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"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
Patrocinate da - SIMG-Roma -
A.S.M.L.U.C. - eDott.it 

Periodico di aggiornamento medico e varie attualità
di: 
Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci
con la collaborazione di Marcello Gennari
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: www.edott.it e su http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm
Il nostro materiale è liberamente utilizzabile per uso
privato. Riproduzione riservata


Giugno 2002

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita da D.Z. per l' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

 

PILLOLE


Continuano le conferme su i danni cronici da droghe leggere

Benché diversi studi avessero già introdotto l'argomento, è stato ritenuto utile proseguire gli studi circa i possibili danni neurologici a lungo termine derivanti dall'uso di droghe leggere.
In particolare alcuni ricercatori australiani hanno voluto valutare le funzioni neuropsichiche dei soggetti che avessero fatto prolungato uso di marijuana. Hanno perciò studiato 102 pazienti, la metà dei quali aveva fatto un uso quotidiano della sostanza per circa 24 anni, l'altra metà per solo 10 anni. Come controllo è stato usato un gruppo di 33 individui che non aveva mai fatto uso di marijuana. I danni sono stati raccolti dopo un periodo di astinenza da cannabis di 17 ore.

I ricercatori hanno somministrato una serie di test neuropsicologici che valutassero la capacità di attenzione e la memoria a lungo e a breve termine. Si è rilevato come gli esiti dei test fossero peggiori nel gruppo dei soggetti che aveva fatto uso di marijana per il periodo di tempo più prolungato mentre non sono stati evidenziati risultati significativi tra il gruppo di soggetti che aveva fatto uso di cannabis per un periodo inferiore (10 anni) e i soggetti che si erano astenuti dall'uso di droghe. Appariva in particolare gravemente danneggiata la memoria verbale e la capacità di attenzione.
Sembrerebbe quindi esistere una relazione diretta tra il periodo di consumo di cannabis e i danni neuropsicologici provocati. Tuttavia poiché i test sono stati somministrati dopo un periodo di astinenza molto breve non è possibile stabilire definitivamente l'eventuale evoluzione migliorativa o peggiorativa qualora venisse prolungato questo periodo di astensione.

JAMA 2002;287:1123-1131

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Cardiomiopatia dilatativa idiopatica e defibrillatore impiantabile

Il defibrillatore impiantabile è un dispositivo delle dimensioni di un pacemaker che è in grado di riconoscere episodi di aritmie potenzialmente pericolose e di erogare una scarica elettrica che ripristina le normali condizioni di attivazione cardiaca.
In questo studio viene esaminato il suo impiego in caso di cardiomiopatia dilatativa idiopatica (CDI).
In questo studio il defibrillatore impiantabile fu applicato a 101 pazienti affetti da CDI che presentavano tachicardia ventricolare lieve paucisintomatica o asintomatica con frazione di eiezione media del 22%, episodi di sincope o lipotimia con frazione di eiezione media del 27%, tachicardia ventricolare sostenuta o fibrillazione ventricolare con frazione di eiezione media del 31%.

Durante un follow-up medio di 3 anni il dispositivo entrò in funzione nel 37% dei pazienti del primo gruppo, nel 31% dei pazienti del secondo gruppo e nel 35% dei pazienti del terzo gruppo.
L'evidenza del funzionamento appropriato del dispositivo, ricavata dalle registrazioni ottenute dalla memoria dei pace-maker defibrillatori, risultò uguale nei tre gruppi.
Questo porta alla conclusione che l'applicazione di un defibrillatore impiantabile può essere presa in considerazione per la prevenzione primaria della morte improvvisa in questi pazienti.

J Am Coll Cardiol 2002 Mar 6; 39: 780-7

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Una nuova patologia: il deficit di androgeni nella donna

Consensus conference per valutare le prove contro e a favore della insufficienza di androgeni nella donna come causa di problemi legati alla sfera sessuale e ad altri tipi di patologia.
Sono stati inoltre elaborati i criteri per identificare le donne affette da questa patologia.
Accertato che il deficit di androgeni è a tutti gli effetti una patologia ben distinta, i ricercatori la hanno definita come un insieme di sintomi ben identificabili: diminuzione della sensazione di benessere, stanchezza persistente inspiegabile, diminuzione della libido.
Dal punto di vista laboratoristico si associano livelli di estrogeni normali e diminuzione della biodisponibiltà di testosterone.

Questa forma patologica deve essere distinta da altre patologie, quali la depressione con inibizione motoria, per esempio, per la aspecificità dei sintomi evidenziati.
La terapia sostitutiva deve essere intrapresa solo dopo dimostrazione del deficit androgeno.
La misurazione dei livelli di androgeni, tuttavia, presenta difficoltà, dato che ai livelli inferiori della scala i sistemi di misura correnti non sono pienamente affidabili.
I ricercatori affermano che la terapia sostitutiva con androgeni può essere utile in donne con documentato deficit ormonale androgeno, aumentando la libido e il senso di benessere generale.
A causa dei possibili effetti collaterali, tuttavia, e per il fatto che la terapia androgena sostitutiva non è stata approvata per il trattamento delle disfunzioni sessuali della donna, ogni prescrizione di questi farmaci deve essere ampiamente discussa con la paziente.

Fertil Steril 2002 Apr; 77: 660-5

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Attenzione alla terapia ormonale sostitutiva nelle donne diabetiche

Benché la terapia ormonale sostitutiva (TOS) si stia affermando sempre di più nella prevenzione di terapia dei disturbi postmenopausali tuttavia non pochi studi hanno messo in luce dei possibili lati negativi sullo stato di salute della donna.
Sospettando un'influenza negativa della TOS sull'equilibrio glicemico dei diabetici alcuni ricercatori hanno voluto studiare tale influsso su 28 donne obese e sedentarie, alcune sottoposte a terapia ormonale sostitutiva ed altre usate come gruppo di controllo. Venivano misurati alcuni parametri metabolici, compresa la percentuale di grasso totale, viscerale, il tessuto adiposo sottocutaneo addominale e intramuscolare onde valutare una eventuale resistenza all'insulina derivata dal grasso viscerale. A parità di condizioni fisiche il consumo di glucosio nella stessa unità di tempo appariva molto minore nel gruppo trattato con TOS rispetto al gruppo non trattato. Nello stesso modo la quantità di glucosio metabolizzata per unità di insulina plasmatica appariva diminuito del 36% nelle donne trattate con TOS.
Gli autori concludono che il trattamento ormonale sostitutivo può influenzare negativamente l'equilibrio glicidico nelle pazienti diabetiche o con predisposizione al diabete.

"Diabetes Care" 2002; 25: 127-133

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Dispepsia: gastroscopia o non gastroscopia?

708 pazienti di età inferiore a 55 anni affetti da dispepsia, furono randomizzati per essere studiati con gastroscopia e breath test o solo con breath test.
Tutti i i pazienti HP positivi furono sottoposti ad un trattamento di 7 giorni di terapia eradicante.
Dopo un anno i punteggi di valutazione della dispepsia risultarono simili nei due gruppi e solo l'8.2% dei pazienti studiati con solo breath test avevano avuto necessità di essere sottoposti a gastroscopia.
La qualità di vita risultò uguale nei due gruppi di pazienti e nel gruppo che fu studiato senza la gastroscopia non vi furono casi di mancata diagnosi di patologie importanti.

