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INDICE
GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA LEGALE
E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica
gestita da D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale
Università Cattolica
PILLOLE
Alzheimer:
promettenti sviluppi della immunoterapia
Nella
prima parte dell'anno un trial clinico sulla sperimentazione di un vaccino
contro l'Alzheimer è stato sospeso per la comparsa in alcuni volontari
di segni e sintomi di meningoencefalite asettica.
Questa settimana invece 2 lavori, pubblicati on line su Nature Medicine,
sembrerebbero indicare che la immunoterapia opportunamente modificata
possa ancora mantenere le promesse di futuro trattamento capace di arrestare
o addirittura far regredire la malattia.
Il farmaco AN 1792 ha come bersaglio le proteine aggregate della Beta
amiloide che costituiscono le placche comunemente riscontrate nei cervelli
dei pazienti affetti da Alzheimer. I ricercatori dapprima hanno dimostrato
che AN 1792 innesca la scomparsa delle placche e il ritorno delle funzioni
cognitive nei topi da esperimento.
Nel primo dei 2 studi i ricercatori della Università di Zurigo
hanno provato che i pazienti inoculati con AN 1792 sviluppano anticorpi
contro gli aggregati di beta amiloide delle placche. Questi anticorpi
sono in grado di superare la barriera ematoencefalica. Inoltre non sono
stati prodotti anticorpi contro forme di beta amiloide non aggregata -
un dato importante per il fatto che le forme non aggregate di beta amiloide
sono presenti in molti tessuti sani dell'organismo-.
Nel secondo studio un team di ricercatori tedeschi e canadesi hanno immunizzato
i topi contro una piccola porzione di beta amiloide aggregata. Questa
immunizzazione "modificata" ha protetto i topi contro la formazione
di nuove placche e non ha provocato risposte infiammatorie simili a quelle
che hanno portato alla cancellazione del trial clinico dell'AN 1792.
Il dato importante di questo ultimo studio sta nel fatto che gli anticorpi
colpiscono delle strutture patologiche precise in assenza di alcuna reazione
crociata con le cellule nervose normali. Se la concentrazione di questi
anticorpi potrà rimanere alta per un periodo di tempo significativo,
almeno 4 mesi, si potrà valutare per la prima volta negli esseri
umani se la vaccinazione è in grado di prevenire il declino cognitivo
dei malati di Alzheimer.
Lancet;2002;360:1227
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Amiloidosi:
un nuovo trattamento
Nei pazienti affetti
da amiloidosi, una proteina circolante denominata SAP (Serum Amyloid P)
si deposita nei tessuti continuativamente.
Questi depositi di proteina insolubile causano l'amiloidosi sitemica con
compromissione di diversi organi e apparati e il quadro classico conclamatoi
della malattia.
Si è scoperta recentemente una piccola molecola, denominata CPHPC
in grado di ridurre notevolmente i livelli di SAP circolanti e di inibire
l'adesione della SAP ai depositi di amiloide insolubile in topi geneticamente
modificati producenti amiloide di tipo umano.
I depositi di amiloide in topi trattati risultarono significativamente
minori rispetto ai controlli, senza segnalare effetti tossici rilevanti.
In 19 pazienti con amiloidosi sistemica, la somministrazione endovenosa
o sottocutanea di CPHPC ridusse notevolmente i livelli di SAP circolante.
Un paziente affetto da amiloidosi terminale morì 6 mesi dopo l'inizio
del trattamento: il reperto autoptico dimostrò una riduzione notevole
dei depositi di amiloide nei tessuti.
Non furono rilevati effetti collaterali.
In definitiva il trattamento con CPHPC può costituire, se i prossimi
studi confermeranno questa osservazione, una nuova efficace terapia per
i soggetti affetti da amiloidosi.
Nature 2002 May
16; 417:245-9
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Aneurisma
Aortico Addominale (AAA): cosa succede se non si può operare?
Il limite di dimensione
per operare un AAA è considerato, classicamente, di 5.5 cm.
Tuttavia si può verificare il caso che pazienti portatori di AAA
di notevoli dimensioni (superiori a quelle indicte) non siano operabili
per diversi motivi. In questo studio si descrivono i risultati della sola
osservazione dell'evoluzione di casi di AAA di notevoli dimensioni non
operabili.
Sono stati seguiti 198 pazienti, età media 74 anni, affetti da
AAA di dimensioni di 5.5 cm di diametro in media che non potevano essere
operati a causa di rifiuto espresso o di concomitanti patologie gravi.
Per essi si intraprese un follow-up con ecografia ogni 6 mesi.
Durante un periodo medio di follow-up di 1.5 anni, la mortalità
per tutte le cause risultò del 57%. Nel caso di pazienti con diametro
iniziale dell'AAA compreso tra 5.5 e 6.9 cm il rischio di rottura ad un
anno di distanza risultò del 10% e a 2 anni del 20%. Nel caso di
pazienti con diametro dell'AAA iniziale di 7 cm o più, il rischio
di rottura a 1 anno di distanza risultò del 36% e a 2 anni del
55%. Su 17 pazienti che furono sottoposti ad intervento in condizioni
di urgenza, si ebbero 11 decessi.
(È interessante considerare che attualmente si presentano nuove
tecniche alternative per il trattamento di AAA, quali le nuove tecniche
di posizionamento di endoprotesi. È possibile che l'evoluzione
negativa degli AAA lasciati a sè stessi possa beneficiare di questi
sistemi.)
JAMA 2002 Jun 12;
287:2968-72
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Angioplastica
primaria anche per i pazienti anziani
Sono stati espressi
dei dubbi sull'utilità di un trattamento aggressivo mediante angioplastica
nei soggetti molto anziani affetti da infarto del miocardio, proponendosi
un trattamento alternativo costituito da trombolisi.
Pe rverificare la reale efficacia di questi due trattamenti, in questo
studio vengono esaminati i dati relativi di confronto tra angioplastica
primaria e trombolisi per infarto cardiaco acuto in 87 paziernti di età
superiore a 75 anni.
L'endpoint composito era costituito da morte, reinfarto e ictus.
A 30 giorni dall'evento si osservò che tali effetti negativi si
verificavano con frequenza significativamente minore nei pazienti trattati
con angioplastica rispetto a quelli trattati con trombolisi. (9% contro
29%, RR 4.3); questo beneficio persisteva durante 1 anno di follow-up
(13% contro 44%).
Lo studio venne arrestato prima del termine per motivi etici, proprio
a causa della comparsa di differenze significative a vantaggio del gruppo
con angioplastica.
Durante il follow-up a 20 mesi la mortalità fu significativamente
minore nel gruppo trattato con angioplastica (15% contro 32%).
J Am Coll Cardiol
2002 Jun 5; 39: 1723-8
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Trattamento
del carcinoma della prostata: antiandrogeni si o no?
In questo studio si
intraprende una meta-analisi che paragona il trattamento del carcinoma
avanzato della prostata con monoterapia (Orchiectomia o LHRH agonisti)
con terapia combinata (come sopra più antiandrogeni).
A, due anni non si è dimostrato aumento della sopravvivenza, mentre
a 5 anni si è dimostato un modesto aumento della sopravvivenza
nel gruppo trattato con terapia combinata.
Cancer 2002 Jul
15; 95: 361-76
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Il
caffè per uso locale: utile per i tumori cutanei?
Alcuni studi su animali
sono stati effettuati per valutare se la caffeina usata topicamente fosse
in grado di prevenire la formazione di tumori cutranei maligni derivati
da esposizione a raggi UV. A questo scopo alcuni topi (geneticamente glabri)
sono stati esposti due volte al giorno per un periodo di 20 giorni, ad
alte dosi di raggi UV. In questo modo si è ceraco di riprodurre quanto
avviene nel caso di una forte esposizione umana alla luce solare. Dopo
tre settimane i topi sono stati randomizzati in tre gruppi: un gruppo
(quello di controllo) è stato trattato topicamente con acetone, un secondo
gruppo ha ricevuto un trattamento con acetone associato a caffeina, il
terzo è stato trattato con epigallocatechina gallato (EGCG), componente
del tè verde. Il trattamento si è protratto per 18 settimane.
Il gruppo di topi trattati con caffeina ha presentato un numero di tumori
cutanei (benigni e maligni) significativamente minore: 44% di benigni
e 72% di maligni in meno rispetto al controllo. Anche l'uso di EGCG ha
ridotto l'insorgenza di tumori, seppure in percentuale minore (rispettivamente
del 55% e del 56% in meno) tuttavia, considerando sia i migliori risultati
clinici che la maggiore stabilità, gli autori hanno espresso la loro
preferenza, come miglior agente preventivo, per la caffeina. Il meccanismo
di azione è ancora ipotetico: probabilmente la caffeina è in grado di
aumentare la capacità dell'organismo di distruggere le cellule
che presentino lesioni del DNA. Purtroppo, però, non è ancora possibile
valutare se azione analoga possa essere svolta anche nell'uomo.
(Proceedings of
the National Academy of Sciences USA, 2002; 99: 12455)
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Le
nuove strategie terapeutiche per il cancro della mammella: una rewiew
Attualmente sono disponibili
circa 30 molecole per il trattamento del cancro della mammella, la metà
di queste sono state messe in commercio nell'ultima decade. La mortalità
per cancro della mammella è in diminuzione e questa attività
senza precedenti nella ricerca di nuovi farmaci lascia ben sperare per
il futuro.
