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"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
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Periodico di aggiornamento medico e varie attualitą
di: 
Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci e Marcello Gennari
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Ottobre 2002

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA

Rubrica gestita da D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

PILLOLE


Alzheimer: promettenti sviluppi della immunoterapia

Nella prima parte dell'anno un trial clinico sulla sperimentazione di un vaccino contro l'Alzheimer è stato sospeso per la comparsa in alcuni volontari di segni e sintomi di meningoencefalite asettica.
Questa settimana invece 2 lavori, pubblicati on line su Nature Medicine, sembrerebbero indicare che la immunoterapia opportunamente modificata possa ancora mantenere le promesse di futuro trattamento capace di arrestare o addirittura far regredire la malattia.
Il farmaco AN 1792 ha come bersaglio le proteine aggregate della Beta amiloide che costituiscono le placche comunemente riscontrate nei cervelli dei pazienti affetti da Alzheimer. I ricercatori dapprima hanno dimostrato che AN 1792 innesca la scomparsa delle placche e il ritorno delle funzioni cognitive nei topi da esperimento.
Nel primo dei 2 studi i ricercatori della Università di Zurigo hanno provato che i pazienti inoculati con AN 1792 sviluppano anticorpi contro gli aggregati di beta amiloide delle placche. Questi anticorpi sono in grado di superare la barriera ematoencefalica. Inoltre non sono stati prodotti anticorpi contro forme di beta amiloide non aggregata - un dato importante per il fatto che le forme non aggregate di beta amiloide sono presenti in molti tessuti sani dell'organismo-.
Nel secondo studio un team di ricercatori tedeschi e canadesi hanno immunizzato i topi contro una piccola porzione di beta amiloide aggregata. Questa immunizzazione "modificata" ha protetto i topi contro la formazione di nuove placche e non ha provocato risposte infiammatorie simili a quelle che hanno portato alla cancellazione del trial clinico dell'AN 1792.
Il dato importante di questo ultimo studio sta nel fatto che gli anticorpi colpiscono delle strutture patologiche precise in assenza di alcuna reazione crociata con le cellule nervose normali. Se la concentrazione di questi anticorpi potrà rimanere alta per un periodo di tempo significativo, almeno 4 mesi, si potrà valutare per la prima volta negli esseri umani se la vaccinazione è in grado di prevenire il declino cognitivo dei malati di Alzheimer.

Lancet;2002;360:1227

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Amiloidosi: un nuovo trattamento

Nei pazienti affetti da amiloidosi, una proteina circolante denominata SAP (Serum Amyloid P) si deposita nei tessuti continuativamente.
Questi depositi di proteina insolubile causano l'amiloidosi sitemica con compromissione di diversi organi e apparati e il quadro classico conclamatoi della malattia.
Si è scoperta recentemente una piccola molecola, denominata CPHPC in grado di ridurre notevolmente i livelli di SAP circolanti e di inibire l'adesione della SAP ai depositi di amiloide insolubile in topi geneticamente modificati producenti amiloide di tipo umano.
I depositi di amiloide in topi trattati risultarono significativamente minori rispetto ai controlli, senza segnalare effetti tossici rilevanti.
In 19 pazienti con amiloidosi sistemica, la somministrazione endovenosa o sottocutanea di CPHPC ridusse notevolmente i livelli di SAP circolante.
Un paziente affetto da amiloidosi terminale morì 6 mesi dopo l'inizio del trattamento: il reperto autoptico dimostrò una riduzione notevole dei depositi di amiloide nei tessuti.
Non furono rilevati effetti collaterali.
In definitiva il trattamento con CPHPC può costituire, se i prossimi studi confermeranno questa osservazione, una nuova efficace terapia per i soggetti affetti da amiloidosi.

Nature 2002 May 16; 417:245-9

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Aneurisma Aortico Addominale (AAA): cosa succede se non si può operare?

Il limite di dimensione per operare un AAA è considerato, classicamente, di 5.5 cm.
Tuttavia si può verificare il caso che pazienti portatori di AAA di notevoli dimensioni (superiori a quelle indicte) non siano operabili per diversi motivi. In questo studio si descrivono i risultati della sola osservazione dell'evoluzione di casi di AAA di notevoli dimensioni non operabili.
Sono stati seguiti 198 pazienti, età media 74 anni, affetti da AAA di dimensioni di 5.5 cm di diametro in media che non potevano essere operati a causa di rifiuto espresso o di concomitanti patologie gravi. Per essi si intraprese un follow-up con ecografia ogni 6 mesi.
Durante un periodo medio di follow-up di 1.5 anni, la mortalità per tutte le cause risultò del 57%. Nel caso di pazienti con diametro iniziale dell'AAA compreso tra 5.5 e 6.9 cm il rischio di rottura ad un anno di distanza risultò del 10% e a 2 anni del 20%. Nel caso di pazienti con diametro dell'AAA iniziale di 7 cm o più, il rischio di rottura a 1 anno di distanza risultò del 36% e a 2 anni del 55%. Su 17 pazienti che furono sottoposti ad intervento in condizioni di urgenza, si ebbero 11 decessi.
(È interessante considerare che attualmente si presentano nuove tecniche alternative per il trattamento di AAA, quali le nuove tecniche di posizionamento di endoprotesi. È possibile che l'evoluzione negativa degli AAA lasciati a sè stessi possa beneficiare di questi sistemi.)

JAMA 2002 Jun 12; 287:2968-72

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Angioplastica primaria anche per i pazienti anziani

Sono stati espressi dei dubbi sull'utilità di un trattamento aggressivo mediante angioplastica nei soggetti molto anziani affetti da infarto del miocardio, proponendosi un trattamento alternativo costituito da trombolisi.
Pe rverificare la reale efficacia di questi due trattamenti, in questo studio vengono esaminati i dati relativi di confronto tra angioplastica primaria e trombolisi per infarto cardiaco acuto in 87 paziernti di età superiore a 75 anni.
L'endpoint composito era costituito da morte, reinfarto e ictus.
A 30 giorni dall'evento si osservò che tali effetti negativi si verificavano con frequenza significativamente minore nei pazienti trattati con angioplastica rispetto a quelli trattati con trombolisi. (9% contro 29%, RR 4.3); questo beneficio persisteva durante 1 anno di follow-up (13% contro 44%).
Lo studio venne arrestato prima del termine per motivi etici, proprio a causa della comparsa di differenze significative a vantaggio del gruppo con angioplastica.
Durante il follow-up a 20 mesi la mortalità fu significativamente minore nel gruppo trattato con angioplastica (15% contro 32%).

J Am Coll Cardiol 2002 Jun 5; 39: 1723-8

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Trattamento del carcinoma della prostata: antiandrogeni si o no?

In questo studio si intraprende una meta-analisi che paragona il trattamento del carcinoma avanzato della prostata con monoterapia (Orchiectomia o LHRH agonisti) con terapia combinata (come sopra più antiandrogeni).
A, due anni non si è dimostrato aumento della sopravvivenza, mentre a 5 anni si è dimostato un modesto aumento della sopravvivenza nel gruppo trattato con terapia combinata.

Cancer 2002 Jul 15; 95: 361-76

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Il caffè per uso locale: utile per i tumori cutanei?

Alcuni studi su animali sono stati effettuati per valutare se la caffeina usata topicamente fosse in grado di prevenire la formazione di tumori cutranei maligni derivati da esposizione a raggi UV. A questo scopo alcuni topi (geneticamente glabri) sono stati esposti due volte al giorno per un periodo di 20 giorni, ad alte dosi di raggi UV. In questo modo si è ceraco di riprodurre quanto avviene nel caso di una forte esposizione umana alla luce solare. Dopo tre settimane i topi sono stati randomizzati in tre gruppi: un gruppo (quello di controllo) è stato trattato topicamente con acetone, un secondo gruppo ha ricevuto un trattamento con acetone associato a caffeina, il terzo è stato trattato con epigallocatechina gallato (EGCG), componente del tè verde. Il trattamento si è protratto per 18 settimane.
Il gruppo di topi trattati con caffeina ha presentato un numero di tumori cutanei (benigni e maligni) significativamente minore: 44% di benigni e 72% di maligni in meno rispetto al controllo. Anche l'uso di EGCG ha ridotto l'insorgenza di tumori, seppure in percentuale minore (rispettivamente del 55% e del 56% in meno) tuttavia, considerando sia i migliori risultati clinici che la maggiore stabilità, gli autori hanno espresso la loro preferenza, come miglior agente preventivo, per la caffeina. Il meccanismo di azione è ancora ipotetico: probabilmente la caffeina è in grado di aumentare la capacità dell'organismo di distruggere le cellule che presentino lesioni del DNA. Purtroppo, però, non è ancora possibile valutare se azione analoga possa essere svolta anche nell'uomo.