BMJ 2002 Apr 27; 324:1012-6

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Dispepsia: come muoversi

In questo lavoro si prendono in considerazione 4 strategie terapeutiche differenti per affrontare il problema dispepsia:

a) Test sierologico per Helicobacter pylori (HP) in tutti i pazienti. Eradicazione nei pazienti HP+.
Gastroscopia nei non responders.
nei pazienti HP- trattamento di 6 settimane con inibitori della pompa protonica (Ppi).
Gastroscopia anche in questo caso per i non responders.

b) Come sopra, ma trattare con Ppi i pazienti HP+ che rimangono sintomatici dopo eradicazione.
Successivamente gastroscopia.

c) Trattare con Ppi tutti i pazienti
Inviare nonresponders alla gastroscopia.

d) Trattamento con Ppi in tutti i pazienti; test per HP nei nonresponders
Eradicazione nei pazienti positivi.
Gastroscopia nei rimanenti sintomatici

Tutti i pazienti avevano meno di 45 anni,
Ad un anno di distanza vennero esaminati i risultati.
La prima strategia risultò la meno efficace e la più costosa. La seconda strategia rese massima l'efficacia a costo minore interponendo il trattamento tra l'eradicazione e la gastroscopia. Venivano quindi eliminate un certo numero di gastroscopie.
La terza strategia si rivelò potenzialmente ancora migliore sotto il profilo costo/efficacia se si fossero verificate certe condizioni: diminuzione importante del prezzo dei Ppi, probabilità molto bassa di ulcera peptica

È interessante notare che la strategia risultata peggiore è quella raccomandata attualmente dalla American Gastroenterologic Association

Gastroenterology 2002 May; 122: 1270-85

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Dispepsia: eradicare o non eradicare? Più si che no…

Nella dispepsia HP positiva, lentamente ma inesorabilmente stanno uscendo dati a favore della eradicazione.
In questo studio sono stati arruolati 294 pazienti adulti con dispepsia e breath test positivo per HP.
I pazienti sono stati randomizzati per ricevere terapia eradicante o solo inibitore della pompa protonica (PPI).
Dopo un anno, un numero significativamente maggiore di pazienti trattati con eradicazione erano asintomatici (50% contro 36%), e inoltre riferivano un miglioramento della qualità di vita.
Fu evidenziato anche un trend verso un maggiore risparmio economico nel gruppo sottoposto ad eradicazione.

BMJ 2002 apr 27; 324: 1012-6

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Ictus e infarto miocardico

Un ictus che segue in infarto miocardico pone seri problemi di trattamento del paziente e di spesa.
Impiegando dati tratti dal Cooperative Cardiovascular Project, imponente studio dei pazienti Medicare affetti da infarto miocardico, si è cercato di rilevare il rischio di ictus a 6 mesi dall'infarto e di identificarne i fattori predittivi.
I dati riguardavano 111,023 pazienti, di età media di 76 anni.
Il rischio globale a 6 mesi di andare incontro a ictus risultò del 2.5%.
Fattori predittori indipendenti per ictus si dimostrarono l'età (75 anni o più), la razza nera, un precedente ictus, presenza di fibrillazione atriale, ipertensione, diabete, e vasculopatia periferica all'anamnestico.
Il rischio di ictus aumentava proporzionalmente al numero di fattori presenti.
Il 20 per cento dei soggetti esaminati presentava 4 o più fattori di rischio: in questo sottogruppo di pazienti il rischio di ictus rilevato fu del 4% nei 6 mesi successivi all'infarto.

Circulation 2002 Mar 5; 105: 1082-7

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Migliorano le apnee notturne con il Pace-maker

È stata più volte effettuata l'osservazione che una delle principali complicazioni delle apnee notturne è l'insorgenza di episodi di aritmia. Sono state osservate soprattutto bradicardie spiccate con frequenza cardiaca inferiore a 50 battiti al minuto oppure crisi di tachicardia parossistica. Non era ben noto se questi fenomeni di aritmia fossero conseguenza o concausa delle crisi di apnea nel sonno o se potessero costituirne una complicazione importante.
I metodi in uso per la terapia dell'apnea notturna consistono fondamentalmente in interventi chirurgici di faringoplastica o palatoplastica, oppure con l'applicazione di mascherine a pressione positiva continua nelle vie aeree. Questo ultimo metodo è generalmente poco tollerato.
Viene usata anche la somministrazione di teofillina con effetti collaterali talvolta però fastidiosi.

Alcuni ricercatori francesi hanno esaminato un gruppo di soggetti affetti da apnea nel sonno portatori di Pace-maker.
Hanno selezionato 15 soggetti (11 uomini e 4 donne) che ad un esame polisonnografico, risultavano affetti da sindrome di apnea nel sonno. Venivano effettuate delle registrazioni preliminari che indicavano degli indici di apnea pari o superiori a 5 (l'indice di apnea è dato dal numero totale degli episodi di apnea diviso per il numero di ore di sonno) mentre l'indice di apnea-ipopnea era pari o superiore a 15 (gli indici di apnea e ipopnea sono dati dal numero degli episodi di queste alterazioni del ritmo respiratorio diviso per il numero delle ore di sonno).
Per apnea si intendeva la cessazione completa del flusso aereo per almeno 5 secondi; l'ipopnea era definita come riduzione del flusso aereo del 50% associata a diminuzione della saturazione dell'emoglobina arteriosa di almeno il 4%.

I soggetti reclutati lamentavano tutti la sintomatologia classica della sindrome da apnea nel sonno come sonnolenza diurna, astenia, frequenti risvegli notturni, russamento. I soggetti hanno passato tre notti in laboratorio di polisonnografia prima col Pace-maker inattivato e poi col Pace-maker funzionante, impostato in modo che impedisse la diminuzione di frequenza cardiaca al di sotto dei 70 battiti/min. Venivano effettuate tutta una serie di osservazioni collaterali quali elettroencefalografia, elettromiografia delle gambe, misurazione del flusso aereo, ossimetria transcutanea, ecc.
Nella fase di Pace-maker inattivo è stato rilevato come la frequenza cardiaca media scendesse a 57 battiti/min. e tutti i soggetti presentassero numerosi episodi di apnea o ipopnea con indice medio di 28 e relative conseguenze; nei controlli effettuati col Pace-maker funzionante e quindi con battito cardiaco uguale o superiore di 70 battiti/min. l'indice di apnea-ipopnea si riduceva a 11, con una diminuzione di oltre il 50%.
Non è stata rilevata differenza tra soggetti affetti da apnea notturna da ostruzione respiratoria rispetto a quelli che mostravano la stessa sindrome in seguito a, presumibilmente, difetti della stimolazione dei centri respiratori.
È ovviamente impossibile sostenere che i soggetti affetti da apnee notturne vadano trattati con impianti di Pacer-maker, tuttavia questi studi aprono nuove prospettive sia sulla fisiopatologia del fenomeno che sulle possibilità di intervento farmacologico o comunque non cruento.

N.E.J.M. 2002;346:404-412

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Non è l'influenza, ma il freddo, ad uccidere gli anziani durante l'inverno

La stagione invernale è temuta dalla generalià degli anziani in quanto generalmente associata ad un incremento di morbilità e di mortalità legata soprattutto ad infezioni respiratorie. Particolarmente temuta è l'infezione della malattia influenzale al punto da indurre l'organizzazione di campagne vaccinali di massa. Quasi sempre infatti l'affezione influenzale viene indicata come la causa principale di tale aumento di morbilità e mortalità. Poiché però diverse altre cause possono associarsi a questo andamento morboso, alcuni ricercatori hanno voluto valutare l'aumento di mortalità in una regione inglese dal 1970 al 1999, per l'influenza e per tutte le altre cause.
Lo studio comprendeva la registrazione giornaliera della temperatura atmosferica e la correlazione di questa con gli altri dati.
È stata osservata come la media annuale di morti causata da influenza, si sia progressivamente ridotta nel tempo. I decessi correlati alla malattia influenzale appaiono essere circa 1/3 del totale delle morti invernali; calcolando le sole morti dovute alla stagionalità, e avvenute durante i mesi invernali, soltanto il 2,4% veniva attribuito direttamente o indirettamente all'influenza.
Tale bassa mortalità è dovuta probabilmente all'immunizzazione e all'esito favorevole delle campagne vaccinali ma, è anche probabilmente dovuta alla riduzione in numero dei nuovi ceppi virali, con conseguente mantenimento dello stato immunitario pregresso.
Sembra invece che la maggior parte degli altri decessi sia dovuta soprattutto all'esposizione al freddo, esso costituirebbe una situazione di stress, tale da costituire un fattore indipendente di mortalità, non connesso alle affezioni polmonari di tipo influenzale.

