare con quanto emerso dall'esame dei bambini nati entro nove mesi dall'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl nelle zone attraversate dalla nube radioattiva proveniente dal reattore in fiamme. Questi bambini, è stato riportato, hanno spesso ippocampi anormali e si sono rivelati particolarmente a rischio di sviluppare problemi comportamentali e persino forme di schizofrenia una volta raggiunta l'età adulta. Insomma, al di là delle debite differenze, meglio evitare di esporre i nascituri a radiazioni ultraviolette.
Alessandro Saragosa

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APPROFONDIMENTI

Nuova revisione della Dichiarazione di Helsinki (di A.G. Spagnolo)

Il 9 ottobre 2000 l’Associazione Medica Mondiale (WMA), a seguito della approvazione da parte della sua 52^ Assemblea Generale ad Edimburgo (Scozia), ha pubblicato una nuova versione della Dichiarazione di Helsinki, cioè il più importante documento-guida per l’etica della sperimentazione che coinvolge soggetti umani, emanato per la prima volta nel 1964 e rivista da allora per ben cinque volte.

Le diverse revisioni nel corso degli anni hanno cercato di tener conto dell’evoluzione della scienza e della riflessione etica. Così, sono stati via via introdotti articoli che hanno cercato di tener conto di tale evoluzione. Per es. nella revisione di Tokyo del 1975 venne introdotta la necessità della valutazione etica dei protocolli di ricerca da parte di un Comitato Etico, mentre nella revisione di Hong Kong del 1989 venne richiesto nelle sperimentazioni sui minori, capaci di esprimere una volontà, anche il loro assenso in aggiunta a quello dei genitori/tutori.

In questa ultima revisione è stata modificata tutta la struttura: nelle versioni precedenti vi era, infatti, una Introduzione, una elencazione dei Principi di base, quindi alcune linee-guida per la Ricerca clinica, associata all’attività professionale, e le linee-guida per la Ricerca non terapeutica, sui volontari sani o pazienti (si deve, infatti, alla Dichiarazione di Helsinki la classica distinzione fra sperimentazione terapeutica e sperimentazione non terapeutica che è stata adottata fino ad oggi).

L’attuale revisione consta di una prima parte introduttiva (nove punti) sui principi generali della ricerca sperimentale; una parte centrale di principi basilari da valere per qualsiasi ricerca sperimentale che consta di ben diciotto punti; e, infine una terza parte, di cinque punti, che sottolinea le particolari attenzioni etiche che sono dovute quando la sperimentazione è associata alle cure mediche per i pazienti soggetti di sperimentazione. Sembra attenuata, dunque, la distinzione fra sperimentazione terapeutica e sperimentazione non terapeutica, prevalendo il concetto per ogni sperimentazione che coinvolga soggetti umani valgano alcuni principi ben definiti, con una particolare attenzione aggiuntiva per quando la sperimentazione fa parte delle cure mediche che vengono fornite ai soggetti umani.

Di seguito richiamiamo i punti che ci sembrano più significativi in questa nuova revisione della Dichiarazione, rimandando per gli altri punti alla lettura del documento. Il documento precisa subito (n. 1) che la ricerca che coinvolge soggetti umani include anche la ricerca su materiale umano identificabile o su altri dati identificabili. Questo punto è molto importante oggi dato che sempre più spesso la ricerca coinvolge materiale genetico o comunque altro materiale contenuto in campioni di sangue prelevati in precedenza e stoccati. L’aver già fatto il prelievo, infatti, ha fatto ritenere a molti ricercatori che non vi fossero problemi etici nell’utilizzare successivamente il materiale per altre analisi, tanto da non dover richiedere neppure il parere del Comitato Etico. Questo primo punto della Dichiarazione, invece, sottolinea che quando esiste la possibilità di risalire dal materiale al soggetto a cui è stato prelevato ogni ricerca su tale materiale deve seguire le regole della sperimentazione sull’uomo.

La Dichiarazione ribadisce poi che anche i più comprovati metodi preventivi, diagnostici e terapeutici devono essere continuamente messi in discussione mediante la ricerca sulla loro efficacia, efficienza, accessibilità e qualità (n. 6). Questo principio impegna i ricercatori a sperimentare anche dopo che un farmaco sia stato messo in commercio ed è per ciò una piena legittimazione della sperimentazione di fase IV che può considerarsi in qualche modo la vera sperimentazione, dato che si rivolge alla popolazione in generale e non solo ad una popolazione selezionata di pazienti come è quella delle fasi precedenti.

Un punto molto significativo riguarda la responsabilità dei medici nella ricerca condotta nelle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Si può dire che questo sia uno dei punti sui quali il dibattito è stato accesissimo in fase di discussione da parte dell’Assemblea di Edinburgo e in tutti i lavori preparatori. Commentando la nuova revisione si è parlato infatti di uno dei segnali più forti che mai abbia dato la WMA alle industrie farmaceutiche. E’ noto, infatti, che non sono mancati in passato, anche recentemente, esempi di sperimentazioni condotte nei paesi in via di sviluppo condotte in modo non etico e comunque senza adottare gli standard etici adottati nei trial condotti nei paesi sviluppati (per es. il trial per valutare nuovi farmaci nella riduzione della trasmissione materno fetale dell'infezione da HIV controllata con placebo, che ha sollevato un notevole dibattito). Così, la Dichiarazione ribadisce che la ricerca nei paesi in via di sviluppo è giustificata solo se vi è una ragionevole probabilità che le popolazioni in cui la ricerca è condotta potranno beneficiare dei risultati (n. 19). Troppo spesso, infatti, i pazienti dei paesi in via di sviluppo dove sono stati sperimentati molti farmaci non hanno mai potuto beneficiare dei risultati delle sperimentazioni per questioni economiche e di politiche mondiali. Dunque, la sperimentazione ha avuto solo il significato di "sfruttamento" di quelle popolazioni per testare nuovi farmaci.

Uguali attenzioni vengono ribadite per i soggetti incapaci di dare il consenso. Tali soggetti, infatti, non devono essere inclusi in una ricerca a meno che la ricerca stessa non sia necessaria per la salute della popolazione rappresentata e non possa essere attuata su persone legalmente capaci (n. 24). Questo punto è di particolare rilevanza per alcuni campi della ricerca che oggi sono oggetto di molto interesse come quelli relativi patologie degenerative cerebrali (m. di Alzheimer). La sperimentazione su tali soggetti, non sempre capaci di dare pieno consenso, è infatti indispensabile e nelle prime fasi difficilmente si può ipotizzare ancora un beneficio diretto per loro ma certamente lo può essere per la popolazione da essi rappresentata.

Un altro punto di novità della Dichiarazione è rappresentato dalla raccomandazione relativa ai risultati della sperimentazione. Si afferma infatti che sia i risultati negativi sia quelli positivi devono essere pubblicati o resi in qualche modo pubblicamente disponibili (n. 27). In questo senso sia gli autori sia gli editori vengono riconosciuti avere obbligazioni etiche. Questo è un punto che da tempo era oggetto di preoccupazione da parte dei Comitati Etici i quali, dopo aver approvato la sperimentazione avevano notizie degli esiti della ricerca solo quando era pubblicata e solo quando i risultati erano positivi. Mentre dei risultati negativi non si aveva traccia, impedendo così di trarre insegnamenti anche da questi esiti, ai fini di successivi protocolli analoghi. Qualche anno fa c’era stata un’iniziativa da parte di alcune riviste scientifiche di impegnarsi nella pubblicazione anche di ricerche con risultati negativi. La Dichiarazione, dunque, traduce in dovere etico questa tendenza da più parti attuata.

In modo non ambiguo viene poi ribadita la strada maestra del controllo che deve essere attuato nella valutazione dei farmaci: benefici, rischi, aggravi ed efficacia di un nuovo metodo devono essere confrontati con quelli dei migliori metodi preventivi, diagnostici e terapeutici attualmente in uso (e non necessariamente sempre contro il placebo). Ciò ovviamente non esclude l’impiego di placebo, o l’assenza di trattamento, negli studi dove non esistono metodi comprovati di prevenzione, diagnosi o terapia (n. 29) ma non dove tali trattamenti esistono come spesso, purtroppo, anche le autorità regolatorie richiedono ai fini della immissione in commercio dei farmaci.

