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PILLOLEDI MEDICINA TELEMATICA |
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Sanità a confronto |
Cancro: Entro l'anno test italiano scopre quello al polmone |
Scoperto un nuovo neurotrasmettitore |
Sudore: Per 3 milioni di italiani una cura dal botulino |
Una «terapia alimentare» per la fibrosi cistica |
Influenza: Arriva un test per la diagnosi "fai da te" |
Influenza: l'antidoto spray da oggi in farmacia |
Nuovo vaccino ad ampia protezione contro l’influenza |
Novità sul fronte Alzheimer |
La soja protegge il cuore |
Una signora telefona al dottore:
"Dottore, mio figlio di 6 mesi sta male?". "Da quanto tempo?". "Dall'ora
di pranzo". "E cosa ha preso?". "Due dita di vino". "Ma come! A quell'eta'
deve prendere solo latte!". "Come, del latte con le cozze?".
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Attendibilità dell’automisurazione della P.A. da parte dei pazienti
La misurazione della pressione arteriosa a casa è
raccomandata per distinguere una pressione elevata da un’ipertensione da
camice bianco e per monitorare la terapia. La pressione arteriosa misurata
a domicilio è un fattore predittivo per il monitoraggio pressorio
ambulatoriale di 24 ore, per il danno d’organo e per la mortalità
cardiovascolare migliore di quella misurata da un medico. Gli autori si
sono proposti di stabilire l’accuratezza della misurazione della pressione
arteriosa da parte dei pazienti a casa, per identificare i fattori predittivi
di scarsa accuratezza e per stabilire se una scarsa accuratezza nuoce all’accertamento
della ipertensione.
Metodi. E’ stato chiesto a 54 pazienti (età
dai 30 agli 83 anni), con ipertensione accertata o sospetta, di misurare
a casa propria la pressione arteriosa due volte al giorno tra le 06.00
e le 10.00 per 30 giorni, registrando l’orario e il valore pressorio. Tutti
hanno accettato di partecipare. Un’infermiera ha istruito ogni paziente
nell’uso di sfigmomanometri completamente automatici dotati di memoria
integrata. Per conformità con la commissione etica dell’ospedale,
i pazienti sono stati informati (solo superficialmente) sulla capacità
di memoria degli strumenti. Essi ignoravano che le misurazioni da loro
registrate sarebbero state confrontate con le misurazioni immagazzinate
nell’apparecchio. Le misurazioni sono state considerate corrette se il
momento della misurazione (entro 15 minuti) e i singoli valori autoregistrati
erano identici a quelli registrati dallo strumento, o se la media di misurazioni
multiple differiva di </= 3 mmHg per la pressione sistolica o diastolica.
Risultati. Complessivamente, su 3240 misurazioni
richieste, ne sono state eseguite 2915 (= 89.9%), di cui 2121 (= 72.8%)
sono state riportate correttamente. 34 pazienti (= 63%) hanno riportato
l’80-100% delle misurazioni correttamente, 20 pazienti (= 37%) hanno riportato
correttamente meno dell’80% delle misurazioni, e 12 (= 22%) hanno riportato
correttamente </= del 50%. Differenze di > 5 mmHg tra le medie riportate
e i valori registrati di pressione sistolica o diastolica si sono verificate
solo in otto pazienti, senza preferenze nel riportare valori più
alti o più bassi. Per mezzo dell’analisi della regressione multipla
è stato identificato come unico fattore indipendente predittivo
di scarsa accuratezza (< 80% di misurazioni corrette, P = 0.004) il
basso livello di istruzione. Pazienti che avevano fatto 8 anni o meno di
scuola avevano un rischio relativo di 3.39 (test del 2 = 1.54
– 7.46) di riportare </= 80% delle misurazioni correttamente, in confronto
ai pazienti con livello di istruzione più elevato.
Commento. Lo studio suggerisce che l’accuratezza
nel riportare i valori di pressione arteriosa presi a casa è accettabile
nella maggior parte dei pazienti, ma che alcuni pazienti con basso livello
di istruzione possono essere poco accurati, il che può nuocere alla
determinazione della pressione arteriosa.Sebbene il numero dei partecipanti
sia piccolo, gli autori ritengono che la maggior parte dei pazienti misuri
accuratamente la pressione arteriosa a casa, per due ragioni: la prima
è che solo otto pazienti (= 15%) sono stati poco accurati; la seconda
è che differenze di > 5 mmHg nelle pressioni arteriose medie sistoliche
e diastoliche riportate sono state rare.
In conclusione, è possibile, ma non verosimile,
che una scarsa accuratezza nel riportare le misurazioni della pressione
arteriosa fatte in casa nuoccia alla determinazione della pressione. Nei
pazienti meno istruiti il monitoraggio ambulatoriale della pressione può
essere preferibile all’automisurazione.
British Medical Journal, 30 ottobre 1999
Gli autori dell’articolo si propongono di offrire al medico di famiglia un aggiornamento equilibrato su questo supplemento dietetico, valutando criticamente più di cento articoli (su oltre 3000 citazioni sul cromo pubblicate a partire dal 1990), che descrivono i possibili effetti benefici e dannosi della somministrazione di cromo.
Il cromo è un metallo affascinante e versatile, scoperto due secoli fa; esso rende lo smeraldo verde e il rubino rosso. E’ un elemento essenziale in tracce, la cui attività biologica dipende dallo stato di valenza. Il cromo metallico (valenza 0, Cr-0) è inerte. Delle altre due forme stabili, il cromo III (Cr-III) può avere un valore terapeutico, ed è pertanto l’oggetto principale di questo articolo; è la forma presente nei cibi e nel cromo picolinato, che è usato come supplemento dietetico a causa della sua maggior biodisponibilità. Il cromo VI (Cr-VI) è la forma che si ritrova nelle saldature, nelle placcature e nelle industrie chimiche, in cui è un ben noto irritante delle vie respiratorie e un cancerogeno. L’azione cancerogena del Cr-VI richiede la sua riduzione intracellulare a Cr-III. Finora, comunque, nessuna azione cancerogena è stata attribuita al Cr-III ingerito, sebbene questo non sia stato ancora valutato adeguatamente a questo riguardo, forse a causa della sua limitata capacità di attraversare le membrane cellulari. Si ritiene generalmente che la penetrazione intranucleare sia limitata al Cr-VI, d’altra parte alcuni studi recenti hanno suggerito possibili effetti tossici a livello genetico del Cr-III utilizzato come supplemento dietetico per lunghi periodi.
Fonti e assunzione di cromo. Sali di Cr-III biodisponibili si trovano in molti cibi, specialmente fegato, formaggio americano, lievito di birra e germi di grano. Altre buone fonti sono le carni, il pesce, la frutta, i cereali integrali, i vegetali (e.g. carote, patate e spinaci), così come l’erba medica, lo zucchero di canna, la melassa e i grassi animali. Il National Research Council ritiene sicura e adeguata l’assunzione giornaliera di 50-200 µg di Cr-III, e valuta che negli USA l’assunzione giornaliera sia di 25-33 µg, con oltre il 90% della popolazione che assume meno di 50 µg/die. La frequenza del deficit di cromo nella popolazione generale è sconosciuta, manca un indicatore attendibile dell’adeguatezza dell’assunzione di Cr-III. Sono stati riportati parecchi casi di sindrome subacuta da deficit di Cr-III in pazienti sottoposti a nutrizione parenterale totale. Una inadeguata introduzione con la dieta è stata pure implicata in diverse anormalità metaboliche, compresi un alterato metabolismo glucidico e lipidico, elevati livelli circolanti di insulina, e riduzione del numero di recettori per l’insulina.
Disponibilità e possibili usi dei supplementi di cromo. Il cromo III è disponibile sotto forma di sali cloruro e picolinato. In questa forma è stato utilizzato a scopo terapeutico negli studi più recenti a dosi variabili da 200 a 1000 µg/die. Ci sono anche diverse fonti naturali sotto forma di complessi organici con l’acido nicotinico. In combinazione con acido nicotinico e aminoacidi, il Cr-III forma un complesso chiamato “fattore di tolleranza al glucosio”. Sebbene la struttura di questo fattore non sia ben chiarita, si sa che aumenta l’azione periferica dell’insulina, portando al concetto che le persone affette da diabete potrebbero trarre beneficio dalla integrazione dietetica di cromo. Anche i pazienti con malattie cardiache o anomalie delle lipoproteine potrebbero essere candidati a ricevere supplementi di Cr-III, alla luce di resoconti di effetti benefici sul metabolismo lipidico. E’ stato inoltre suggerito che supplementi di Cr-III possano salvaguardare la densità ossea e altrimenti migliorare la composizione corporea, ma gli studi hanno dato risultati non convincenti.
Prove di efficacia. Molti studi hanno riportato benefici effetti dell’ integrazione dietetica di Cr-III sull’efficienza dell’insulina o sulle lipoproteine del sangue. Diabete. In diversi studi l’aggiunta di Cr-III ha provocato miglioramenti nei livelli ematici di emoglobina glicata, glicemia a digiuno e post-prandiale, insulina e colesterolo totale. Non ci sono stati cambiamenti nei livelli ematici di trigliceridi, HDL, azotemia o nell’indice di massa corporea. L’American Diabetes Association nel 1996 ha affermato che “l’integrazione dietetica di cromo non ha effetti benefici dimostrati” in pazienti diabetici senza deficit di cromo. E’ stato riferito che l’uso di Cr-III in pazienti con diabete gestazionale ha effetti benefici sui livelli di emoglobina glicata, insulina e glucosio. Lipoproteine. L’azione sulle lipoproteine è controversa. Alcuni studi riferiscono una riduzione dei trigliceridi e un aumento dell’HDL, ma altri non hanno avuto gli stessi risultati.