B.M.J.: 2002;324:89-90

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Nuova tecnica diagnostica per il cancro del colon

È noto come il cancro del colon stia diventando una delle più frequenti cause di morte nei Paesi industrializzati.
Le metodiche diagnostiche comunemente usate sono basate soprattutto, in prima istanza, sulla ricerca del sangue occulto fecale con la tecnica dei tre campioni oppure su tecniche invasive (endoscopie).
Alcuni ricercatori americani hanno messo a punto un nuovo test basato sull'esame del DNA fecale, capace di individuare il carcinoma del colon in fase precoce. Il test consiste nell'identificazione e nell'analisi molecolare delle mutazioni, riscontrabili nelle feci, del gene responsabile della poliposi adenomatosa del colon.
A tale scopo viene estratto il DNA da un campione di feci, e vengono identificate le diverse mutazioni del gene incriminato, mediante un sistema sperimentale selettivo detto "taglio proteico digitale".
Mediante questa tecnica sono stati esaminati 46 pazienti portatori di adenoma o di carcinoma del colon non metastatizzato e un gruppo di 28 controlli. Mentre in tutti i soggetti del gruppo di controllo il test risultava negativo, risultava invece positivo su 26 dei 46 pazienti con neoplasia, con un alto tasso di mutazioni genetiche in coloro che erano portatori di carcinoma maligno.
La sensibilità del test è risultata essere del 70% nei pazienti ad alto rischio, con una specificità che arriva al 100%.
I ricercatori ritengono che questa tecnica, per la sua facilità di uso, per la mancanza di invasività e di disagi, possa essere utile nella fase di screening alle persone a rischio di cancro del colon.

N.J.M. 2002;346:311-320

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Nuovi farmaci per l'Herpes Simplex

I farmaci attualmente a disposizione per l'infezione da Herpes Simplex (HSV tipo 1 e 2) inibiscono la DNA polimerasi.
Sono allo studio attualmente molecole che si comportano da inibitori della elicasi-primasi e i primi risultati sembrano molto promettenti.
Le nuove molecole si sono dimostrate più efficaci dell'acyclovir e del valacyclovir sia in vitro che nel modello animale.
Una di queste molecole si è dimostrata efficace anche dopo che l'infezione era iniziata da 65 ore.
La sperimentazione ha riguardato infezioni cutanee e genitali nel ratto e genitali nel porcellino d'india. Anche le recidive post trattamento sono state meno frequenti.

Nat Med 2002 Apr; 8: 392-8

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Nuovo farmaco per L'Artrite Reumatoide

L'arsenale a nostra disposizione contro l'Artrite Reumatoide (AR) si arricchisce di una nuova arma dal nome esotico: Anakinra (nome comm. K…).
Si tratta di un antagonista del recettore dell'interleukina-1 .
In questo trial randomizzato in doppio cieco sponsorizzato dal produttore del farmaco, sono stati studiati 419 pazienti con malattia in progressione nonostante trattamento negli ultimi 6 mesi con methotrexate (MTX).
Il trattamento consisteva in Anakinra somministrato sottocute a dosi variabili da 0.04 mg/kg a 2.0 mg/kg contro placebo.
A tutti i pazienti fu continuata la terapia con MTX.
Dopo 12 settimane i pazienti vennero rivalutati mediante uno score contenete parametri oggettivi e soggettivi.
La percentuale di pazienti che manifestarono una diminuzione dello score di almeno il 20% fu significativamente maggiore tra quelli che avevano ricevuto dosi di Anakinra di 1.0 mg/kg o 2.0 mg/kg rispetto a quelli trattati con placebo: 38% e 46% contro 19%. A 24 settimane di distanza la percentuale di responders rimase significativamente maggiore tra i pazienti trattati con 1 mg/kg di Anakinra rispetto ai pazienti che avevano assunto placebo (42% contro 23%).
In 5 casi su 345 pazienti trattati fu necessario sospendere il trattamento a causa di leucopenia, poi rientrata nella totalità dei casi.
L'effetto collaterale più frequente fu rappresentato da reazioni nel sito di inoculazione.

Arthritis Rheum 2002 Mar; 46: 614-24

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Valutazione del sanguinamento postmenopausale

Un sanguinamento in età postmenopausale deve essere valutato attentamente per escludere un tumore uterino.
Gli autori di questo studio hanno preso in considerazione 9 studi per stabilire il valore della misurazione mediante ecografia dello spessore dell'endometrio allo scopo di identificare neoplasie dell'endometrio in donne postmenopausa con sanguinamento.
Sono state prese in considerazione complessivamente 3483 donne sintomatiche non affette da carcinoma cervicale e 330 donne sintomatiche con carcinoma dell'endometrio.

Il prelievo istologico era stato eseguito al momento dell'indagine ecografia per confermare l'assenza o la presenza di neoplasia.
Lo spessore medio dell'endometrio risultò 3.7 volte maggiore nelle donne affette da carcinoma dell'endometrio rispetto a quelle non affette da patologia neoplastica.
I dati avevano rilevanza, però solo se il paragone avveniva tra donne afferenti allo stesso centro.
Lo spessore medio dell'endometrio differiva in maniera significativa tra i vari centri.
Usando un valore di spessore che diede il 50% di risultati falsi positivi, si ebbe una sensibilità del 96%.
Aumentando lo spessore dell'endometrio in modo da ottenere una percentuale del 10% di falsi positivi, si sarebbero identificate solo il 63% delle neoplasie.

Sulla base di queste osservazioni gli autori hanno concluso che in caso di perdite di sangue in postmenopausa è opportuno procedere a dilatazione del canale uterino con curettage.

Obstet Gynecol 2002 Apr; 99: 663-70

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Sindrome da antifosfolipidi: storia naturale

I pazienti affetti da sindrome da antifosfolipidi (APS) vanno incontro a trombosi. In questo lavoro vengono riportati i dati di 1000 pazienti affetti da APS arruolati in 20 centri europei.
L'età media era di 42 anni con range compreso tra 0 e 82 anni, l'82% dei pazienti erano di sesso femminile.
La forma primaria colpì il 53% dei pazienti, quella associata con lupus o sindrome lupus-like colpì il 41% dei pazienti, mentre il 6% dei pazienti presentava associazione con altre patologie diverse.
Anticorpi anticardiolipina e fattore anticoagulante lupico furono rilevati nell'88% e nel 54% dei pazienti, rispettivamente.
L'esordio era più frequentemente rappresentato da trombosi venosa profonda (32%), trombocitopenia (22%), livedo reticularis (20%), ictus (13%), tromboflebite superficiale (9%), embolia polmonare (9%) e aborto (8%).
Al momento dell'arruolamento nello studio, il 37% dei pazienti presentava solo trombosi venosa, il 27% solo trombosi arteriosa, il 15% entrambe, il 12% aborto, il 9% trombosi a carico dei vasi del microcircolo.
Nell'8% dei casi si ebbe la forma cosiddetta "catastrofica".
Gli autori continueranno a seguire la casistica descritta per fornire dati prognostici migliori di quelli attualmente disponibili.