Nuova è anche la richiesta che fa la Dichiarazione di Helsinki di assicurare ad ogni paziente, a conclusione dello studio, l’accesso ai migliori trattamenti di comprovata efficacia identificati dallo studio stesso (n. 30). Fino ad oggi, infatti, solo alcune industrie farmaceutiche, con particolare attenzione agli aspetti etici, si impegnavano a continuare a fornire ai pazienti, risultati beneficiati dalla sperimentazione il farmaco studiato alla fine della sperimentazione stessa. Infatti, prima della immissione in commercio dello stesso tali pazienti, paradossalmente, avrebbero dovuto interromperne l’assunzione nonostante, appunto, i benefici dimostrati per loro attraverso la sperimentazione.

L'ultima parte della Dichiarazione, come si è detto, dà indicazioni etiche aggiuntive per quando Il medico associa la sperimentazione alle cure mediche. In questo caso, si dice, il medico deve informare pienamente il paziente di quali aspetti della cura sono correlati con la ricerca (n. 31). Spesso, infatti, si può correre il rischio che il paziente non abbia ben chiaro che l'intervento diagnostico-terapeutico proposto sia un intervento sperimentale e non un intervento consolidato. In questo senso la revisione delle schede informative da parte dei Comitati Etici può aiutare a dare una informazione corretta e senza ambiguità.

La Dichiarazione si sofferma, infine, a considerare la situazione in cui manchi un trattamento comprovato per i paziente. Dunque, nel caso in cui non esistano comprovati metodi o questi siano stati inefficaci, il medico, con il consenso informato, deve essere libero di usare mezzi non provati o nuovi, da sottoporre, però, al più presto ad una ricerca (n. 32). La Dichiarazione ritiene infatti che i singoli interventi non provati debbano comunque avere una conferma di validità attraverso uno studio scientifico e non essere continuati rimanendo nel dubbio.

A.G. Spagnolo

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Pillole di buonumore
Le strane terapie

Ho preso una compressa di Gustopan (Buscopan)
Prendo l' Episcopan per il mal di pancia! (Buscopan)
Ho preso l' aspirina incandescente (effervescente)
Avevo un dolore al petto ma mi e' passato con una trielina (trinitrina)


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
  Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

L'accusa di pornografia minorile deve basarsi su comportamenti concreti (Sentenza)

"Reati contro la persona - Delitti contro la libertà individuale - In genere - Pornografia minorile - Impiego di uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici - concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico - Necessità - Ragioni - Accertamento del pericolo - Criteri - Indicazione".

Poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600 ter cod. pen. - mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia - ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l'ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.

(Nell'occasione la Corte ha altresì precisato che è compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità del predetto pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l'esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell'agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l'utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico - dovendosi considerare la pluralità di minori impiegati non elemento costitutivo del reato ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta -, i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile nonché gli altri indizi significativi suggeriti dall'esperienza; ed ha di conseguenza escluso la ricorrenza del concreto pericolo di diffusione del materiale in un'ipotesi in cui l'agente aveva realizzato e detenuto alcune fotografie pornografiche che ritraevano un minorenne, consenziente, per uso puramente "affettivo", anche se perverso).
(Corte Cass., Sez. U, Sent. n. 13 del 5.7.2000, imp. Bove).

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I diversi aspetti del Mobbing