Usi discutibili, effetti sfavorevoli e controindicazioni. Le pretese di efficacia dell’aggiunta di cromo nei cibi dietetici del commercio e nelle riviste per la salute comprendono il body building e la conservazione della massa ossea in postmenopausa. Tuttavia, poche ricerche peer-reviewed (*) supportano queste pretese, mentre sono stati riferiti alcuni effetti sfavorevoli. Obesità e composizione corporea. I fabbricanti hanno hanno dichiarato benefici effetti dell’integrazione di Cr-III sulla composizione del corpo e sulla perdita di peso. La maggior parte dei lavori non ha confermato queste affermazioni, per cui nel 1996 la Federal Trade Commission ha ordinato a tre industriali di smettere di fare asserzioni non giustificate di benefici per la salute dall’integrazione di Cr-III. Effetti tossici genetici. Alcuni studi recenti su animali di laboratorio hanno dimostrato che il Cr-III può entrare nei nuclei di cellule epatiche e renali e provocare danni ai cromosomi. Ciò suggerisce cautela riguardo la sicurezza dell’uso prolungato di supplementi di cromo. Altri effetti sfavorevoli. Recentemente è stato riferito un caso di insufficienza renale acuta da severa nefrite interstiziale dopo 5 mesi di assunzione di 600 µg al giorno di picolinato di cromo. In un altro caso una donna di 33 anni, dopo assunzione per 5 mesi di 1200-2400 µg/die di picolinato di cromo, sviluppò emolisi, piatrinopenia, disfunzione epatica e insufficienza renale.
Conclusioni. Il cromo, come altri supplementi dietetici, ha solo una base di ricerche confuse per supportare le pretese dei suoi proponenti. Il suo ruolo nella regolazione insulinica e i suoi possibili effetti terapeutici sui pazienti diabetici sono gli aspetti più attraenti. L’integrazione di cromo ha un effetto benefico sulla relazione tra glucosio e insulina nei pazienti diabetici con deficit di Cr-III, ma la maggior parte non sono così carenti. Non abbiamo mezzi diretti per stabilire lo status del cromo in soggetti con insulino-resistenza e intolleranza al glucosio. Quindi non possiamo identificare prontamente quelli che più probabilmente trarrebbero beneficio dall’integrazione di cromo. Tale integrazione potrebbe anche migliorare il bilancio lipoproteico in soggetti a rischio di malattia coronarica. Non è chiaro se il miglioramento negli studi menzionati fosse un effetto diretto dell’assunzione di cromo sul metabolismo lipidico o una conseguenza indiretta collegata alla migliorata omeostasi di glucosio e insulina.
La produzione e la vendita del cromo non sono controllate dalla Food and Drug Administration, sicché non c’è uno standard di produzione o una sorveglianza del mercato. Non siamo inoltre in grado di monitorare il trattamento tramite i livelli ematici o con altri mezzi. L’insufficienza renale sembra essere una rara complicazione della terapia a dosi superiori ai 600 µg/die attualmente raccomandati. Tuttavia, ciò obbliga il medico di famiglia ed altri professionisti della salute ad essere consapevoli dei potenziali effetti nocivi e dei possibili benefici di questa terapia.
Dopo che il manoscritto è stato accettato per la pubblicazione, è stata aggiunta una nota nella bozza di stampa: un caso di rabdomiolisi acuta occorso ad una donna di 24 anni praticante di body building che aveva ingerito 1200 µg di picolinato di cromo in 48 ore.
Archives of Family Medicine, settembre/ottobre 1999
(*) N.d.R.: le riviste scientifiche più prestigiose
hanno un comitato di “revisione fra pari” che effettua un severo controllo
critico indipendente sugli articoli che devono essere pubblicati.
Incontinenza urinaria e donne giovani
Premesse. La International Continence Society
ha definito l’incontinenza urinaria come una condizione in cui la perdita
involontaria di urina è obiettivamente dimostrabile ed è
un problema sociale o di igiene. L’incontinenza urinaria è presumibilmente
un problema di salute comune nelle donne anche in giovane età.
Obiettivo. Scopo principale dello studio era valutare la prevalenza
dell’incontinenza urinaria (UI) in una popolazione femminile con speciale
attenzione alle donne più giovani (età 18-30 anni). Il secondo
scopo era investigare l’associazione di tra incontinenza urinaria e numero
di parti, uso di contraccettivi o analoghi di estrogeni, e infezioni delle
vie urinarie.
Metodi. E’ stato organizzato uno studio di popolazione con un
questionario autosomministrato nella comunità di Surahammar, Svezia.
Hanno partecipato 3493 donne di età compresa tra i 18 e i 70 anni
che vivevano a Surahammar durante il 1995. I principali parametri di esito
sono stati la prevalenza di incontinenza urinaria e variabili quali il
numero di parti, l’uso di contraccettivi o analoghi di estrogeni, e le
infezioni delle vie urinarie.
Risultati. Il 26% delle donne hanno riportato problemi di incontinenza
urinaria. La prevalenza di incontinenza urinaria nelle donne giovani è
stata del 12%. Il numero di infezioni delle vie urinarie riportate è
stato significativamente più alto nelle donne con incontinenza urinaria;
anche la nulliparità o l’aver partorito uno o due bambini sono stati
più frequenti nelle donne con incontinenza urinaria. L’uso di contraccettivi
era più comune nelle giovani donne senza incontinenza urinaria (P
< 0.05). Comunque, l’uso di estrogeni era più comune nelle donne
anziane nel gruppo di età da 51 ai 70 anni con incontinenza urinaria
(P > 0.01).
Conclusioni. I risultati dimostrano che il 26% delle donne che
hanno partecipato allo studio riferiva incontinenza urinaria. Tra le donne
di età inferiore ai 30 anni, il 12% riferiva incontinenza urinaria.
E’ stata riscontrata un’alta prevalenza di incontinenza urinaria nelle
donne più giovani con infezioni delle vie urinarie, che non assumevano
estrogeni, nullipare o che avevano partorito uno o due figli. Sono necessari
ulteriori studi con speciale attenzione alle donne giovani.
Family Practice, ottobre 1999
Il ramipril fornisce una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari
BOSTON, MA -- 11 novembre 1999 --The New England Journal of Medicine ha pubblicato una versione preliminare dei risultati dello studio condotto in Canada e a livello multinazionale denominato HOPE(Heart Outcomes Prevention Evaluation), sul suo attuale sito Web. In conformità con la politica del giornale (Angell m. e Kassirer JP. La regola di Ingelfinger), questo articolo e’ stato rilasciato prima della relativa data della pubblicazione. HOPE, condotto per un periodo di 4 anni e mezzo, ha coinvolto più di 9500 pazienti di tutto il mondo, con più del 60 per cento dei pazienti provenienti dal Canada.
HOPE ha dimostrato che il trattamento con il farmaco anti ipertensivo ramipril riduce il rischio di eventi cardiovascolari, inclusi gli attacchi cardiaci e lo stroke, e la mortalità del 22 per cento in pazienti ad alto rischio. Il Ramipril ha egualmente ha ridotto il rischio di morte cardiovascolare del 25 per cento, dall' attacco di cuore non fatale del 20 per cento e dello stroke non fatale del 32 per cento. I risultati dello studio hanno egualmente mostrato una drammatica riduzione del 31 per cento del rischio di insorgenza del diabete di tipo 2. “Se il ramipril è ampiamenteusato in pazienti ad alto rischio, più di un milione di inutili morti, attacchi di cuore e strokes potrebbero essere evitati in tutto il mondo ogni anno" ha detto il Dott. Salim Yusuf, presidente dello studio HOPE e professore di medicina all' Università di McMaster, Hamilton, Ontario. La malattia cardiovascolare è la principale causa della morte nel Canada.
Di seguito si riporta la traduzione integrale dell'abstract.
Avviso:
A causa delle relative potenziali implicazioni terapeutiche, questo articolo
viene divulgato prima della relativa data della pubblicazione, in conformità
con la politica del giornale (Angell M and Kassirer JP. The
Ingelfinger Rule revisited. N Engl J Med 1991;325:1371-2).La versione
definitiva del rapporto sarà pubblicata il 20 gennaio 2000. (avviso
pubblicato il 10 novembre 1999.)
The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study Investigators*
Effects of an Angiotensin-Converting-Enzyme Inhibitor, Ramipril, on Death from Cardiovascular Causes, Myocardial Infarction, and Stroke in High-Risk Patients Abstract Cenni storici. Gli inibitori dell’enzima
di conversione dell’angiotensina migliorano il risultato tra i pazienti
con disfunzione ventricolare di sinistra, abbiano o meno insufficienza
cardiaca. Abbiamo valutato il ruolo d'un inibitore dell’enzima di conversione
dell’angiotensina, ramipril, in pazienti che erano ad elevato rischio per
eventi cardiovascolari ma chi non avevano disfunzioni del ventricolo sinistro
o insufficienza cardiaca.
Metodi. Un totale di 9297 pazienti ad alto rischio (55 anni o più ) con evidenza di malattie cardiovascolari o diabete, più un altro fattore di rischio cardiovascolare, e a cui non sia mai stata diagnosticata bassa frazione di eiezione o insufficienza cardiaca, è stato assegnato con metodica randomizzata per ricevere in un caso ramipril (mg 10 al giorno per via orale) o un placebo, per una periodo di cinque anni. L’end point primario era sulla occorrenza singola o combinata di infarto miocardico, stroke o morte per cause cardiovascolari. Risultati. Un totale di 653 pazienti a cui e’ stato somministrato il ramipril (14,1 per cento) ha raggiunto l’end point primario, rispetto a 824 pazienti che hanno ricevuto il placebo (17,7 per cento) (rischio relativo, 0,78; intervallo di confidenza del 95 per cento, 0,70 - 0,86 P<0.001;).Il trattamento con ramipril ha ridotto i tassi di morte per cause cardiovascolari (6,1 per cento, rispetto a 8,1 per cento nel gruppo del placebo; rischio relativo, 0,75; P<0.001), infarto miocardico (9,9 per cento contro 12,2 per cento; rischio relativo, 0,80; P<0.001), stroke (3,4 per cento contro 4,9 per cento; rischio relativo, 0,69; P<0.001), morte da qualsiasi causa (10,4 per cento contro 12,2 per cento; rischio relativo, 0,84; P=0.006), procedure di rivascolarizzazione (16,0 per cento contro 18,6 per cento; rischio relativo, 0,84; P<0.001), arresto cardiaco (0,8 per cento contro 1,2 per cento; rischio relativo, 0,63; P=0.03), insufficienza cardiaca (7,4 per cento contro 9,4 per cento; rischio relativo, 0,78; P<0.001) e complicazioni riferite al diabete (6,2 per cento contro 7,4 per cento; rischio relativo, 0,84; P=0.03) Conclusioni. Il Ramipril riduce significativamente i tassi della morte, dell' infarto miocardico e dello stroke in una vasta gamma di pazienti ad alto rischio che non abbiano evidenza di bassa frazione di eiezione o insufficienza cardiaca. |
La mia ragazza era talmente
brutta che una volta portata al pronto soccorso per un taglio ad un dito,
il medico appena ha aperto la porta e l'ha vista in faccia ha detto : "Chissa'
come e' ridotta la macchina!".