D'altro canto però il grande numero di associazioni possibili e
di eventuali regimi terapeutici pone il dilemma del come valutare l'efficacia
di ogni farmaco e regime e di compararne i benefici con gli altri.
Un recente studio di J O'Shaughnessy e collaboratori mette a fuoco il
problema. Gli studiosi infatti hanno sperimentato in un trial multicentrico
l'associazione tra docetaxel e capecitabina vs docetaxel in monoterapia
dimostrando che nei cancri della mammella in fase avanzata già
trattati con antracicline la chemioterapia in combinazione otteneva un
miglioramento nella sopravvivenza rispetto alla monochemioterapia a scapito
però di una evidente maggior tossicità e di una inevitabile
riduzione di dosaggio. Molti oncologi non ritengono questa associazione
un nuovo standard di trattamento perché tossica come trattamento
palliativo e non testato in maniera sequenziale e non provato da altri
studi.
Suddividendo i farmaci per categorie disponiamo oggi di:
Chemioterapici
4 nuove molecole hanno
aumentato le opzioni terapeutiche disponibili, ma nella malattia in fase
avanzata solo il docetaxel ha mostrato una risposta migliore del trattamento
standard con antracicline. Nel cancro della mammella iniziale, studi non
ancora pubblicati sembrano indicare che la terapia adiuvante con docetaxel
in sostituzione del 5 fluorouracile possa portare a un ulteriore vantaggio
sulla sopravvivenza (circa il 5%) ma con un aumentato rischio di neutropenia
e sepsi. Altri trial sono in corso per valutare lo schema sequenziale
vs la combinazione. Il Placlitaxel, invece, non ha mostrato un benefico
maggiore della chemioterapia convenzionale per il cancro mammario avanzato
e ha deluso le iniziali promesse per un uso come terapia adiuvante. I
risultati iniziali avevano suggerito un piccolo guadagno in termini di
sopravvivenza con un uso sequenziale dopo doxorubicina e ciclofosfamide
(95% vs 93 % dopo 18 mesi di follow up) ma con l'aumeto del tempo di
follow up non si è evidenziato alcun guadagno.
La capecitabina è una fluoropirimidina, un profarmaco, attivato
a 5 fluorouracile dalla timidina fosoforilasi un enzima che spesso presenta
un'attività elevata più nelle cellule cancerose rispetto
ai tessuti normali. La capecitabina si è dimostrata attiva e ben
tollerata senza significativa alopecia e sembra efficace come gli altri
farmaci ma non disponiamo ancora di trial appropriati. Lo stesso commento
si può applicare ad un alcaloide della vinca la vinorelbina.
Terapie endocrine
Per almeno 30 anni
il tamoxifene è stato il gold standard del trattamento endocrino
del cancro della mammella. Gli sviluppi più recenti della endocrino
terapia sembrano più importanti di quelli della chemioterapia.
Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione anastrozolo, lestrozolo,
exemestano inibiscono l'enzima responsabile della sintesi degli estrogeni
a partire dagli androgeni. Questi nuovi farmaci hanno una maggiore potenza
e specificità dei loro predecessori e nelle donne in menopausa
riducono gli estrogeni circolanti a livelli non dosabili. Gli effetti
sulle donne non ancora in menopausa sono più complessi e questi
farmaci sono controindicati nelle donne con ovaie funzionanti. Nella malattia
avanzata questi farmaci si sono dimostrati più efficaci del megestrolo
acetato, per di più il lestrozolo e l'anastrazolo come terapia
di prima linea si sono dimostrati superiori o pari al tamoxifene stesso.
Il trattamento preoperatorio con lestrozolo in pazienti anziane con cancri
mammari di grosso volume ha portato a maggiori riduzioni della massa tumorale
rispetto al tamoxifene permettendo un maggior numero di interventi chirurgici
conservativi. Maggior beneficio da questo farmaco dovrebbero trovare i
pazienti affetti da tumori con EGFR + e HER-2 +.
Almeno 10 trial sono attualmente in corso per valutare questi farmaci
come terapia adiuvante.
Il primo e più largo di questi Trial l'ATAC (Anastrozole and Tamoxifen
Alone or in Combination) ha già rilevato una piccola ma significativa
differenza nelle ricadute nel gruppo trattato con anastrozolo rispetto
al gruppo trattato con tamoxifene. Il vantaggio appare maggiore per i
tumori con recettori positivi per estrogeni e progesterone. Inoltre l'anastrozolo
è associato a minor frequenza di cancro dell'endometrio, di eventi
tromboembolici, di vampate e incremento ponderale e sanguinamenti vaginali.
Un ulteriore vantaggio sembra essere la minore frequenza di cancri controlaterali
paragonata con il tamoxifene. Questi risultati sono preliminari, la mediana
di follow up è di 31 mesi e non sono disponibili i dati sulla sopravvivenza
, i problemi muscoloscheletrici, incluse le fratture sono più
comuni con anastrzolo e non disponiamo di dati sulla tollerabilità
a 5 anni degli inibitori di terza generazione.
Nelle pazienti in premenopausa gli analoghi del LHRH, il buserelin e
il goserelin in combinazione con il tamoxifene migliorano la percentuale
di sopravvivenza e di risposta. Il Fluvestrant è un nuovo antiestrogeno
che differisce dal tamoxifene per il fatto che agisce attraverso una down
regulation del recettore per gli estrogeni e non ha attività di
agonista parziale per gli estrogeni. Il fluvestrant agisce anche dopo il
fallimento del tamoxifene, ma il suo ruolo nel lungo termine è
ancora incerto.
Trastuzumab
Il Trastuzumab è
un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro recettore HER-2 che
è associato ad una prognosi peggiore ed è espresso in circa
il 25 % dei cancri della mammella. Un Trial condotto su pazienti con malattia
avanzata e tumore con espressione HER-2, ha dimostrato che l'aggiunta
del trastuzumab alla chemioterapia aumenta il numero della regressioni
tumorali, la mediana di sopravvivenza e la durata della risposta. I risultati
riportati non trovano precedenti per un nuovo farmaco in pazienti in fase
avanzata.
Il Trastuzumab è generalmente ben tollerato ma associato a scompenso
cardiaco, in genere reversibile, quando somministrato con la doxorubicina. Il
Tastuzumab è raccomandato in combinazione con il placlitaxel,
il docetaxel viene spesso impiegato in sostituzione del placlitaxel e
un maggior numero di regressioni è stato riportato in associazione
con la vinorelbine.
Il Trastuzumab da solo è anche attivo come terapia di prima linea
per malattia avanzata con regressioni che durano più di un anno
e con bassa tossicità. Il Trastuzumab è attivo soltanto
sui tumori con una forte sovraespressione del recettore HER-2.
Bifosfonati
I bifosfonati clodronato
e pamidronato riducono la morbilità per metastasi ossee, ipercalcemia
, dolore, fratture, e sono ormai u trattamento standard nelle fasi avanzate
di malattia.
L'Ibandronato e lo Zoledronato sono molto più potenti, ma la loro
superiorità clinica sui vecchi bifosfonati deve essere ancora provata.
Soltanto il clodronato, paradossalmente il meno potente, è stato
provato per via orale come terapia adiuvante. Un piccolo trial tedesco
ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenza, con riduzione delle
metastasi ossee e, a sorpresa, anche di quelle viscerali. Viceversa un
trial finlandese, anch'esso piccolo, non ha dimostrato alcuna riduzione
delle metastasi ossee, ha dimostrato invece un più alto rischio
di metastasi non scheletriche e una peggiore sopravvivenza. In questo
ultimo anno un altro Trial il più grande e l'unico con un braccio
placebo ha dimostrato che il clodronato somministrato per 2 anni riduce
significativamente la mortalità a 2 anni e le metastasi ossee per
la durata del trattamento ma non ha alcun effetto dopo e sulle metastasi
viscerali.
La comparsa di nuovi farmaci per il trattamento del cancro della mammella
ha comportato molti e differenti miglioramenti nella terapia.
Conclusioni
Nella chemioterapia
adiuvante il docetaxel sembra aver portato un nuovo miglioramento della
sopravvivenza, ma con altri nuovi farmaci è difficile valutare
i benefici soprattutto se comparati con complessità, tossicità
e costi crescenti.
Per quanto concerne l'endocrino terapia gli inibitori della aromatasi
di terza generazione sembrano più potenti del tamoxifene nelle
fasi avanzate di malattia e potrebbero essere usati nella terapia adiuvante. Tra
gli adiuvanti i bifosfonati si sono rivelati efficaci e sicuri e capaci
di migliorare la sopravvivenza.
Il trastuzumab ha dimostrato un importante principio: gli anticorpi monoclonali
aumentano l'efficacia della chemioterapia nei pazienti che presentano
una sovraespressione HER-2. Con questo nuovo bagaglio terapeutico lo sviluppo
di terapie mirate e personalizzate diventa un obiettivo sempre più
importante.
Lancet 2002;360:
790-92
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Quale
intervento chirurgico nel tumore della mammella: 25 anni di follow-up
Nel 1985 è
comparso un lavoro di Fisher in cui si dimostrava che la mastectomia radicale
non aveva esiti migliori di interventi meno aggressivi, nel trattamento
del tumore della mammella.
In questo lavoro vengono documentati gli esiti dopo 25 anni di follow-up.
1079 donne affette da carcinoma della mammella e linfonodi ascellari negativi
furono randomizzate per essere trattate con mastectomia radicale, mastectomia
totale con irradiazione postoperatoria, o mastectomia totale senza radioterapia.