Monografia dell’Avv. Bruno Sechi

Il Fenomeno del Mobbing o della persecuzione psicologica nell’ambiente di lavoro è sempre esistito.
Il termine in questione deriva dal verbo anglosassone to mob che significa aggredire, circondare per assalire, usato nella etologia per indicare le situazioni di minaccia e di aggressione del branco di animali nei confronti di un membro del gruppo, al fine di ottenerne l’allontanamento.
Le cause scatenanti la persecuzione o il terrorismo psicologici sono svariate e possono essere costituite dall’invidia, dall’esigenza di nascondere i propri complessi di inferiorità, dal solo gusto di far del male ad un altra persona, dal "clientelismo latente", dalla diversità culturale, dalla provenienza geografica, dala smania di far carriera a tutti i costi, dalla mancanza della cultura della responsabilità.
La persona "scelta" diventa il bersaglio delle frustrazioni e delle vessazioni dell’intero comparto e dell’azienda; diventa una persona da evitare, ma da attaccare, da isolare in modo sistematico, continuo e mirato.
Esso è il parafulmine dei nervosismi e degli "sfoghi aziendali".
Alla vittima ( mobizzato )non si lascia spazio per costruire e gestire i normali rapporti interpersonali e professionali.
Lo scopo che viene perseguito dai mobber è indurre il lavoratore alle dimissioni, a richiedere il prepensionamento per malattia professionale o creare le condizioni favorevoli al licenziamento, senza che si crei un "caso sindacale".
La persona de qua viene considerata dalla massa dei mobber ( persecutori ) una persona di serie B, un lavoratore dannoso per l’intero comparto, una zavorra di cui liberarsi.
Il mobizzato spesso si sente una persona " negata ", che riceve solo dei rifiuti, espliciti o impliciti, dai suoi colleghi e/o del datore.
La strategia distruttiva può essere predisposta o dai vertici dall’azienda, (mobbing verticale) o maturare nell’ambiente di lavoro tra colleghi (mobbing orizzontale).
Le situazioni contingenti legate ai problemi della occupazione, del ridimensionamento dell’organico, della riorganizzazione e ristrutturazione, soprattutto delle grandi aziende, che hanno interessato sia il settore privato che pubblico, hanno sicuramente favorito il sorgere di forti conflittualità e tensioni nei relativi ambienti di lavoro.
Quando si parla di conflitto sul posto di lavoro si individua una zona direi neutra.
Infatti, esso non coincide automaticamente con il fenomeno in oggetto, ma può diventare un momento di crescita, di scambio di opinioni.
Anche il litigio può sorgere, come in qualsiasi ambito di convivenza.
Gli studiosi della materia in oggetto ( in particolare Ege )ritengono che uno dei mezzi di prevenzione dal mobbing sia il diffondere la c.d cultura del litigio.
E’ fondamentale riuscire a gestire le possibili situazioni di conflitto e di litigio che ne derivano, affinchè non degenerino e non costituiscano un pretesto per "attaccare" ed "aggredire" sistematicamente, con lo scopo di umiliare e distruggere.
E’ altresì importante acquisire una adeguata autodifesa verbale, e metterla in pratica alle prime avvisaglie del fenomeno.
La persona, prima di essere colpita, deve essere già preparata ad affrontare l’aggressione con fortezza d’animo, senza sensi di colpa, e con una dialettica pronta e adeguata.
Le varie associazioni di volontariato, sorte in tutto il mondo, organizzano appositi corsi di autodifesa dal mobbing, con l’ausilio di validi esperti in psicologia, psichiatria, sociologia.
Si avvalgono di esperti del diritto i quali illustrano, agli aderenti e all’opinione pubblica, le possibilità esistenti di tutela giuridica dal mobbing e forniscono ai soci l’assistenza legale.
Gli studiosi del settore pongono l’accento sulla gradualità della manifestazione del mobbing.
A titolo esemplificativo, si individuano 6 fasi, che nella realtà non sono ben distinte l’una dall’altra, ma possono intrecciarsi o confondersi reciprocamente.
La prima fase è caratterizzata dal "conflitto mirato" che si manifesta qualora si addossano alla stessa persona le colpe per i ritardi, gli errori, gli inconvenienti, che si verificano nel normale svolgimento dell’attività aziendale ( per es. le lamentele del cliente per il ritardo nella consegna, vengono poi "indirizzate" al singolo dipendente, che così diventa il capro espiatorio ).
In questa prima fase, si sfrutta ogni minimo pretesto per attaccare ed aggredire una determinata persona;
nella seconda fase, invece, si "creano" i pretesti e le occasioni per isolare ulteriormente la vittima.
La terza fase è caratterizzata dalla comparsa dei primi problemi psicosomatici in capo al mobizzato, consistenti nella insonnia, nodo alla gola, tremore alle gambe, sfinimenti, iniziale depressione, mal di schiena, vomiti etc.....
Queste manifestazioni denotano un certo squilibrio, anche di carattere psichico e caratteriale.
Infatti, la persona inizia a dare segnali di cedimento della personalità, con continui scatti di nervosismo o di totale assenza o sfiducia nelle sue capacità lavorative e personali.
Il soggetto mobizzato, a causa di questi malesseri, può assentarsi dal lavoro per malattia, anche per lunghi periodi, con grave deprezzamento delle sue capacità e della sua immagine professionale e danni alla salute.
Si attiva, in altri termini, quella reazione a catena per cui una persona piu’ è debole, piu’ si ammala e piu’ viene isolata e " accantonata ".
Spesso circola la voce che le sue lunghe assenze siano una scusa per non lavorare etc.....
Nella fase successiva, il caso del mobizzato, varca le soglie dell’ufficio di appartenenza, e viene portato alla conoscenza dell’intera azienda.
Esso., cioè, diventa " il caso aziendale " al centro delle discussioni tra colleghi, delle dicerie etc.... che ne aumentano la portata e la gravità.
Il caso arriva sul tavolo della Direzione del personale ( quinta fase ), che convoca ripetutamente il mobizzato, con eventuale minaccia di sanzioni disciplinari in caso di persistenza nel suo comportamento.
Nella fase ultima ( sesta ) si ha la c.d. uscita dal mondo del lavoro per una delle seguenti cause: prepensionamento per malattia professionale ( dovuta al mobbing ), licenziamento ( per es: per il venir meno del rapporto fiduciario con il datore ), dimissioni (per il clima insopportabile creato nei suoi confronti), suicidio ....
Infatti, la sistematicità e la puntigliosità nel terrorizzare psicologicamente la vittima, può provocarle dei seri danni psicofisici ( quali la sindrome depressiva e altre malattie psichiche, o causare infarti, oltre alla perdita di fiducia in se stessi e verso gli altri, alla diminuzione o totale perdita delle capacità professionali e relazionali.
Il fenomeno in esame provoca rilevanti danni economici all’azienda, qualora la vittima manifesti un calo di rendimento professionale.
A soffrirne è l’ambiente lavorativo nel suo complesso, nelle sue molteplici componenti, che costituisce il motore dell’azienda.
La disarmonia, gli attriti, la demotivazione, il demansionamento, la dequalificazione e tutte le forme di deprezzamento della forza lavoro, si ripercuotono inevitabilmente nella produttività dell’azienda medesima.
Anche il sistema previdenziale subisce un danno dalla prematura uscita dal mondo del lavoro, dovuta a prepensionamento, licenziamento o dimissioni, per il mancato introito di contributi pensionistici ed assicurativi.
Ma v’è un’altro settore sul quale si riflettono le conseguenze del fenomeno di cui si tratta.
L’ambiente extralavorativo, ed in particolare quello familiare, rappresenta per il mobbizzato un’occasione di sfogo.
Il mobbizzato scarica una "energia produttiva" nei confronti dei familiari, costretti a subire continui sfoghi e discorsi.
La famiglia dapprima erige un muro di protezione, cercando di non farsi coinvolgere eccessivamente dai problemi del mobbizzato, fino ad arrivare ad un rifiuto dello stesso.
I familiari, nei casi piu’ gravi, subiscono, in modo riflesso il mobbing, che causa la rottura del ménage familiare, con la richiesta di separazione o divorzio.
Si verifica, in tal caso, una "reazione distruttiva" del familiare medesimo.
Nella realtà del fenomeno, la vittima può subire: il sovraccarico di mansioni, qualora gli vengano assegnate mansioni, impossibili da espletare , secondo la diligenza richiesta dalle circostanze concrete; il demansionamento o la dequalificazione, nelle ipotesi in cui gli vengano assegnate mansioni inferiori a quelle per le quali è stato assunto o altre che non corrispondono alla professionalità acquisita; il danno biologico o danno alla salute, per le continue vessazioni, umiliazioni, per lo stesso sovraccarico di lavoro o per la dequalificazione, etc…….
Anche le molestie sessuali possono costituire una forma del mobbing, se realizzata in modo sistematico, con la minaccia di sanzioni disciplinari in danno della carriera, qualora la vittima rifiuti le avances del capo.
Possiamo rilevare che il mobbing trova la sua fonte in molteplici fattori, si manifesta in varie forme, causando diversi tipi di lesioni o danni ( danno alla professionalità, alla salute, ai diritti fondamentali della persona in quanto tale etc……. ).
Essa è una figura che, nella sua performance, sfugge ad una diagnosi definita, sussistendo quella zona grigia in cui i " conflitti "e le sopraffazioni sembrano confondersi.
E’ molto importante che la persona che si ritenga vittima di una qualche vessazione, si rivolga immediatamente ad una persona di fiducia ( il responsabile del personale, un legale, uno psicologo del lavoro ), per discutere del problema ed esporre le circostanze del caso. 
Ormai il fenomeno in esame ha preso una piega allarmante; solamente in Italia, i mobbizzati si stimano nel numero di circa un milione.
C’è una maggiore presa di coscienza collettiva del problema ( maggiore informazione e coraggio delle persone, forte presenza delle associazioni contro il mobbing, una "certa" attenzione da parte della giurisprudenza, una continua elaborazione della dottrina, che ha proposto misure concrete al fine di combattere il problema ).
I poteri istituzionali sembrano essere latitanti, se si escludono alcune proposte di legge, presentate negli ultimi anni.
Ma quale tipo di tutela è apprestata in favore del lavoratore mobbizzato?
E’ da premettere che non v’è una legge o una disposizione normativa nel nostro sistema, che disciplini, in modo specifico, la fattispecie del mobbing.
E’ compito degli interpreti " ricavare "dall’ordinamento giuridico la disciplina adeguata e omogenea, in primis dalla Carta Costituzionale.
Il quadro normativo, in tema di tutela in favore del lavoratore, presenta disposizioni generali e specifiche.
La legge fondamentale dell’ordinamento è costituita dalla Costituzione che contiene alcune importanti norme a tutela della persona in quanto tale.
L’art. 2 della Carta Costituzionale " riconosce "e garantisce i diritti inviolabili della persona sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
In forza dell’art. 3, a tutti gli individui è assicurata la uguaglianza formale (tutti sono uguali davanti alla legge senza alcuna distinzione) e l’uguaglianza sostanziale, che viene attuata dalla Repubblica con la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza e impediscono il pieno realizzarsi della persona umana e la partecipazione dell’individuo alla vita del paese.
Su queste due norme si fonda la democrazia effettiva della società, basata sulla centralità della persona umana e delle sue aspirazioni.
Per l’individuo il lavoro, oltre che rappresentare lo strumento per assicurare a sé e alla sua famiglia, una esistenza libera e dignitosa ( art. 36 Cost. ), costituisce un ambito essenziale per la realizzazione della personalità.
Lo Stato deve creare le condizioni favorevoli affinché sia effettivo il diritto al lavoro.
Deve cioè eliminare gli ostacoli di ordine formale e sostanziale che impediscono all’aspirante lavoratore di essere parte integrante della società civile.
Il diritto al lavoro è correlato al dovere del cittadino di "svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società" ( art. 4 Cost. ).
Il cittadino ( nella sua accezione piu’ ampia possibile ) è chiamato a svolgere la nobile missione di rendersi coprotagonista e compartecipe della Nazione.
Se lo Stato si preoccupa di tutelare il cittadino nel momento dell’ingresso verso il mondo del lavoro, ancor piu’ forte è la sua attenzione verso il lavoratore stesso durante l’attività lavorativa.
Anche nell’ambito in questione, la tutela fondamentale è fornita dagli artt. 2, 3,4 Cost.