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Premessa. La reazione psicologica al cancro mammario, così
come uno spirito combattivo o un atteggiamento di impotenza e di disperazione
verso la malattia, sono stati suggeriti come fattori prognostici con un’influenza
sulla sopravvivenza. Gli autori hanno studiato gli effetti della reazione
psicologica sui risultati della malattia in un’ampia coorte di donne con
cancro del seno al primo stadio.
Metodi. Sono state arruolate 578 donne con cancro del seno al
primo stadio in uno studio prospettico di sopravvivenza. La reazione psicologica
è stata misurata a 4 e 12 settimane e a 12 mesi dopo la diagnosi
con test idonei: la scala MAC (Mental Adjustment to Cancer), la scala CEC
(Courtauld Emotional Control) e la scala HAD (Hospital Anxiety and Depression).
Le donne sono state seguite per almeno 5 anni.
Risultati. A 5 anni, 395 donne erano vive e senza recidive,
50 erano vive con recidive, e 133 erano morte. C’è stato un aumento
significativo del rischio di morte per tutte le cause a 5 anni per le donne
con un punteggio elevato nella categoria “depressione” della scala HAD;
c’è stato inoltre un aumento significativo del rischio di recidiva
o morte a 5 anni nelle donne con punteggio elevato nella categoria “impotenza
e disperazione” della scala MAC, in confronto a quelle con basso punteggio
nella stessa categoria; non sono stati riscontrati risultati significativi
nella categoria “spirito combattivo”.
Interpretazione. Per la sopravvivenza a 5 anni senza eventi
negativi un punteggio elevato in impotenza e disperazione ha un effetto
moderato ma dannoso. Un punteggio elevato in depressione è collegato
ad una possibilità di sopravvivenza significativamente ridotta;
tuttavia, questo risultato si basa su un piccolo numero di pazienti e dovrebbe
essere interpretato con cautela.
Lancet, 16 ottobre 1999
Circa il 75% dei casi di infarto miocadico acuto
si manifestano in soggetti di eta' superiore ai 70 anni, e questo gruppo
di malati riceve spesso una terapia più blanda rispetto a quella
utilizzata da pazienti più giovani.
Un gruppo di 1225 cardiopatici anziani ricoverati nel periodo compreso
fra il 1998 e il 1994 al Newham General Hospital e' stato seguito dal gruppo
del dott. K.Barakat del London Chest Hospital, che ha valutato le caratteristiche
del trattamento terapeutico. E' stato confermata l' abitudine ad una terapia
piu' blanda: in questo gruppo l’uso di farmaci trombolitici e di beta-bloccanti
è risultato significativamente inferiore rispetto a quanto usato
nei pazienti di età più giovane. La presenza di insufficienza
ventricolare sinistra e' stata il fattore maggiormente predittivo di mortalità
entro un anno dall’evento. In assenza di questa, invece, la sopravvivenza
dei pazienti con oltre 70 anni di età è risultata migliore
di quella di persone più giovani il cui esordio clinico era caratterizzato
dallo scompenso. L’età non deve costituire una controindicazione
alla terapia massimale in caso di infarto miocardico.
(Lancet 1999;353:955-9)
Il CFTR e' un gene coinvolto nella sintesi di una
proteina che regola, attraverso una catena di reazioni, l' AMP ciclico
e quindi la conduttanza trans-membrana cellulare al cloro. Questa funzione
risulta alterata nei pazienti affetti da fibrosi cistica. In alcuni studi
sperimentali il trasferimento alla mucosa nasale, tramite aerosol, di aggregati
lipidici contenenti il DNA del gene normale ha consentito un certo grado
di normalizzazione della funzione epiteliale di questi pazienti. La somministrazione
di questo preparato a 8 malati di fibrosi cistica e' stata effettuata con
tecniche che consentivano una inalazione profonda, con l' obiettivo di
ottenere un miglioramento dello scambio ionico cellulare anche a livello
polmonare. In tutti i pazienti trattati, diversamente da quanto riscontrato
nel gruppo placebo, si e' assistito ad una significativa correzione della
anomalia dello scambio elettrolitico di membrana, tipico della fibrosi
cistica. Con questa procedura si ottiene un miglioramento della funzione
cellulare alveolare nei pazienti affetti da fibrosi cistica.
(Lancet 1999;353;947-54)
Nonostante l’uso dell’eparina e dell’aspirina, il
5-10% dei pazienti con angina instabile evolve verso l’infarto miocardico
o l’angina refrattaria. La lepirudina, un inibitore diretto della trombina,
ottenuto mediante tecniche ricombinanti, si è dimostrata promettente
in questi pazienti.
L’OASIS-2 è uno studio multicentrico coordinato dal prof. S.
Yusuf della MacMaster University (Canada) che ha valutato 10.141 pazienti
con angina instabile o sospetto infarto miocardico senza alterazioni del
tratto ST e randomizzati per eparina o lepirudina. Dopo 7 giorni di terapia
si erano stabilizzati in senso peggiorativo (raggiungendo l’end-point globale
di morte, reinfarto o angina refrattaria) il 6,7% dei pazienti del gruppo
con eparina e il 5,6% di quello con lepirudina, con una differenza statisticamente
significativa. Nonostante le complicanze emorragiche siano state più
frequenti nel gruppo con lepirudina, queste non hanno pesato sulla mortalità
globale.In questi pazienti un inibitore diretto della trombina è
più efficace dell’eparina.
(Lancet 1999;353:429-38)
Scopo dello studio (italiano) è di valutare se trattare
l’infezione da Helicobacter pilori in soggetti affetti da gastrite e anemia
sideropenica può migliorare l’anemia. Gli autori hanno studiato
30 pazienti con anemia sideropenica e infezione da H.p. e gastrite, senza
altre potenziali cause di anemia. A tutti i pazienti è stata somministrata
una terapia standard per l’infezione da H.p. ed è stata sospesa
la supplementazione di ferro. In tutti i pazienti sono stati quindi controllati
l’emocromo e la sideremia, ed effettuati tests per verificare l’avvenuta
eradicazione.
Risultati. Ventiquattro su trenta pazienti sono stati eradicati
con successo. Sei mesi dopo il trattamento, tre quarti di questi 24 pazienti
presentavano um miglioramento dell’anemia. Dopo un anno, più del
90% di essi era guarito dall’anemia.
Limiti dello studio. Non c’è stato un gruppo di controllo
di pazienti che non avevano ricevuto una terapia o che non erano stati
curati con successo. Non è possibile essere certi che i pazienti
siano migliorati per merito della terapia o da se stessi.
Implicazioni dello studio. L’eradicazione dell’Helicobacter
pylori in pazienti con gastrite e anemia sideropenica può migliorare
l’anemia così come la gastrite.
Annals of Internal Medicine, 2 novembre 1999
La sindrome da apnea ostruttiva
notturna è una patologia importante per le sue potenziali conseguenze
a carico soprattutto del SNC nonche' di altri apparati. E' di difficile
riconoscimento ed in genere viene diagnosticata con la polisonnigrafia,
anche se dati utili, di incerta affidabilita', possono essere ottenuti
col monitoraggio domiciliare, che costa meno o, secondo alcuni, anche con
la semplice osservazione diretta del malato durante il sonno. All’Università
del Michigan (dott. R.D. Chervin e coll.) è stato eseguito uno studio
comparativo fra polisonnigrafia, monitoraggio domiciliare e osservazione
clinica del malato, i pazienti sono stati seguiti per 5 anni. La polisonnigrafia
si è dimostrata come l’indagine più affidabile, e in grado
di consentire misure idonee a migliorare significativamente la qualità
di vita del paziente. I costi sono superiori a quelli comportati dalle
altre due metodiche, ma sono favorevolmente compensati dalla sua efficacia.
(Ann Intern Med 1999;130:496-505)
Se le fratture dell’anca costituiscono una ben studiata
potenziale causa di morte nelle donne, il sesso maschile non appare indenne
da rischio, anzi questo appare ancora maggiore.
Il gruppo del St. Vincent’s Hospital di Sidney ha eseguito uno studio
prospettico di 5 anni su 2413 donne e 1989 uomini di età superiore
a 60 anni, valutando l’incidenza di fratture ossee di origine osteoporotica.
In 365 delle prime e 137 dei secondi si sono verificate fratture per traumi
di lieve intensità.
Malgrado la maggior frequenza di eventi nel sesso femminile, la mortalità
è risultata incrementata nel corso del primo anno dopo l’evento
ed e' apparsa maggiore nei soggetti di sesso maschile. Questo tipo di fratture
costituisce un fattore di rischio a morte anche per pazienti di età
generalmente più giovane di quanto generalmente ritenuto, e deve
essere adeguatamente considerato nell’ambito di un azione preventiva.
(J.R. Center e coll. -Lancet 1999;353:878-82)
La nefropatia da IgA e'
una affezione generalmente progressiva e per la quale non esisrte una terapia
adeguata. Pozzi e coll. Hanno condotto uno studio randomizzato per verificare
l' efficacia della terapia di 6 mesi con steroidi per questa malattia.
Sono stati valutati 86 pazienti con diagnosi bioptica, randomizzati per
metilprednisolone per via venosa, prednisone per os, per sola terapia di
supporto. Nove su 43 trattati e 14 su 43 controlli hanno mostrato un deterioramento
marcato della funzione renale durante i 5 anni di follow-up. Risultavano
fattori indipendenti di rischio il sesso femminile e la presenza di sclerosi
vascolare. La terapie cortisonica si e' dimostrata in grado di esplicare
una funzione protettiva senza effetti collaterali importanti. L' eventuale
aumento della proteinuria e' da considerare come un segnale della necessita'
di un secondo ciclo di terapia.