(Proceedings of the National Academy of Sciences USA, 2002; 99: 12455)

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Le nuove strategie terapeutiche per il cancro della mammella: una rewiew

Attualmente sono disponibili circa 30 molecole per il trattamento del cancro della mammella, la metà di queste sono state messe in commercio nell'ultima decade. La mortalità per cancro della mammella è in diminuzione e questa attività senza precedenti nella ricerca di nuovi farmaci lascia ben sperare per il futuro.
D'altro canto però il grande numero di associazioni possibili e di eventuali regimi terapeutici pone il dilemma del come valutare l'efficacia di ogni farmaco e regime e di compararne i benefici con gli altri.
Un recente studio di J O'Shaughnessy e collaboratori mette a fuoco il problema. Gli studiosi infatti hanno sperimentato in un trial multicentrico l'associazione tra docetaxel e capecitabina vs docetaxel in monoterapia dimostrando che nei cancri della mammella in fase avanzata già trattati con antracicline la chemioterapia in combinazione otteneva un miglioramento nella sopravvivenza rispetto alla monochemioterapia a scapito però di una evidente maggior tossicità e di una inevitabile riduzione di dosaggio. Molti oncologi non ritengono questa associazione un nuovo standard di trattamento perché tossica come trattamento palliativo e non testato in maniera sequenziale e non provato da altri studi.
Suddividendo i farmaci per categorie disponiamo oggi di:

Chemioterapici

4 nuove molecole hanno aumentato le opzioni terapeutiche disponibili, ma nella malattia in fase avanzata solo il docetaxel ha mostrato una risposta migliore del trattamento standard con antracicline. Nel cancro della mammella iniziale, studi non ancora pubblicati sembrano indicare che la terapia adiuvante con docetaxel in sostituzione del 5 fluorouracile possa portare a un ulteriore vantaggio sulla sopravvivenza (circa il 5%) ma con un aumentato rischio di neutropenia e sepsi. Altri trial sono in corso per valutare lo schema sequenziale vs la combinazione. Il Placlitaxel, invece, non ha mostrato un benefico maggiore della chemioterapia convenzionale per il cancro mammario avanzato e ha deluso le iniziali promesse per un uso come terapia adiuvante. I risultati iniziali avevano suggerito un piccolo guadagno in termini di sopravvivenza con un uso sequenziale dopo doxorubicina e ciclofosfamide (95% vs 93 % dopo 18 mesi di follow up) ma con l'aumeto del tempo di follow up non si è evidenziato alcun guadagno.
La capecitabina è una fluoropirimidina, un profarmaco, attivato a 5 fluorouracile dalla timidina fosoforilasi un enzima che spesso presenta un'attività elevata più nelle cellule cancerose rispetto ai tessuti normali. La capecitabina si è dimostrata attiva e ben tollerata senza significativa alopecia e sembra efficace come gli altri farmaci ma non disponiamo ancora di trial appropriati. Lo stesso commento si può applicare ad un alcaloide della vinca la vinorelbina.

Terapie endocrine

Per almeno 30 anni il tamoxifene è stato il gold standard del trattamento endocrino del cancro della mammella. Gli sviluppi più recenti della endocrino terapia sembrano più importanti di quelli della chemioterapia. Gli inibitori dell'aromatasi di terza generazione anastrozolo, lestrozolo, exemestano inibiscono l'enzima responsabile della sintesi degli estrogeni a partire dagli androgeni. Questi nuovi farmaci hanno una maggiore potenza e specificità dei loro predecessori e nelle donne in menopausa riducono gli estrogeni circolanti a livelli non dosabili. Gli effetti sulle donne non ancora in menopausa sono più complessi e questi farmaci sono controindicati nelle donne con ovaie funzionanti. Nella malattia avanzata questi farmaci si sono dimostrati più efficaci del megestrolo acetato, per di più il lestrozolo e l'anastrazolo come terapia di prima linea si sono dimostrati superiori o pari al tamoxifene stesso.
Il trattamento preoperatorio con lestrozolo in pazienti anziane con cancri mammari di grosso volume ha portato a maggiori riduzioni della massa tumorale rispetto al tamoxifene permettendo un maggior numero di interventi chirurgici conservativi. Maggior beneficio da questo farmaco dovrebbero trovare i pazienti affetti da tumori con EGFR + e HER-2 +.
Almeno 10 trial sono attualmente in corso per valutare questi farmaci come terapia adiuvante.
Il primo e più largo di questi Trial l'ATAC (Anastrozole and Tamoxifen Alone or in Combination) ha già rilevato una piccola ma significativa differenza nelle ricadute nel gruppo trattato con anastrozolo rispetto al gruppo trattato con tamoxifene. Il vantaggio appare maggiore per i tumori con recettori positivi per estrogeni e progesterone. Inoltre l'anastrozolo è associato a minor frequenza di cancro dell'endometrio, di eventi tromboembolici, di vampate e incremento ponderale e sanguinamenti vaginali. Un ulteriore vantaggio sembra essere la minore frequenza di cancri controlaterali paragonata con il tamoxifene. Questi risultati sono preliminari, la mediana di follow up è di 31 mesi e non sono disponibili i dati sulla sopravvivenza , i problemi muscoloscheletrici, incluse le fratture sono più comuni con anastrzolo e non disponiamo di dati sulla tollerabilità a 5 anni degli inibitori di terza generazione.
Nelle pazienti in premenopausa gli analoghi del LHRH, il buserelin e il goserelin in combinazione con il tamoxifene migliorano la percentuale di sopravvivenza e di risposta. Il Fluvestrant è un nuovo antiestrogeno che differisce dal tamoxifene per il fatto che agisce attraverso una down regulation del recettore per gli estrogeni e non ha attività di agonista parziale per gli estrogeni. Il fluvestrant agisce anche dopo il fallimento del tamoxifene, ma il suo ruolo nel lungo termine è ancora incerto.

Trastuzumab

Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro recettore HER-2 che è associato ad una prognosi peggiore ed è espresso in circa il 25 % dei cancri della mammella. Un Trial condotto su pazienti con malattia avanzata e tumore con espressione HER-2, ha dimostrato che l'aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia aumenta il numero della regressioni tumorali, la mediana di sopravvivenza e la durata della risposta. I risultati riportati non trovano precedenti per un nuovo farmaco in pazienti in fase avanzata.
Il Trastuzumab è generalmente ben tollerato ma associato a scompenso cardiaco, in genere reversibile, quando somministrato con la doxorubicina. Il Tastuzumab è raccomandato in combinazione con il placlitaxel, il docetaxel viene spesso impiegato in sostituzione del placlitaxel e un maggior numero di regressioni è stato riportato in associazione con la vinorelbine.
Il Trastuzumab da solo è anche attivo come terapia di prima linea per malattia avanzata con regressioni che durano più di un anno e con bassa tossicità. Il Trastuzumab è attivo soltanto sui tumori con una forte sovraespressione del recettore HER-2.

Bifosfonati

I bifosfonati clodronato e pamidronato riducono la morbilità per metastasi ossee, ipercalcemia , dolore, fratture, e sono ormai u trattamento standard nelle fasi avanzate di malattia.
L'Ibandronato e lo Zoledronato sono molto più potenti, ma la loro superiorità clinica sui vecchi bifosfonati deve essere ancora provata.
Soltanto il clodronato, paradossalmente il meno potente, è stato provato per via orale come terapia adiuvante. Un piccolo trial tedesco ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenza, con riduzione delle metastasi ossee e, a sorpresa, anche di quelle viscerali. Viceversa un trial finlandese, anch'esso piccolo, non ha dimostrato alcuna riduzione delle metastasi ossee, ha dimostrato invece un più alto rischio di metastasi non scheletriche e una peggiore sopravvivenza. In questo ultimo anno un altro Trial il più grande e l'unico con un braccio placebo ha dimostrato che il clodronato somministrato per 2 anni riduce significativamente la mortalità a 2 anni e le metastasi ossee per la durata del trattamento ma non ha alcun effetto dopo e sulle metastasi viscerali.
La comparsa di nuovi farmaci per il trattamento del cancro della mammella ha comportato molti e differenti miglioramenti nella terapia.

Conclusioni

Nella chemioterapia adiuvante il docetaxel sembra aver portato un nuovo miglioramento della sopravvivenza, ma con altri nuovi farmaci è difficile valutare i benefici soprattutto se comparati con complessità, tossicità e costi crescenti.
Per quanto concerne l'endocrino terapia gli inibitori della aromatasi di terza generazione sembrano più potenti del tamoxifene nelle fasi avanzate di malattia e potrebbero essere usati nella terapia adiuvante. Tra gli adiuvanti i bifosfonati si sono rivelati efficaci e sicuri e capaci di migliorare la sopravvivenza.
Il trastuzumab ha dimostrato un importante principio: gli anticorpi monoclonali aumentano l'efficacia della chemioterapia nei pazienti che presentano una sovraespressione HER-2. Con questo nuovo bagaglio terapeutico lo sviluppo di terapie mirate e personalizzate diventa un obiettivo sempre più importante.