L’art. 35 Cost. stabilisce che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Essa, secondo lo spirito che informa la Costituzione, bandisce ogni forma di discriminazione , assicura la libertà di pensiero, di azione, di circolazione , la libertà di associazione, il diritto di sciopero, cura la formazione e l’aggiornamento professionale, garantisce il diritto ad una retribuzione giusta, il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, garantisce i diritti sociali ( previdenza, assicurazione dagli infortuni e malattie professionali assistenza ), tutela i piu’ deboli.
E’ garantita la tutela della sicurezza, della dignità umana che non possono essere intaccate dalla attività imprenditoriale ( art. 41 Cost. ).
Esse costituiscono dei limiti alla iniziativa economica che è libera, ma deve tendere alla utilità sociale.
L’articolo successivo ( 42 ) conferma e rafforza il principio di cui sopra, dichiarando che la proprietà privata è disciplinata dall’ordinamento giuridico che ne assicura la funzione sociale e la accessibilità a tutti.
L’art. 46 Cost. individua un momento di grande sintesi e armonia nel mondo produttivo: la Repubblica riconosce, infatti, il diritto dei lavoratori a partecipare effettivamente alla gestione dell’attività imprenditoriale, nell’ottica dello spirito collaborativo.
Il fine è la valorizzazione economico-sociale del lavoro compatibilmente alle libere scelte imprenditoriali.
L’art. 2094 c.c. definisce il prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga a prestare la propria attività, in cambio della retribuzione, secondo un rapporto non solo di subordinazione ma soprattutto di collaborazione.
Queste posizioni che compongono il diritto al lavoro sono resi pienamente effettivi, qualora vengano garantite condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro.
A tale scopo viene in soccorso l’art. 32 Cost. che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Un’applicazione dei principi generali suindicati è rappresentato dalla previsione contenuta nell’art. 37 Cost. che assicura alla donna lavoratrice le condizioni idonee all’adempimento "della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
L’art. 32 trova un addentellato nella materia del lavoro nell’art. 35 ( che stabilisce che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni" ) e nell’art. 41 ( che prevede che l’iniziativa economica privata "non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza , alla libertà , alla dignità umana ).
Relativamente alla materia che qui si tratta, occorre dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 c.c. in forza del quale "l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Inoltre, l’art. 9 dello Statuto dei lavoratori ( l. 20 maggio 1970 n° 300 ) prevede che i lavoratori, mediante i sindacati, hanno diritto di accertare l’attuazione delle norme antinfortunistiche sul posto di lavoro.
Possono, inoltre, " promuovere la ricerca " e pretendere che vengano attuate le misure di cui all’art. 2087 c.c.
Le norme suindicate hanno "ispirato" il legislatore nella emanazione delle norme di settore tra le quali ricordiamo: il DPR 19 marzo 1956 n° 303; il DPR 27 aprile 1955 n° 547; il Dlg 15 agosto 1991 n° 277; il Dlg 19 settembre 1994 n° 626 e successive modificazioni.
L’art. 2087 c.c. , secondo lo spirito della Costituzione che lo anima, è una norma generale che si applica, oltre le ipotesi espressamente previste dalle specifiche disposizioni antinfortunistiche.
La tutela comprende non solo l’integrità psicofisica del lavoratore ma anche la sua personalità morale, la dignità umana, la persona nella sua essenza.
La norma in questione era, fino a qualche anno fa, del tutto inapplicata.
Ora è stata valorizzata dalla giurisprudenza, anche di legittimità, e recentemente costituisce un valido riferimento normativo ai fini della tutela in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
La disposizione in esame pone, a carico dei datori, precisi obblighi tesi a garantire e assicurare la tutela della persona dei lavoratori.
Anche nelle ipotesi in cui il datore avesse predisposto le misure previste dalle norme di settore, esso non andrebbe esente, ipso iure, da responsabilità per i danni al lavoratore.
Il datore è tenuto in via generale a prevenire i danni al lavoratore, usando la diligenza richiesta nella realtà concreta.
La giurisprudenza maggioritaria concepisce l’articolo in esame, una disposizione di natura contrattuale, rimandando ai criteri previsti dalle norme in materia contrattuale, in particolare l’art. 1218 c.c.
La sentenza che per prima ha accolto il termine mobbing nel lessico giurisprudenziale, è la pronuncia emessa dal Tribunale di Torino, Sez. Lav. I grado, datata 16XI/99.
Il caso esaminato dalla Corte Torinese riguarda una lavoratrice dipendente che aveva richiesto il risarcimento del danno biologico ( crisi depressiva ) subito a causa delle condizioni di lavoro gravose e dalle continue e mirate vessazioni e umiliazioni da parte del capo reparto.
Infatti, l’attrice era stata costretta a lavorare ad una macchina entro uno spazio angusto e chiuso tra cassoni e macchinari, e isolata dai colleghi.
Alle lamentele della lavoratrice per le cattive condizioni di lavoro seguivano le prese in giro e le aggressioni verbali del capo reparto.
A causa della insopportabile situazione, la lavoratrice veniva colpita da una grave crisi depressiva che la costringevano alle dimissioni.
Il Giudice torinese, nella pronuncia in esame, stabilisce che tale ipotesi concretizza il fenomeno del mobbing, conosciuto come la persecuzione psicologica sul posto di lavoro.
La responsabilità del danno biologico subito dalla lavoratrice è da imputare al datore di lavoro il quale in forza dell’art. 2087 c.c. deve garantire la tutela della integrità della persona del lavoratore, anche nella ipotesi in cui il comportamento lesivo principale sia stato posto in essere da un suo dipendente ( capo reparto ).
Il datore aveva l’obbligo di controllare, di vigilare affinché i fatti de quibus non si verificassero.
Le vessazioni e il danno conseguente potevano essere concretamente impediti da una attenta e oculata attività di prevenzione da parte del datore.
La persona mobbizzata ha l’onere di provare il nesso eziologico tra l’inadempimento delle misure ex art. 1087 c.c. e il danno biologico ( Cass. Sez. Lav. n° 5491 del 2 maggio 2000 ); essa, però, non è tenuta a provare il mobbing in quanto tale, poiché esso costituisce un fatto notorio, che rientra "nella comune esperienza" e può essere posto a fondamento della decisione ex art. 115 c.p.c., previa allegazione dei fatti costitutivi da parte dell’attore.
Seguendo l’impostazione giuridica delineata dalla Corte torinese, il datore di lavoro, al fine di essere esentato dalla responsabilità civile, deve dimostrare ex art. 1218 c.c. che la mancata adozione delle misure ex art. 2087 c.c. ( inadempimento ) è stata determinata " da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ".
La giurisprudenza di legittimità ( Cass. Sez. Lav. N° 12339 del 5 novembre 1999 ) ha ritenuto che le cause naturali sono irrilevanti qualora sussista una causa umana, costituita cioè da un comportamento umano illecito.
Il danno biologico ( infarto cardiaco ) conseguente alla dequalificazione professionale ( danno professionale ) non attenua o esclude la responsabilità del datore, solo perché il lavoratore ha una propensione al fumo di sigaretta o ha subito nel passato delle malattie che potrebbero facilitare il danno per cui si agisce.
Il criterio di valutazione della responsabilità basata sulla concorrenza delle cause, trova applicazione in relazione alle condotte umane illecite.
La giurisprudenza di legittimità è attualmente orientata ad affermare la responsabilità del datore per tutti i fatti lesivi che si verifichino in danno dei lavoratori e in violazione dell’art. 2087 c.c., anche se i comportamenti persecutori provengono dai suoi preposti o altri dipendenti ( Cass. n° 7768 del 1995 ; Cass. Sez. Lav. n° 5094 del 18 aprile 2000, che tratta di un caso di molestie sessuali, perpetrate dal capo ufficio ).
Abbiamo sottolineato che per la giurisprudenza maggioritaria l’art. 2087 c.c. prevede una responsabilità di contrattuale perché la disposizione de qua rientra nel contenuto del contratto di lavoro ( v. anche Cass. 2053/77; 3260/77; 2858/79; 28/80;2654/81;1295/82;2799/86 e le piu’ recenti Cass. Sez. lav. 143/00; 1307/00 ).
Non sono mancati orientamenti secondo i quali la responsabilità del datore, nelle ipotesi in esame, sia di tipo extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
In tal senso è la sentenza del Tribunale di Milano esaminata dalla Cassazione con sentenza n° 5491/2000.
In altre occasioni la Cassazione ha ammesso la concorrenza di responsabilità contrattuale ed extacontrattuale in capo al datore. ( Cass. SS.UU. n° 4441 del 14/05/87; Cass. Sez. Lav. n° 411 del 24/01/90; Cass. Sez. Lav. n° 7768 del 17/07/95; Cass. Sez. Lav. n° 12763 del 21/XII/98 ).
La giurisprudenza di legittimità stabilisce che, qualora un medesimo fatto doloso o colposo integri la violazione dei diritti primari della persona, indipendentemente da un contratto ( principio del neminem laedere ) e la violazione di obblighi contrattuali, sussiste il concorso di responsabilità aquiliana e contrattuale.
Rientra nella facoltà del danneggiato avvalersi dell’azione di tutela piu’ opportuna in ordine all’onere probatorio ( 2043, 1218 c.c. ), ai termini prescrizionali ( prescrizione quinquennale per l’azione extracontrattuale ).
Qualora fosse prescritta l’azione risarcitoria per fatto illecito, il danneggiato può far valere la responsabilità contrattuale , nei termini piu’ lunghi.
Ma si può rilevare che il meccanismo risarcitorio nel settore contrattuale offre al danneggiato degli strumenti giuridici piu’ vantaggiosi ( onere probatorio sull’inadempimento degli obblighi, sul danno e sul relativo nesso causale ).
La giurisprudenza di merito ha ampliato la tutela del lavoratore, adottando la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c., nelle ipotesi di comportamenti vessatori o discriminatori che pongono in grave pericolo i diritti del lavoratore.