In 25 anni di follow-up, non si ebbero differenze significative tra i
gruppi riguardo alla sopravvivenza libera da malattia, sopravvivenza libera
da metastasi o nella sopravvivenza combinata. Un ulteriore braccio dello
studio ha preso in esame 586 donne con linfonodi ascellari positivi. Il
trattamento era costituito da mastectomia radicale o mastectomia totale
e radioterapia.
anche in questo caso non si rilevarono differenze tra i gruppi.
N Engl J Med 2002
Aug 22; 347:567-75
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Contraccezione
orale e cancro alla mammella
Sono state reclutate
per questo studio 4575 donne (età 35-64 anni) affette da tumore
della mammella e 4682 controlli.
Il 65% per cento delle donne erano di razza bianca e il 35% di razza negra.
Le donne affette da tumore della mammella presentavano rispetto ai controlli
una percentuale maggiore dei fattori di rischio tradizionali (prima gravidanza
in età più avanzata, menopausa tardiva, familiarità
per tumore della mammella).
Si osservava che il 77% dei casi di neoplasia della mammella e il 74%
dei controlli aveva impiegato precedentemente dei contraccettivi orali.
Sono stati posti a confronto i due gruppi: a paragone delle donne che
non avevano mai usato contraccettivi orali, le donne che li usavano correntemente
o che avevano cominciato da poco ad impiegarli non apparvero a rischio
aumentato di tumore della mammella. Il rischio relativo non aumentava
prendendo in considerazione la maggior durata della terapia, dosi maggiori
di estrogeni, o età inferiore al momento dell'inizio dell'impiego
di contraccettivi orali.
Il rischio risultò simile nelle donne bianche e in quelle di razza
nera.
Il rischio non apparve incrementato nemmeno con l'impiego di contraccettivi
orali in donne con anamnesi familiare positiva per tumore della mammella.
N Engl J Med 2002
Jun 27; 346: 2025-32
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Diarrea
del viaggiatore: la colpa è (anche) della salsa?
I turisti che si avventurano
nei paesi del terzo mondo sono avvertiti di non consumare verdure crude,
frutta e cibi comprati dai venditori di strada. Inoltre devono cercare
di bere sempre acqua minerale stappata sotto i loro occhi. Devono altresì
evitare i cubetti di ghiaccio.
In questo lavoro viene esaminata la possibilità di inquinamento
delle salse presenti nei ristoranti di tipo messicano.
Sono state misurate le concentrazioni di Escherichia Coli e altri enteropatogeni
in 96 campioni di salse presenti sulle tavole di ristoranti (salsa verde,
guacamole, pico de gallo, e salse rosse) in 48 ristoranti messicani a
Guadalajara, in Messico e a Houston, in Texas.
Tutte le salse a Guadalajara erano a temperatura ambiente e lasciate sui
tavoli permanentemente.
A Houston le salse erano portate sul tavolo al momento dell'arrivo dell'avventore
ed erano a bassa temperatura.
Tra l salse di Guadalajara, il 66% produsse in coltura E. coli (in media
1000 colony forming unit per grammo di salsa). Tra le salse di Houston,
il 40% produsse in coltura E. coli (in media 0 CFU/gr).
Le differenze tra percentuali e medie risultarono statisticamente significative.
Nessuna salsa di Houston produsse E. coli enterotossigenica o enteroaggregativa
contro il 9% e il 44% rispettivamente delle salse di Guadalajara.
Il pH delle salse delle due località risultò simile.
Ann Intern Med
2002 Jun 18; 136: 884-7
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Quanto
deve essere intenso l'esercizio fisico ottimale?
È ben noto
da molti anni (e raccomandato dalle maggiori Società scientifiche)
come l'attività fisica produca benefici effetti sull'organismo,
e particolarmente sull'apparato cardiocircolatorio. Benchè venga
raccomandata un'attività fisica di almeno 30 minuti al giorno,
non è ben chiaro quale debba essere l'entità di tale attività.
È meglio un'attività fisica intensa, o è sufficiente
semplicemente camminare? Nell'incertezza, si sono succedute innumerevoli
mode, incentivanti ciclicamente questo o quel tipo di attività
fisica.
Nel corso di uno studio americano (studio WHI) sono state esaminate, al
fine di valutare l'effetto protettivo di veri gradi di attività fisica
sul sistema cardiovascolare, oltre 70. 000 donne in fase di post-menopausa,
di età compresa tra i 50 e i 79 anni.
Si trattava di soggetti che non presentavano storia di malattia cardiaca;
dopo un dettagliato questionario, sono poi state seguite per un periodo
medio di circa 3 anni. I ricercatori hanno calcolato il consumo settimanale
di energia considerando mediamente gli equivalenti metabolici (MET).
È stato osservato come il numero di MET/ora per settimana fosse
associato ad una riduzione di rischio di malattia cardiaca. Non c'era
sostanziale differenza nel modo in cui tali consumi energetici fossero
effettuati: purchè il dispendio energetico fosse analogo, sia l'effettuazione
di sforzi intensi come il semplice camminare, producevano analoghi benefici.
Il maggiore rischio veniva rilevato nei soggetti maggiormente sedentari.
Le correlazioni risultavano indipendenti da fattori estranei, quali la
razza, l'età e il BMI.
Non importa camminare o correre, quindi: l'importante è muoversi.
(NEJM, 2002; 347:
716)
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Etanercept
contro Methotrexate nell'Artrite Reumatoide: altri dati
Uno dei primi studi
di paragone tra etanercept e methotrexate nella terapia dell'artrite reumatoide
aveva riportato i dati relativi a 632 pazienti randomizzati per assumere
10-25 mg di etanercept due volte alla settimana per via sottocutanea contro
methotrxate assunto per via intramuscolare una volta alla settimana. (N
Engl J Med 2000; 343: 1586).
I risultati ad un anno di distanza dall'inizio della terapia riportavano
un pari miglioramento clinico, ma una minore progressione radiologica
delle lesioni nel gruppo di trattamento con etanercept.
In questo lavoro vengono presentati i risultati a 2 anni di distanza.
La proporzione di pazienti che presentavano in questo nuovo studio un
miglioramento di almeno il 20%, valutato su una scala clinica standardizzata,
fu significativamente maggiore nel gruppo trattato con etanercept che
nel gruppo trattato con metotrexate (72% contro 59%).
Il gruppo di trattamento con etanercept inoltre mostrò mediante
radiografia una progressione delle erosioni e una diminuzione degli spazi
articolari meno frequente (37% contro 49%).
Il gruppo di trattamento con methotrexate presentò una frequenza
significativamente minore di alopecia, ulcere orali e nausea. 4 pazienti
trattati con methotrexate (2%) furono colpiti da polmonite.
Nel gruppo trattato con etanercept furono più frequenti le reazioni
cutanee.
Arthritis Rheum
2002 Jun; 46:1443-50
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Fibrillazione
atriale e insufficienza mitralica
La fibrillazione atriale
comunemente accompagna l'insufficienza mitralica nel corso della sua evoluzione
naturale.
Gli autori di questo studio hanno seguito 2 gruppi di pazienti affetti
da insufficienza mitralica trattati con terapia medica che inizialmente
erano in ritmo sinusale al momento della diagnosi.
360 pazienti presentavano insufficienza mitralica dovuta a flail leaflets
e 89 pazienti presentavano insufficienza mitralica dovuta a prolasso valvolare.
Nei pazienti con insufficienza dovuta a flail leaflets i tassi di fibrillazione
atriale a 5 e 10 anni di follow-up erano 18% e 48% rispettivamente.
Simili risultati si ottennero per il gruppo di insufficienze mitraliche
dovute a prolasso della valvola.
I pazienti di età maggiore di 65 anni e quelli con dimensioni di
base dell'atrio sn di 5 cm all'ecocardiogramma presentavano il rischio
maggiore di fibrillazione atriale.
I pazienti che andavano incontro a fibrillazione atriale dimostravano
un rischio incrementato di scompenso cardiaco o morte per causa cardiaca.
J Am Coll Cardiol
2002Jul 3; 40: 84-92
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Infarto
Miocardico Acuto (IMA): trombolisi o angioplastica primaria?
Parecchi studi supportano
la convinzione che l'angioplastica primaria sia superiore alla trombolisi
in caso di infarto miocardico acuto.
Però parecchi ospedali non hanno la disponibilità di attrezzature
e personale in grado di attuare l'angioplastica primaria. In questi casi
è meglio la trombolisi o il trasporto al centro più vicino
per eseguire l'angioplastica primaria?
In questo studio sono stati selezionati 138 pazienti affetti da IMA, randomizzati
per essere trombolisati o essere inviati al più vicino centro per
essere sottoposti a angioplastica primaria.
Il tempo trascorso dall'evento all'inizio del trattamento fu decisamewnte
maggiore nel caso dell'angioplastica primaria, (155 contro 51 minuti).
A 30 giorni, meno pazienti del gruppo trattato con angioplastica avevano
ottenuto un endpointoi primario (morte, IMA non mortale, ictus invalidante),
8% contro 14%.
La differenza non era significativa all'analisi univariata ma divenne
signioficativa con analisi multivariata.
Nel gruppo sottoposto ad angioplastica primaria l'ischemia persistente
o ricorrente fu significativamente meno frequente (13% contro 32%) e la
durata media di ricovero fu significativamente minore (6 contro 8 giorni).
Questo lavoro ha il difetto di avere un campione di pazienti limitato,
ma pone premesse interessanti.
Cosa succederebbe se si facesse subito la trombolisi e poi il trasferimento
per angioplastica primaria?