Lancet 2002;360: 790-92

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Quale intervento chirurgico nel tumore della mammella: 25 anni di follow-up

Nel 1985 è comparso un lavoro di Fisher in cui si dimostrava che la mastectomia radicale non aveva esiti migliori di interventi meno aggressivi, nel trattamento del tumore della mammella.
In questo lavoro vengono documentati gli esiti dopo 25 anni di follow-up.
1079 donne affette da carcinoma della mammella e linfonodi ascellari negativi furono randomizzate per essere trattate con mastectomia radicale, mastectomia totale con irradiazione postoperatoria, o mastectomia totale senza radioterapia.
In 25 anni di follow-up, non si ebbero differenze significative tra i gruppi riguardo alla sopravvivenza libera da malattia, sopravvivenza libera da metastasi o nella sopravvivenza combinata. Un ulteriore braccio dello studio ha preso in esame 586 donne con linfonodi ascellari positivi. Il trattamento era costituito da mastectomia radicale o mastectomia totale e radioterapia.
anche in questo caso non si rilevarono differenze tra i gruppi.

N Engl J Med 2002 Aug 22; 347:567-75

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Contraccezione orale e cancro alla mammella

Sono state reclutate per questo studio 4575 donne (età 35-64 anni) affette da tumore della mammella e 4682 controlli.
Il 65% per cento delle donne erano di razza bianca e il 35% di razza negra. Le donne affette da tumore della mammella presentavano rispetto ai controlli una percentuale maggiore dei fattori di rischio tradizionali (prima gravidanza in età più avanzata, menopausa tardiva, familiarità per tumore della mammella).
Si osservava che il 77% dei casi di neoplasia della mammella e il 74% dei controlli aveva impiegato precedentemente dei contraccettivi orali.
Sono stati posti a confronto i due gruppi: a paragone delle donne che non avevano mai usato contraccettivi orali, le donne che li usavano correntemente o che avevano cominciato da poco ad impiegarli non apparvero a rischio aumentato di tumore della mammella. Il rischio relativo non aumentava prendendo in considerazione la maggior durata della terapia, dosi maggiori di estrogeni, o età inferiore al momento dell'inizio dell'impiego di contraccettivi orali.
Il rischio risultò simile nelle donne bianche e in quelle di razza nera.
Il rischio non apparve incrementato nemmeno con l'impiego di contraccettivi orali in donne con anamnesi familiare positiva per tumore della mammella.

N Engl J Med 2002 Jun 27; 346: 2025-32

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Diarrea del viaggiatore: la colpa è (anche) della salsa?

I turisti che si avventurano nei paesi del terzo mondo sono avvertiti di non consumare verdure crude, frutta e cibi comprati dai venditori di strada. Inoltre devono cercare di bere sempre acqua minerale stappata sotto i loro occhi. Devono altresì evitare i cubetti di ghiaccio.
In questo lavoro viene esaminata la possibilità di inquinamento delle salse presenti nei ristoranti di tipo messicano.
Sono state misurate le concentrazioni di Escherichia Coli e altri enteropatogeni in 96 campioni di salse presenti sulle tavole di ristoranti (salsa verde, guacamole, pico de gallo, e salse rosse) in 48 ristoranti messicani a Guadalajara, in Messico e a Houston, in Texas.
Tutte le salse a Guadalajara erano a temperatura ambiente e lasciate sui tavoli permanentemente.
A Houston le salse erano portate sul tavolo al momento dell'arrivo dell'avventore ed erano a bassa temperatura.
Tra l salse di Guadalajara, il 66% produsse in coltura E. coli (in media 1000 colony forming unit per grammo di salsa). Tra le salse di Houston, il 40% produsse in coltura E. coli (in media 0 CFU/gr).
Le differenze tra percentuali e medie risultarono statisticamente significative.
Nessuna salsa di Houston produsse E. coli enterotossigenica o enteroaggregativa contro il 9% e il 44% rispettivamente delle salse di Guadalajara.
Il pH delle salse delle due località risultò simile.

Ann Intern Med 2002 Jun 18; 136: 884-7

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Quanto deve essere intenso l'esercizio fisico ottimale?

È ben noto da molti anni (e raccomandato dalle maggiori Società scientifiche) come l'attività fisica produca benefici effetti sull'organismo, e particolarmente sull'apparato cardiocircolatorio. Benchè venga raccomandata un'attività fisica di almeno 30 minuti al giorno, non è ben chiaro quale debba essere l'entità di tale attività. È meglio un'attività fisica intensa, o è sufficiente semplicemente camminare? Nell'incertezza, si sono succedute innumerevoli mode, incentivanti ciclicamente questo o quel tipo di attività fisica.
Nel corso di uno studio americano (studio WHI) sono state esaminate, al fine di valutare l'effetto protettivo di veri gradi di attività fisica sul sistema cardiovascolare, oltre 70. 000 donne in fase di post-menopausa, di età compresa tra i 50 e i 79 anni.
Si trattava di soggetti che non presentavano storia di malattia cardiaca; dopo un dettagliato questionario, sono poi state seguite per un periodo medio di circa 3 anni. I ricercatori hanno calcolato il consumo settimanale di energia considerando mediamente gli equivalenti metabolici (MET).
È stato osservato come il numero di MET/ora per settimana fosse associato ad una riduzione di rischio di malattia cardiaca. Non c'era sostanziale differenza nel modo in cui tali consumi energetici fossero effettuati: purchè il dispendio energetico fosse analogo, sia l'effettuazione di sforzi intensi come il semplice camminare, producevano analoghi benefici. Il maggiore rischio veniva rilevato nei soggetti maggiormente sedentari. Le correlazioni risultavano indipendenti da fattori estranei, quali la razza, l'età e il BMI.
Non importa camminare o correre, quindi: l'importante è muoversi.

(NEJM, 2002; 347: 716)

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Etanercept contro Methotrexate nell'Artrite Reumatoide: altri dati

Uno dei primi studi di paragone tra etanercept e methotrexate nella terapia dell'artrite reumatoide aveva riportato i dati relativi a 632 pazienti randomizzati per assumere 10-25 mg di etanercept due volte alla settimana per via sottocutanea contro methotrxate assunto per via intramuscolare una volta alla settimana. (N Engl J Med 2000; 343: 1586).
I risultati ad un anno di distanza dall'inizio della terapia riportavano un pari miglioramento clinico, ma una minore progressione radiologica delle lesioni nel gruppo di trattamento con etanercept.
In questo lavoro vengono presentati i risultati a 2 anni di distanza.
La proporzione di pazienti che presentavano in questo nuovo studio un miglioramento di almeno il 20%, valutato su una scala clinica standardizzata, fu significativamente maggiore nel gruppo trattato con etanercept che nel gruppo trattato con metotrexate (72% contro 59%).
Il gruppo di trattamento con etanercept inoltre mostrò mediante radiografia una progressione delle erosioni e una diminuzione degli spazi articolari meno frequente (37% contro 49%).
Il gruppo di trattamento con methotrexate presentò una frequenza significativamente minore di alopecia, ulcere orali e nausea. 4 pazienti trattati con methotrexate (2%) furono colpiti da polmonite.
Nel gruppo trattato con etanercept furono più frequenti le reazioni cutanee.

Arthritis Rheum 2002 Jun; 46:1443-50

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Fibrillazione atriale e insufficienza mitralica

La fibrillazione atriale comunemente accompagna l'insufficienza mitralica nel corso della sua evoluzione naturale.
Gli autori di questo studio hanno seguito 2 gruppi di pazienti affetti da insufficienza mitralica trattati con terapia medica che inizialmente erano in ritmo sinusale al momento della diagnosi.
360 pazienti presentavano insufficienza mitralica dovuta a flail leaflets e 89 pazienti presentavano insufficienza mitralica dovuta a prolasso valvolare.
Nei pazienti con insufficienza dovuta a flail leaflets i tassi di fibrillazione atriale a 5 e 10 anni di follow-up erano 18% e 48% rispettivamente.
Simili risultati si ottennero per il gruppo di insufficienze mitraliche dovute a prolasso della valvola.
I pazienti di età maggiore di 65 anni e quelli con dimensioni di base dell'atrio sn di 5 cm all'ecocardiogramma presentavano il rischio maggiore di fibrillazione atriale.
I pazienti che andavano incontro a fibrillazione atriale dimostravano un rischio incrementato di scompenso cardiaco o morte per causa cardiaca.

J Am Coll Cardiol 2002Jul 3; 40: 84-92

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Infarto Miocardico Acuto (IMA): trombolisi o angioplastica primaria?

Parecchi studi supportano la convinzione che l'angioplastica primaria sia superiore alla trombolisi in caso di infarto miocardico acuto.
Però parecchi ospedali non hanno la disponibilità di attrezzature e personale in grado di attuare l'angioplastica primaria. In questi casi è meglio la trombolisi o il trasporto al centro più vicino per eseguire l'angioplastica primaria?
In questo studio sono stati selezionati 138 pazienti affetti da IMA, randomizzati per essere trombolisati o essere inviati al più vicino centro per essere sottoposti a angioplastica primaria.
Il tempo trascorso dall'evento all'inizio del trattamento fu decisamewnte maggiore nel caso dell'angioplastica primaria, (155 contro 51 minuti).
A 30 giorni, meno pazienti del gruppo trattato con angioplastica avevano ottenuto un endpointoi primario (morte, IMA non mortale, ictus invalidante), 8% contro 14%.
La differenza non era significativa all'analisi univariata ma divenne signioficativa con analisi multivariata.
Nel gruppo sottoposto ad angioplastica primaria l'ischemia persistente o ricorrente fu significativamente meno frequente (13% contro 32%) e la durata media di ricovero fu significativamente minore (6 contro 8 giorni).
Questo lavoro ha il difetto di avere un campione di pazienti limitato, ma pone premesse interessanti.
Cosa succederebbe se si facesse subito la trombolisi e poi il trasferimento per angioplastica primaria?