Le Corti di merito, affrontando i casi di isolamento per dequalificazione, inattività forzata etc... hanno giustificato la tutela d’urgenza sulla base della irreparabilità del pregiudizio ( periculum in mora ) e sulla verosimiglianza del diritto ( fumus boni iuris ) ( Trib. Milano Sez. Lav. II grado, 26 novembre 1999; Trib. Roma Sez. Lav. I grado, 18 aprile 2000 e altre ).
Dalla analisi del panorama giurisprudenziale possiamo rilevare le seguenti forme di mobbing: danno biologico ( alla salute ) derivante da umiliazioni, dequalificazione professionale, demansionamento, sovraccarico di lavoro o di mansioni, lavoro usurante, danno alla sfera professionale ( o danno alla immagine professionale ) dovuta a i fattori suindicati.
Possiamo rimarcare che le forme di mobbing possono ledere la sfera della salute, in senso stretto ( nel caso di infermità ), la personalità morale e lo status di lavoratore ( nel caso di danno professionale ) la sfera personale ( in tali casi si potrebbe parlare di danno esistenziale, anche sulla scorta degli ultimi sviluppi giurisprudenziali ( recente sentenza del la Cassazione Sez. I n° 7713/00).Il danno biologico assume una valenza contrattuale, poiché consegue alla violazione della disposizione di cui all’art. 2087 c.c., con funzione integrativa del contratto, sulla base dell’art. 1374 c.c.
Infatti, tale articolo, stabilisce che " il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge......"
Inoltre, il dovere di buona fede ( art. 1375 c.c. ) e di correttezza ( art. 1175 c.c.) impongono al datore di lavoro di garantire la sicurezza sul posto di lavoroe la tutela della integrità del lavoratore.
L’autonomia contrattuale non può andare a discapito dei principi cardine dell’ordinamento, in primis le norme costituzionali, immediatamente applicative quale l’art. 32 ( tutela della persona ).
I casi piu’ recenti di danno biologico affrontati dalla giurisprudenza sono i seguenti: danno biologico ( infermità ) derivante da lavoro usurante ( Cass. Sez. Lav. n° 2455 del 2000), svolto senza il beneficio dei riposi settimanali; la sentenza in esame stabilisce che il danno de quo è distinto rispetto al danno da usura psicofisica, per il mancato godimento del riposo settimanale. Quest’ultimo danno si ritiene presunto nella imposizione delle prestazioni usuranti; il danno biologico, invece, ai fini della risarcibilità, deve essere concretamente provato ( sussistenza della infermità ), unitamente al nesso eziologico tra il comportamento del datore e il danno medesimo.
La Cassazione in esame considera il danno biologico de quo di natura contrattuale poiché consegue ad un illecito contrattuale.
La mancata concessione dei riposi settimanali integra una violazione delle previsioni contrattuali;
danno biologico ( infarto )derivante da sovraccarico di lavoro ( Cass. Sez. Lav. n° 1307/00 ). La Cassazione che si cita coglie l’occasione per ripercorrere i passaggi giurisprudenziali che hanno portato ad una piena tutela della salute, anche in campo contrattuale ex art. 32 Cost.
Il Giudice di legittimità ricorda che a carico dell’imprenditore sussistono degli obblighi a tutela della integrità ( artt. 32 Cost., 2087 c.c. ), della dignità del lavoratore ( art. 41 Cost. );
danno biologico ( depressione ), derivante dall’isolamento fisico e psicologico del prestatore, costretto a lavorare in luogo angusto, e dalle continue e mirate umiliazioni e aggressioni verbali ( Trib. Torino Sez. Lav. I grado del 16/XI/99 );
danno biologico ( depressione e infarto al miocardio) derivante da dequalificazione professionale ( Cass. Sez. Lav. n° 123339 del 5/XI/99 ).
La giurisprudenza, nella ipotesi de qua, ha escluso che la propensione al fumo di sigaretta e una arteriosclerosi coronarica possano costituire causa concorrente con la responsabilità del datore;
danno biologico (disturbi nervosi con somatizzazioni quali nausee, vomiti, dolori epigastrici ) derivanti da una serie di provvedimenti disciplinari ingiusti ( Cass. Sez. Lav. n° 491 del 2 maggio 2000 ).
La giurisprudenza, nella fattispecie de qua, ha ribadito la natura contrattuale dell’art. 2087 c.c. e la conseguente responsabilità del datore. Essa non ha accolto il ricorso del lavoratore, perché quest’ultimo non ha provato il nesso eziologico tra i comportamenti persecutori del datore e i pregiudizi subiti.
In relazione all’onere probatorio sul nesso causale in oggetto, v’è da segnalare la sentenza della Cassazione Sez. Lav. n° 143/2000; il Giudice di legittimità affronta il caso di una lavoratrice licenziata, poiché essa, a suo dire, aveva rifiutato le avances sessuali del superiore gerarchico.
La lavoratrice sostiene di essere stata vittima del mobbing, di aver subito una sindrome depressiva a causa del comportamento discriminatorio del capo, e di essere stata, infine, licenziata ingiustamente.
Nell’istruttoria del relativo processo emergeva che la lavoratrice aveva in precedenza, anche a mezzo stampa, reso note le vessazioni da essa subite; perciò, l’azienda provvedeva al licenziamento, per giusta causa, poiché veniva meno il rapporto di fiducia.
La Cassazione che si considera, pur non entrando nel merito della decisione impugnata del Tribunale, in quanto congruamente motivata, esprime un giudizio circa la necessità ( e l’onere ) di provare il nesso causale tra fatto dannoso e pregiudizio.
In difetto, la diffusione di accuse diffamatorie, legittimano il licenziamento, per il venir meno del rapporto fiduciario ( giusta causa );
in materia di molestie sessuali o atti di libidine ( atti sessuali ) nell’ambiente di lavoro, sono da segnalare le seguenti sentenze: Cass. sez. Lav. n° 7768 del 17/07/1995 e Cass. sez. Lav. n° 5049 del 18/04/00, le quali impongono al datore di lavoro ex art. 2087 c.c. di adottare tutti i provvedimenti idonei ( sanzioni disciplinari, licenziamento ) a prevenire e far cessare tali comportamenti;
la mancata concessione di benefici previsti dall’ordine di servizio dell’azienda, per i dipendenti meritevoli, come ritorsione nei confronti del lavoratore ad una sua azione giudiziaria precedente nei confronti dell’azienda ( Cass. Sez. Lav. n° 12081 del 28X/1999 ). La Cassazione, nella ipotesi de qua ha confermato la illegittimità del comportamento ritorsivo dell’azienda, condannandola a reintegrare il lavoratore nei suoi diritti.
La Corte di Cassazione, nella sentenza che si considera, stabilisce che l’art. 2087 c.c. " trova una fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro "…e nei limiti costituzionali ( art. 41 Cost. ).
L’inadempimento dell’imprenditore può concretizzarsi in condotte commissive e/o omissive .
Il danno biologico che ne deriva rappresenta una categoria di danno che si differenzia dal danno morale ex art. 2059 c.c., dal danno alla vita di relazione e dal danno che pregiudica la capacità reddituale in concreto;
danno biologico ( aggravamento e stabilizzazione di una sindrome ansioso-depressiva ), causato dalle continue visite del medico fiscale , su richiesta del datore di lavoro ( Cass. n° 475/99 ). L’ipotesi de qua è stata riconosciuta come una forma di persecuzione sistematica causante il danno alla salute, il danno morale, il danno patrimoniale, quale mancato guadagno derivante dalle "forzate dimissioni".
Le richieste di controllo devono essere fondate da un intento persecutorio e discriminatorio in danno del lavoratore;
danno professionale o danno alla dignità professionale , dovuto a cumulo di mansioni, anche inferiori rispetto alla professionalità acquisita ( Trib. Civile di Milano, Sez. Lavoro n° 2908 del 5/XI-29/XII/99 ); nella ipotesi in esame, la Corte di merito succitata, stabilisce che la condizione umiliante, derivante dal cumulo di mansioni, per la volontà ripetuta e manifesta del datori di non potenziare l’organico dell’ufficio, legittima il lavoratore medesimo ( nella fattispecie concreta si trattava di un giornalista capo redattore di un periodico ) alle dimissioni, senza preavviso, per giusta causa ex art. 2119 c.c. o per i motivi previsti dal contratto nazionale di categoria.
Nella ipotesi in esame, la lavoratrice ha diritto ad ottenere l’indennità di preavviso; danno professionale derivante dalla dequalificazione o demansionamento, in violazione dell’art. 2103 c.c.
L’ipotesi in esame riguarda la lesione della sfera professionale, costituita dalle conoscenze ed esperienze lavorative acquisite sul campo e che il lavoratore ha diritto a valorizzare e migliorare in virtu’ dell’art. 2 Cost., dell’art. 2103 c.c.
Viene, in altri termini, tutelato la sua dignità e il suo status di lavoratore, a prescindere dal verificarsi di danni biologici in senso stretto, danni morali e patrimoniali. Esso costituisce una categoria di danno autonomo rispetto alle altre ipotesi di danno ed è valutato sia nell’an ( sussistenza ) che nel quantum ( entità ), sulla base della durata del momento dequalificante, con esclusione di responsabilità, qualora l’assegnazione a mansioni inferiori abbia avuto una durata brevissima, o sia dettata da motivi organizzativi, con l’assenso del lavoratore.
Il demansionamento può causare un danno all’immagine professionale del lavoratore, al suo valore di mercato, con perdita di opportunità lavorative o di progressione della carriera.
In tale ipotesi, il danno ha natura patrimoniale e viene risarcito in via equitativa ex art. 1226 c.c., sulla base di una percentuale ( 25%, 50% ) della retribuzione dovuta per il periodo di demansionamento ( v. Pretura di Milano 16/09/94 ).
Inoltre, il datore dovrà reintegrare il lavoratore nelle mansioni precedenti, nel rispetto dell’art. 2103 c.c. ( v. Pret. Milano 01/04/98 e altre ).
Dalle pronunce giurisprudenziali in materia di danno professionale si può arguire che la responsabilità del datore è di tipo contrattuale.
Da ultimo, segnaliamo la sentenza della Cassazione Sez. Lav. n° 7395 dello 02/06/2000; la pronuncia in esame stabilisce che , in virtu’ dell’art. 2103 c.c., sono equivalenti le mansioni che, anche se non identiche alle precedenti, corrispondono alle competenze tecniche del lavoratore e valorizzano il suo patrimonio professionale acquisito.
In via generale possiamo affermare che la giurisprudenza ammette il risarcimento in via equitativa ex art. 1226 c.c. del danno da mobbing, data la impossibilità di determinarlo nel suo preciso ammontare.