(Lancet 1999;353:883-887)
E’ noto che il sistema riproduttivo maschile può
essere danneggiato da alcuni principi attivi presenti nei pesticidi. Recenti
studi di tossicologia sperimentale suggeriscono che alcune di queste sostanze
potrebbero alterare l’omeostasi ormonale durante le fasi di sviluppo prenatale
e neonatale, causando malformazioni del tratto genitale maschile o alterazioni
della spermatogenesi. Il presente studio è stato condotto per verificare
la presenza di queste sostanze (endocrine disruptors, ED) tra i pesticidi
italiani. I principi attivi sono stati identificati tramite l’Archivio
degli Antiparassitari Agricoli (ISS), che contiene informazioni sui prodotti
registrati in Italia. Dalla valutazione tossicologica, effettuata attraverso
una revisione della letteratura scientifica ufficiale, è risultato
che tra i 352 principi attivi registrati in Italia, 22 sono in grado, di
alterare il sistema ormonale o di alterare lo sviluppo e/o la funzionalità
del sistema riproduttivo maschile e femminile. In particolare 4 principi
attivi (metossicloro, vinclozolina, procimidone, lindano) con capacità
di interferire con gli ormoni sessuali, sono presenti in 92 prodotti registrati
in Italia con un intervallo di concentrazione compreso tra 0,5%-75%.
Una indagine pilota è stata condotta tra i rivenditori
di pesticidi di un area agricola del centro Italia, caratterizzata per
l’intensiva attività agricola con diversificate coltivazioni, al
fine di verificare l’utilizzazione delle sostanze ED in agricoltura. Tra
i prodotti venduti nell’area agricola sono stati identificati il procimidone
, la vinclozolina e il lindano.
Questi dati, benchè preliminari e limitati ad
una unica area, hanno permesso di accertare la commercializzazione di questi
principi attivi. Sebbene sia difficile stimare il rischio riproduttivo
dei lavoratori che utilizzano queste sostanze, poiché mancano, ad
oggi, informazioni sui livelli di esposizione, l’accertamento della loro
commercializzazione, suggerisce che una maggiore attenzione dovrebbe essere
rivolta alla sorveglianza dei lavoratori che maneggiano questi principi
attivi.
(G.Petrelli e al. "Biologi Italiani" n. 7 1999)
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16.11.1999
Sanità a confronto
Il sistema sanitario italiano ha problemi, ma è meno disastroso di come qualcuno lo dipinge In un paese dominato dagli scandali quotidiani e dalle emergenze esasperate come il nostro, in cui la Sanità è uno degli obiettivi prediletti delle cronache, ci si potrebbe aspettare che il quadro del Sistema sanitario nazionale mostri lacune disastrose rispetto ai partner europei. Dati alla mano, invece, la Sanità europea è più uniforme di quanto si creda. Almeno è quanto è emerso dall'incontro stampa organizzato questa mattina a Milano da Pharmacia & Upjohn, se si aggregano i risultati di due inchieste condotte dall'ISPO e da Valdani Vicari & Associati in sei paesi europei. Nei risultati esposti da Renato Mannheimer per conto dell'ISPO, gli italiani appaiono generalmente soddisfatti del rapporto con il medico di base, ma percepiscono la Sanità nazionale in modo negativo, più di tedeschi, svedesi, spagnoli inglesi e francesi. In particolare, l'italiano sembra diffidente nei confronti delle prestazioni che hanno come punto di riferimento la struttura ospedaliera. Se invece si va a confrontare il gradimento dei pazienti che hanno subito un ricovero rispetto al trattamento ricevuto (questa la ricerca condotta da Valdani Vicari & Associati) il risultato si fa molto più omogeneo. L'Italia è nella media europea sia per la durata delle degenze sia per i tempi di attesa al pronto soccorso, manifestando lacune solo nei cosiddetti servizi accessori, che vanno dalla disponibilità di telefoni nella struttura alla presenza di spazi ricreativi. Il grado di soddisfazione dei pazienti, insomma, è perfettamente allineato alla media europea, anche se una carenza da segnalare è l'alto numero di posti letto per stanza (3,9) rispetto alla media e in particolare alla Francia (1,4). Qualche perplessità emerge anche se si raffrontano i tempi di attesa per prestazioni diagnostiche e chirurgiche, illustrati da Teresa Petrangolini, del Tribunale per i diritti del malato. I tempi di attesa delle prestazioni, in Italia, sono effettivamente più alti della media continentale, e decisamente spropositati rispetto a Svezia e a Germania, ma non lontani da quelli britannici e persino più brevi di quelli spagnoli. Nota a margine, anche i tempi per l'approvazione dei farmaci continuano a risentire delle lungaggini ereditate da anni di prassi burocratiche. Nell'insieme, il quadro della Sanità italiana risulta però non lontano dagli standard degli altri paesi comunitari. A essere sicuramente più bassa rispetto ai livelli europei è la percezione degli italiani di «come vanno le cose» in materia di Sanità. E a questo, probabilmente, contribuisce anche l'atteggiamento talvolta spregiudicatamente vittimista e locale della stampa nostrana. A volte, guardare gli altri potrebbe essere educativo... Marco Cattaneo Le Scienze www.lescienze.it |
28.10.99
Cancro: Entro l'anno test italiano
scopre quello al polmone
Napoli - Un test italiano scopre il cancro al polmone, al primo posto tra le neoplasie che colpiscono l'uomo. Lo ha messo a punto, attraverso la ricerca di una proteina, Tlp, il professor Giulio Tarro, primario di virologia del PO Cotugno di Napoli e sara' distribuito entro l'anno dalla Sclavo. ''Questo test, simile a quello per il cancro della prostata -spiega Tarro all'Adnkronos- copre quasi il 90% dei tumori del polmone, l'adenocarcinoma e il carcinoma epidermoide, ma non riesce ad identificare il microcitoma. La scoperta, avvenuta qualche anno fa, e' stata gia' studiata attentamente a livello internazionale fin dagli inizi degli anni '90. Finalmente siamo riusciti a fornire il materiale ad un'azienda produttiva ed entro l'anno dovrebbe cominciare la diffusione. Cio' dipendera' molto dalla Sclavo, se sara' in grado di distribuirla a tutti i laboratori. La presenza della proteina - dice Tarro - vuol dire che c'e' un rischio, e' un campanello d'allarme per una situazione tumorale''. Il professor Tarro e' stato insignito dell'alta onoreficenza di grande ufficiale al merito della Repubblica italiana. E su proposta del ministro della Sanita' gli e' stata anche conferita la medaglia d'oro al merito della Sanita' Pubblica. (Adnkronos) |
15.11.1999
Scoperto un nuovo neurotrasmettitore
La scoperta potrebbe consentire la definizione di un efficace trattamento dei danni da ictus È la D-serina il nuovo neurotrasmettitore identificato, in grado di regolare alcune tra le più importanti funzioni cerebrali. E la sua scoperta è destinata a rivoluzionare alcune delle consolidate conoscenze sul funzionamento del cervello. Al di là dell’importanza della sua identificazione, infatti, la particolarità della scoperta consiste nel fatto che la D-serina è una molecola «insolita» per gli organismi superiori: si tratta di un amminoacido che presenta una struttura «speculare» rispetto agli amminoacidi normalmente prodotti, denominati L-amminoacidi in quanto presentano atomi che si estendono dal lato sinistro della loro struttura. I D-amminoacidi possono essere prodotti a partire dagli L-aminoacidi mediante un processo di «racemizzazione», effettuato da specifici enzimi. Ebbene, finora si è creduto che solo alcuni organismi primitivi, in particolare i batteri, possiedano questi enzimi e quindi possano produrre i D-amminoacidi, mentre gli organismi superiori, e naturalmente anche l’uomo, producono solo L-amminoacidi. I ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, come descritto nell’articolo apparso nei «Proceeding of National Academy of Sciences» di novembre, non solo hanno identificato la presenza della D-serina nel tessuto cerebrale dei topi, ma hanno anche isolato l’enzima che determina la sua produzione, la serina-racemasi. Gli studiosi hanno scoperto che la D-serina attiva i recettori NMDA sulle cellule nervose chiave per alcune delle funzioni cerebrali più importanti, quali l’apprendimento e la memoria. Dal momento che questi recettori sono anche responsabili dei danni cerebrali provocati dall’ictus, l’identificazione della molecola implicata nella loro attivazione potrebbe portare alla definizione di una nuova strategia per il trattamento di questa patologia. «La comprensione di come si forma la D-serina, e quindi di come poterne bloccare la produzione, potrebbe portare a un efficace trattamento dell’ictus» sostiene Solomon Snayder, a capo della ricerca. Bloccando infatti la produzione della D-serina si dovrebbe prevenire l’attivazione del recettore NMDA e di conseguenza limitare i danni causati dall’ictus. Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it |
27.10.1999
Sudore: Per 3 milioni di italiani una cura dal botulino Roma - Mani scivolose, chiazze umide sotto le ascelle, piedi bagnati e maleodoranti. Sudare troppo e' un problema che affligge fino a tre milioni di italiani, soprattutto donne ed adolescenti, che per questo vanno incontro a micosi, infezioni, grossi problemi psicologici e difficolta' nella vita sociale. Per loro arriva in aiuto il botulino, un ''ex veleno'' gia' impiegato con successo in medicina estetica, oculistica e neurologia, in grado grazie a microiniezioni locali di inibire l'eccesso di sudorazione, normalizzando le ghiandole di mani, piedi e ascelle. Le nuove ''virtu''' della tossina botulinica sono state illustrate oggi in un incontro nella sede romana del Consiglio Nazionale delle Ricerche. ''Ognuno di noi ha dai 3 ai 4 milioni di ghiandole sudoripare - spiega Fabrizio Stocchi, del dipartimento di Scienze neurologiche della Sapienza di Roma - che possono produrre al massimo 2-3 litri di sudore ogni ora. Sono sparse per tutto il corpo, ma quelle di mani, piedi e ascelle fanno gruppo a se', secernendo liquido non solo quando fa caldo ma anche in caso di stress, paura e forti emozioni''. L'ipersudorazione puo' essere una malattia a se' stante o una conseguenza di altre patologie (come leucemia o linfomi): nel primo caso dopo l'adolescenza puo' scomparire gradualmente, mentre superati i 20 anni tende a diventare permanente. Punti deboli, mani, piedi e ascelle, la cui sudorazione eccessiva puo' accompagnarsi a macchie rossastre su dita, polsi e caviglie e a squamosita' della pelle. ''Fra le terapie tentate per questi pazienti, anche se con scarso successo - continua il medico - ricordiamo la perfrigerazione con azoto liquido, che distrugge le ghiandole sudoripare a costo di vesciche e ustioni, o l'asportazione delle ghiandole sudoripare ascellari''. La tossina botulinica blocca il rilascio di acetilcolina (che stimola la produzione del sudore) da parte delle fibre nervose con cui entra in contatto. (Adnkronos) |