Am Coll Cardiol 2002 Jun 5; 39: 1713-9

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Lo studio OPTIMAAL: losartan e captopril a confronto nei pz ad alto rischio dopo IMA

Gli ACE inibitori riducono gli effetti dannosi della angiotensina II, migliorano la sopravvivenza e riducono la mortalità nei pazienti colpiti da IMA con evidenza di scompenso cardiaco per insufficienza ventricolare sx, gli antagonisti selettivi dei recettori AT1 rappresentano un approccio farmacologico alternativo all'inibizione del sistema renina -angiotensina.
Lo studio OPTIMAAL è un trial multicentrico randomizzato concepito per testare l'ipotesi di "superiorità" o "non inferiorità" del Losartan rispetto al Captopril nel ridurre la mortalità totale nei pazienti ad alto rischio dopo infarto acuto del miocardio.
5477 pazienti di oltre 50 anni (età media 67,4 anni) con infarto accertato e scompenso cardiaco durante la fase acuta o in reinfarto sono stati arruolati in 329 centri in 7 paesi europei. I pazienti sono stati assegnati in maniera randomizzata al trattamento conLosartan(50 mg /die) o Captropril (50 mg x 3 /die). L'endpoint primario preso in considerazione fu la mortalità totale.
Durante un follow up medio di 2, 7 anni ci furono 946 decessi:499 (18%) nel gruppo trattato con Losartan e 447 (16%) nel gruppo trattato con Captopril. I risultati valutatati per gli endpoint secondari e terziari sono stati i seguenti: morte cardiaca improvvisa, o arresto cardiaco rianimato 239 (9%) contro 203 (7%), reinfarto fatale o non fatale 384 (14%) contro 379 (14%).
Le riammissioni in ospedale sono state 1806 (66%) contro 1774 (65%).
Il Losartan ha dimostrato un minor tasso di abbandono della terapia 17% contro il 23% del Captopril ed è stato tollerato meglio.
Nessuno dei due farmaci ha sfigurato, nel confronto. Dato però che dallo studio non è emersa né una "superiorità" significativa né una "non -inferiorità" del Losartan rispetto al Captopril, gli ACE inibitori rimangono il trattamento di prima scelta nei pazienti con infarto miocardio acuto complicato e il losartan non può essere raccomandato in generale in questa popolazione di pazienti. Tuttavia il Losartan è stato meglio tollerato ed ha presentato un minor tasso di abbandono della terapia e meriterebbe una ulteriore valutazione per il sottogruppo di pazienti che non tollera gli ACE inibitori. Inoltre il Losartan andrebbe valutato in ulteriori studi alla dose massima come fatto per il Captopril.

Lancet 2002;360: 752-60 (07. 09. 02)

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Mammografia nelle donne di età compresa tra 40 e 49 anni: non serve

Il Canadian National Breast Screening Study-1 (CNBSS-1): 50,430 donne studiate di età compresa tra 40 e 49 anni, Il gruppo di intervento riceveva annualmente mammografia ed esame clinico del seno per 5 anni e istruzioni per eseguire l'autopalpazione. Al gruppo di controllo non venivano eseguite mammografie.
Dopo un follow-up di 13 anni non si rilevarono differenze significative nella mortalità dei due gruppi: 104 nel gruppo mammografia contro 108.
Che dire? Che se anche ci fosse un beneficio nell'esecuzione dello screening mammografico nella età compresa tra 40 e 49 anni di certo dovrebbe essere molto piccolo. Inoltre bisogna mettere in conto anche i rischi cui le donne vanno incontro per gli interventi indotti dallo screening (biopsie, trattamenti di neoplasie di nessuna conseguenza clinica etc.).

Ann Intern Med 2002 Sep 3; 137: 305-12

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Pressione arteriosa? Non è affidabile come sembra

I vari metodi di rilevamento della pressione arteriosa hanno problemi legati ad accuratezza e costi e accettabilità da parte del paziente.
In questo studio sono stati inclusi 200 ipertesi alla prima diagnosi, selezionati da tre studi di medicina generale.
Sono stati quindi confrontate diverse metodiche di misurazione della pressione arteriosa: rilevamento continuo ambulatoriale (gold standard), rilevamento da parte del medico, delle assistenti, automisurazioni in clinica e automisurazioni a domicilio.
Si è visto che le misurazioni della pressione effettuate dal medico di famiglia erano le meno accurate. Le automisurazioni effettuate presso lo studio di medicina generale erano quelle che più si avvicinavano ai valori dell'Holter pressorio per sensibilità e specificità.
Leggermente inferiori, ma sempre ad un buon livello di accuratezza, le misurazioni effettuate dai pazienti al loro domicilio.

BMJ 2002 Aug 3; 325: 254-7

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Non rimuovete le otturazioni in amalgama

L'ADA (American Dental Association) ha lanciato una campagna di informazione attraverso i media per scoraggiare la rimozione delle otturazioni fatte con amalgama al mercurio e per invitare i medici a non incoraggiare i pazienti a rimuovere questo tipo di inserto dentale.
Negli Usa si assiste ad una forte richiesta da parte di pazienti affetti da malattie come la Sclerosi Multipla e l'Alzheimer, o da Autismo per sostituire le otturazioni in amalgama. I pazienti sono spinti da una falsa speranza di trovare giovamento da questo tipo di trattamento e spesso saltano i propri medici di fiducia e tentano questa strada che comporta costi elevati e rischi aggiuntivi, ma non garantisce alcun giovamento.
Il problema nasce dalla presenza del mercurio nell'amalgama. Questo metallo però quando è miscelato con altri metalli come ad esempio l'argento forma una lega stabile del tutto innocua. Sebbene infinitesimali parti di mercurio possano essere rilasciate dalle otturazioni in amalgama per una masticazione particolarmente vigorosa o per bruxismo un soggetto dovrebbe avere almeno 500 otturazioni in amalgama per poter aver qualche lieve sintomo.
Il codice etico dell'ADA proibisce ai dentisti di affermare che il rimuovere qualsiasi tipo di otturazione possa portare alla cura di altre malattie dato che non esistono evidenze scientifiche al riguardo.
Inoltre ogni volta che viene rimossa on otturazione si rischia di danneggiare il dente e ogni volta che si interviene su un dente aumenta il rischio di reazioni avverse o la necessità di un trattamento canalare, senza contare i costi spesso ingenti.
Rimuovere le otturazioni in amalgama può tradursi in un notevole investimento senza alcun beneficio clinico.

Lancet 2002:360: 393

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Nuovo antivirale per l'Epatite cronica B approvato dalla FDA

La Antiviral drugs Advisory committee della FDA ha approvato l'uso di un nuovo antivirale nel trattamento della Epatite Cronica di tipo B. La nuova molecola si chiama Adefovir dipivoxil ed è un analogo nucleotidico che agisce bloccando la HBV DNA polimerasi, enzima implicato nella replicazione virale. Negli studi clinici questo nuovo farmaco ha dimostrato di essere efficace sia nei pazienti mai trattati prima, sia nei pazienti che avevano subito altri trattamenti, sia in quelli resistenti alla lamivudina ed anche nei pazienti portatori di un ceppo mutante (precore mutant HBV). Gli effetti collaterali più comuni riportati negli studi clinici sono stati: cefalea, astenia, faringite e dolori addominali. I risultati degli studi, inoltre, hanno dimostrato che dopo 136 settimane di trattamento non sono comparse mutazioni associate a resistenza all'Adefovir dipivoxil.
Il farmaco è per ora ancora in fase sperimentale e un trial multicentrico valuterà l'efficacia e la sicurezza del nuovo farmaco che rappresenta una ulteriore speranza per i pazienti affetti da ceppi mutanti e resistenti alla lamivudina.

www. docguide. com

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Conviene operare il cancro prostatico precoce?

Il problema che si pone sempre più spesso al medico che individui un cancro prostatico in fase precoce, è se intervenire in modo aggressivo o restare in vigile attesa.
Già precedenti studi (JAMA 1997;278:1516-1519) avevano indicato come la scoperta di una neoplasia iniziale si accompagnasse ad un lungo periodo di sopravvivenza, tale da non fornire indicazione per un intervento chirurgico. Alcuni ricercatori scandinavi hanno effettuato un trial che mette a confronto la terapia chirurgica, la radioterapia e la vigile attesa.
Sono stati randomizzati 695 soggetti, di età media di 65 anni, affetti da cancro della prostata in fase iniziale. Il 76% dei tumori, clinicamente confinati nella prostata, erano individuabili mediante palpazione, il 12% erano stati scoperti mediante il dosaggio del PSA, i rimanenti erano stati individuati casualmente durante una TURP per ipertrofia prostatica.
Il follow-up è durato circa 6 anni, ed ha permesso di osservare che il gruppo sottoposto a trattamento chirurgico ha presentato un numero di decessi per cancro prostatico significativamente minore; inoltre sia la progressione locale che le metastasi a distanza si sono verificate in misura significativamente minore; lo stesso gruppo presentava però un eccesso di morti per tutte le altre cause, per cui la mortalità globale non è risultata molto differente rispetto agli altri gruppi.
Per quanto riguarda la qualità di vita, questa è stata studiata mediante appositi questionari che hanno evidenziato come i pazienti "chirurgici" avessero presentato una serie di disturbi (incontinenza urinaria, disturbi sessuali ecc) in misura significativamente maggiore rispetto ai pazienti non operati.
Ci sono molti dubbi, quindi, sull'utilità del trattamento chirurgico in tali pazienti, ma i limiti dello studio non permetto di dire ancora l'ultima parola.