Am Coll Cardiol
2002 Jun 5; 39: 1713-9
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Lo
studio OPTIMAAL: losartan e captopril a confronto nei pz ad alto rischio
dopo IMA
Gli ACE inibitori
riducono gli effetti dannosi della angiotensina II, migliorano la sopravvivenza
e riducono la mortalità nei pazienti colpiti da IMA con evidenza
di scompenso cardiaco per insufficienza ventricolare sx, gli antagonisti
selettivi dei recettori AT1 rappresentano un approccio farmacologico alternativo
all'inibizione del sistema renina -angiotensina.
Lo studio OPTIMAAL è un trial multicentrico randomizzato concepito
per testare l'ipotesi di "superiorità" o "non inferiorità"
del Losartan rispetto al Captopril nel ridurre la mortalità totale
nei pazienti ad alto rischio dopo infarto acuto del miocardio.
5477 pazienti di oltre 50 anni (età media 67,4 anni) con infarto
accertato e scompenso cardiaco durante la fase acuta o in reinfarto sono
stati arruolati in 329 centri in 7 paesi europei. I pazienti sono stati
assegnati in maniera randomizzata al trattamento conLosartan(50 mg /die)
o Captropril (50 mg x 3 /die). L'endpoint primario preso in considerazione
fu la mortalità totale.
Durante un follow up medio di 2, 7 anni ci furono 946 decessi:499 (18%)
nel gruppo trattato con Losartan e 447 (16%) nel gruppo trattato con Captopril.
I risultati valutatati per gli endpoint secondari e terziari sono stati
i seguenti: morte cardiaca improvvisa, o arresto cardiaco rianimato 239
(9%) contro 203 (7%), reinfarto fatale o non fatale 384 (14%) contro 379
(14%).
Le riammissioni in ospedale sono state 1806 (66%) contro 1774 (65%).
Il Losartan ha dimostrato un minor tasso di abbandono della terapia 17%
contro il 23% del Captopril ed è stato tollerato meglio.
Nessuno dei due farmaci ha sfigurato, nel confronto. Dato però che dallo
studio non è emersa né una "superiorità"
significativa né una "non -inferiorità" del Losartan
rispetto al Captopril, gli ACE inibitori rimangono il trattamento di
prima scelta nei pazienti con infarto miocardio acuto complicato e il
losartan non può essere raccomandato in generale in questa popolazione
di pazienti. Tuttavia il Losartan è stato meglio tollerato ed ha
presentato un minor tasso di abbandono della terapia e meriterebbe una
ulteriore valutazione per il sottogruppo di pazienti che non tollera gli
ACE inibitori. Inoltre il Losartan andrebbe valutato in ulteriori studi
alla dose massima come fatto per il Captopril.
Lancet 2002;360:
752-60 (07. 09. 02)
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Mammografia
nelle donne di età compresa tra 40 e 49 anni: non serve
Il Canadian National
Breast Screening Study-1 (CNBSS-1): 50,430 donne studiate di età
compresa tra 40 e 49 anni, Il gruppo di intervento riceveva annualmente
mammografia ed esame clinico del seno per 5 anni e istruzioni per eseguire
l'autopalpazione. Al gruppo di controllo non venivano eseguite mammografie.
Dopo un follow-up di 13 anni non si rilevarono differenze significative
nella mortalità dei due gruppi: 104 nel gruppo mammografia contro
108.
Che dire? Che se anche ci fosse un beneficio nell'esecuzione dello screening
mammografico nella età compresa tra 40 e 49 anni di certo dovrebbe
essere molto piccolo. Inoltre bisogna mettere in conto anche i rischi
cui le donne vanno incontro per gli interventi indotti dallo screening
(biopsie, trattamenti di neoplasie di nessuna conseguenza clinica etc.).
Ann Intern Med
2002 Sep 3; 137: 305-12
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Pressione
arteriosa? Non è affidabile come sembra
I vari metodi di rilevamento
della pressione arteriosa hanno problemi legati ad accuratezza e costi
e accettabilità da parte del paziente.
In questo studio sono stati inclusi 200 ipertesi alla prima diagnosi,
selezionati da tre studi di medicina generale.
Sono stati quindi confrontate diverse metodiche di misurazione della pressione
arteriosa: rilevamento continuo ambulatoriale (gold standard), rilevamento
da parte del medico, delle assistenti, automisurazioni in clinica e automisurazioni
a domicilio.
Si è visto che le misurazioni della pressione effettuate dal medico di
famiglia erano le meno accurate. Le automisurazioni effettuate presso
lo studio di medicina generale erano quelle che più si avvicinavano
ai valori dell'Holter pressorio per sensibilità e specificità.
Leggermente inferiori, ma sempre ad un buon livello di accuratezza, le
misurazioni effettuate dai pazienti al loro domicilio.
BMJ 2002 Aug 3;
325: 254-7
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Non
rimuovete le otturazioni in amalgama
L'ADA (American Dental
Association) ha lanciato una campagna di informazione attraverso i media
per scoraggiare la rimozione delle otturazioni fatte con amalgama al mercurio
e per invitare i medici a non incoraggiare i pazienti a rimuovere questo
tipo di inserto dentale.
Negli Usa si assiste ad una forte richiesta da parte di pazienti affetti
da malattie come la Sclerosi Multipla e l'Alzheimer, o da Autismo per
sostituire le otturazioni in amalgama. I pazienti sono spinti da una falsa
speranza di trovare giovamento da questo tipo di trattamento e spesso
saltano i propri medici di fiducia e tentano questa strada che comporta
costi elevati e rischi aggiuntivi, ma non garantisce alcun giovamento.
Il problema nasce dalla presenza del mercurio nell'amalgama. Questo metallo
però quando è miscelato con altri metalli come ad esempio
l'argento forma una lega stabile del tutto innocua. Sebbene infinitesimali
parti di mercurio possano essere rilasciate dalle otturazioni in amalgama
per una masticazione particolarmente vigorosa o per bruxismo un soggetto
dovrebbe avere almeno 500 otturazioni in amalgama per poter aver qualche
lieve sintomo.
Il codice etico dell'ADA proibisce ai dentisti di affermare che il rimuovere
qualsiasi tipo di otturazione possa portare alla cura di altre malattie
dato che non esistono evidenze scientifiche al riguardo.
Inoltre ogni volta che viene rimossa on otturazione si rischia di danneggiare
il dente e ogni volta che si interviene su un dente aumenta il rischio
di reazioni avverse o la necessità di un trattamento canalare,
senza contare i costi spesso ingenti.
Rimuovere le otturazioni in amalgama può tradursi in un notevole
investimento senza alcun beneficio clinico.
Lancet 2002:360:
393
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Nuovo
antivirale per l'Epatite cronica B approvato dalla FDA
La Antiviral drugs
Advisory committee della FDA ha approvato l'uso di un nuovo antivirale
nel trattamento della Epatite Cronica di tipo B. La nuova molecola si
chiama Adefovir dipivoxil ed è un analogo nucleotidico che agisce
bloccando la HBV DNA polimerasi, enzima implicato nella replicazione virale.
Negli studi clinici questo nuovo farmaco ha dimostrato di essere efficace
sia nei pazienti mai trattati prima, sia nei pazienti che avevano subito
altri trattamenti, sia in quelli resistenti alla lamivudina ed anche nei
pazienti portatori di un ceppo mutante (precore mutant HBV). Gli effetti
collaterali più comuni riportati negli studi clinici sono stati:
cefalea, astenia, faringite e dolori addominali. I risultati degli studi,
inoltre, hanno dimostrato che dopo 136 settimane di trattamento non sono
comparse mutazioni associate a resistenza all'Adefovir dipivoxil.
Il farmaco è per ora ancora in fase sperimentale e un trial multicentrico
valuterà l'efficacia e la sicurezza del nuovo farmaco che rappresenta
una ulteriore speranza per i pazienti affetti da ceppi mutanti e resistenti
alla lamivudina.
www.
docguide. com
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Conviene
operare il cancro prostatico precoce?
Il problema che si
pone sempre più spesso al medico che individui un cancro prostatico in
fase precoce, è se intervenire in modo aggressivo o restare in vigile
attesa.
Già precedenti studi (JAMA 1997;278:1516-1519) avevano indicato come
la scoperta di una neoplasia iniziale si accompagnasse ad un lungo periodo
di sopravvivenza, tale da non fornire indicazione per un intervento chirurgico.
Alcuni ricercatori scandinavi hanno effettuato un trial che mette a confronto
la terapia chirurgica, la radioterapia e la vigile attesa.
Sono stati randomizzati 695 soggetti, di età media di 65 anni,
affetti da cancro della prostata in fase iniziale. Il 76% dei tumori,
clinicamente confinati nella prostata, erano individuabili mediante palpazione,
il 12% erano stati scoperti mediante il dosaggio del PSA, i rimanenti
erano stati individuati casualmente durante una TURP per ipertrofia prostatica.
Il follow-up è durato circa 6 anni, ed ha permesso di osservare che il
gruppo sottoposto a trattamento chirurgico ha presentato un numero di
decessi per cancro prostatico significativamente minore; inoltre sia la
progressione locale che le metastasi a distanza si sono verificate in
misura significativamente minore; lo stesso gruppo presentava però un
eccesso di morti per tutte le altre cause, per cui la mortalità
globale non è risultata molto differente rispetto agli altri gruppi.