13.10.1999
Una «terapia alimentare» per la fibrosi cistica Spiragli per la terapia di questa patologia genetica È spesso nella membrana che si nascondono le chiavi delle vie metaboliche cellulari. E proprio analizzando la composizione delle membrane di alcuni tessuti l’équipe di S. Freedman e J. Alvarez del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston ha segnato un passo avanti verso la comprensione e la cura della fibrosi cistica, una malattia genetica fino ad oggi ritenuta incurabile. Pochi giorni fa, al congresso annuale della Fondazione per la fibrosi cistica tenutosi a Seattle, i due ricercatori hanno annunciato di avere osservato, sul modello murino della malattia, una composizione particolare negli acidi grassi delle membrane cellulari di molti organi. Esiste infatti uno sbilanciamento a favore dell’acido arachidonico, a scapito di un altro componente, l’acido docosaenoico (DHA). Questo squilibrio, caratteristico dei topi affetti da fibrosi cistica, sembra rispecchiare un omologo difetto nella malattia umana. Integrando la dieta degli animali con grandi quantità di DHA per una settimana i ricercatori hanno osservato una regressione dei sintomi della malattia in tutti gli organi colpiti. La fibrosi cistica è prodotta da mutazioni genetiche che determinano un difetto nei canali di membrana per il passaggio dello ione cloro. Questo genotipo risulta in una malattia caratterizzata dalla ridotta funzionalità di molti organi. In particolare, i polmoni soffrono di una «congestione» cronica che conduce a infezioni recidivanti. Fino a oggi la terapia si basava essenzialmente sull’uso di antibiotici, ma questa osservazione apre la strada a un nuovo approccio, già peraltro ipotizzato dalla farmaceutica Genzyme, che se ne è accaparrata la proprietà intellettuale. Il DHA è una sostanza comune, di cui esistono già integratori in commercio. La scarsità di dati sperimentali sull’uomo induce comunque ad una certa cautela riguardo alla messa a punto della terapia. La quantità di DHA richiesto per bilanciare gli acidi grassi nelle cellule umane è infatti sconosciuto, e sono ancora insufficienti i dati riguardanti la tossicità del composto ad alte dosi. Gli scienziati hanno comunque accolto questa scoperta con ragionevole favore. Barbara Bernardini Le Scienze www.lescienze.it |
12.11.99
Influenza: Arriva un test per la diagnosi "fai da te" Napoli - Arriva il primo test 'fai da te' per l'influenza. Sara' possibile sapere direttamente in casa se si e' preso il famigerato virus. Lo annuncia il professor Franco Rengo, presidente della societa' italiana di gerontologia e geriatria, a margine del congresso in corso a Napoli. ''Il kit sara' simile a un test di gravidanza -precisa- e arrivera' sul mercato nel 2000''. Il nuovo sistema per capire se si ha l'influenza oppure se gli starnuti e la febbriciattola sono solo i segnali di un bel raffreddore funzionera' analizzando il muco nasale ''e consentira' una diagnosi e una cura tempestive. Oggi, infatti -continua il medico- nei pazienti a rischio l'influenza si manifesta in modo subdolo e puo' essere difficile da riconoscere. Agli anziani e ai soggetti a rischio consigliamo, nei casi in cui la temperatura alterata non scenda in due o tre giorni, di consultare un medico. La diagnosi certa, infatti, puo' essere formulata soltanto dopo l'individuazione del virus in laboratorio su campioni di tamponi faringei o di aspirato dalle cavita' nasali dei pazienti''. (Adnkronos) |
11.11.99
Influenza: l'antidoto spray da oggi in farmacia Roma - E' da oggi disponibile nelle farmacie italiane l'antidoto contro l'influenza a base di zanamivir sotto forma di spray, o piu' precisamente, inalatore per bocca. Il farmaco costa 54 mila lire ed e' in fascia C, cioe' a totale carico del cittadino ed e' venduto solo dietro presentazione di ricetta medica. ''Il farmaco a disposizione quest'anno contro l'influenza -ha sottolineato il dottor Fabrizio Pregliasco, responsabile del centro di riferimento per l'influenza dell'universita' di Milano - somministrato spruzzandolo nella bocca attraverso l'apposito erogatore, consente di arrestare il processo infettivo nelle alte vie respiratorie inibendo da subito la replicazione dei virus e limitandone la diffusione. Si tratta di una molecola che inibisce la neuraminidasi, enzima chiave nella replicazione dei virus A e B, nonche' essenziale alla loro diffusione''. Per ottenere il suo obiettivo terapeutico, zanamivir deve essere somministrato due volte al giorno, entro 48 ore dall'insorgenza dei primi sintomi influenzali. Quanto piu' precoce e' il suo uso, a poche ore dall'esordio della sintomatologia, tanto piu' tempestivo e' l'arresto della replicazione virale e quindi il controllo e il blocco della progressione della malattia. Gli studi clinici condotti su 6 mila pazienti hanno dimostrato che il farmaco attenua i disturbi dell'influenza e riduce complessivamente di oltre un terzo, cioe' 1,5 giorni, la durata complessiva della malattia. (Adnkronos) |
5.10.1999
Nuovo vaccino ad ampia protezione contro l’influenza La protezione riguarda i diversi ceppi del virus di tipo A Un nuovo vaccino antinfluenzale in grado di proteggere da quasi tutti i ceppi del virus di tipo A è stato messo a punto dai ricercatori dell’Università di Ghent in Belgio. Per ora è stata dimostrata la sua efficacia nel topo, ma se si dimostrasse attivo anche nell’uomo esso annullerebbe la necessità di produrre vaccini specifici ogni anno. I risultati della ricerca, che saranno pubblicati nel numero di ottobre di «Nature Medicine» dimostrano che il vaccino è in grado di stimolare il sistema immunitario dei topi contro la proteina M2, che è identica in quasi tutti i ceppi del virus dell’influenza di tipo A. I vaccini antinfluenzali finora messi a punto hanno come bersaglio due proteine localizzate sulla superficie del virus. Queste proteine si modificano piuttosto frequentemente, determinando la comparsa ogni anno di nuovi ceppi virali, contro i quali si rende necessaria l’identificazione di vaccini sempre diversi. Il problema sembrerebbe dunque risolto con il nuovo vaccino, che si è dimostrato in grado di fornire protezione nella quasi totalità dei topi testati, con una copertura che si mantiene efficace per almeno sei mesi. I ricercatori hanno testato due forme possibili di vaccino, la soluzione iniettabile e lo spray nasale, ottenendo in entrambi i casi buoni risultati. Alcuni punti rimangono ancora da dimostrare, oltre alla reale efficacia del vaccino nell’uomo: primo fra tutti il problema delle possibili modificazioni della proteina M2, che potrebbero comunque rendere il vaccino inefficace contro i ceppi nei quali essa è presente. Gli studiosi ritengono che probabilmente dalla combinazione dei vecchi e dei nuovi vaccini disponibili contro l’influenza si potrebbe giungere alla creazione di un vaccino realmente universale, che copra contro tutte le possibili varianti virali. Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it |
25.10.1999
Novità sul fronte Alzheimer Interessanti prospettive terapeutiche messe in luce dalla scoperta Il mosaico delle conoscenze sulla malattia di Alzheimer si è arricchito di un nuovo tassello, forse quello decisivo: dopo anni di ricerche, si è giunti all’identificazione dell’enzima responsabile della formazione delle placche amiloidi, il cui accumulo nel tessuto cerebrale è alla base del processo degenerativo causato dalla malattia. La formazione delle placche si verifica quando la proteina precursore delle amilodi (APP) viene «tagliata» da due enzimi, la beta-secretasi e la gamma-secretasi, in modo da liberare le beta-amilodi. Finora si conosceva bene il meccanismo di azione di questi enzimi e la loro localizzazione cellulare, ma nessuno era ancora riuscito a isolarli. In uno studio apparso questa settimana in «Science», Martin Citron, lo studioso a capo del gruppo di ricerca, sostiene di aver isolato un enzima, denominato BACE, che corrisponderebbe alla beta-secretasi. In esperimenti in vitro, i ricercatori hanno infatti dimostrato che facendo incrementare la produzione di BACE si verifica un aumento della produzione delle beta-amilodi e della conseguente formazione delle placche nei neuroni. D’altra parte, all’inibizione dell’enzima si accompagna la diminuzione della formazione delle beta-amilodi. BACE agisce sul precursore APP, tagliandolo esattamente dove agisce la beta-secretasi e, a ulteriore conferma, anche la sua localizzazione cellulare e il suo livello di espressione sono sovrapponibili a quelli dell’enzima in questione. Secondo quanto sostenuto dai ricercatori, «la scoperta potrebbe favorire lo sviluppo di una nuova strategia di azione contro la malattia di Alzheimer: se è vero che le beta-amilodi sono gli agenti distruttivi, un farmaco che ne inibisca la produzione potrebbe rallentare o forse anche invertire il decorso della malattia». Aver isolato l’enzima responsabile della formazione delle beta-amilodi significa aver identificato il bersaglio preciso su cui agire: un farmaco che inibisca l’attività di BACE potrebbe dunque costituire un valido approccio terapeutico per i malati di Alzheimer. Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it |
30.9.1999