Arthritis Rheum 2002 Apr; 46: 1019-27

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Terapia antitrombotica dopo intervento di bypass alle estremità inferiori

Dopo bypass arterioso a carico delle estremità inferiori si può intraprendere terapia antitrombotica con aspirina o warfarin.
Quale è la migliore terapia? La terapia combinata offre maggiori garanzie?
Per rispondere a queste domande sono stati studiati 831 pazienti in un trial randomizzato che erano stati sottoposti a bypass arterioso delle estremità inferiori: a 373 pazienti erano state applicate protesi artificiali e a 458 protesi venose.
Dopo l'intervento i paziente vennero randomizzati per ricevere 325 mg di aspirina oppure 325 mg di aspirina più warfarin (INR target: 1.4-2.8).
Il periodo medi di follow-up durò 3 anni.
La percentuale di occlusione delle protesi artificiali fu significativamente più bassa nei pazienti con terapia combinata: 24% contro 34%. La maggior parte dei pazienti che ebbe beneficio da questa terapia aveva subito un bypass a carico delle arterie sopra al ginocchio.
La percentuale di occlusione in caso di bypass venoso fu invece la stessa per i due tipi di terapia.
In generale la mortalità fu significativamente maggiore tra i pazienti trattati con terapia combinata (32% contro 23%) con un maggior numero di decessi dovuto a tumore ( 33 contro 15) e emorragia (6 contro 1).
Nei pazienti con terapia combinata si ebbero inoltre più casi di emorragie importanti (35 contro 15).
I dati riportati, quindi hanno aspetti controversi e richiedono ulteriori analisi: per il momento appare chiara solo l'assenza di necessità del trattamento combinato nel caso di bypass con protesi venosa.

J Vasc Surg 2002 Mar; 35: 413-21

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Trombossano e Prostaciclina: un equilibrio essenziale per l'arteria

La cicloossigenasi COX-1presente nelle piastrine genera il trombossano A2 che stimola l'aggregabilità piastrinica e la vasocostrizione.
Dalla parte dell'endotelio abbiamo le COX-2 che producono prostaciclina, che inibisce l'aggregazione piastrinica e la vasocostrizione.
Sembrerebbe questo il razionale dello studio VIGOR, che ha rilevato che l'impiego selettivo di inibitori della COX-2 (Rofecoxib-Vioxx) si associò con un maggior numero di infarti miocardici.
Gli autori di questo studio hanno impiegato ratti in cui mancava il recettore per la prostaciclina oppure vi era una iperespressione dei recettori del trombossano.
Operando una lesione endoteliale in questi animali si aveva a carico delle arterie proliferazione cellulare intimale, aumento del rapporto intima/media e aumento della stenosi del lume.
Utilizzando invece animali in cui mancava il recettore del trombossano si ottenevano effetti esattamente opposti.
Quando poi si utilizzavano animali che mancavano dei recettori sia della prostaciclina che del trombossano, si ottenevano risposte vascolari paragonabili a quelle di animali normali.
Questo studio conferma l'importanza dell'equilibrio trombossano-prostaciclina per l'evenienza di trombosi dopo lesione vascolare.

Science 2002 Apr 19; 296: 539-41

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Vertebroplastica percutanea per fratture da osteoporosi

La vertebroplastica per cutanea si effettua inserendo, sotto guida fluoroscopica, un trocar nel corpo vertebrale, fino ad arrivare al midollo. A questo punto si inietta nella vertebra polimetilmetacrilato, che si indurisce conferendo solidità alla vertebra.
In questo lavoro vengono riportati i risultati di 48 vertebroplastiche percutanee (26 toraciche e 22 lombari) in 37 pazienti con fratture da schiacciamento vertebrale causate da grave osteoporosi.
Le fratture da schiacciamento erano definite come riduzione di più di due terzi della altezza originale della vertebra.
Durante un follow-up medio di 11 mesi circa metà dei pazienti ebbe una risoluzione completa della sintomatologia dolorosa, mentre l'altra metà ebbe una remissione parziale.
Non vi furono complicanze significative.
Con questo lavoro si conferma che la vertebroplastica è una procedura affidabile e sicura anche in caso di riduzione dell'altezza del corpo vertebrale a meno di un terzo di quella originale.

Radiology 2002 Apr; 223: 121-6

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APPROFONDIMENTI


Luigi Galvani: un grande, quasi immenso

Luigi Galvani fa parte di quella schiera di personaggi che, con le loro opere e le loro scoperte, hanno dato lustro all' Italia. Con il suo nome è stato anche battezzato un tipo di elettricità, detta appunto "corrente Galvanica". Benché il nome di Galvani siua passato alla storia per avere per primo aperto gli orizzonti sulle azioni fisiologiche dell'elettricità, alcuni aspetti delle sue ricerche illustrano il fatto, ormai ben noto, che le grandi scoperte scientifiche siano talvolta frutto del caso, o meglio di quel fenomeno detto "serendipità": la capacità di cogliere l' importanza di un fenomeno in cui ci si imbatte casualmente.

Galvani operò a Bologna, sua città natale, nella seconda metà del '700, epoca ricca di fermenti e di scoperte.
Si studiavano, allora, i primi fenomeni elettrici, ottenuti con rudimentali apparecchi elettrostatici. In realtà le prime esperienze di elettrofisiologia (simili a quelle che diedero risonanza a Galvani) furono effettuate da un altro medico bolognese, Leopoldo Marcantonio Caldani, che per primo (nel 1756) osservò gli effetti dell' elettricità sulle zampe di rana nel 1756, pubblicando le sue osservazioni nel 1757. Il Caldani non seppe intuire le potenzialità scientifiche delle sue osservazioni, né seppe sistematizzarle o fornire spiegazioni teoriche plausibili del fenomeno.
Il Galvani, invece, volle approfondire la cosa, con una serie di esperimenti che, se effettuati in un altro momento storico e con altra base culturale, lo avrebbero condotto a scoperte fondamentali, avvenute solo un secolo più tardi.
Le ricerche del Galvani vennero effettuate nel 1780 e pubblicate solo 11 anni dopo nel 1791, nella monografia "De Viribus Electricitatis Artificialis in Motu Muscolari".

Esperimento: n.1 (L' arco bimetallico)
Tutti conoscono l' esperimento-base che diede risonanza mondiale a Galvani: egli stimolò il nervo scoperto di una zampa di rana mediante un rudimentale apparecchio elettrico. Tale stimolazione provocava la contrazione muscolare della zampa di rana.
Estremamente interessato, il Galvani apportò delle modifiche al suo esperimento, stimolando il nervo mediante il semplice contatto di un arco bimetallico, verificando che anche in questo caso si verificava la contrazione muscolare.

Interpretazione di Galvani:
Esiteva una "forza elettrica" nei tessuti muscolari; l'arco bimetallico serviva a chiudere il circuito.

Spiegazione effettiva del fenomeno:
La corrente elettrica era generata dall' arco bimetallico, che produceva una piccola corrente elettrica generata dalla differenza di potenziale tra i due metalli; ciò costituiva in effetti il precursore della pila elettrica, sviluppata poi da Volta.

Esperimento: n. 2 (La scintilla in prossimità)
Come spesso succede, il caso volle dire la sua: narrano le cronache che, trovandosi in laboratorio a ripetere le sue esperienze in presenza di alcuni assistenti, egli avesse preparato a tale scopo le zampe posteriori di una rana scorticata, con i nervi crurali scoperti ed esposti. Uno dei presenti toccò casualmente col bisturi i nervi scoperti causando una viva contrazione muscolare.