Per quanto riguarda la qualità di vita, questa è stata studiata mediante
appositi questionari che hanno evidenziato come i pazienti "chirurgici"
avessero presentato una serie di disturbi (incontinenza urinaria, disturbi
sessuali ecc) in misura significativamente maggiore rispetto ai pazienti
non operati.
Ci sono molti dubbi, quindi, sull'utilità del trattamento chirurgico
in tali pazienti, ma i limiti dello studio non permetto di dire ancora
l'ultima parola.
(NEJM, 12 settembre
2002; 347: 781)
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Progressi
nella patogenesi della Malattia di Parkinson
Alla base della Malattia
di Parkinson (PD) sembra giocare un ruolo importante una molecola denominata
a-sinucleina, che accumulandosi nei neuroni dopaminergiuci causa la morte
cellulare.
Si pensa che il metabolismo della dopamina produca radicali ossigeno che
in presenza di asinucleina portino a morte la cellula nervosa. Viceversa
la asinucleina non mostra alcun effetto in neuroni non dopaminergici.
Gli autori di questo studio hanno studiato autopticamente i tessuti cerebrali
di 6 pazienti deceduti per PD e 4 controlli non affetti dalla malattia.
Rispetto ai controlli, i pazienti affetti da PD presentavano livelli di
asinucleina significativamente maggiori nei neuroni dopaminergici della
substantia nigra ma non in siti risparmiati dalla PD. Nella substantia
nigra la asinucleina appariva complessata con una molecola denominata
14-3-3 che si sa avere la capacità di inibire la morte cellulare.
L'ipotesi finale dello studio è che la asinucleina si combini con
la molecola 14-3-3 impedendone gli effetti protettivi verso i radicali
liberi prodotti dal metabolismo della dopamina, che, accumulandosi, porterebbero
a morte la cellula.
Nat Med 2002 Jun;
8:600-6
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Pressione
oculare alta: trattare da subito
I soggetti con pressione
intraoculare aumentata sono a rischio aumentato per glaucoma.
Tuttavia al momento attuale non è chiaro se trattare da subito
farmacologicamente i soggetti che presentino una pressione oculare elevata
possa prevenire o ritardare l'insorgenza di franco glaucoma ad angolo
aperto.
Considerando come limite massimo tollerabile una pressione intraoculare
di 23 mm di Hg, è stato effettuato uno studio in cui sono stati selezionati
1636 pazienti con pressione intraoculare compresa tra i 24 e i 32 mm Hg
ma che non presentavano alterazioni patologiche a carico del fundus o
del campo visivo di tipo glaucomatoso.
I pazienti furono randomizzati per ricevere trattamenti topici in grado
di abbassare la pressione intraoculare al di sotto di 24 mm Hg o sottoposti
a sola osservazione.
L'endpoint primario era lo sviluppo di alterazioni campimetriche o deterioramento
del disco ottico di tipo glaucomatoso.
Dopo 5 anni si riscontrò che la probabilità di raggiungere
questo endpoint fu significativamente minore nel gruppo di trattamento
rispetto al gruppo di controllo (4.4% contro 9.5%), per cui andrebbe raccomandato
un trattamento farmacologico precoce per i soggetti che presentino una
pressione intraoculare superiore ai 23 mm di Hg.
Arch Ophtalmol
2002 Jun; 120: 701-13
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Probiotici
con gli antibiotici? E quali?
È stata lunga
consuetudine somministrare probiotici (ceppi batterici vivi) unitamente
agli antibiotici per controbilanciare la crescita di patogeni intestinali
indotta dagl antibiotici.
Al fine di verificare l'efficacia di queste terapie, e di confrontare
un'eventuale maggiore efficacia di un ceppo batterico rispetto ad altri,
gli Autori hanno effettuato una metanalisi in cui sono stati presi in
considerazione 9 studi effettuati in doppio cieco contro placebo.
Due di questi studi coinvolgevano soggetti in età pediatrica, gli
altri erano effettuati su adulti.
In quattro studi i batteri erano yeast, in 4 lattobacilli e in uno enterococchi
che producevano acido lattico.
In tre studi si impiegavano più ceppi batterici.
8 studi su 9 dimostrarono un certo beneficio per il trattamento probiotico.
Il RR per diarrea del complesso degli studi esaminati risultò di
0.37.
Non si rilevarono peraltro differenze significative tra un tipo e l'altro
di batteri impiegati.
BMJ 2002 Jun 8:
324: 1361-4
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Linee
guida della U. S. Preventive Service Task Force (USPSTF3) per lo screening
del carcinoma colorettale
L'ultima edizione
delle linee guida della USPSTF sulla prevenzione del carcinoma colorettale
(CCR) si basavano sul rilievo della riduzione della mortalità per
CCR osservata in un trial randomizzato della durata di un anno con sangue
occulto nelle feci (FOBT), che aveva dimostrato 4.6 morti per CRC ogni
1000 persone sottoposte a screening. Inoltre 2 studi non randomizzati
con impiego di sigmoidoscopia con o senza FOBT avevano confermato i risultati
positivi.
Quindi la USPSTF raccomandò allora l'esecuzione di FOBT, sigmoidoscopia
ogni 10 anni o entrambe per lo screening del CCR.
Durante questi anni è divenuta esame di primo piano la colonscopia:
essa ha i vantaggi di poter essere eseguita ad intervalli più lunghi
degli altri test (10 anni). Da studi osservazionali è scaturita
una diminuzione della mortalità per CCR. Inoltre analisi economiche
hanno dimostrato un vantaggio in termini di costi/efficacia, nonostante
il costo iniziale più elevato.
La USPSTF3 così
quindi si esprime:
- Nessuna evidenza
di riduzione della mortalità con lo screening mediante clisma
opaco
- Nessun beneficio
con lo screening mediante esplorazione rettale digitale
- FOBT: 32 nuovi
trial randomizzati mostrano una diminuzione della mortalità con
lo screening con FOBT reidratato e non reidratato a cadenza biennale
- sigmoidoscopia:
un piccolo trial randomizzato mostra una non significativa riduzione
della mortalità. L'esecuzione dell'esame è consigliata
ogni 10 anni.
- colonscopia: uno
studio caso controllo mostra una significativa riduzione della mortalità
Effetti collaterali:
incapacità di eseguire la FOBT, sanguinamento nel 2.5% e perforazione
in meno del 0.01% delle sigmoidoscopie, perforazione nello 0.029%-0,61%
e morte in 1/3000-1/30000 casi con la colonscopia.
In base a questi dati
la USPSTF raccomanda fortemente ai medici di eseguire lo screening del
CCR nella popolazione al di sopra dei 50 anni
Raccomandazione di
tipo A (Intervento fortemente raccomandato)
La USPSTF afferma
che i dati sono attualmente insufficienti per determinare definitivamente
quale sia la migliore strategia di screening
Ann Intern Med
2002 Jul 16; 137: 129-31
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Bypass
aorto coronarico mediante chirurgia mini invasiva (CMI): confronto con
lo stent
La cardiochirurgia
mini invasiva sta proponendosi come una alternativa importante alla cardiochirurgia
tradizionale e anche a metodiche non invasive come l'applicazione di stent.
In questo lavoro, 220 pazienti affetti da stenosi isolata di alto grado
della arteria coronaria discendente ant3eriore sono stati randomizzati
per essere trattati con stent o con bypass mediante CMI.
La CMI veniva eseguita a cuore battente, senza uso della macchina cuore-polmoni,
attraverso una piccola incisione nel quarto spazio intercostale; per effettuare
il by-pass è stata impiegata l'arteria toracica interna sinistra.
Le due metodiche ebbero un successo iniziale paragonabile, con poche complicanze
in ciascun gruppo.
A distanza di 6 mesi, tuttavia, il 38% dei pazienti trattati con stent
contro il 21% di quelli trattati con CIM presentavano angina e il 29%
conto l'8% richiesero ulteriori procedure di rivascolarizzazione.
N Engl J Med 2002
Aug 22; 347: 561-6
Terapia
genica inibisce l'angiogenesi neoplastica nel topo
Gli autori di questo
studio hanno sintetizzato una nanoparticella sintetica capace di legarsi
ad una molecola espressa solo sulla superficie delle cellule endoteliali
neosintetizzate (molecola avb3).
Hanno quindi collegato la nanoparticella ad una forma mutante del gene
Raf, che è in grado di portare a morte le cellule endoteliali.
Gli esperimenti hanno dimostrato che l'adesione della nanoparticella alla
molecola di superficie era seguita dalla interiorizzazione della prima
e quindi dalla iniezione all'interno della cellula endoteliale della particella
genomica ad essa connessa.
Esperimenti con topi affetti da cancro hanno dimostrato che, mentre i
controlli rapidamente morivano, i topi trattati con il nuovo composto
sopravvivevano mostrando una riduzione maggiore del 95% della massa neoplastica.
Si poteva osservare regressione sia della massa principale che delle metastasi.
I tumori più grossi, equivalenti ad una massa di 2 kg in una persona
di 80 kg, sparivano letteralmente nel giro di 6 giorni. Si evidenziava
chiaramente che il trattamento aveva distrutto i vasi sanguigni neoformati
portando a morte il tumore.
Questi esperimenti sono molto promettenti, anche se per ora non è possibile
trasferire questi risultati all'uomo.
Science 2002 Jun
28; 296: 2404-7
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Terapia
dell'ictus con inosina
La terapia dell'ictus
cerebrale è ancora povera di interventi efficaci; alcuni ricercatori
hanno impostato uno studio tendente a verificare se l'inosina potesse
avere un ruolo terapeutico in queste circostanze. Lo studio ha avuto origine
dalla semplice osservazione che l'inosina, nucleoside purinico dalla semplice
struttura, stimola la crescita neuronale in vitro.