La soja protegge il cuore Il potere ipocolesterolemizzante della soja è dovuto a composti del gruppo dei flavonoidi. In uno studio americano, la somministrazione di proteine della soja contenenti alte dosi di questi composti ha indotto nei pazienti un notevole abbassamento dei tassi di colesterolo. La capacità della soja di abbassare il tasso ematico di colesterolo dipende dal suo contenuto in isoflavoni, composti del gruppo dei flavonoidi, largamente rappresentato nelle piante superiori. Secondo uno studio svolto presso l'Università della Wake Forest, nel North Carolina, gli isoflavoni conferiscono alla soja un vero e proprio potenziale terapeutico, ma il loro effetto si esplica solo alle alte dosi: questi i risultati riportati nell’ultimo numero di Archives of Internal Medicine. Gli effetti dell’introduzione della soja nella dieta sono stati studiati in quattro gruppi di pazienti, ai quali sono stati somministrate per nove settimane proteine della soja a diverso contenuto in isoflavoni. In tutti i soggetti sono stati monitorati i livelli ematici di colesterolo totale e di lipoproteine a bassa densità (LDL), che del colesterolo totale rappresentano la quota più strettamente legata al rischio coronarico. I risultati più eclatanti si sono ottenuti nei pazienti che hanno assunto soja ad elevato contenuto in isoflavoni (62 mg): in quelli che alla partenza presentavano livelli di LDL piuttosto elevati, i valori sono scesi del 10 per cento e il colesterolo totale si è abbassato a tassi del 9 per cento inferiori a quelli iniziali. Anche nei soggetti con colesterolemia nella norma si è verificata una diminuzione, meno cospicua ma ancora statisticamente significativa, sia delle LDL sia del colesterolo totale. La dose media di isoflavoni (37 mg) si è, invece, dimostrata efficace solo sui soggetti con ipercolesterolemia, mentre alle basse dosi (i 27 e i 3 mg somministrati agli ultimi due gruppi) i risultati sono stati scarsi. È emerso dunque chiaramente come l’effetto di questi composti sia dose-dipendente, e come questa loro proprietà possa essere sfruttata nel controllo dell’ipercolesterolemia. In più, l’assunzione di soja ad alto contenuto in isoflavoni ha determinato nella popolazione femminile del campione un abbassamento della pressione arteriosa: un altro elelmento di grande valore se si considera che l’ipertensione è anch’essa un fattore prognostico negativo nell’insorgenza dei problemi cardio-vascolari. Un dato epidemiologico a sostegno dell’interesse per le proteine vegetali: nell’alimentazione delle popolazioni asiatiche la soja è presente in quantità da 30 a 50 volte superiori che nelle diete occidentali e, parallelamente, in esse vi è una bassa incidenza di tumori della ghiandola mammaria e dell’utero nonché di disturbi cardio-circolatori. Con questo studio si è finalmente potuto attribuire il potere ipocolesterolemizzante della soja (già da tempo noto) ad un composto ben preciso, anche se resta da stabilire il meccanismo con il quale gli isoflavoni agiscono sul metabolismo del colesterolo. È ipotizzabile che esso sia legato alla loro somiglianza chimica e biologica con gli estrogeni, di cui è stato sperimentalmente dimostrato un analogo effetto nell’uomo e in altri primati. Monica Oldani Le Scienze www.lescienze.it |
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Gli articoli 32-33-34-35 della legge 833 del dic
1978, riprendendo la legge 180 di riforma psichiatrica, disciplinano le
norme per effettuare trattamenti o accertamenti sanitari obbligatori (TSO
e ASO). Questa disposizione legislativa è stata approvata in un
clima culturale e politico caratterizzato dal desiderio di rompere con
il passato e dalla fiducia in un futuro riformista. In particolare, per
quanto riguarda la psichiatria, questa riforma aveva la volontà
di demolire l’esistente, costituito prevalentemente dalle strutture manicomiali,
e poneva una fiducia illimitata in alcune nuove teorie psichiatriche che
vedevano la malattia mentale come un artefatto della società. Veniva,
quindi, modificato completamente l’approccio alla sofferenza psichica non
più da relegare a lungo termine in strutture chiuse lontane dagli
ospedali ma da porre sul territorio e da trattare, per brevi periodi, in
regime di ricovero in reparti ubicati presso gli ospedali.
Già negli anni successivi all’emanazione della legge le dispute
fra gli estimatori e i denigratori di questa legge si sono sprecate e sono
state attuate più per motivazioni ideologiche o politiche che tecniche
e operative. In particolare per quanto riguarda il TSO o l’ASO è
apparso evidente agli operatori psichiatrici che le procedure per effettuarli
erano state approntate dal legislatore con un forte garantismo che da un
lato impediva eccessi nell’uso del TSO ma dall’altro poneva il paziente
nel rischio di rimanere non curato e quindi succube della sua malattia.
Per questo motivo alcuni psichiatri, avversari della riforma, coniarono
il termine di “Terricomio” per indicare come si fossero chiusi i manicomi
ma si fossero determinati tanti piccoli manicomi domiciliari (appunto sul
territorio) con delega della malattia mentale, che purtroppo a dispetto
di alcune teorie continuava ad esistere, ai familiari. In tutte le successive
legislature vennero approntati da diverse forze politiche sia di destra
che di centro o di sinistra progetti di riforma di queste norme in cui
soprattutto la procedura burocratica dei TSO e ASO veniva snellita e semplificata.
Nessuna di queste leggi a tutt’oggi è stata approvata per cui i
medici, pur consapevoli della sua inadeguatezza in alcune situazioni, devono
applicare l’attuale legge sul TSO e ASO. In questo scritto non si vogliono
riprendere sterili polemiche che non interessano il medico nella sua attività
pratica. Abbiamo però voluto inquadrare da un punto di vista storico
e culturale il contesto da cui sono scaturite le attuali norme per renderle
maggiormente comprensibili al medico di famiglia che si appresta ad applicarle.
Preliminarmente rispetto alla descrizione e al commento dei procedimenti
per affrontare il TSO e l’ASO occorre richiamare alcune considerazioni
sul significato del ricovero in psichiatria.
La signora Carlotta era stata ricoverata in reparto psichiatrico all’età di 20 anni per una fase depressiva. Ancora ora che aveva 54 anni il marito, nei momenti di litigio, l’accusava di essere matta.
Inoltre nel caso della patologia psichiatrica si può determinare l’acquisizione di comportamenti ripetitivi per cui il paziente, che avrà sperimentato la risoluzione di un proprio malessere depressivo, ansioso o psicotico durante il ricovero, tenderà spontaneamente a ritornare in tutti i momenti di crisi in analoghe situazioni di ricovero per cercare lo stesso risultato. Spesso non si renderà conto che in realtà sono stati i farmaci, gli stessi che può assumere a livello ambulatoriale, a permettergli il miglioramento.
Luca 40 enne affetto da rituali ossessivi riguardo alla pulizia del corpo ormai da 10 anni aveva trovato nel luogo di lavoro una specie di equilibrio. I datori di lavoro sapevano dei suoi problemi e accettavano che lui 3 o 4 volte al giorno andasse per mezz’ora in bagno. D’altronde Luca compensava queste assenze rimanendo sul lavoro fino a tardi. Quando però la ditta venne venduta il nuovo titolare non capì queste stranezze di Luca e ironizzò sulla mania del bagno e della pulizia. Parve solo allora che Luca si rendesse conto di essere “anormale”. Si accordò coi familiari per farsi ricoverare per tentare di “guarire”. Purtroppo nel reparto psichiatrico la vicinanza con altre persone sofferenti aumentò la sua angoscia di essere irrecuperabile. Alla fine del ricovero si licenziò e da allora si chiuse in casa non uscendo quasi più.
In altre situazioni, se
il ricovero viene inserito all’interno di un percorso di terapia o assume
un significato di cambiamento rispetto a una situazione stagnante, può
risultare estremamente utile.
Ci sono alcuni momenti clinici in cui occorre prendere una decisione
immediata :
Carlo viveva da alcuni anni solo in una casa di campagna, si recava all’ufficio postale una volta al mese per ritirare la pensione e una volta alla settimana andava a comprare alcune scatolette che gli servivano come alimentazione. La sua casa non aveva telefono, riscaldamento luce elettrica e a malapena era allacciata alla rete idrica. Il medico venne chiamato dai carabinieri che a loro volta erano stati avvertiti dall’impiegato delle poste che aveva notato che Carlo non si era recato a prendere la pensione. Scoprì che questo signore era in preda a voci allucinatorie che gli dicevano cosa doveva o non doveva fare. In particolare negli ultimi tempi gli avevano imposto di smettere di uscire. I rapporti di Carlo coi vicini erano buoni ma improntati a assoluto distacco, viveva in uno stato di elevato degrado fisico e abitativo e non aveva parenti. Negli ultimi giorni non mangiava più perché le sue allucinazioni lo avevano convinto che anche i cibi in scatola erano avvelenati. Quando il medico gli propose il ricovero Carlo rifiutò decisamente.
L’EMERGENZA PSICHIATRICA è una situazione in cui l’elemento psicopatologico è in secondo piano rispetto alle problematiche psicosociali che fanno scattare l’esigenza di un intervento psichiatrico.
Giovanna presentava uno stato ansioso reattivo a una forte conflittualità col marito. Dopo un litigio più grave del solito lanciò un pesante oggetto in testa al marito tanto da procurargli una grave ferita. Mentre il marito si recava al PS per farsi medicare attuò un tentato suicidio con alcune pastiglie. Quando il marito rientrò a casa capì la situazione e la accompagnò al pronto soccorso ove attuarono una lavanda gastrica. Anche al pronto soccorso i due continuavano ad accusarsi a vicenda per cui, dopo aver scongiurato i pericoli fisici, il medico consigliò a Giovanna un ricovero ma lei decisamente si rifiutò.
La necessità di
cure prevista dalla legge, di norma, si presenta nell’urgenza psichiatrica
e non nell’emergenza. Il secondo elemento previsto dalla legge “impossibilità
di effettuare queste cure a domicilio” normalmente esclude l’uso del TSO
nei disturbi nevrotici (stati ansiosi, attacchi di panico, depressioni
nevrotiche, crisi isteriche, etc). Viceversa di solito può essere
presente nei disturbi psicotici (schizofrenia, paranoia, fasi depressive
psicotiche o maniacali, disturbi deliranti, etc).