Nulla di nuovo, apparentemente, ma alcuni osservatori osservarono che la contrazione avvenuta in seguito al contatto del bisturi, sembrava essere stata contemporanea allo scoccare di una scintilla provocata da una macchina elettrica situata li' vicino, senza che vi fosse stato un contatto diretto.
Per appurare cosa fosse effettivamente accaduto, Galvani volle ripetere più volte l'esperimento variando i diversi parametri. Ne derivarono una serie di informazioni: innanzitutto riuscì a stabilire che per provocare la convulsione della rana mediante contatto diretto occorreva toccare i nervi con un corpo conduttore, mentre i corpi costituiti da materiale isolante non sortivano alcun effetto.

Spiegazione del fenomeno:
La scintilla originava delle onde elettromagnetiche che creavano correnti "parassite" nel corpo conduttore, che a sua volta trasmetteva tale corrente alla rana.

Esperimento: n. 3 (l'antenna in casa)
Per cercare di spiegare la misteriosa reazione alla scintilla, avvenuta senza contatto diretto, furono ulteriormente variate (talvolta in modo curioso) le condizioni sperimentali: un esperimento particolarmente interessante fu il seguente: tese attraverso la stanza un filo metallico, completamente isolato dai muri (l'isolamento era attuato sospendendo il filo al soffitto mediante una serie di cappi di seta); un'estremità del filo venne posta in comunicazione con i nervi crurali di una rana rinchiusa in un recipiente isolato e messa in contatto con un conduttore che forniva il contatto "a terra".

Veniva poi messa in funzione una macchina elettrica dalla quale ricavava le solite scintille. Questa macchina, pur posta in vicinanza del filo, era tuttavia del tutto isolata dal resto dell' apparato.
Il Galvani osservò come, per quanto il filo non fosse in contatto con la macchina elettrica, le zampe della rana presentassero ugualmente delle vive contrazioni ogni volta che venissero fatte scoccare delle scintille.

Spiegazione del fenomeno:
Il filo teso attraverso la stanza costituiva in effetti un'antenna, che captava le onde elettromagnetiche generate dall' apparecchio elettrico; queste onde venivano trasmesse alla rana; si trattava, a ben vedere, di un rudimentale apparecchio radiotelegrafico, capace di captare segnali ritmici, sul tipo dell' alfabeto Morse.

Esperimento: n. 4 (l' antenna esterna)
Una variante di questo esperimento venne effettuata con l'ausilio dei… fulmini temporaleschi: preparata la rana nel solito modo il Galvani ne collegava i nervi crurali ad un filo teso all' esterno, ed accuratamente isolato. Le zampe della rana veniva poi collegate ad un filo metallico che portava il contatto dall' antenna alla terra. Si osservò come, ad ogni scarica del temporale vicino, le zampe di rana si contraessero.

Spiegazione del fenomeno:
In questo esperimento si osserva ancora di più la somiglianza con i successivi apparecchi radiotelegrafici: il filo esterno costituiva un prototipo delle attuali antenne, capaci di captare le correnti elettriche atmosferiche e di evidenziarle mediante le contrazioni muscolari della rana.

Le implicazioni degli esperimenti di Galvani:
In primo luogo occorre osservare come l'esperimento n.1 avesse posto le basi della successiva scoperta di Alessandro Volta: la pila elettrica. Volta infatti interpretò correttamente gli esperimenti di Galvani, intuendo come l' elettricità non fosse generata dalle zampe di rana, ma dal contatto di due metalli diversi.
Per quanto riguarda i successivi esperimenti, ora noi sappiamo che, allorché attraverso un conduttore passi una corrente elettrica, venga a generarsi un campo elettromagnetico. Questo campo può essere "percepito" da apparecchi elettrici (o comunque conduttori) che ne vengano investiti, e in cui si generano correnti "parassite"(o "correnti indotte"). Su questo semplicissimo principio si basano apparecchi moderni fondamentali, la cui effettiva scoperta avvenne solo molto più tardi, come la dinamo ed i trasformatori.

Le onde elettromagnetiche poi, diffuse nell' atmosfera, possono essere captate a distanza e costituire la base delle odierne trasmissioni radio. È da sottolineare come Hertz scoprì le onde che presero il nome da lui, e che costituirono la base dell'elettrofisica moderna, solo un secolo più tardi.
Il modello di apparecchio radiotelegrafico più semplice è, fondamentalmente, costituito da un generatore di onde elettromagnetiche pulsanti ad un ritmo opportuno (alfabeto Morse, come già detto), captate e trascritte da un apparecchio ricevente.
L'esame dell'apparecchiatura di Galvani effettuata a posteriori già nei primi decenni del 900 (POHL, Elettrofica moderna, 1936) permetteva di osservare come la disposizione sperimentale di Galvani corrispondesse, nella sostanza, a un complesso radiotelegrafico trasmittente-ricevente, in cui le zampe di rana avevano il ruolo di "rivelatori di onde". Sarebbe stato sufficiente sostituire alle zampe di rana un rivelatore più affidabile, di tipo non biologico, e, nella sostanza, l'apparecchio non si sarebbe molto discostato dai primi prototipi di telegrafo senza fili.

I limiti del ricercatore:
Perchè Galvani non seppe cogliere le implicazioni delle sue scoperte? In primo luogo occorre tener presente come in quei tempi l' elettricità costituisse essenzialmente una curiosità, totalmente priva di basi teoriche. In secondo luogo occorre ricordare come Galvani fosse un medico, molto versato nelle scienze biologiche ma poco esperto di altri settori.
Fu naturale, perciò come egli tendesse ad interpretare i suoi esperimenti sulla base delle sue conoscenze culturali, mediante spiegazioni che originassero da elementi biologici, ritenendo quindi che l' energia elettrica da lui rilevata nel corso dei suoi esperimenti provenisse dalla rana; sostenne perciò l'origine biologica di tali fenomeni, senza comprendere che tale sorgente potesse invece essere esterna.
Altri ricercatori (Volta, in primo luogo) seppero ricavare dagli esperimenti del Galvani ben altre conseguenze: il Volta, ad esempio, sostituì la rana di Galvani con dei conduttori metallici, ponendo ad una certa distanza della macchina elettrica delle placche di metallo conduttrici che non erano a contatto tra di loro ma separate da un leggerissimo intervallo: mettendo in funzione la macchina elettrica poté osservare come tra tali conduttori allineati scoccassero delle scintille che li collegavano l'uno all'altro.
Anche questo esperimento dimostrava come la generazione di una corrente elettrica provocasse delle correnti parassite in sostanze conduttrici che non erano in contatto diretto con la macchina.
Solo nel secolo successivo Hertz, mediante esperienze sostanzialmente molto simili, comprese la natura delle onde che da lui presero il nome: egli faceva generare della corrente da un generatore elettrico, riscontrando lo scoccare di scintille tra due sferette di metallo del suo apparecchio (da lui chiamato "risuonatore elettrico") posto a una certa distanza.

Non è assurdo pensare che se Galvani avesse avuto delle maggiori conoscenze di fisica e fosse vissuto in un ambiente e in un epoca diversa, avrebbe potuto cambiare la storia dell'elettromagnetismo e della comunicazione a distanza.
Ciò potrebbe contenere una morale: il medico, pur enormemente assorbito dall'immensa mole di aggiornamento che gli viene richiesto, dovrebbe evitare di essere assorbito esclusivamente da tali conoscenze, ma dovrebbe rimanere aperto alle influenze culturali che gli possano pervenire anche da altri settori della scienza, onde poter comprendere ed interpretare anche ciò che possa non essere direttamente correlato alla sua attività.

Daniele Zamperini 2002
Fonte principale: "Sapere" 1936 pag.277

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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D.Z.)