Proposte di legge:

In Parlamento giacciono alcune proposte o disegni di legge che prevedono degli strumenti per prevenire e combattere il fenomeno del mobbing.
Il DDL Camera 6410 dà una nozione molto ampia di violenza e persecuzione psicologiche, comprendenti tutti gli atti e comportamenti che i datori e lavoratori pongono in essere nei confronti del lavoratore , in maniera sistematica, duratura e predeterrminata, al fine di distruggerlo psicologicamente.
Il DDL in questione stabilisce che tali atti devono tradursi in lesione della capacità professionale, o pregiudicare l’autostima o provocare sindrome depressiva.
All’art. 2 prevede la possibilità per il danneggiato di richiedere l’annullamento degli atti discriminatori.
Un certo risalto è data all’opera di prevenzione ed informazione da parte dei datori e i sindacati, anche di concerto tra di essi ( art. 3 ).
Inoltre, all’art. 6, il giudice può disporre la pubblicità del provvedimento giurisdizionale di condanna del datore, mediante lettera agli interessati, omettendo il nome del datore medesimo.
Le altre proposte di legge sono la n° 6667 e la n° 1813 che creano il reato di mobbing. A queste si affianca il disegno di legge, già in discussione in Parlamento, sul danno biologico in generale.
Per concludere, è opportuno aspettare le prime risultanze applicative del Dlgs 23 febbraio 2000 n°38, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
L’art. 13, infatti, definisce in via sperimentale e ai fini della tutela assicurativa, il danno biologico " come la lesione alla integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Il risarcimento è dovuto indipendentemente dalla capacità di reddito in concreto del danneggiato ".
L’art. 13 prevede che, le menomazioni dal 6% al 16% sono indennizzate dall’INAIL, mediante capitale, dal 16% mediante rendita.
E’ prevista, pertanto, una franchigia per le menomazioni inferiori al 6% !!!!!

Senorbì-Cagliari, lì 10/08/00                                 Avv. Bruno Sechi                       avv.brunosechi@tiscalinet.it

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SSN: Un riesame della prescrivibilita' dei farmaci antiulcera in terapia prolungata  
Doctor - 9/2000)

Forse e' solo un' impressione, pero' la patologia del tratto gastroenterico superiore sembra diventare sempre piu' frequente. A questo incremento si accompagna anche l' affinamento delle armi farmacologiche messe a disposizione del medico. E il consumo di questi farmaci aumenta, aumenta, e crea non pochi problemi.
Non e' un caso, evidentemente, che tale gruppo di farmaci sia ai primi posti nei consumi farmaceutici, e non stupisce, quindi, che cio' abbia comportato una particolare attenzione e l' istituzione di particolari normative regolatrici, come le famose ( o famigerate) note CUF.
Succede pero' che, mentre le conoscenze scientifiche del problema evolvono, le normative non sembrano sollecite nel seguire tali evoluzioni. Si creano percio' una serie di problemi che, a volte, mettono in difficolta' il Medico di Famiglia.
Esaminiamo i problemi a cui si trova di fronte il medico che debba prescrivere un farmaco cosiddetto "antiulcera":

NORMATIVA GENERICA SULLA PRESCRIZIONE DEI FARMACI

Innanzitutto il medico (qualsiasi medico, sia esso generico, specialista, ospedaliero, universitario, dipendente o convenzionato) deve attenersi alle normative generali che regolano la prescrivibilita' dei farmaci ai pazienti. Egli deve cioe' rispettare rigidamente le indicazioni, vie e modalita' di somministrazione previste dall' autorizzazione all' immissione in commercio (D.L. 17/2/98 n. 23 convertito con L. 8/4/98 n. 94).

Molti colleghi, soprattutto quelli di una certa eta', non avvertono le novita' apportate da questa normativa e nutrono la falsa impressione che sia tutto invariato rispetto al periodo precedente, ma cosi' non e': nel periodo precedente vigeva il principio della "responsabilita' professionale": il medico poteva prescrivere i farmaci che ritenesse utili al paziente indipendentemente da quanto riportato in scheda tecnica ed essere chiamato a rispondere solo in caso di eventi avversi. Le Autorita' sconsigliavano tale procedura sconsigliata in quanto poteva comportare, in caso di effetti dannosi, un procedimento civile o addirittura penale per responsabilita' professionale. I guai per il medico si verificavano pero' soltanto nel caso di "danno colposo" derivato dall' incongrua terapia; in assenza di danno, la procedura era considerata legittima.