(NEJM, 12 settembre 2002; 347: 781)

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Progressi nella patogenesi della Malattia di Parkinson

Alla base della Malattia di Parkinson (PD) sembra giocare un ruolo importante una molecola denominata a-sinucleina, che accumulandosi nei neuroni dopaminergiuci causa la morte cellulare.
Si pensa che il metabolismo della dopamina produca radicali ossigeno che in presenza di asinucleina portino a morte la cellula nervosa. Viceversa la asinucleina non mostra alcun effetto in neuroni non dopaminergici.
Gli autori di questo studio hanno studiato autopticamente i tessuti cerebrali di 6 pazienti deceduti per PD e 4 controlli non affetti dalla malattia.
Rispetto ai controlli, i pazienti affetti da PD presentavano livelli di asinucleina significativamente maggiori nei neuroni dopaminergici della substantia nigra ma non in siti risparmiati dalla PD. Nella substantia nigra la asinucleina appariva complessata con una molecola denominata 14-3-3 che si sa avere la capacità di inibire la morte cellulare.
L'ipotesi finale dello studio è che la asinucleina si combini con la molecola 14-3-3 impedendone gli effetti protettivi verso i radicali liberi prodotti dal metabolismo della dopamina, che, accumulandosi, porterebbero a morte la cellula.

Nat Med 2002 Jun; 8:600-6

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Pressione oculare alta: trattare da subito

I soggetti con pressione intraoculare aumentata sono a rischio aumentato per glaucoma.
Tuttavia al momento attuale non è chiaro se trattare da subito farmacologicamente i soggetti che presentino una pressione oculare elevata possa prevenire o ritardare l'insorgenza di franco glaucoma ad angolo aperto.
Considerando come limite massimo tollerabile una pressione intraoculare di 23 mm di Hg, è stato effettuato uno studio in cui sono stati selezionati 1636 pazienti con pressione intraoculare compresa tra i 24 e i 32 mm Hg ma che non presentavano alterazioni patologiche a carico del fundus o del campo visivo di tipo glaucomatoso.
I pazienti furono randomizzati per ricevere trattamenti topici in grado di abbassare la pressione intraoculare al di sotto di 24 mm Hg o sottoposti a sola osservazione.
L'endpoint primario era lo sviluppo di alterazioni campimetriche o deterioramento del disco ottico di tipo glaucomatoso.
Dopo 5 anni si riscontrò che la probabilità di raggiungere questo endpoint fu significativamente minore nel gruppo di trattamento rispetto al gruppo di controllo (4.4% contro 9.5%), per cui andrebbe raccomandato un trattamento farmacologico precoce per i soggetti che presentino una pressione intraoculare superiore ai 23 mm di Hg.

Arch Ophtalmol 2002 Jun; 120: 701-13

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Probiotici con gli antibiotici? E quali?

È stata lunga consuetudine somministrare probiotici (ceppi batterici vivi) unitamente agli antibiotici per controbilanciare la crescita di patogeni intestinali indotta dagl antibiotici.
Al fine di verificare l'efficacia di queste terapie, e di confrontare un'eventuale maggiore efficacia di un ceppo batterico rispetto ad altri, gli Autori hanno effettuato una metanalisi in cui sono stati presi in considerazione 9 studi effettuati in doppio cieco contro placebo.
Due di questi studi coinvolgevano soggetti in età pediatrica, gli altri erano effettuati su adulti.
In quattro studi i batteri erano yeast, in 4 lattobacilli e in uno enterococchi che producevano acido lattico.
In tre studi si impiegavano più ceppi batterici.
8 studi su 9 dimostrarono un certo beneficio per il trattamento probiotico. Il RR per diarrea del complesso degli studi esaminati risultò di 0.37.
Non si rilevarono peraltro differenze significative tra un tipo e l'altro di batteri impiegati.

BMJ 2002 Jun 8: 324: 1361-4

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Linee guida della U. S. Preventive Service Task Force (USPSTF3) per lo screening del carcinoma colorettale

L'ultima edizione delle linee guida della USPSTF sulla prevenzione del carcinoma colorettale (CCR) si basavano sul rilievo della riduzione della mortalità per CCR osservata in un trial randomizzato della durata di un anno con sangue occulto nelle feci (FOBT), che aveva dimostrato 4.6 morti per CRC ogni 1000 persone sottoposte a screening. Inoltre 2 studi non randomizzati con impiego di sigmoidoscopia con o senza FOBT avevano confermato i risultati positivi.
Quindi la USPSTF raccomandò allora l'esecuzione di FOBT, sigmoidoscopia ogni 10 anni o entrambe per lo screening del CCR.
Durante questi anni è divenuta esame di primo piano la colonscopia: essa ha i vantaggi di poter essere eseguita ad intervalli più lunghi degli altri test (10 anni). Da studi osservazionali è scaturita una diminuzione della mortalità per CCR. Inoltre analisi economiche hanno dimostrato un vantaggio in termini di costi/efficacia, nonostante il costo iniziale più elevato.

La USPSTF3 così quindi si esprime:

  • Nessuna evidenza di riduzione della mortalità con lo screening mediante clisma opaco
  • Nessun beneficio con lo screening mediante esplorazione rettale digitale
  • FOBT: 32 nuovi trial randomizzati mostrano una diminuzione della mortalità con lo screening con FOBT reidratato e non reidratato a cadenza biennale
  • sigmoidoscopia: un piccolo trial randomizzato mostra una non significativa riduzione della mortalità. L'esecuzione dell'esame è consigliata ogni 10 anni.
  • colonscopia: uno studio caso controllo mostra una significativa riduzione della mortalità

Effetti collaterali: incapacità di eseguire la FOBT, sanguinamento nel 2.5% e perforazione in meno del 0.01% delle sigmoidoscopie, perforazione nello 0.029%-0,61% e morte in 1/3000-1/30000 casi con la colonscopia.

In base a questi dati la USPSTF raccomanda fortemente ai medici di eseguire lo screening del CCR nella popolazione al di sopra dei 50 anni

Raccomandazione di tipo A (Intervento fortemente raccomandato)

La USPSTF afferma che i dati sono attualmente insufficienti per determinare definitivamente quale sia la migliore strategia di screening

Ann Intern Med 2002 Jul 16; 137: 129-31

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Bypass aorto coronarico mediante chirurgia mini invasiva (CMI): confronto con lo stent

La cardiochirurgia mini invasiva sta proponendosi come una alternativa importante alla cardiochirurgia tradizionale e anche a metodiche non invasive come l'applicazione di stent.
In questo lavoro, 220 pazienti affetti da stenosi isolata di alto grado della arteria coronaria discendente ant3eriore sono stati randomizzati per essere trattati con stent o con bypass mediante CMI.
La CMI veniva eseguita a cuore battente, senza uso della macchina cuore-polmoni, attraverso una piccola incisione nel quarto spazio intercostale; per effettuare il by-pass è stata impiegata l'arteria toracica interna sinistra.
Le due metodiche ebbero un successo iniziale paragonabile, con poche complicanze in ciascun gruppo.
A distanza di 6 mesi, tuttavia, il 38% dei pazienti trattati con stent contro il 21% di quelli trattati con CIM presentavano angina e il 29% conto l'8% richiesero ulteriori procedure di rivascolarizzazione.

N Engl J Med 2002 Aug 22; 347: 561-6

Terapia genica inibisce l'angiogenesi neoplastica nel topo

Gli autori di questo studio hanno sintetizzato una nanoparticella sintetica capace di legarsi ad una molecola espressa solo sulla superficie delle cellule endoteliali neosintetizzate (molecola avb3).
Hanno quindi collegato la nanoparticella ad una forma mutante del gene Raf, che è in grado di portare a morte le cellule endoteliali.
Gli esperimenti hanno dimostrato che l'adesione della nanoparticella alla molecola di superficie era seguita dalla interiorizzazione della prima e quindi dalla iniezione all'interno della cellula endoteliale della particella genomica ad essa connessa.
Esperimenti con topi affetti da cancro hanno dimostrato che, mentre i controlli rapidamente morivano, i topi trattati con il nuovo composto sopravvivevano mostrando una riduzione maggiore del 95% della massa neoplastica.
Si poteva osservare regressione sia della massa principale che delle metastasi. I tumori più grossi, equivalenti ad una massa di 2 kg in una persona di 80 kg, sparivano letteralmente nel giro di 6 giorni. Si evidenziava chiaramente che il trattamento aveva distrutto i vasi sanguigni neoformati portando a morte il tumore.
Questi esperimenti sono molto promettenti, anche se per ora non è possibile trasferire questi risultati all'uomo.