Corte costituzionale: illegittimo il divieto di conseguire più specializzazioni.
SENTENZA N. 219 ANNO 2002

I FATTI:
Un medico, specialista in radioterapia, chiamava in causa l' Università degli studi di Perugia e il Ministero della ricerca scientifica e tecnologica chiedendo l'annullamento del bando di concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione in Chirurgia generale di quell'ateneo per l'anno accademico 2000-2001, nonché del provvedimento che la escludeva dal concorso in quanto già in possesso di specializzazione (in applicazione dell'art. 34, comma 4, del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368: Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE).
Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con ordinanza emessa l'11 luglio e pervenuta l'8 ottobre 2001 (reg. ord. n. 880 del 2001) ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale del detto art. 34,

La Corte Costituzionale esaminava le eccezioni della ricorrente, ed esprimeva una serie di considerazioni:
L'oggetto ed i relativi criteri della delega, contenuta nella legge 24 aprile 1998, n. 128, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee, sono infatti precisati dal legislatore mediante il riferimento alla direttiva 93/16 e successive modificazioni: ma né la direttiva, né la stessa legge di delega toccano il tema dell'eventuale cumulo di specializzazioni. Escluso che possa trattarsi di semplice esplicitazione di un principio comunque insito nel sistema delle direttive comunitarie, o che si tratti di norma "tecnica" di dettaglio necessaria per assicurare l'integrità e la funzionalità dell'ordinamento, l'art. 34, comma 4, del decreto legislativo sarebbe evidentemente frutto di una scelta pienamente autonoma del legislatore delegato.

È pur vero che tanto il diritto allo studio che quello al lavoro non sono garantiti in modo assoluto e incondizionato, come è stato affermato nella sentenza di questa Corte n. 383 del 1998, in tema di limitazione degli accessi a determinate facoltà universitarie e scuole di specializzazione; tali limitazioni debbono però essere ragionevoli.
E mentre, nella materia in esame, è ragionevole una selezione basata su idoneità e merito, non altrettanto potrebbe dirsi della discriminazione dei candidati esclusivamente a motivo del possesso di una diversa specializzazione, titolo che dovrebbe semmai essere valutato come merito.

È infatti interesse della Repubblica garantire l' "elevazione professionale dei lavoratori" (art. 35 Cost.). Le limitazioni al diritto allo studio così introdotte non risponderebbero al criterio della ragionevolezza.
Gravemente discriminatoria, poi, ad avviso della parte, apparirebbe la disposizione del comma 4 del successivo art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, che, in deroga al divieto introdotto, consentirebbe ai medici specializzati dipendenti del servizio sanitario nazionale ed ai sanitari provenienti da altri paesi dell'Unione europea di conseguire, nella misura del 10% dei posti disponibili nelle scuole, altro titolo di specializzazione.
Ciò dimostrerebbe che l'unica finalità perseguita dalla disposizione impugnata è di non permettere allo stesso soggetto di usufruire surrettiziamente di un trattamento economico destinato a sostituire un trattamento stipendiale proprio del rapporto di lavoro dipendente: esigenza questa comprensibile, ma che potrebbe essere ben salvaguardata indipendentemente da un siffatto divieto assoluto.

La limitazione posta dalla norma impugnata incide direttamente sul diritto di iniziativa economica, tutelato dall'art. 41 Cost., collegato alla libertà riconosciuta dagli artt. 2 e 4 Cost. ad ogni cittadino di scegliere la professione da svolgere quale strumento per lo sviluppo della propria personalità.

Dalla preclusione in esame, poi, discenderebbe un' ulteriore disparità di trattamento con riferimento a quanto stabilito dalle direttive comunitarie n. 98/21 e n. 93/16 aventi ad oggetto la libera circolazione dei medici ed il reciproco riconoscimento in ambito comunitario dei loro diplomi , dal momento che ai soli medici italiani in possesso di una specializzazione è inibita la possibilità di essere ammessi ad un nuovo corso di studi attraverso il quale perfezionare ed approfondire le necessarie conoscenze per meglio inserirsi nel mercato del lavoro.
Nel caso di specie, infatti, la ricorrente (specializzata in radiologia) aspira a conseguire una specializzazione costituente la prosecuzione logica, sul piano delle tecniche operatorie alle quali si sta già dedicando presso una struttura specializzata in oncologia, di studi già compiuti in precedenza, allo scopo di acquisire una professionalità nuova, a carattere interdisciplinare, richiesta per lo svolgimento dell'attività chirurgica in materia oncologica.
Il mantenimento del divieto censurato, in conclusione, oltre che comprimere la situazione soggettiva della ricorrente, comporterebbe un impoverimento delle stesse strutture sanitarie, le quali potrebbero contare su professionisti che hanno conseguito una sola specializzazione, con dispendio di risorse laddove si rende necessario l'impiego di professionalità a carattere interdisciplinare.

La questione, conclude la Corte, è fondata, sotto il profilo della violazione del diritto di accedere ad un corso di studi e conseguentemente di intraprendere un'attività professionale di propria scelta.
Non viene in questione qui la legittimità della limitazione numerica degli accessi alle scuole di specializzazione medica (risultante dagli artt. 25 e 35 del decreto legislativo in esame), bensì si discute unicamente della legittimità costituzionale del divieto imposto, a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere alla formazione in vista del conseguimento di una ulteriore specializzazione.

In sostanza il legislatore delegato, nel dettare la nuova disciplina delle scuole di specializzazione medica nonché dei corsi di formazione specifica in medicina generale, ha inteso stabilire un rigido criterio di non cumulabilità in capo allo stesso medico di due o più di tali curricula formativi. Il medico in possesso di un diploma di specializzazione non può accedere ad altra specialità, né ai corsi di formazione specifica in medicina generale (in tal senso è da intendersi la non felice formula, sopra citata, dell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 1999); a sua volta il medico in possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale non può accedere alle specializzazioni.
Il divieto appare dettato nell'intento di evitare che lo stesso medico possa, cumulando più diplomi di specializzazione (e, forse, usufruendo del vantaggio che gli proviene dal possedere già una specializzazione), accaparrarsi più di uno spazio di formazione nell'ambito e a spese delle strutture a ciò deputate, a danno di altri aspiranti, il cui diritto a perseguire, a loro volta, una chance di inserimento professionale potrebbe esserne pregiudicato.

Tale intento non è privo di una sua ragionevolezza, in quanto miri a tutelare gli interessi di chi non abbia ancora avuto accesso ad una formazione medica specialistica, e a rendere razionale l'impiego delle risorse pubbliche. Da questo punto di vista, non apparirebbe in sé irragionevole che il legislatore, ad esempio, riservasse quote dei posti disponibili ai medici non ancora in possesso di specializzazione, o prevedesse quote di posti cui ammettere in soprannumero candidati che siano già in possesso di altra specializzazione.
Tuttavia un divieto di tale assolutezza e rigidità non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali.

Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello, in un sistema in cui "la scuola è aperta a tutti" (art. 34, primo comma, della Costituzione), di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai "gradi più alti degli studi" (art. 34, terzo comma).
Il legislatore, se può regolare l'accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che, come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali, non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito.

L'accertamento della illegittimità del divieto, per chi sia già in possesso di altro diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere ad una nuova specializzazione, comporta altresì come conseguenza l'estensione della dichiarazione di incostituzionalità alla norma che, parallelamente, dispone il divieto di accedere al corso di formazione specifica in medicina generale per chi sia in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca (art. 24, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 368 del 1999).

La Corte perciò dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 b)(Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE);
dichiara, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 368 del 1999, nella parte in cui esclude dall'accesso al corso di formazione specifica in medicina generale i possessori di diploma di specializzazione di cui all'articolo 20 del medesimo decreto, o di dottorato di ricerca.