La normativa attuale stabilisce invece come illecita la semplice prescrizione di un farmaco fuori dalle indicazioni consentite dalla scheda tecnica, indipendentemente se dal trattamento sia derivato o no un danno al paziente. Paradossalmente il comportamento del medico puo' essere riconosciuto illecito (e sanzionato) anche se al paziente fosse derivato un beneficio.
Esistono delle eccezioni: e' possibile in singoli casi prescrivere farmaci per indicazioni non autorizzate, previa informazione e consenso scritto del paziente… "qualora il medico ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere trattato con farmaci registrati per quell' indicazione e purche' tale impiego sia noto e conforme a lavori internazionali.".
I farmaci pero', in tali casi, non possono essere prescritti a carico del SSN ma solo su ricettario libero-professionale.

La Corte Costituzionale (n. 185/98) ha sentenziato che le libere scelte individuali circa il trattamento terapeutico non possono ricadere sul SSN (e quindi il medico che prescriva erroneamente a carico del SSN dei farmaci fuori indicazione potrebbe essere chiamato a rimborsare la spesa).

Esiste poi un' altro caso: possono essere prescritti "fuori scheda tecnica" i famaci innovativi e non registrati qualora non esista valida alternativa terapeutica con farmaci gia' registrati, nonche' farmaci registrati per indicazione diversa, purche' inseriti in apposito elenco tenuto dalla CUF (l. 23/12/96 n. 648). L' inserimento avviene su richiesta della ditta produttrice; la prescrizione, in questo caso, avviene a carico del SSN. Personalmente non sono riuscito a rintracciare tale lista.

NORMATIVA SPECIFICA

Esaurito l' esame della normativa generica occorre entrare maggiormente nello specifico.
Quali patologie del tratto g.e. superiore possono essere sottoposte a trattamento prolungato con inibitori della secrezione acida?
La normativa specifica sulla prescrivibilita' di tali farmaci nella terapia prolungata e' costituita, essenzialmente, dalla nota CUF n. 48.

NOTA 48:

"Durata di trattamento prolungata:

  1. sindrome di Zolliger Ellison;
  2. ulcera duodenale o gastrica recidivante
  3. malattia da reflusso gastro-esofageo recidivante, con esofagite endoscopicamente documentata alla prima indicazione o alla prima recidiva.

---------------------------------------------------------------------------

Ne deriva ovviamente che la terapia prolungata a carico del SSN puo' essere effettuata solo e per tutte queste patologie.

Ma e' importante valutare anche cio' che viene aggiunto nel commento della nota:

"- L'ulcera duodenale è associata a infezione da Helicobacter pylori nel 90-95% e l'ulcera gastrica nel 75-85% del casi. L'eradicazione dell'infezione riduce al 5-10% la probabilità di recidive dell'ulcera a un anno e rende non necessaria né utile una terapia di mantenimento. ….

- Le rare ulcere duodenali e gastriche Helicobacter pylori negative hanno una elevata incidenza di recidive e, se recídivanti, possono necessitare di trattamento antisecretorio prolungato.

La malattia da reflusso gastroesofageo ha tendenza alle recidive, che accentuano il danno esofageo e possono esitare in metaplasia dell'epitelio a rischio di evoluzione neoplastica (esofago di Barrett). ….
il ruolo dell'infezione da HP come concausa delle ulcere da FANS non è definito, ed è equivoca l'evidenza a favore dell'eradicazione dell'infezione per la prevenzione o la terapia delle ulcere da FANS. Di moderata efficacia è per la prevenzione di queste ulcere il misoprostolo; gli H2antagonisti sembrano in grado di prevenire le ulcere duodenali ma non quelle gastriche, che sono peraltro le più frequenti nei soggetti che assumono FANS, Ancora molto scarsi sono i dati su un eventuale effetto protettivo su queste ulcere degli inibitori della pompa protonica (IPP) (4 [Riferito ad una Consensus del 1996 ndr])".

 Esaminiamo i diversi casi:

L' effettuazione della diagnosi NON E' vincolata da criteri particolari. La nota non richiede espressamente indagini o consulenze particolari; la diagnosi puo' quindi essere effettuata da qualunque medico, purche' si usino i criteri della "buona medicina".

Criteri principali:

  1. Ulcere peptiche multiple o recidivanti
  2. Ipersecrezione e iperacidita' gastrica
  3. Ipergastrinemia ecc.

La norma non vincola il trattamento a particolari forme etiopatogenetiche ne' a particolari criteri diagnostici. Vale quindi per tutte le forme ulcerose comprese

  1. ulcere da stress (interventi chirurgici, traumatismi, ricoveri in reparti di medicina intensiva)
  2. ulcere da agenti chimici o farmacologici (tossici, FANS o altri farmaci gastrolesivi).

La diagnosi di recidiva ulcerosa non e' vincolata da precisi criteri e non richiede endoscopie preventive. Puo' quindi essere clinica (ematemesi, melena, sangue occulto persistente, sintomatologia tipica ecc.)

Vengono richiesti dei precisi criteri diagnostici:

  1. Recidiva dell' episodio
  2. Documentazione endoscopica dell' esofagite.

Il fatto che venga richiesta un' unica endoscopia (magari solo all' inizio della sintomatologia) nonche' l' accenno (nel commento della nota) sulla alta frequenza di recidive lasciano intendere che la diagnosi di forma "recidivante" puo' essere anche solo clinica e basata sul manifestarsi della sintomatologia tipica. Qualora si riscontrino segni endoscopici di cronicita' dell' esofagite (es.: metaplasia epiteliale), questi sono gia' indicativi di una patologia recidivante.

I PROBLEMI

Sembrerebbe percio' tutto semplice: allorche' si diagnostichi correttamente una di queste patologie e' possibile prescrivere tranquillamente un Anti H2 o un Inibitore di Pompa Protonica, notoriamente indicati allo scopo…
Ma nulla di cio' che e' burocratico risulta poi semplice, in Italia.
Aprendo le scatole di alcuni prodotti di queste classi si puo' infatti scoprire con una certa sorpresa che… gli antiulcera non sono tutti uguali. (N.B.: i dati della tabella seguente sono tratti da fogli illustrativi di confezioni regolarmente in circolazione; spesso lo stesso prodotto (AntiH2 o Inibitore di Pompa Protonica) era in circolazione con foglietti diversi. I prodotti non vengono nominati ma rappresentati da numeri. Non e' difficile, comunque, verificare):

AntiH2 (n.1)

(Scheda tecnica del '94): INDICAZIONI: Ulcera duodenale , ulcera gastrica benigna, incluse quelle associate al trattamento con farmaci antiinfiammatori non steroidei, ulcera recidivante, ulcera post-operatoria, esofagite da reflusso, sindrome di Zollinger-Ellison… Posologia e durata della somministrazione devono essere sempre stabilite dal medico tenendo presente che di solito i sintomi scompaiono prima che si sia avuta cicatrizzazione dell'ulcera


I.P.P. (n. 1)

(Scheda tecnica del 1999) Indicazioni: -ulcera duodenale attiva-ulcera gastrica benigna attiva - malattia da reflusso gastroesofageo sintomatica erosiva o ulcerativa


I.P.P. (n. 2)

(Scheda tecnica del 1998) INDICAZIONI: Trattamento a breve termine di ulcere duodenali, ulcere gastriche ed esofagiti da reflusso. S. di Zollinger-Ellison. ….. Nella terapia dell'ulcera gastrica e duodenale e dell'esofagite da reflusso la durata del trattamento dovra' essere contenuta nei limiti sopra descritti, in particolare il prodotto non dovra' essere utilizzato per terapie di mantenimento.

(Scheda tecnica 2000)

: INDICAZIONI: Trattamento a breve termine di ulcere duodenali, ulcere gastriche ed esofagiti da reflusso.- Trattamento dell'ulcera peptica quando associata ad infezione da H.P. - Trattamento nonche' prevenzione delle recidive dell'esofagite da reflusso e della malattia da reflusso gastroesofageo. -Sindrome di Zollinger-Ellison


I.P.P. (n. 3)

(Scheda tecnica del 1996): INDICAZIONI: Ulcera duodenale, ulcera gastrica, esofagite da reflusso di grado moderato o severo. DURATA DEL TRATTAMENTO: La durata della terapia con XXX non dovrebbe superare le 8 settimane, poiche' non si ha sufficiente esperienza con trattamenti a lungo termine nell'uomo

(Scheda tecnica del 1997): INDICAZIONI: Ulcera duodenale, ulcera gastrica, esofagite da reflusso di grado moderato e severo. DURATA DEL TRATTAMENTO: La durata della terapia con XXX non dovrebbe superare le 8 settimane, poiche' non si ha una sufficiente esperienza con trattamenti a lungo termine nell'uomo.