Sono stati indotti chirurgicamente ictus cerebrali in ratti e quindi gli
animali sono stati randomizzati per ricevere infusione o di soluzione
fisiologica o di inosina.
L'inosina non dimostrò capacità di ridurre la quantità
di tessuto cerebrale perduto con la lesione. Tuttavia, l'inosina aumentò
significativamente la velocità di crescita degli assoni dei neuroni
in aree distanti dalla lesione verso l'area denervata del cervello e midollo
spinale.
Attraverso test e esperimenti di vario tipo si dimostrò che gli
animali trattati con inosina presentavano un più rapido recupero
e tornavano ai livelli funzionali pre-ictus in 19 giorni dal momento della
lesione, mentre gli animali trattati con soluzione fisiologica mostravano
un recupero minimo.
Proc Natl Acad
Sci USA 2002 Jun 25; 99:9031-6
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Terapia
Ormonale Sostitutiva (TOS): aumenta, in certi casi, l'incidenza del carcinoma
ovarico
Studio retrospettivo
di coorte con dati ottenuti dal Breast cancer Detection Project (1979-1988)
per accertare se la TOS aumenti il rischio di carcinoma ovarico.
Durante un follow-up medio di 13 anni, vi furono 329 diagnosi di carcinomi
dell'ovaio su 44,241 donne in postmenopausa (età media di inizio
del follow-up: 57 anni).
Mediante analisi, multivariata si è determinato che l'uso di estrogeni
da soli, a paragone del non utilizzo, era correlato ad un aumento del
rischio di carcinoma dell'ovaio (RR= 1.6).
Il rischio era proporzionale al periodo di impiego degli estrogeni: il
rischio relativo aumentava del 7% per ogni anno di impiego.
Quando gli estrogeni venivano impiegati unitamente ai progestinici, dopo
un periodo di impiego di soli estrogeni, il rischio di carcinoma dell'ovaio
aumentava di 1.5 volte, a paragone con il non impiego di trattamento ormonale.
L'impiego di terapia combinata estro-progestinica dall'inizio non si associava
invece ad aumento di rischio di carcinoma ovarico.
JAMA 2002 Jul 17;
288: 334-41
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Un
nuovo ormone che regola l'introduzione di cibo
Finalmente una scoperta
che sembra far quadrare il cerchio in ambito di obesità. Un nuovo
ormone, denominato Ghrelina è stato identificato come prodotto
di sintesi da parte di cellule endocrine situate nella parete dello stomaco.
Esso avrebbe un forte potere di stimolare il senso di fame e di diminuire
il metabolismo e la degradazione dei grassi.
Molti aspetti della più spesso vana lotta contro i chili di troppo
non erano spiegati in maniera soddisfcente con i modelli a disposizione.
Ora questo tassello importante rende il quadro chiaro e apre nuove vie
per terapie efficaci.
In 13 soggetti obesi vennero misurati i livelli di Ghrelina ogni 30-60
minuti per 24 ore, prima e dopo un programma dietetico di 6 mesi che produsse
una media di calo ponderale del 17%.
I livelli di Ghrelina aumentavano prima di ogni pasto, per calare prontamente
dopo mangiato.
Dopo la perdita di peso, i livelli di Ghrelina si comportavano in modo
simile, ma erano più elevati, sia prima che dopo il pasto. Al contrario,
in ulteriori 5 casi di pazienti che erano stai operati di bypass gastrico
e erano andati incontro a perdite notevoli di peso (circa il 36% in media),
i livelli di Ghrelina non variavano col pasto e l'appetito era ridotto
in modo permanente senza recupero di peso.
Il ruolo di questo nuovo ormone appare importante: esso spiegherebbe perché
passando il tempo diventa sempre più difficile seguire la dieta,
aumentando la concentrazione ormonale e quindi il senso di fame e riducendosi
il metabolismo.
Nel caso infine di bypass gastrico si avrebbe l'inibizione della sintesi
di Ghrelina, con capacità di mantenere la dieta senza aumento dell'appetito.
Questa molecola sembra un ottimo bersaglio per una terapia mirata della
obesità.
N Engl J Med 2002
May 23; 364: 1623-30
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APPROFONDIMENTI
Accertamenti
di paternità mediante esame del DNA
A causa della notevole
pubblicità che è stata data recentemente ai problemi di filiazione e
di fecondazione, un nuovo impulso è nato circa l'accertamento dei rapporti
parentali, gravidi di importanti conseguenze dal punto di vista legale,
finanziario, ereditario.
I progressi scientifici hanno fatto sì che i test di accertamento di
paternità siano rmai alla portata di quasi tutti i laboratori di analisi,
i quali offrono questo servizio come una comune analisi ematologica. In
realtà l'esame di accertamento di paternità è particolarmente complesso
e necessita di competenze particolari.
In cosa consiste
l'esame?
Si tratta, fondamentalmente,
di un esame del sangue che tende ad accertare, mediante il confronto di
marcatori geneticamente trasmessi, di un rapporto parentale (generalmente
padre-figlio) tra due soggetti. Inizialmente (si parla degli anni '20)
gli unici marcatori conosciuti erano quelli del sitema ABO. A questo si
aggiunse il sistema MNSs e, negli anni '40 il sistema RH. Questi marcatori,
esprimendo solo una manifestazione fenotipica avevano però una
capacità discriminatoria piuttosto modesta e offrivano risultati
sovente ambigui e di difficile interpretazione.
Venne introdotto poi
il sistema HLA, legato agli antigeni leucocitari, dotato di elevato potere
discriminatorio e, alla fine degli anni '90, l'esame diretto del DNA.
Tale esame non consiste,
come credono i profani, nell'analizzare un frammento qualsiasi di DNA:
la parte più complicata è consistita invece proprio nell'individuazione
di quelle parti del cromosoma che, assendo variabili da individuo a individuo,
fornissero un assetto tipico per ciarcuna persona, analogo a quanto si
rileva nell'esame delle impronte digitali (DNA fingerprint).
La prima applicazione pratica in un test di paternità giudiziario
risale al 1985 in Inghilterra; da allora molti passi sono stati compiuti,
con la scoperta di loci genetici sempre più discriminativi ("minisatelliti"
e "microsatelliti") e con la scoperta di nuove tecniche analitiche.
È stata fondamentale la scoperta di Mullis della reazione di DNA-Polimerasi
(PCR) che consente di ottenere una elevata quantità di materiale
genetico da quantità scarse di DNA.
Le tecniche attuali,
basate su confronto delle bande elettroforetiche del materiale ottenuto
con tale tecnica, si è definitivamente affermata anche perchè evita
alcuni problemi propri delle tecniche precedenti, come l'impiego di sostanze
radioattive, i lunghi tempi di attesa e le possibili difficoltà interpretative.
Mentre i primi esami di paternità si basavano su un esame di 4-5 marcatori
al massimo, adesso è normale effettuarne 10-12 o 15. L'elevato numero
di marcatori e la loro distribuzione su diversi loci cromosomici garantiscono
l'affidabilità del risultato evitando errori che possono essere conseguenti
a mutazioni o a delezioni cromosomiche. Attualmente sono in commercio
dei kit che consentono l'analisi di gruppi precostituiti di marcatori.
Quali sono le sue
indicazioni principali?
Le indicazioni principali
dell'esame del DNA sono due: l'identificazione personale da residui
bilogici e l'identificazione del rapporto parentale.
Identificazione
personale
Assume rilievo soprattutto
in ambito penale. Consente l'identificazione dell'autore di un delitto
da residui organici anche minimi. L'esame può essere effettuato
su qualsiasi materiale che abbia una componente cellulare da cui estrarre
il DNA: sangue, sperma, bulbi piliferi, saliva, sudore. Il DNA conteunto
in tali materiali può degradarsi con diversa velocità, a
seconda delle condizioni ambientali (grado di umidità, temperatura,
inquinamento batterico ecc.) in un tempo che può essere di poche
ore o di pochi giorni nei casi più sfavorevoli, può rimanere
analizzabile anche per molti anni se conservato in ambiente adatto. È
intuibile perciò come in certe evenienze (ad esempio nei casi di
stupro) sia essenziale un tempestivo prelievo di tale materiale.
Il materiale biologico
surgelato può essere conservato dal laboratoro per un numero indefinito
di anni; a temperatura ambiente il materiale asciutto (per esempio una
goccia di sangue raccolta su una carta asciugante) si conserva per periodi
molto più lunghi che se mantenuto in forma liquida. In caso di analisi
su cadavere si può ottenere materiale utile dall'esame del midollo osseo,
più "riparato", anche dopo anni.
Accertamento parentale
È l'evenienza
più comune, con la tendenza a diventare routinario in seguito alle
attuali leggi che conferiscono ai figli naturali gli stessi diritti ereditari
e di mantenimento dei figli legittimi. L'iter giudiziario prevede, attualmente,
che l'esame emetologico costituisca tappa pressochè obbligata,
e divisa in due parti: prima il "disconoscimento" (l'accertamento
che il padre "ufficiale" non è quello biologico), poi
il "riconoscimento" (l'identificazione del vero padre).
Oltre che per via giudiziaria le indagini di paternità possono essere
chieste da privati per propria informazione e per valutazione preliminare
anteriore alla causa in Tribunale. L'effettuazione dell'esame prevede
il consenso di tutte le parti interessate, che potrebbero però rifiutarsi.