In tutti i casi, pur se viene attuato in modo corretto e con tutta
la sensibilità possibile, ogni ricovero coatto riveste aspetti altamente
ansiogeni per il paziente e per i medici che lo propongono. A ciò
si deve aggiungere una procedura burocratica complessa che determina pericolosi
spazi vuoti fra la proposta e l’ordinanza di ricovero.
Attualmente occorre :
1.Proposta di ricovero di un medico (qualsiasi medico anche libero professionista) che abbia visitato il paziente. E’ importante sottolineare questo aspetto perché , a volte il medico di famiglia, che conosce quella persona, potrebbe essere portato a stilare una proposta di ricovero sulla base delle proprie conoscenze senza visitare direttamente il paziente. Sarebbe un grave errore, oltretutto illegale. Alcuni medici, se il paziente rifiuta il colloquio o non apre la porta di casa, ritengono esaurito il loro compito. SBAGLIATO ! Anche in questo caso vi è la responsabilità di decidere se, proprio in base a questo rifiuto, si può pensare che il paziente sia malto e quindi a volte occorre chiamare il servizio psichiatrico pubblico o le forze dell’ordine per effettuare un intervento.
Il medico, chiamato dai familiari che gli hanno parlato di uno stato febbrile, si reca a casa di Bruno ragazzo 24enne. In realtà, quando entra, si rende subito conto di trovarsi di fronte a un grave problema di agitazione psicomotoria. Il ragazzo inveisce contro di lui e contro il fratello che lo ha chiamato. Gira a torso nudo per il giardino, pur trattandosi di una giornata invernale molto fredda, canticchia e afferma di stare molto bene e di non avere bisogno di medici, rifiuta il colloquio. I familiari spiegano che fino alla settimana precedente Bruno era profondamente depresso, assumeva farmaci che aveva in casa residuati da una precedente prescrizione per un periodo depressivo dell’anno prima. Improvvisamente è cambiato, ha cominciato a non dormire e nella giornata precedente si era recato in diverse concessionarie firmando contratti di acquisto di auto.
2. Convalida della proposta da parte di un medico operante presso il servizio pubblico (dipendente o convenzionato come medico di medicina generale, guardia medica o specialista ambulatoriale) dopo visita del paziente. Si sottolinea anche in questo caso che il secondo medico deve necessariamente cercare di visitare il paziente e non può fidarsi del giudizio del collega. Inoltre anche il secondo medico deve tentare di convincere il paziente ad essere ricoverato volontariamente.
Una
ragazza, disorientata e perplessa venne segnalata ai carabinieri. Si trovava
seduta sul ciglio di una strada molto trafficata. Non sapeva spiegare né
chi fosse né da dove venisse. All’arrivo dell’ambulanza e del medico
oppose strenua resistenza rifiutandosi di salire. Nel frattempo arrivarono
dei familiari che la stavano cercando e informarono che Loredana (così
si chiamava) da alcuni giorni non dormiva, era agitata, parlava da sola,
rispondendo a voci inesistenti. Il fratello di Loredana cominciò
ad aggredire il medico dicendogli che “pretendeva che la sorella venisse
caricata forzatamente sull’ambulanza”. Il medico trattenne una reazione
di rabbia e spiegò che voleva cercare di convincere la ragazza.
In effetti egli avvertiva la pressione emotiva esercitata dall’assembramento
di gente : carabinieri, infermieri, familiari e dal fatto che, sia l’ambulanza,
che la volante, avevano da ottemperare ad altri impegni.
Disse a Loredana :” Mi trovo molto in difficoltà a cercare
di parlare con lei lungo la strada. E’ comunque un mio dovere cercare di
capire cosa le capita. Mi darebbe un aiuto se accettasse di salire in ambulanza
e lì potessimo parlare tranquillamente.” Dopo alcuni tentennamenti
Loredana entrò in ambulanza. Il colloquio si svolse in 30 minuti
durante i quali la ragazza espresse il suo terrore di essere posseduta
da un alieno che le controllava la mente e alla fine dell’incontro accettò
di essere accompagnata al pronto soccorso. Qui, dopo un’ora di trattative,
rassicurazioni e spiegazioni sui farmaci e sulle terapie, accettò
il ricovero.
3.Ordinanza
di ricovero firmata dal sindaco o da un suo delegato
Si deve sottolineare che il sindaco non svolge un mero ruolo formale
ma la sua azione è sostanziale in quanto primo responsabile della
salute pubblica. Nella realtà di tutti i giorni quasi tutti i sindaci
firmano le ordinanze senza avere alcuna informazione. Addirittura capita
che le ordinanze di ricovero siano firmate in bianco preventivamente e
i vigili urbani appongano solamente il nome e le generalità del
paziente. Si tratta di una pratica scorretta e illegale perché il
sindaco o il suo delegato (assessori) dovrebbero decidere dopo avere letto
le relazioni e valutato la situazione. In casi rari il sindaco ha anche
deciso di non procedere a TSO.
Catia soffriva di un disturbo paranoideo per il quale riteneva di essere sottoposta ad aggressioni da parte di chiunque si avvicinasse alla sua casa. In un momento di forte tensione lanciò alcuni sassi in direzione del figlioletto di un vicino di casa. I medici intervenuti valutarono che Catia era delirante e stilarono proposta e convalida di ricovero. Il sindaco del piccolo paese, che conosceva personalmente Catia, si rifiutò di firmare l’ordinanza di ricovero perché riteneva la giovane innocua. Solo dopo alcuni mesi e nuovi episodi di malessere della ragazza il sindaco si decise ad accogliere le indicazioni dei medici.
Purtroppo le rilevanti
pratiche burocratiche mal si conciliano con l’urgenza che il ricovero dovrebbe
avere. Inoltre non è chiaro cosa succeda fra la visita del primo
medico e quella del secondo medico (che potrebbe non essere subito disponibile).
Oltre a ciò emerge il problema di chi, materialmente, porterà
i due certificati medici ai vigili urbani che contatteranno il sindaco
per la firma dell’ordinanza. Cosa succederà poi nell’intervallo
di tempo fra i due colloqui medici e l’arrivo dell’ambulanza coi vigili
urbani (che rappresentano la forza pubblica). Per non parlare infine dei
problemi, quasi insolubili, che sorgono in piccoli comuni ove il sindaco,
eventualmente, quel giorno non è rintracciabile e non c’è
un delegato, oppure l’unico vigile urbano è ammalato.
Il TSO spesso funziona nella pratica grazie alla buona volontà
dei singoli e al chiudere un occhio di fronte a eventuali atti illegali
o di dubbia legalità. In nessuna parte del mondo si è pensata
una pratica così burocratica in cui ci vuole la firma di due medici
che hanno entrambi visitato il paziente (quanto tempo il paziente deve
pazientare in stato di grave malessere?) l'ordinanza del sindaco (cosa
capisce il sindaco di queste cose?) l'esecuzione da parte di forze pubbliche
impreparate che non si sentono competenti (ad esempio in vari posti i vigili
si rifiutano di salire sull'ambulanza).
Il signor Giorgio da circa tre giorni era chiuso in casa senza rispondere al telefono o al suono del campanello. I parenti e i vicini lo conoscevano come un tipo molto originale e difficile da trattare. Risultava estremamente collerico e proferiva improperi nei confronti dei vicini che a suo dire lo deridevano e lo aggredivano. Il medico chiamato dai familiari provò a suonare alla porta del paziente ma questi non rispondeva. Contattò il servizio psichiatrico ma il collega non era presente perché impegnato in una altra urgenza. I vigili urbani erano mobilitati per una importante visita di un ministro nel paese vicino. A quel punto il medico chiamò la centrale operativa dei carabinieri e loro contattarono i vigili del fuoco che con una lunga scala riuscirono ad entrare da una finestra nella casa del paziente. Nel frattempo era arrivato anche lo psichiatra per cui i due medici cercarono di parlargli. Questi però, che si sentiva accerchiato e minacciato, diede una spinta al medico e si mise a scappare per i campi. Ci vollero circa due ore per contattare il sindaco (che era impegnato col ministro) e fargli firmare l’ordinanza di ricovero. Il paziente venne trovato dopo due giorni, parzialmente assiderato mentre dormiva in un fossato. Si scoprì successivamente che era rimasto in giro per un bosco per quei due giorni.
Nella pratica il medico di medicina generale deve rendersi disponibile e cercare sempre di intervenire assieme al medico psichiatra del servizio pubblico che si assumerà l’onere di tentare di coordinare tutta questa complicata macchina burocratica.
ATTENZIONE : Lo stato emotivo che induce una situazione drammatica quale quella di un paziente in grave crisi delirante, maniacale o comportamentale può portare a sottovalutare i vincoli di legge.
Una volta che il paziente è stato ricoverato gli incartamenti relativi al TSO vanno al Giudice tutelare che valuta se l’atto è stato effettuato secondo la legge oltre a prendere posizione su eventuali rimostranze di parenti, amici o del paziente stesso. Dopo una settimana dal ricovero i medici del reparto devono inoltrare al giudice tutelare una informativa per prolungare o sospendere il TSO.
Vi sono alcune modalità alternative per affrontare queste complesse situazioni :
Accertamento sanitario obbligatorio (ASO).
L'accertamento Sanitario Obbligatorio si configura come intervento in cui un medico, sia esso di medicina generale, guardia medica o libero professionista, chiede su suo ricettario intestato che il paziente sia sottoposto a visita psichiatrica anche contro la sua volontà. Da un punto di vista legale è sufficiente la richiesta del medico inoltrata al sindaco del comune che dispone l'accertamento da attuarsi da parte del Servizio Psichiatrico coadiuvato dai vigili urbani o da altra forza pubblica.
ESEMPIO
: su carta intestata del medico
Certifico che in data ....... ho visitato (oppure ho tentato di
visitare senza però riuscirvi perché il paziente si era allontanato
oppure non ha aperto o per qualche altro motivo) il Signor........ In base
ai dati in mio possesso ho ragione di ritenere che il paziente soffra per
un disturbo psichico. Visto che non intende accettare una visita psichiatrica
propongo pertanto accertamento sanitario obbligatorio da attuarsi il prima
possibile da parte di medico psichiatra della struttura pubblica.