I.P.P. (n. 4)

(Scheda tecnica del 1997): INDICAZIONI: Trattamento a breve termine di ulcere duodenali, ulcere gastriche ed esofagite da reflusso. Sindrome di Zollinger-Ellison POS. E MODALITA' D'IMPIEGO: Nella terapia dell'ulcera gastrica e duodenale e dell'esofagite da reflusso, la durata del trattamento dovra' essere contenuta nei limiti sopra descritti, in particolare il prodotto non dovra' essere utilizzato per terapie di mantenimento.

(Scheda tecnica del 1999): DOSE, TEMPO E MODO DI SOMMINISTRAZIONE: Nelle ulcere con tendenza alla recidiva XXX puo' essere impiegato al dosaggio di 15 mg/die per trattamento antisecretorio prolungato secondo il giudizio del medico curante. Esofagite da reflusso: I pazienti affetti da malattia da reflusso gastro-esofageo recidivante possono continuare una terapia di mantenimento con una capsula di XXX 15 mg/die: in casi individuali puo' essere necessaria una terapia di mantenimento con una capsula di XXX 30 mg/die.


Le incongruenze sono numerose, e possono creare non poche difficolta' al povero medico di famiglia: l' I.P.P. n. 2, ad esempio, e' indicato per il trattamento a breve termine delle ulcere, ma poi viene indicato per la S,. di Zolliger-Ellison, che notoriamente necessita invece di trattamento prolungato…

E' importantissimo, quindi, che una volta effettuata la diagnosi ci si documenti attentamente sulle schede tecniche dei singoli farmaci. A farmaci apparentemente simili possono corrispondere schede tecniche del tutto diverse. A cio' si aggiunge il frequentissimo cambiamento di indicazioni e controindicazioni nonche' il fatto che in commercio vengono a coesistere confezioni col vecchio foglietto e confezioni col nuovo. Per il povero medico diventa un vero rebus.

IL PROBLEMA DELLE ULCERE DA FANS

Le note CUF, alla loro prima stesura (G.U. n. 94 del 23/4/1994) prescrivevano espressamente: "Da non utilizzare nella prevenzione del danno gastrointestinale da aspirina. Altri FANS e corticosteroidi".
Questa dizione, con tutte le sequele conflittuali insorte con i pazienti, ha segnato indelebilmente tutta l' impostazione della terapia e della profilassi di tali affezioni.
Eppure…
Le successive modificazioni, ancora attuali, hanno abolito la drastica affermazione precedente riportando invece: " Di moderata efficacia è per la prevenzione di queste ulcere il misoprostolo; gli H2 antagonisti sembrano in grado di prevenire le ulcere duodenali ma non quelle gastriche, che sono peraltro le più frequenti nei soggetti che assumono FANS, Ancora molto scarsi sono i dati su un eventuale effetto protettivo su queste ulcere degli inibitori della pompa protonica (IPP) (4 )".
I
dati riportati si riferiscono, come gia' detto, ad una Consensus del 1996. Le Note Cuf sono poi rimaste ancorate a questa dizione, senza tener conto degli studi pubblicati in epoca successiva al 1996:

Tanto per fare un esempio: il NEJM (12.3.98) riportava due importanti lavori sulla prevenzione/terapia delle lesioni mucose gastro-duodenali da FANS.

1) Confronto in 541 pazienti tra omeprazolo e ranitidina.
Il trattamento è risultato efficace nell'80% circa dei pazienti trattati con omeprazolo e nel 63% di quelli trattati con ranitidina. La percentuale di cicatrizzazione di tutte le lesioni è risultata più alta nel trattamento con omeprazolo

2) Confronto in 935 soggetti trattati omeprazolo o misoprostolo. Percentuale complessiva di successo terapeutico è risultata simile tra i due prodotti. Il mantenimento con omeprazolo è stato collegato ad una percentuale inferiore di recidive, ed e' stato meglio tollerato.

Di studi come questo hanno preso doverosamente atto alcune nostre autorita' sanitarie che hanno opportunamente autorizzato l' uso dei farmaci antiulcera per questa patologia, senza che tale indirizzo fosse pero' recepito dalla Cuf, come se il braccio destro ignori totalmente le azioni del sinistro..
Infatti la scheda tecnica della ranitidina (ad es.) prevede espressamente:

-ulcera gastrica benigna, incluse quelle associate al trattamento con farmaci antiinfiammatori non steroidei… In caso di ulcere conseguenti a trattamento con (FANS) e/o nel caso fosse necessaria la prosecuzione della terapia con tali farmaci… puo' essere necessario protrarre il trattamento fino a 12 settimane. Nei pazienti in cui, dopo la risposta positiva alla terapia a breve termine, e' desiderabile mantenere l'effetto sulla secrezione gastrica, particolarmente in quelli con tendenza a recidive degli episodi ulcerosi, puo' essere adottata una terapia di mantenimento…

In conclusione di questo capitolo, quindi:

RIEPILOGO SCHEMATICO DELLE REGOLE PRESCRITTIVE

NORMATIVE GENERICHE VALIDE PER TUTTI
  • (D.L. 17/2/98 n. 23 convertito con L. 8/4/98 n. 94) Il medico deve attenersi, nella prescrizione, alle indicazioni, vie e modalita' di somministrazione previste dall' autorizzazione all' immissione in commercio
  • Si possono prescrivere farmaci per indicazioni non autorizzate in singoli casi, previa informazione e consenso del paziente… qualora il medico ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere trattato con farmaci registrati per quell' indicazione e purche' tale impiego sia noto e conforme a lavori internazionali.".

Tali farmaci non possono essere prescritti a carico del SSN.

  • (L. 23/12/96 n. 648) Possono essere prescritti i famaci innovativi (se non esiste valida alternativa terapeutica) o farmaci con indicazione diversa da quella registrata, anche a carico del SSN, purche' inseriti (su richiesta ) in apposito elenco tenuto dalla CUF

Corte Costituzionale ( sentenza n. 185/98): Le libere scelte individuali circa il trattamento terapeutico non possono ricadere sul SSN (e quindi il medico dovrebbe rimborsare la spesa).

NORMATIVE SPECIFICHE PRESCRIZIONI SSN

  • PRONTUARIO TERAPEUTICO NAZIONALE (Farmaci Classa A, B, C, H)
  • NOTE CUF

Nota 48

  1. Durata di trattamento prolungata:
  1. sindrome di Zolliger Ellison;
  2. ulcera duodenale o gastrica recidivante
  3. malattia da reflusso gastro-esofageo recidivante, con esofagite endoscopicamente documentata alla prima indicazione o alla prima recidiva.

Aggiunte alla nota:

  • L'eradicazione dell'infezione [da H.P.] riduce al 5-10% la probabilità di recidive dell'ulcera a un anno e rende non necessaria né utile una terapia di mantenimento. ….
  • Le rare ulcere duodenali e gastriche Helicobacter pylori negative hanno una elevata incidenza di recidive e, se recidivanti, possono necessitare di trattamento antisecretorio prolungato
  • La malattia da reflusso gastroesofageo ha tendenza alle recidive, che accentuano il danno esofageo e possono esitare in metaplasia dell'epitelio a rischio di evoluzione neoplastica (esofago di Barrett).

Dott. Daniele Zamperini,
"Doctor", Settembre 2000

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Pillole di buonumore
Le strane sindromi

Mia madre per quattro minuti ha perso la riconoscenza (coscienza)
Mi sento come l' acqua che scende dalle montagne nell' orecchio....
Mi girano gli occhi come se avrei le stelle filanti...
Il bambino aveva la sciolta (diarrea) e allora gli ho dato lo Strettomangia (Streptomagma) e i Fermitutti (Fermenturto)

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