Science 2002 Jun 28; 296: 2404-7

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Terapia dell'ictus con inosina

La terapia dell'ictus cerebrale è ancora povera di interventi efficaci; alcuni ricercatori hanno impostato uno studio tendente a verificare se l'inosina potesse avere un ruolo terapeutico in queste circostanze. Lo studio ha avuto origine dalla semplice osservazione che l'inosina, nucleoside purinico dalla semplice struttura, stimola la crescita neuronale in vitro.
Sono stati indotti chirurgicamente ictus cerebrali in ratti e quindi gli animali sono stati randomizzati per ricevere infusione o di soluzione fisiologica o di inosina.
L'inosina non dimostrò capacità di ridurre la quantità di tessuto cerebrale perduto con la lesione. Tuttavia, l'inosina aumentò significativamente la velocità di crescita degli assoni dei neuroni in aree distanti dalla lesione verso l'area denervata del cervello e midollo spinale.
Attraverso test e esperimenti di vario tipo si dimostrò che gli animali trattati con inosina presentavano un più rapido recupero e tornavano ai livelli funzionali pre-ictus in 19 giorni dal momento della lesione, mentre gli animali trattati con soluzione fisiologica mostravano un recupero minimo.

Proc Natl Acad Sci USA 2002 Jun 25; 99:9031-6

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Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS): aumenta, in certi casi, l'incidenza del carcinoma ovarico

Studio retrospettivo di coorte con dati ottenuti dal Breast cancer Detection Project (1979-1988) per accertare se la TOS aumenti il rischio di carcinoma ovarico.
Durante un follow-up medio di 13 anni, vi furono 329 diagnosi di carcinomi dell'ovaio su 44,241 donne in postmenopausa (età media di inizio del follow-up: 57 anni).
Mediante analisi, multivariata si è determinato che l'uso di estrogeni da soli, a paragone del non utilizzo, era correlato ad un aumento del rischio di carcinoma dell'ovaio (RR= 1.6).
Il rischio era proporzionale al periodo di impiego degli estrogeni: il rischio relativo aumentava del 7% per ogni anno di impiego.
Quando gli estrogeni venivano impiegati unitamente ai progestinici, dopo un periodo di impiego di soli estrogeni, il rischio di carcinoma dell'ovaio aumentava di 1.5 volte, a paragone con il non impiego di trattamento ormonale.
L'impiego di terapia combinata estro-progestinica dall'inizio non si associava invece ad aumento di rischio di carcinoma ovarico.

JAMA 2002 Jul 17; 288: 334-41

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Un nuovo ormone che regola l'introduzione di cibo

Finalmente una scoperta che sembra far quadrare il cerchio in ambito di obesità. Un nuovo ormone, denominato Ghrelina è stato identificato come prodotto di sintesi da parte di cellule endocrine situate nella parete dello stomaco.
Esso avrebbe un forte potere di stimolare il senso di fame e di diminuire il metabolismo e la degradazione dei grassi.
Molti aspetti della più spesso vana lotta contro i chili di troppo non erano spiegati in maniera soddisfcente con i modelli a disposizione.
Ora questo tassello importante rende il quadro chiaro e apre nuove vie per terapie efficaci.
In 13 soggetti obesi vennero misurati i livelli di Ghrelina ogni 30-60 minuti per 24 ore, prima e dopo un programma dietetico di 6 mesi che produsse una media di calo ponderale del 17%.
I livelli di Ghrelina aumentavano prima di ogni pasto, per calare prontamente dopo mangiato.
Dopo la perdita di peso, i livelli di Ghrelina si comportavano in modo simile, ma erano più elevati, sia prima che dopo il pasto. Al contrario, in ulteriori 5 casi di pazienti che erano stai operati di bypass gastrico e erano andati incontro a perdite notevoli di peso (circa il 36% in media), i livelli di Ghrelina non variavano col pasto e l'appetito era ridotto in modo permanente senza recupero di peso.
Il ruolo di questo nuovo ormone appare importante: esso spiegherebbe perché passando il tempo diventa sempre più difficile seguire la dieta, aumentando la concentrazione ormonale e quindi il senso di fame e riducendosi il metabolismo.
Nel caso infine di bypass gastrico si avrebbe l'inibizione della sintesi di Ghrelina, con capacità di mantenere la dieta senza aumento dell'appetito.
Questa molecola sembra un ottimo bersaglio per una terapia mirata della obesità.

N Engl J Med 2002 May 23; 364: 1623-30

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APPROFONDIMENTI


Accertamenti di paternità mediante esame del DNA

A causa della notevole pubblicità che è stata data recentemente ai problemi di filiazione e di fecondazione, un nuovo impulso è nato circa l'accertamento dei rapporti parentali, gravidi di importanti conseguenze dal punto di vista legale, finanziario, ereditario.
I progressi scientifici hanno fatto sì che i test di accertamento di paternità siano rmai alla portata di quasi tutti i laboratori di analisi, i quali offrono questo servizio come una comune analisi ematologica. In realtà l'esame di accertamento di paternità è particolarmente complesso e necessita di competenze particolari.

In cosa consiste l'esame?

Si tratta, fondamentalmente, di un esame del sangue che tende ad accertare, mediante il confronto di marcatori geneticamente trasmessi, di un rapporto parentale (generalmente padre-figlio) tra due soggetti. Inizialmente (si parla degli anni '20) gli unici marcatori conosciuti erano quelli del sitema ABO. A questo si aggiunse il sistema MNSs e, negli anni '40 il sistema RH. Questi marcatori, esprimendo solo una manifestazione fenotipica avevano però una capacità discriminatoria piuttosto modesta e offrivano risultati sovente ambigui e di difficile interpretazione.

Venne introdotto poi il sistema HLA, legato agli antigeni leucocitari, dotato di elevato potere discriminatorio e, alla fine degli anni '90, l'esame diretto del DNA.

Tale esame non consiste, come credono i profani, nell'analizzare un frammento qualsiasi di DNA: la parte più complicata è consistita invece proprio nell'individuazione di quelle parti del cromosoma che, assendo variabili da individuo a individuo, fornissero un assetto tipico per ciarcuna persona, analogo a quanto si rileva nell'esame delle impronte digitali (DNA fingerprint).
La prima applicazione pratica in un test di paternità giudiziario risale al 1985 in Inghilterra; da allora molti passi sono stati compiuti, con la scoperta di loci genetici sempre più discriminativi ("minisatelliti" e "microsatelliti") e con la scoperta di nuove tecniche analitiche. È stata fondamentale la scoperta di Mullis della reazione di DNA-Polimerasi (PCR) che consente di ottenere una elevata quantità di materiale genetico da quantità scarse di DNA.

Le tecniche attuali, basate su confronto delle bande elettroforetiche del materiale ottenuto con tale tecnica, si è definitivamente affermata anche perchè evita alcuni problemi propri delle tecniche precedenti, come l'impiego di sostanze radioattive, i lunghi tempi di attesa e le possibili difficoltà interpretative. Mentre i primi esami di paternità si basavano su un esame di 4-5 marcatori al massimo, adesso è normale effettuarne 10-12 o 15. L'elevato numero di marcatori e la loro distribuzione su diversi loci cromosomici garantiscono l'affidabilità del risultato evitando errori che possono essere conseguenti a mutazioni o a delezioni cromosomiche. Attualmente sono in commercio dei kit che consentono l'analisi di gruppi precostituiti di marcatori.

Quali sono le sue indicazioni principali?

Le indicazioni principali dell'esame del DNA sono due: l'identificazione personale da residui bilogici e l'identificazione del rapporto parentale.

Identificazione personale

Assume rilievo soprattutto in ambito penale. Consente l'identificazione dell'autore di un delitto da residui organici anche minimi. L'esame può essere effettuato su qualsiasi materiale che abbia una componente cellulare da cui estrarre il DNA: sangue, sperma, bulbi piliferi, saliva, sudore. Il DNA conteunto in tali materiali può degradarsi con diversa velocità, a seconda delle condizioni ambientali (grado di umidità, temperatura, inquinamento batterico ecc.) in un tempo che può essere di poche ore o di pochi giorni nei casi più sfavorevoli, può rimanere analizzabile anche per molti anni se conservato in ambiente adatto. È intuibile perciò come in certe evenienze (ad esempio nei casi di stupro) sia essenziale un tempestivo prelievo di tale materiale.

Il materiale biologico surgelato può essere conservato dal laboratoro per un numero indefinito di anni; a temperatura ambiente il materiale asciutto (per esempio una goccia di sangue raccolta su una carta asciugante) si conserva per periodi molto più lunghi che se mantenuto in forma liquida. In caso di analisi su cadavere si può ottenere materiale utile dall'esame del midollo osseo, più "riparato", anche dopo anni.