Non è infrequente, infatti, che la madre si rifiuti di fornire il proprio
sangue e l'accertamento venga effettuato su due soli individui.
L'esame viene compiuto generalmente su materiale ematico raccolto in quantità
di pochi cc. in provette con anticoagulante. Nel caso di bambini piccoli
è possibile effettuare un prelievo di poche gocce di sangue su una carta
asciugante, oppure un prelievo di saliva dalla mucosa buccale mediante
tamponi sterili.
La valutazione
dei risultati
Le possibilità di errore
Le analisi basate
sulla tipizzazione del DNA sono attualmente altamente attndibili, tuttavia
non possono essere considerate esenti da errori. Oltre a banali errori
umani (scambio di campioni, cattiva conservazione dei reperti) esiste
una serie di fattori interferenti di cui occorre sempre tener conto:
- È possibile
che alcuni alleli non vengano evidenziati durante indagini effettuate
tramite PCR (cosiddetti "alleli silenti"). Questo fenomeno
si verifica soprattutto nell'analisi di alcuni sistemi aventi una differenza
sostanziale del peso molecolare tra i due alleli. Può allora
verificarsi la mancata amplificazione dell'allele pesante con possibilità
che ne conseguano erronee esclusioni di paternità. Sono però
ben noti i sistemi che possono produrre tale fenomeno, per cui l'operatore
esperto ne può tener conto, verificando con altri metodi.
- Possono verificarsi
mutazioni genetiche: È stato riscontrato che le mutazioni ricorrono
nei microsatelliti con una frequenza media abbastanza elevata, di una
mutazione ogni 1000-10000 meiosi. Può quindi essere lecito il
dubbio, in caso che un solo marcatore risulti incompatibile, di un errore
dovuto appunto ad una mutazione. Eccezionalmente anche le incompatibilità
di due marcatori possono offrire il fianco a questa critica. In questi
casi è posibile effettuare il controllo con altri marcatori,
in numero adeguato, in modo da poter confermare la paternità
biologica. In caso si riscontri un'unica incompatibilità, quindi,
questa viene ad essere considerata come un fattore di diminuzione di
probabilità piuttosto che come perentoria esclusione.
1) Incompatibilità
genetica: non è padre biologico
Ogni figlio presenta, per ogni locus genetico esaminato, due alleli, dei
quali uno sarà di provenienza materna e uno di provenienza paterna. Dato
che sulla madre esistono raramente discussioni, vengono dapprima scorporati
gli alleli di provenienza materna e viene poi verificata la compatibilità
degli alleli rimasti con quelli di origine paterna. La presenza nel figlio
di polimorfismi genetici incompatibili (secondo la legge di Mendel) con
quelli del presunto padre può far escludere con certezza un rapporto
di paternità.
È stato superato il problema dei vecchi marcatori basati sui polimorfismi
enzimatici, allorchè le esclusioni non erano quasi mai perentorie
ma andavano valutate anch'esse con criterio probabilistico. L'esame diretto
del DNA invece permette una esclusione netta e sicura con poche probabilità
di errore dovute agli inconvenienti sopradescritti, che però sono
ben conosciuti dagli operatori del settore.
2) Compatibilità
genetica. Valutazione delle probabilità:
Qualora venga evidenziata la compatibilità di tutti i marcatori, o si
sia verificata una "falsa" incompatibilità dovuta ai fattori
sopradetti, occorre dare un peso statistico a questo risultato.
Sono stati studiati e raccolti in banche-dati gli indici statistici che
indicano, in sostanza, la diffusione dei polimorfismi genetici nella popolazione
generale. Questi dati servono per la base di calcoli successivi, abbastanza
complessi.
Viene utilizzato di solito, nella pratica, il cosiddetto "indice
di paternità" oppure il termine di "probabilità di paternità".
Questa probabilità viene espressa generalmente, nella pratica corrente,
in forma percentuale. Più alto è il numero di marcatori compatibili,
più alta sarà tale probabilità.
La tecnica di calcolo, di tipo statistico esprimente un'approssimazione
all'infinito, non permette mai di poter esprimere una probabilità del
100%, e questo residuo margine di incertezza può costituire fonte di
frustrazione per gli interessati. Occorre tener presente che l'indice
di probabilità, al di sopra di certi valori, viene ad essere praticamente
equivalente ad una certezza, con un criterio analogo a quello usato nel
caso delle impronte digitali, in quanto la probabilità contraria (se
si eccettuano casi particolarissimi di popolazioni estremamente ristrette
e con pool genetico molto condiviso) vengono essere così basse da non
potersi ipotizzare una coincidenza.
Non esiste in Italia una norma precisa che stabilisca la soglia oltre
la quale una probabilità di paternità sia da considerare
equivalente a una "pratica certezza": si fa riferimento in genere
alle legislazioni di altri paesi europei come la Germania (che ha stabilito
un limite del 99,72%), o ai Paesi Bassi, i più severi, che hanno
stabilito un limite del 99,90%.
Non è infrequente, con le tecniche odierne e con l'alta capacità
discriminatoria degli alleli presi in esame, raggiungere probabilità
anche più elevate del 99,99%.
Casi particolari
- È possibile esaminare
un rapporto parentale anche in assenza della madre, con un confronto
diretto tra padre e figlio. Questo impone ovviamente l'esame di un numero
molto elevato di marcatori, ma consente spesso risultati molto soddisfacenti
sia in termini di riconoscimento che di disconoscimento.
- Qualora il genotipo
di un componente della famiglia (la madre, ad esempio) non possa essere
esaminato direttamente, esso può essere ricostruito, in alcuni casi,
esaminando la cerchia parentale consanguinea e ricostruendo da questa
il suo patrimonio genetico
Modalità pratiche
Data la diffusione
dei kit di analisi (che non richiedono più l'uso di strumentazione molto
complessa) molti laboratori hanno introdotto tali indagini nella loro
offerta al pubblico. È utile però che ci si rivolga a Centri che abbiano
reale competenza in materia, in modo da poter valutare la possibilità
di mutazioni, di alleli silenti o altre cause di errore. Generalmente
tali centri sono ubicati presso Università, grandi ospedali, laboratori
privati di alto livello. Solo pochi centri possono servirsi (per il costo
elevato) di particolari apparecchi (come il sequenziatore) che facilitano
le indagini minimizzando il rischio di errore interpretativo.
Il referto non deve contenere solo il giudizio "sintetico" di
paternità o non-paternità ma deve riportare la costellazione di marcatori
esaminati e la percentuale di probabilità calcolata.
L'analisi del DNA è molto costosa ed è effettuabile soltanto in regime
privato: i prezzi apparivano, fino a pochi anni fa quasi proibitivi (parecchi
milioni in lire attuali). Attualmente sono molto diminuiti ma la necessità
di personale altamente specializzato e di apparecchi sofisticati li mantengono
abbastanza elevati (due-tre milioni di lire).
Daniele Zamperini
(Occhio Clinico n. 2 pag. 30-31, 2002)
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MEDICINA
LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica
gestita dall'ASMLUC:
Associazione
Specialisti in Medicina
Legale
Università Cattolica
(a cura di D. Z. )
Precisazioni
sulle attività dei comitati etici
CIRCOLARE
2 settembre 2002, n. 6
Attività dei comitati etici istituiti ai sensi del decreto ministeriale
18 marzo 1998. (GU n. 214 del 12-9-2002)
(omissis)
È impegno esplicito dello sponsor ed oggetto di valutazione da parte
dei comitati etici:
a) rendere pubblici e in maniera tempestiva i dati utilizzando
anche la sezione specifica dell'Osservatorio nazionale sulle sperimentazioni
cliniche, presente presso la Direzione generale valutazione medicinali
e farmacovigilanza (http://oss-sper-clin. sanita. it);
b) non interrompere la sperimentazione stessa, se non sulla base
di una procedura pre-definita di valutazione, esplicitamente concordata,
e debitamente documentabile, con il coordinatore scientifico e/o il
coordinatore clinico dello studio;
c) non approvare protocolli di ricerca che non contengano informazioni
sufficienti per valutare questi due aspetti (o, ancor più, che prevedono
misure in qualsiasi modo contrarie o restrittive);
d) motivare le decisioni (sia positive, sia negative) assunte dai
C. E. rispetto ai diversi protocolli rendendo esplicite le ragioni
relative ai contenuti, gli aspetti metodologici, la fattibilità locale.
2.
Studi clinici non interventistici ("osservazionali")
2.1.
Si definisce sperimentazione non interventistica la studio centrato
su problemi e patologie nel cui ambito i medicinali sono prescritti
nel modo consueto conformemente alle condizioni fissate nell'autorizzazione
all'immissione in commercio. L'inclusione del paziente in una determinata
strategia terapeutica non è decisa in anticipo dal protocollo
di sperimentazione, ma rientra nella normale pratica clinica e la decisione
di prescrivere il medicinale è del tutto indipendente da quella
di includere il paziente nello studio.
2.2. I protocolli di ricerca devono adottare una metodologia particolarmente
rigorosa, dato che i risultati non sono protetti da procedure di allocazione
randomizzata di pazienti e/o interventi. Come per gli studi clinici
randomizzati devono essere definiti in modo univoco e coerente:
a) le motivazioni e le ipotesi della ricerca;
b) le attese dello studio;
c) i criteri di analisi e di interpretazione dei risultati (siano questi
intesi come descrittivi o tali da suggerire, documentare, confermare
relazioni di casualita);
d) la proposta di analisi statistiche appropriate.
2.3.