- il paziente deve essere visto dal medico o quantomeno il medico deve aver tentato di visitarlo. (ad esempio è andato al suo domicilio, ha suonato e il paziente non ha risposto o ha risposto rifiutando la visita, il medico però in base alle notizie dei familiari o in base alla sua conoscenza pregressa del paziente ha ragione di ritenere che il paziente sia in uno stato di malessere mentale anche senza averlo visitato, tutto questo va scritto sulla richiesta)
- il medico deve aver tentato di convincere il paziente a recarsi dallo psichiatra e il paziente si è rifiutato
Nella realtà gli
accertamenti sono rari rispetto ai TSO perché come si può
capire si tratta di una pratica burocratica farraginosa. Tra l'altro prima
si devono fare gli incartamenti per l'Acccertamento poi per il Trattamento
obbligatorio. Può risultare utile, in due situazioni:
1- il medico viene contattato dai familiari o incontra il paziente
in ambulatorio, capisce che il paziente sta male cerca di inviarlo allo
psichiatra ma il paziente se ne va sbattendo la porta. Casomai il medico
va a casa ma l'interessato non gli apre oppure non è reperibile.
In questa situazione naturalmente visto che il medico era solo non si può
attuare TSO. L'alternativa di fare solo una telefonata al Servizio Psichiatrico
può essere troppo poco incisiva. L'accertamento risulta un atto
utile a documentare che il medico ha attuato un intervento o ha tentato
di attuarlo e a far si che la visita psichiatrica venga effettuata il prima
possibile.
2- in certe situazioni quando il paziente è riluttante a recarsi
dallo psichiatra e rifiuta di accoglierlo a casa può essere utile
perché consente di far entrare con la forza lo psichiatra a casa
del paziente in presenza dei vigili. Questo tutela i medici e lo psichiatra
di fronte a eventuali atti di aggressività. Può inoltre risultare
utile per certipazienti che si rendono conto solo di fronte a un atto di
forza di dovere accettare le cure. A volte quindi un accertamento evita
un ben più grave TSO.
Stato di necessità : in alcune situazioni , quando lo stato di coscienza del paziente è alterato (ebrezza acuta, uso di sostanze stupefacenti, confusione mentale), non c’è da parte sua la possibilità di esprimere un parere in quanto temporaneamente non in grado di intendere e volere sulla proposta di ricovero per cui il medico può disporlo per necessità senza richiedere al sindaco l’ordinanza.
Problema di ordine pubblico : proprio perché la legge sui ricoveri sottolinea come tali interventi debbano essere attuati per curare il paziente, tutto ciò che riguarda situazioni di pericolo per l’incolumità dei familiari o di altre persone, anche se causata da una alterazione psichiatrica, rientra nelle situazioni di ordine pubblico e richiede l’intervento dei carabinieri o della polizia. Questo intervento permetterà al medico di attuare, con calma e riflessione, tutti gli atti necessari per un eventuale ricovero coatto.
Modalità
con cui trattare un paziente aggressivo
(Marlow M; Sugarman P.: Disorders of personality. Brit. Med. J. 315,
176-179, 1997).
Per saperne di più :
Studio del dr. Freud a Vienna.
Si presenta una signora con il figlio: "Dottore, non so piu' che fare,
mio figlio e' terribile, sadico, cattivo. Da' calci ai vecchietti, maltratta
gli animali,strappa le ali alle farfalle ridendo ... non so piu' che fare".
"Quanti anni ha?". "4 anni". "Allora non c'e' da preoccuparsi; crescendo
divenera' piu' gentile". "Grazie molte, dottore, mi avete tranquillizata".
"Di niente, arrivederla signora Hitler".
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1.L'immobile
usato dal medico di medicina generale o comunque da uno specialista convenzionato
con il Servizio Sanitario Nazionale non ha obbligo di cambiare destinazione
urbanistica da abitazione ( cat. A/2, A/3, A/4, A/5 ecc.) in A/10 ufficio,
anche se sono più medici ad usare lo stesso immobile;
2.L'immobile usato come ambulatorio privato per lo svolgimento
di attività professionale specialistica non convenzionata, deve
obbligatoriamente cambiare la destinazione urbanistica in A/10 anche
se l'attività viene svolta insieme ad un medico di medicina generale.
In questo caso l'attività dello specialista diventa attività
principale assorbendo l'altra nell'obbligo.In questo caso sorge un altro
problema non di poco conto: esistendo l'obbligo di variare la destinazione
d'uso, bisognerebbe (a quanto sembra) anche considerare il problema dell'altezza
del locale che dovrebbe essere di almeno 3 metri.
In conclusione, raccomandando di prendere con molta cautela questi
orientamenti che, come detto, non essendo precisamente normati, sono soggetti
a variazioni interpretative, si consiglia, al fine di evitare di incorrere
in problemi che potrebbero portare a dei contenziosi anche rilevanti, di
accertarsi che la regione di operatività non abbia attuato norme
al riguardo. E' emerso infatti che alcune regioni italiane, non potendo
far riferimento a leggi dello Stato, si sono date loro stesse dei regolamenti
che a questo punto sono l'unico strumento normativo da rispettare.
Per contatti o chiarimenti scrivere anche a pillole@fimmg.org
Due gli aspetti da considerare:
Definizione di Ambulatorio
D.P.R. 121/1961: " Sono ambulatori gli istituti aventi individualita'
e organizzazione propria e autonoma e che quindi non costituiscono lo studio
privato o personale in cui il medico esercita la sua professione. Essi
presentano le stesse caratteristiche delle case ed istituti di cura che
possono essere autorizzati anche a favore di chi non sia medico purche'
siano diretti da medici. Conseguentemente non sono soggetti ad autorizzazione
[e al pagamento dei relativi tributi, n.d.r.] i gabinetti personali e privati
in cui i medici generici e specializzati esercitano la loro professione".
Art. 193-194 R.D. 27/7/34 n. 1265 T.U.LL.SS. : Lo studio medico
soggiace al nulla osta delle autorita' (prima d'ora del Sindaco, ora delle
ASL) che ne devono accertare l' idoneita' .
Deve essere in particolare accertata l' agibilita'.Non si deve
confondere l' agibilita' con l'abitabilita' (che e' idoneita' all' abitarvi).
Infatti un locale accatastato come negozio puo' essere agibile ma non abitabile,
mentre un appartamento (abitabile) dovrebbe essere sempre agibile.
Circ. n. 77 del 15/4/68 del Min. Sanita' precisa che NON sono
da considerare ambulatori soggetti ad autorizzazione " i locali comunemente
destinati all' esercizio professionale dei singoli medici, anche se posti
in localita' diversa dalla propria abitazione privata e anche se destinati
all' esercizio professionale di piu' medici".
[Ne deriva che anche l' esercizio della medicina di gruppo non determina
mutamento della disciplina giuridica, che resta quella degli studi privati.La
distinzione tra "studio" e "ambulatorio" non discende direttamente dalla
natura dell' attivita' ma:
Lo studio non e' dotato di particolari attrezzature che, se presenti, lo qualificherebbero invece come ambulatorio (attrezzature per analisi cliniche o FKT aperte al pubblico ecc.).
Emilia-Romagna:
L.R. 8/1/80 n.2e L.R. n. 10 del 1/4/85 " Per poliambulatorio si intendono tutti i servizi e presidi aperti al pubblico… ove si dia luogo, da parte di piu' sanitari, all' erogazione ambulatoriale di molteplici prestazioni rientranti nell' ambito di diverse specialita'".
La mancanza delle caratteristiche
sopra evidenziate, comportando all' esterno della struttura la rilevanza
dell' attivita' personale del singolo specialista determinata per di piu'
dall' assenza del contesto organizzativo unitario per tutta la struttura,
fa si' che non ci si trovi di fronte ad un poliambulatorio ma in presenza
di attivita' sanitarie esercitate in forma associata, non soggette, in
quanto tali, a regime autorizzatorio".
(Riassumendo: studio aperto solo a privata clientela a priva di speciali
attrezzature o di organizzazione complessa e centralizzata: studio professionale;
struttra aperta al pubblico che presenti contemporaneamente le 3 condizioni
citate dalla circolare: Ambulatorio o poliambulatorio.).
Veneto:
Occorre chiedere il cambiamento di destinazione d' uso dello studio solo se intervengono mutamenti sostanziali. (L. R: 2/5/80 art. 94: "per mutamenti sostanziali si intendono quelli riguardanti almeno il 50% della superficie utile di calpestio o comunque comportanti attivita' nocive o l' esercizio di attivita' alberghiere").
Spunti e preziose informazioni
da:
-Vittorio Angelini: FIMMG, "Bollettino dell' Emilia Romagna"
-B. Gorini: Bollettino O.P.M. di Treviso 1995
DATA L' IMPORTANZA DELLA MATERIA SAREMO GRATI A CHI VOLESSE SEGNALARCI ALTRE NORMATIVE ESISTENTI, ANCHE E SOPRATTUTTO REGIONALI O EVENTUALI NOSTRE IMPRECISIONI. I CONTRIBUTI PIU' IMPORTANTI SARANNO PUBBLICATI CON IL NOME DEL COLLABORATORE.
L' autore,
Professore di Clinica Chirurgica a Madrid, afferma che il bicarbonato di
soda applicato ripetutamente sulle tonsille ha un' efficacia incontestabile
nelle angine tonsillari. Il medicamento puo' essere adoperato sia insufflando
per mezzo di un piccolo tubo di carta, sia applicato colle dita dall' istesso
ammalato. L' autore riporta molti casi di guarigioni rapide di tonsilliti
avute con questo mezzo. In nessun caso l' uso del bicarbonato di soda resta
inefficace completamente; il piu' delle volte la guarigione si ottiene
a capo di 48 ore. Ordinariamente il sollievo si osserva all' istante. In
tutt' i casi non si fa attendere lungamente. Ma l' uso del medicamento
e' soprattutto raccomandato nel periodo prodromico della tonsillite per
fare abortire la malattia. L' autore considera la tonsillotomia nei casi
d' ipertrofia delle tonsille come una operazione inutile, perche' quest'
affezione costantemente vinta in un tempo relativamente breve colle applicazioni
di bicarbonato di soda.
(Gine, Presse Medicale,
"Il Morgagni", 1882).