COMMENTO:
La Corte Costituzionale ha sancito l' illegittimità della normativa che proibiva il cumulo di diplomi di specializzazione (o il cumulo di specializzazione e Corso di formazione in medicina generale) sotto un duplice profilo: uno più "formale" (la norma è stata emessa mediante legge-delega, mentre sarebbe stata di competenza del legislatore ordinario, cioè del Parlamento) ed una più sostanziale, in quanto un divieto assoluto di cumulo di tali titoli viene a ledere ingiustificatamente una serie di diritti degli interessati. Avere più di un titolo dovrebbe essere considerato un merito (afferma la Corte) e non una colpa. Il timore da parte del legislatore che alcuni possano "accaparrarsi" più volte i benefici economici riservati agli specializzandi maturando una sorta di rendita di posizione, può essere evitato con altri meccanismi che non comportino però il divieto assoluto di cumulo di titoli di specializzazione. È prevedibile quindi che verranno studiate delle normative (numero riservato di posti per i già specialisti, onerosità del secondo titolo ecc.) che tendano a bilanciare i diversi interessi secondo gli indirizzi stabiliti dalla Corte.

Riassunta, evidenziata e commentata da Daniele Zamperini

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Gli atleti e il doping: problemi per il medico

I recenti terremoti che stanno scuotendo il mondo del ciclismo e, in genere, quello dello sport, ha un nome che è diventato sinonimo di "droga": il "doping".
Nel comune sentire, un atleta scoperto positivo al doping è considerato alla stregua di un "drogato", uno che assume sostanze proibite e illecite per ottenere risultati sportivi esagerati.
In realtà il fenomeno del doping è del tutto diverso da quello delle sostanze stupefacenti, sia dal punto di vista scientifico che da quello legale, e basato su diversi principi:

1) Non è la sostanza in sé che fa il doping, ma è l'uso che se ne fa.
2) Le sostanze dopanti sono lecite per una persona comune, sono illecite (e possono costituire reato) per un'altra persona (un atleta).
3) Le regole per la prescrizione e l' uso dello stesso farmaco sono diverse tra soggetto malato e atleta.

Nell' elenco delle sostanze dopanti si ritrovano infatti diversi principi attivi comunemente usati nella pratica medica per la cura di varie malattie. Ecco alcuni esempi tratti dall' elenco stilato dalla Commissione per la Vigilanza e il controllo sul Doping, istituita con Decreto 12 Marzo 2001:
- Caffeina
- Efedrina
- Diuretici (Clortalidone, Idroclorotiazide, Furosemide)
- Alcool
- Cortisonici
- Betabloccanti
- Anestetici locali.

A fianco di sostanze dotate di chiaro effetto stimolante (caffeina, efedrina) si rilevano numerosi farmaci privi invece di tale effetto, per cui può non essere chiaro il motivo della loro inclusione nell' elenco delle sostanze proibite. Alcuni di tali farmaci ( i diuretici, ad esempio) vengono proibiti e considerati "dopanti" in quanto sono spesso utilizzati per favorire l' eliminazione attraverso le urine di farmaci stimolanti, in modo da ostacolarne l' individuazione attraverso i test di controllo.

L' allargamento di tale lista ha causato problemi di non poca importanza, in quanto alcune di queste sostanze possono effettivamente essere assunte "innocentemente", in sciroppi per la tosse o in decongestionanti nasali.
Va precisato che sono permesse le iniezioni locali o intraarticolari di anestetici locali o cortisonici, ma il trattamento deve essere sottoposto preventivamente per iscritto alla Commissione Medica del C.I.O.
Le amine simpaticomimetiche (ad esempio il salbutamolo) sono permesse per uso inalatorio ( ad esempio per la terapia dell' asma) ma restano vietate, anche per le medesime patologie, in tutte le altre forme farmaceutiche. Data la possibilità che tracce di queste sostanze vengano rinvenute in occasione di esami di controllo, sarebbe utile che tali trattamenti venissero sempre segnalati preventivamente.

La situazione ora descritta ha la sua origine nel Decreto 31/10/2001 n. 440, e dalla Legge 14 Dicembre 2000 n. 376.
Questa legge stabilisce infatti, con terminologia volutamente generica, che costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze attive idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, o che siano finalizzate ad alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.
Anche pratiche non farmacologiche, qualora finalizzate ad alterare le prestazioni atletiche, sono equiparate al doping (come, ad esempio, la famigerata autotrasfusione, effettuata ritrasfondendo all' atleta, allo scopo di aumentarne l'ematocrito, una certa quantità di sangue precedentemente prelevatogli). Sono pure equiparate al doping, come già detto, altre sostanze o eventuali pratiche che siano comunque finalizzate a modificare i controlli sull'uso delle sostanze dopanti.

All' art. 9 la legge suddetta stabilisce pure che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni, chiunque procura ad altri, somministra, o assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive ricomprese nelle classi previste dall'art. 2 comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e che siano idonee a modificare le condizioni psicofiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti .... .
La pena è aumentata se dal fatto deriva un danno per la salute, se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne, se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI, se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, in questo caso consegue l'interdizione temporanea all'esercizio della professione".

Tale normativa prevede espressamente l' esimente che la somministrazione possa essere giustificata da eventuali condizioni patologiche: ovviamente, in tali casi, si rientra nel diritto alla propria salute, comunque inalienabile. Tali casi di necessità dovrebbero comunque essere segnalati preventivamente ed adeguatamente dimostrati.

È evidente inoltre come, in caso di scoperta di un caso di doping, possano venire pesantemente coinvolti vari personaggi dell' entourage dell' atleta. Qualora potesse essere dimostrato un loro coinvolgimento, anche indiretto, rischiano pesantissime sanzioni il procuratore sportivo, l' allenatore, e soprattutto il medico della squadra. Per quest' ultimo, ritenuto particolarmente responsabile sia penalmente che deontologicamente della tutela della salute e della correttezza dell' atleta, viene espressamente cotemplata addirittura l' interdizione dalla professione.
L' indicazione espressa dalla legge è stata ripresa dall' attuale Codice Deontologico, all' articolo 76.

Il tentativo di procurarsi sostanze dopanti attraverso canali paralleli, in modo da non dover stilare e presentare ricette in farmacia, costituisce poi specifica fattispecie di reato, previsto al comma 7 dello stesso articolo: "Chiunque commercia i tali farmaci attraverso canali diversi dalle farmacie autorizzate, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni".

Inoltre è stato stabilito che anche le preparazioni galeniche, officinali o magistrali che contengono i principi attivi appartenenti alle classi farmacologiche vietate siano prescrivibili solo dietro presentazione di ricetta medica non ripetibile. Questa ricetta deve essere conservata (in originale) dal farmacista per sei mesi. La norma è finalizzata, evidentemente, ad impedire la prescrizione o la commercializzazione "ufficiosa" e mascherata di tali sostanze ).

La posizione del medico coinvolto in pratiche di doping è, come abbiamo detto, particolarmente delicata in quanto, oltre alle eventuali sanzioni penali e alle aggravanti connesse, rischia anche un provvedimento disciplinare dalle pesanti conseguenze per violazione dell'art. 76 del Codice Deontologico il quale vieta espressamente al medico di consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti dopanti.
Attenzione!
Non è proibita solo la prescrizione o la somministrazione, ma anche il "consiglio", inteso come assistenza professionale nella scelta del tipo di sostanza, dei tempi e modi di somministrazione, dei modi di elusione dei controlli, insomma ogni partecipazione attiva alla pratica del doping.
Medico avvisato….