Valgono per gli studi osservazionali tutte le regole applicabili
alle sperimentazioni cliniche per quanto riguarda:
a) la trasparenza delle sponsorizzazioni ed i relativi aspetti economici;
b) la proprietà dei dati e la trasparenza dei risultati;
c) il rispetto dei diritti dei partecipanti alla ricerca per quanto
concerne le informazioni sullo studio e la tutela della privacy;
d) la possibilità di individuare un comitato scientifico che abbia
la responsabilità della gestione/conduzione dello studio.
2.4. Gli studi clinici dei medicinali di tipo non interventistico "osservazionali"
devono essere notificati ai comitati etici locali in cui opera il ricercatore
interessato. In base allo specifico statuto di istituzione dei singoli
comitati etici, questi potranno procedere ad una formale approvazione
oppure ad una semplice presa d'atto.
2.5. Nessun costo aggiuntivo sostenuto per la conduzione e la gestione
degli studi osservazionali deve gravare sui fondi del Servizio sanitario
nazionale.
3.
Aspetti amministrativi relativi alle sperimentazioni cliniche dei medicinali
e agli studi osservazionali.
Fatta
salva l'autonomia decisionale delle strutture coinvolte di definire
quote di pagamento per l'esame dei protocolli di studio che vengono
presentati, si sottolinea l'opportunità di adottare criteri di ragionevolezza
per gli aspetti economici relativi all'attività istruttoria dei comitati,
fino eventualmente a prevedere una totale esenzione, per:
a) per studi promossi dai ricercatori operanti nel Servizio sanitario
nazionale;
b) nel caso di ricerche sponsorizzate da società scientifiche e/o istituti
e associazioni che non hanno fini di lucro;
quanto sopraindicato si applica in special modo per protocolli che prevedono
il coinvolgimento di molte strutture (studi multicentrici) per i quali
il pagamento di quote ai singoli comitati etici può limitare o impedire
la conduzione dello studio stesso.
3.1. È compito e responsabilità dei comitati etici verificare
(eventualmente richiedendo documentazione supplementare) la effettiva
indipendenza da sponsor industriali dei proponenti di cui ai punti a)
e b), per quanto riguarda l'ideazione e la gestione complessiva delle
ricerche e dei loro risultati.
Roma,
2 settembre 2002
Il
dirigente generale per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza
Martini
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Cure
termali e causa di servizio
Richiesta
di cure termali e/o idropiniche, secondo la nuova normativa diramata
dalla Direzione Generale di Sanità Militare
In
base a quanto indicato dalla Circolare del Ministero della Difesa, è
stata abolita in via sperimentale la Commissione Medica per il giudizio
di congruità e necessità delle cure termali.
Pertanto il Dipendente o Pensionato avente diritto alle predette "cure"
potrà optare tra:
1. la visita presso un Ufficiale Medico
2. la presentazione di prescrizione medica, rilasciata da medico di
sua fiducia su carta intestata.
In
tale ultimo caso, il medico proponente - vicariante la vecchia Commissione
Medica - dovrà, sotto la sua responsabilità, indicare
le infermità per le quali è richiesto il ciclo
di cure, la tipologia delle stesse, avendo la responsabilità
della valutazione di stati morbosi concomitanti che possano essere di
controindicazione alla cura.
All'atto
pratico, per l'espletamento di quanto sopra indicato, l'avente diritto
alle cure dovrà presentare al proprio medico di fiducia
il verbale della Commissione Medica Ospedaliera, o lo stato di
Servizio o Foglio matricolare in copia, da cui emerga chiaramente
la/le infermità riconosciute dipendenti da Causa
di Servizio.
Il
medico di fiducia certificherà su carta intestata la patologia
ed indicherà la tipologia di cure necessarie - a fini terapeutici
- secondo quanto previsto dalla normativa in vigore (D. Min. Sanità
pubblicato su G. U. n° 57 del 9/3/1995 Serie Generale e successive
integrazioni), valutando nel contempo la presenza di controindicazioni
assolute o relative all'espletamento delle stesse, ed indicando
in modo esplicito la mancanza o la presenza di controindicazioni.
Tale
certificazione non rientra in quelle di cui agli accordi nazionali,
e trattasi di certificazione libero professionale.
Al
termine dell'iter amministrativo, il Dipendente o Pensionato a cui viene
assegnato il turno, o che abbia ricevuto l'autorizzazione ad effettuare
le cure idropiniche, dovrà munirsi di impegnativa del proprio
Medico di Medicina Generale, su ricettario regionale.
Dott.
Alberto Spaziani ("Medici del Territorio"
aslromac@egroups. com)
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Alcuni
comportamenti a rischio del Medico di Famiglia
Ormai
è ben evidente come i medici abbiano più da temere, da parte delle
Autorità, per mancanze di tipo legal-burocratico che per errori di
tipo professionale. Pur essendo tali nozioni ben note, riteniamo utile
riepilogare alcuni comportamenti che, pur essendo attuati quasi sempre
per ingenuità o per leggerezza, possono comportare gravi rischi legali.
Alcuni
comportamenti da evitare:
- Non delegare
le ricette alla segretaria lasciandole il ricettario firmato in bianco
(Falso ideologico Art. 479 c. p, e altri). La Cassazione ha condannato
per falso ideologico un medico convenzionato con una USL che aveva lasciato
un ricettario firmato in bianco ad un odontotecnico per stilare ricette
(Sez. Un. 7/6/1988). È lecito, invece, far compilare le ricette e firmarle
successivamente.
- Non rilasciare
prescrizione senza data: a parte i casi di errore materiale (in
caso, cioè, di dimenticanza, ma occorrerebbe convincerne le Autorità)
si incorre anche qui nel falso ideologico, in quanto la data della prestazione
è considerata elemento essenziale.
- Non pre o
post-datare certificati o ricette (Consegue a quanto detto sopra:
falso ideologico).
- Non lasciare
incustodite e alla portata di vista di estranei le documentazioni sanitarie
degli assistiti (schede, prescrizioni, certificazioni ecc.): si
possono violare contemporaneamente la normativa sul segreto professionale
(art. 622 C. P.), la normativa sulla privacy (Legge 675 del 1996 e modificazioni)
e il Codice Deontologico (art. 10), con gravi problemi sia penali che
disciplinari.
- Non rilasciare
con superficialità certificazioni destinate a giustificare assenze
dal Tribunale per eventuali testimonianze: i Magistrati, a loro
giudizio, possono effettuare controlli o verifiche, e spesso lo fanno.
Tenere
presente che le Asl possono svolgere ispezioni e controlli per verificare
il rispetto delle disposizioni sulla incompatibilità da parte
di medici, odontoiatri, veterinari e psicologi che esercitano la libera
professione presso cliniche e studi privati.
Il decreto del Ministero della sanità del 31 luglio 1997, emanato
in attuazione della legge finanziaria n. 662 del 1996, attribuisce, infatti,
alle aziende sanitarie locali compiti in materia di accertamento dell'osservanza
delle disposizioni in materia di incompatibilità nell'esercizio
dell'attività medica, anche mediante accertamenti presso studi
medici privati, convenzionati o non convenzionati. Il medico non
può opporsi all'acquisizione di dati sensibili da parte degli ispettori,
in quanto previsto da espresse norme di legge.
Lo ha confermato il Garante in risposta alla segnalazione di una Asl
che aveva rappresentato il timore che i titolari di studi medici privati
si potessero opporre ai controlli adducendo una violazione della privacy.
È
importante anche ricordare che il Pubblico Ufficiale che venga a conoscenza
di un comportamento che costituisca reato perseguibile d'ufficio
ha l'obbligo di sporgere denuncia.
Nel caso perciò, ad esempio, che nel corso di una ispezione della ASL
o di altre Autorità (anche effettuata per scopi diversi) vengano riscontrati
dei comportamenti del tipo di quelli esemplificati, il medico può venirsi
a trovare denunciato, o comunque in grave difficoltà.
Daniele
Zamperini
("Lo dice la FIMMG", ottobre 2002)
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PRINCIPALI
NOVITĄ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese
di settembre-ottobre 2002 (a cura di Marco Venuti)
La
consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta
Ufficiale, č fornita da "Medico & Leggi" di Marco
Venuti: essa č libera fino al giorno 22.11.2002. Per consultarli,
cliccare qui
|
DATA
GU |
N° |
TIPO
DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI
CHE TRATTA? |
23.10.02
|
249
|
Decreto
del Ministero della Salute
|
Riclassificazione
dei medicinali ai sensi dell'art.9, commi 2 e 3, della legge 8 agosto
2002, n.178
|
Oltre
a quanto risulta evidente dal titolo, da segnalare che l'articolo
2 modifica (lievemente) la nota 66 ed introduce la nota sui cortisonici
per uso topico
|
03.10.02
|
232
|
Conferenza
Stato - Regioni
|
Accordo
tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome
di Trento e Bolzano sui requisiti delle strutture idonee ad effettuare
trapianti di organi e di tessuti e sugli standard minimi di attivitą
di cui all'art. 16, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91,
recante «Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi
e di tessuti»
|
.............
|
28.09.02
|
228
|
Decreto
del Ministero della Salute
|
Modificazione
della composizione di alcuni vaccini influenzali per la stagione
2002-2003
|
.............
|
12.09.02
|
214
|
Circolare
del Ministero della Salute
|
Attivitą
dei comitati etici istituiti ai sensi del decreto ministeriale 18
marzo 1998
|
Affronta
la problematica della valutazione dei protocolli di ricerca sui
medicinali
|
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|