Accertamento parentale

È l'evenienza più comune, con la tendenza a diventare routinario in seguito alle attuali leggi che conferiscono ai figli naturali gli stessi diritti ereditari e di mantenimento dei figli legittimi. L'iter giudiziario prevede, attualmente, che l'esame emetologico costituisca tappa pressochè obbligata, e divisa in due parti: prima il "disconoscimento" (l'accertamento che il padre "ufficiale" non è quello biologico), poi il "riconoscimento" (l'identificazione del vero padre).
Oltre che per via giudiziaria le indagini di paternità possono essere chieste da privati per propria informazione e per valutazione preliminare anteriore alla causa in Tribunale. L'effettuazione dell'esame prevede il consenso di tutte le parti interessate, che potrebbero però rifiutarsi. Non è infrequente, infatti, che la madre si rifiuti di fornire il proprio sangue e l'accertamento venga effettuato su due soli individui.
L'esame viene compiuto generalmente su materiale ematico raccolto in quantità di pochi cc. in provette con anticoagulante. Nel caso di bambini piccoli è possibile effettuare un prelievo di poche gocce di sangue su una carta asciugante, oppure un prelievo di saliva dalla mucosa buccale mediante tamponi sterili.

La valutazione dei risultati
Le possibilità di errore

Le analisi basate sulla tipizzazione del DNA sono attualmente altamente attndibili, tuttavia non possono essere considerate esenti da errori. Oltre a banali errori umani (scambio di campioni, cattiva conservazione dei reperti) esiste una serie di fattori interferenti di cui occorre sempre tener conto:

  • È possibile che alcuni alleli non vengano evidenziati durante indagini effettuate tramite PCR (cosiddetti "alleli silenti"). Questo fenomeno si verifica soprattutto nell'analisi di alcuni sistemi aventi una differenza sostanziale del peso molecolare tra i due alleli. Può allora verificarsi la mancata amplificazione dell'allele pesante con possibilità che ne conseguano erronee esclusioni di paternità. Sono però ben noti i sistemi che possono produrre tale fenomeno, per cui l'operatore esperto ne può tener conto, verificando con altri metodi.
  • Possono verificarsi mutazioni genetiche: È stato riscontrato che le mutazioni ricorrono nei microsatelliti con una frequenza media abbastanza elevata, di una mutazione ogni 1000-10000 meiosi. Può quindi essere lecito il dubbio, in caso che un solo marcatore risulti incompatibile, di un errore dovuto appunto ad una mutazione. Eccezionalmente anche le incompatibilità di due marcatori possono offrire il fianco a questa critica. In questi casi è posibile effettuare il controllo con altri marcatori, in numero adeguato, in modo da poter confermare la paternità biologica. In caso si riscontri un'unica incompatibilità, quindi, questa viene ad essere considerata come un fattore di diminuzione di probabilità piuttosto che come perentoria esclusione.

1) Incompatibilità genetica: non è padre biologico
Ogni figlio presenta, per ogni locus genetico esaminato, due alleli, dei quali uno sarà di provenienza materna e uno di provenienza paterna. Dato che sulla madre esistono raramente discussioni, vengono dapprima scorporati gli alleli di provenienza materna e viene poi verificata la compatibilità degli alleli rimasti con quelli di origine paterna. La presenza nel figlio di polimorfismi genetici incompatibili (secondo la legge di Mendel) con quelli del presunto padre può far escludere con certezza un rapporto di paternità.
È stato superato il problema dei vecchi marcatori basati sui polimorfismi enzimatici, allorchè le esclusioni non erano quasi mai perentorie ma andavano valutate anch'esse con criterio probabilistico. L'esame diretto del DNA invece permette una esclusione netta e sicura con poche probabilità di errore dovute agli inconvenienti sopradescritti, che però sono ben conosciuti dagli operatori del settore.

2) Compatibilità genetica. Valutazione delle probabilità:
Qualora venga evidenziata la compatibilità di tutti i marcatori, o si sia verificata una "falsa" incompatibilità dovuta ai fattori sopradetti, occorre dare un peso statistico a questo risultato.
Sono stati studiati e raccolti in banche-dati gli indici statistici che indicano, in sostanza, la diffusione dei polimorfismi genetici nella popolazione generale. Questi dati servono per la base di calcoli successivi, abbastanza complessi.
Viene utilizzato di solito, nella pratica, il cosiddetto "indice di paternità" oppure il termine di "probabilità di paternità". Questa probabilità viene espressa generalmente, nella pratica corrente, in forma percentuale. Più alto è il numero di marcatori compatibili, più alta sarà tale probabilità.
La tecnica di calcolo, di tipo statistico esprimente un'approssimazione all'infinito, non permette mai di poter esprimere una probabilità del 100%, e questo residuo margine di incertezza può costituire fonte di frustrazione per gli interessati. Occorre tener presente che l'indice di probabilità, al di sopra di certi valori, viene ad essere praticamente equivalente ad una certezza, con un criterio analogo a quello usato nel caso delle impronte digitali, in quanto la probabilità contraria (se si eccettuano casi particolarissimi di popolazioni estremamente ristrette e con pool genetico molto condiviso) vengono essere così basse da non potersi ipotizzare una coincidenza.
Non esiste in Italia una norma precisa che stabilisca la soglia oltre la quale una probabilità di paternità sia da considerare equivalente a una "pratica certezza": si fa riferimento in genere alle legislazioni di altri paesi europei come la Germania (che ha stabilito un limite del 99,72%), o ai Paesi Bassi, i più severi, che hanno stabilito un limite del 99,90%.
Non è infrequente, con le tecniche odierne e con l'alta capacità discriminatoria degli alleli presi in esame, raggiungere probabilità anche più elevate del 99,99%.

Casi particolari

  • È possibile esaminare un rapporto parentale anche in assenza della madre, con un confronto diretto tra padre e figlio. Questo impone ovviamente l'esame di un numero molto elevato di marcatori, ma consente spesso risultati molto soddisfacenti sia in termini di riconoscimento che di disconoscimento.
  • Qualora il genotipo di un componente della famiglia (la madre, ad esempio) non possa essere esaminato direttamente, esso può essere ricostruito, in alcuni casi, esaminando la cerchia parentale consanguinea e ricostruendo da questa il suo patrimonio genetico

Modalità pratiche

Data la diffusione dei kit di analisi (che non richiedono più l'uso di strumentazione molto complessa) molti laboratori hanno introdotto tali indagini nella loro offerta al pubblico. È utile però che ci si rivolga a Centri che abbiano reale competenza in materia, in modo da poter valutare la possibilità di mutazioni, di alleli silenti o altre cause di errore. Generalmente tali centri sono ubicati presso Università, grandi ospedali, laboratori privati di alto livello. Solo pochi centri possono servirsi (per il costo elevato) di particolari apparecchi (come il sequenziatore) che facilitano le indagini minimizzando il rischio di errore interpretativo.
Il referto non deve contenere solo il giudizio "sintetico" di paternità o non-paternità ma deve riportare la costellazione di marcatori esaminati e la percentuale di probabilità calcolata.
L'analisi del DNA è molto costosa ed è effettuabile soltanto in regime privato: i prezzi apparivano, fino a pochi anni fa quasi proibitivi (parecchi milioni in lire attuali). Attualmente sono molto diminuiti ma la necessità di personale altamente specializzato e di apparecchi sofisticati li mantengono abbastanza elevati (due-tre milioni di lire).

Daniele Zamperini
(Occhio Clinico n. 2 pag. 30-31, 2002)


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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D. Z. )

Precisazioni sulle attività dei comitati etici

CIRCOLARE 2 settembre 2002, n. 6
Attività dei comitati etici istituiti ai sensi del decreto ministeriale 18 marzo 1998. (GU n. 214 del 12-9-2002)
(omissis)
È impegno esplicito dello sponsor ed oggetto di valutazione da parte dei comitati etici:
a) rendere pubblici e in maniera tempestiva i dati utilizzando anche la sezione specifica dell'Osservatorio nazionale sulle sperimentazioni cliniche, presente presso la Direzione generale valutazione medicinali e farmacovigilanza (http://oss-sper-clin. sanita. it);
b) non interrompere la sperimentazione stessa, se non sulla base di una procedura pre-definita di valutazione, esplicitamente concordata, e debitamente documentabile, con il coordinatore scientifico e/o il coordinatore clinico dello studio;
c) non approvare protocolli di ricerca che non contengano informazioni sufficienti per valutare questi due aspetti (o, ancor più, che prevedono misure in qualsiasi modo contrarie o restrittive);
d) motivare le decisioni (sia positive, sia negative) assunte dai C. E. rispetto ai diversi protocolli rendendo esplicite le ragioni relative ai contenuti, gli aspetti metodologici, la fattibilità locale.

2. Studi clinici non interventistici ("osservazionali")

2.1. Si definisce sperimentazione non interventistica la studio centrato su problemi e patologie nel cui ambito i medicinali sono prescritti nel modo consueto conformemente alle condizioni fissate nell'autorizzazione all'immissione in commercio. L'inclusione del paziente in una determinata strategia terapeutica non è decisa in anticipo dal protocollo di sperimentazione, ma rientra nella normale pratica clinica e la decisione di prescrivere il medicinale è del tutto indipendente da quella di includere il paziente nello studio.
2.2. I protocolli di ricerca devono adottare una metodologia particolarmente rigorosa, dato che i risultati non sono protetti da procedure di allocazione randomizzata di pazienti e/o interventi. Come per gli studi clinici randomizzati devono essere definiti in modo univoco e coerente:
a) le motivazioni e le ipotesi della ricerca;
b) le attese dello studio;
c) i criteri di analisi e di interpretazione dei risultati (siano questi intesi come descrittivi o tali da suggerire, documentare, confermare relazioni di casualita);
d) la proposta di analisi statistiche appropriate.

2.3. Valgono per gli studi osservazionali tutte le regole applicabili alle sperimentazioni cliniche per quanto riguarda:
a) la trasparenza delle sponsorizzazioni ed i relativi aspetti economici;
b) la proprietà dei dati e la trasparenza dei risultati;
c) il rispetto dei diritti dei partecipanti alla ricerca per quanto concerne le informazioni sullo studio e la tutela della privacy;
d) la possibilità di individuare un comitato scientifico che abbia la responsabilità della gestione/conduzione dello studio.
2.4. Gli studi clinici dei medicinali di tipo non interventistico "osservazionali" devono essere notificati ai comitati etici locali in cui opera il ricercatore interessato. In base allo specifico statuto di istituzione dei singoli comitati etici, questi potranno procedere ad una formale approvazione oppure ad una semplice presa d'atto.
2.5. Nessun costo aggiuntivo sostenuto per la conduzione e la gestione degli studi osservazionali deve gravare sui fondi del Servizio sanitario nazionale.

3. Aspetti amministrativi relativi alle sperimentazioni cliniche dei medicinali e agli studi osservazionali.

Fatta salva l'autonomia decisionale delle strutture coinvolte di definire quote di pagamento per l'esame dei protocolli di studio che vengono presentati, si sottolinea l'opportunità di adottare criteri di ragionevolezza per gli aspetti economici relativi all'attività istruttoria dei comitati, fino eventualmente a prevedere una totale esenzione, per:
a) per studi promossi dai ricercatori operanti nel Servizio sanitario nazionale;
b) nel caso di ricerche sponsorizzate da società scientifiche e/o istituti e associazioni che non hanno fini di lucro;
quanto sopraindicato si applica in special modo per protocolli che prevedono il coinvolgimento di molte strutture (studi multicentrici) per i quali il pagamento di quote ai singoli comitati etici può limitare o impedire la conduzione dello studio stesso.
3.1. È compito e responsabilità dei comitati etici verificare (eventualmente richiedendo documentazione supplementare) la effettiva indipendenza da sponsor industriali dei proponenti di cui ai punti a) e b), per quanto riguarda l'ideazione e la gestione complessiva delle ricerche e dei loro risultati.

Roma, 2 settembre 2002

Il dirigente generale per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza Martini

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Cure termali e causa di servizio

Richiesta di cure termali e/o idropiniche, secondo la nuova normativa diramata dalla Direzione Generale di Sanità Militare

In base a quanto indicato dalla Circolare del Ministero della Difesa, è stata abolita in via sperimentale la Commissione Medica per il giudizio di congruità e necessità delle cure termali.
Pertanto il Dipendente o Pensionato avente diritto alle predette "cure" potrà optare tra:
1. la visita presso un Ufficiale Medico
2. la presentazione di prescrizione medica, rilasciata da medico di sua fiducia su carta intestata.

In tale ultimo caso, il medico proponente - vicariante la vecchia Commissione Medica - dovrà, sotto la sua responsabilità, indicare le infermità per le quali è richiesto il ciclo di cure, la tipologia delle stesse, avendo la responsabilità della valutazione di stati morbosi concomitanti che possano essere di controindicazione alla cura.

All'atto pratico, per l'espletamento di quanto sopra indicato, l'avente diritto alle cure dovrà presentare al proprio medico di fiducia il verbale della Commissione Medica Ospedaliera, o lo stato di Servizio o Foglio matricolare in copia, da cui emerga chiaramente la/le infermità riconosciute dipendenti da Causa di Servizio.

Il medico di fiducia certificherà su carta intestata la patologia ed indicherà la tipologia di cure necessarie - a fini terapeutici - secondo quanto previsto dalla normativa in vigore (D. Min. Sanità pubblicato su G. U. n° 57 del 9/3/1995 Serie Generale e successive integrazioni), valutando nel contempo la presenza di controindicazioni assolute o relative all'espletamento delle stesse, ed indicando in modo esplicito la mancanza o la presenza di controindicazioni.

Tale certificazione non rientra in quelle di cui agli accordi nazionali, e trattasi di certificazione libero professionale.

Al termine dell'iter amministrativo, il Dipendente o Pensionato a cui viene assegnato il turno, o che abbia ricevuto l'autorizzazione ad effettuare le cure idropiniche, dovrà munirsi di impegnativa del proprio Medico di Medicina Generale, su ricettario regionale.

Dott. Alberto Spaziani ("Medici del Territorio" aslromac@egroups. com)

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Alcuni comportamenti a rischio del Medico di Famiglia

Ormai è ben evidente come i medici abbiano più da temere, da parte delle Autorità, per mancanze di tipo legal-burocratico che per errori di tipo professionale. Pur essendo tali nozioni ben note, riteniamo utile riepilogare alcuni comportamenti che, pur essendo attuati quasi sempre per ingenuità o per leggerezza, possono comportare gravi rischi legali.

Alcuni comportamenti da evitare:

  • Non delegare le ricette alla segretaria lasciandole il ricettario firmato in bianco (Falso ideologico Art. 479 c. p, e altri). La Cassazione ha condannato per falso ideologico un medico convenzionato con una USL che aveva lasciato un ricettario firmato in bianco ad un odontotecnico per stilare ricette (Sez. Un. 7/6/1988). È lecito, invece, far compilare le ricette e firmarle successivamente.
  • Non rilasciare prescrizione senza data: a parte i casi di errore materiale (in caso, cioè, di dimenticanza, ma occorrerebbe convincerne le Autorità) si incorre anche qui nel falso ideologico, in quanto la data della prestazione è considerata elemento essenziale.
  • Non pre o post-datare certificati o ricette (Consegue a quanto detto sopra: falso ideologico).
  • Non lasciare incustodite e alla portata di vista di estranei le documentazioni sanitarie degli assistiti (schede, prescrizioni, certificazioni ecc.): si possono violare contemporaneamente la normativa sul segreto professionale (art. 622 C. P.), la normativa sulla privacy (Legge 675 del 1996 e modificazioni) e il Codice Deontologico (art. 10), con gravi problemi sia penali che disciplinari.
  • Non rilasciare con superficialità certificazioni destinate a giustificare assenze dal Tribunale per eventuali testimonianze: i Magistrati, a loro giudizio, possono effettuare controlli o verifiche, e spesso lo fanno.

Tenere presente che le Asl possono svolgere ispezioni e controlli per verificare il rispetto delle disposizioni sulla incompatibilità da parte di medici, odontoiatri, veterinari e psicologi che esercitano la libera professione presso cliniche e studi privati.
Il decreto del Ministero della sanità del 31 luglio 1997, emanato in attuazione della legge finanziaria n. 662 del 1996, attribuisce, infatti, alle aziende sanitarie locali compiti in materia di accertamento dell'osservanza delle disposizioni in materia di incompatibilità nell'esercizio dell'attività medica, anche mediante accertamenti presso studi medici privati, convenzionati o non convenzionati. Il medico non può opporsi all'acquisizione di dati sensibili da parte degli ispettori, in quanto previsto da espresse norme di legge.
Lo ha confermato il Garante in risposta alla segnalazione di una Asl che aveva rappresentato il timore che i titolari di studi medici privati si potessero opporre ai controlli adducendo una violazione della privacy.

È importante anche ricordare che il Pubblico Ufficiale che venga a conoscenza di un comportamento che costituisca reato perseguibile d'ufficio ha l'obbligo di sporgere denuncia.
Nel caso perciò, ad esempio, che nel corso di una ispezione della ASL o di altre Autorità (anche effettuata per scopi diversi) vengano riscontrati dei comportamenti del tipo di quelli esemplificati, il medico può venirsi a trovare denunciato, o comunque in grave difficoltà.

Daniele Zamperini
("Lo dice la FIMMG", ottobre 2002)

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PRINCIPALI NOVITĄ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di settembre-ottobre 2002 (a cura di Marco Venuti)

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, č fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa č libera fino al giorno 22.11.2002. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?

23.10.02

249

Decreto del Ministero della Salute

Riclassificazione dei medicinali ai sensi dell'art.9, commi 2 e 3, della legge 8 agosto 2002, n.178

Oltre a quanto risulta evidente dal titolo, da segnalare che l'articolo 2 modifica (lievemente) la nota 66 ed introduce la nota sui cortisonici per uso topico

03.10.02

232

Conferenza Stato - Regioni

Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sui requisiti delle strutture idonee ad effettuare trapianti di organi e di tessuti e sugli standard minimi di attivitą di cui all'art. 16, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91, recante «Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti»

.............

28.09.02

228

Decreto del Ministero della Salute

Modificazione della composizione di alcuni vaccini influenzali per la stagione 2002-2003

.............

12.09.02

214

Circolare del Ministero della Salute

Attivitą dei comitati etici istituiti ai sensi del decreto ministeriale 18 marzo 1998

Affronta la problematica della valutazione dei protocolli di ricerca sui medicinali

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