Daniele Zamperini Pubblicato in forma ridotta su Tempo Medico, giugno 2002

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Responsabilità del ginecologo per mancata diagnosi di malformazione del nascituro
(Cassazione Sez. III Civile, n. 6735, del 10 Maggio 2002)

I FATTI:
M.G.M. e F.M. convenivano in giudizio il ginecologo prof. C.G. chiedendo il risarcimento dei danni in seguito alle malformazioni di cui era affetto il loro figlio M.
Questi era nato affetto da sindrome di Apert, caratterizzata da alterazioni del cranio e da sindattilia a mani e piedi. Tale malformazione, a detta dei genitori, avrebbe potuto essere rilevata dal ginecologo in corso di esami ecografici ma non lo era stato, e questo aveva impedito alla donna di interrompere la gravidanza in corso.
La Corte esprimeva una serie di considerazioni:

- La responsabilità del ginecologo derivava da inadempimento ad una obbligazione di natura contrattuale (rilevare le condizioni del feto e formulare la corrispondente diagnosi impiegando in ciò diligenza e perizia).
Tale inadempimento espone il medico a responsabilità per i danni che ne derivano a norma dell'art. 1218 del codice civile.

- Non possono essere attribuiti all' inadempienza del medico (secondo giurisprudenza consolidata) i danni che sarebbero stati in ogni caso inevitabili; tuttavia nel caso in oggetto assumeva rilievo in sede di giudizio sul nesso causale, a detta della Corte, la possibilità della madre di esercitare il suo diritto a una procreazione cosciente e responsabile interrompendo la gravidanza.

- La Corte riscontrava un danno ed un inadempimento anche nei confronti del padre in quanto egli assumeva delle obbligazioni verso il figlio, obbligazioni che avrebbero potuto essere evitate in seguito ad un diverso svolgimento dei fatti (come nel caso di una interruzione di gravidanza). A causa di queste obbligazioni contratte verso il figlio, il medico diveniva responsabile anche dei danni immediati e diretti che potevano derivare anche al padre dal suo comportamento colposo, e ne era tenuto al risarcimento.

- La Corte precisava inoltre che la madre, pur informata, poteva in effetti anche decidere di non interrompere la gravidanza, però il fatto che fosse stata sottratta alla donna la possibilità di scegliere si qualificava come inadempimento e giustificava il diritto al risarcimento dei danni che ne sono derivati.

Il Tribunale di I Grado e la Corte d'Appello di Perugia avevano accertato, in seguito a Consulenza Tecnica d'Ufficio, che la sindrome di Apert non possa essere diagnosticata nel corso delle prime dodici settimane di gestazione; anche nel successivo corso della gravidanza, mediante esami ecografici più ravvicinati di quelli fatti (ed esplicitamente mirati alla ricerca di eventuali malformazioni fetali) sarebbe stata possibile solo pervenire a una generica diagnosi di alterazioni craniche e degli arti, ma non ad un riconoscimento preciso di Sindrome di Apert.

In conclusione, quindi, la Corte aveva ritenuto che il professionista sarebbe stato in grado, con gli strumenti a sua disposizione all'epoca dei fatti, di rilevare la presenza di malformazioni del feto e non lo aveva invece fatto.

In particolare viene sottolineato come la diagnosi non avrebbe potuto essere formulata al momento della prima indagine ecografia fatta dal ginecologo alla undicesima settimana di gestazione ma avrebbe potuto essere ipotizzata una generica presenza di malformazioni da indagine eseguita quattro mesi dopo, potendosi quindi arrivare a una generica diagnosi di alterazioni craniche e degli arti anche se non a una diagnosi precisa di sindrome Apert.
Il fatto però che si potesse o no formulare con sicurezza una diagnosi precisa di sindrome di Apert non acquista rilevanza ai fini dell'accertamento di responsabilità del professionista: importa, secondo la Corte, che egli non abbia rilevato malformazioni che esistevano e così si sia messo nelle condizioni di non poter delineare alla sua cliente l'ipotesi che a tali malformazioni corrispondesse un quadro patologico come eventualmente quello appunto in oggetto.
La sussistenza di tali anomalie avrebbe potuto infatti consentire alla donna l'interruzione della gravidanza anche oltre il limite dei 90 giorni in quanto è espressamente previsto dalla legge, che le "rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro" possano gravemente influire sulla salute psichica della donna la quale sarebbe stata quindi legittimata a chiedere (ed a ottenere) il consenso medico all'interruzione di gravidanza, qualora adeguatamente informata.

Quindi la questione si accentrava sul fatto che la donna, se convenientemente informata, avrebbe potuto chiedere l' IVG.
La difesa opponeva, tra le altre cose, che non era dimostrato che la donna, anche se informata, avrebbe effettivamente richiesto tale IVG, potendosi ipotizzare che avrebbe potuto prendere una decisione diversa.
La Corte ha affermato sull' argomento un principio importante: la circostanza che la Legge consenta alla donna di interrompere la gravidanza in caso di anomalie e malformazioni del nascituro, rende legittimo per il Giudice assumere come normale e quindi corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata della malformazioni del feto.
In altri termini, poiché la Legge consente alla donna di abortire qualora sia informata di eventuali malformazioni fetali, ciò fa sì che il Giudice debba presumere che la donna, qualora informata, avrebbe scelto tale linea di condotta.

La difesa eccepiva anche il fatto che, allorché la malformazione fosse stata individuata, l' IVG non sarebbe stata possibile in quanto ciò sarebbe accaduto in epoca di gravidanza avanzata, allorché il feto sarebbe stato capace di vita autonoma. Su questo punto la Corte sottolineava che, in tema di responsabilità contrattuale, tra la donna che chiede il risarcimento dei danni derivatile dal non aver potuto esercitare il suo diritto ed il medico che sostiene che il danno non sia derivato da suo inadempimento perché la donna non avrebbe comunque potuto interrompere la gravidanza, alla donna spettava provare i fatti costitutivi del diritto, al medico i fatti idonei ad escluderlo: ma l' affermazione presentata alla Corte, che il feto sarebbe stato capace di vita autonome, era invece stata provata, in sede di giudizio, dal convenuto.

In conclusione la Corte ha ritenuto che il ginecologo fosse stato inadempiente dal punto di vista della corretta informazione in quanto rimaneva presumibile che la donna, qualora informata, avrebbe potuto chiedere l'interruzione di gravidanza; che la mancanza di tale informazione aveva invece consentito la nascita di un bambino affetto da malformazioni che l'avrebbero obbligato all'assistenza continua per tutta la vita; che tale situazione si ripercuoteva negativamente su entrambi i genitori sia dal punto di vista dello stress psichico che degli adempimenti economici correlati; che tale danno ingiusto era stato giustamente liquidato dalla Corte d'Appello nella somma, valutata in via equitativa, di circa 700 milioni.
La Corte quindi confermava la condanna del ginecologo e l'obbligo di risarcimento dei danni.

Daniele Zamperini

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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di aprile-maggio-giugno 2002

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 19.07.2002. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO
DI DOCUMENTO
TITOLO DI CHE TRATTA?
25.06.02 147 Decreto del Ministero della salute Disposizioni di principio sull'organizzazione e sul funzionamento dei servizi per le tossicodipendenze delle aziende unità sanitarie locali - Ser.T, di cui al decreto ministeriale 30 novembre 1990, n. 444 ...........
21.06.02 144 Accordo della Conferenza permanente Stato-Regioni Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento di linee-guida per il trapianto renale da donatore vivente e da cadavere E' riportata la linea-guida
19.06.02 142 Decreto del Ministero della salute Modifica dell'autorizzazione all'immissione in commercio delle specialità medicinali contenenti metadone cloridrato E' riportato, in forma integrale, il riassunto delle caratteristiche del prodotto
15.06.02 139 Legge 112 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, recante disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture Da segnalare l'articolo 3 (Razionalizzazione del sistema dei costi dei prodotti farmaceutici), 4 (Concorso delle regioni al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica) e 4-bis (Finanziamento della spesa sanitaria)
27.05.02 122 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Linee guida sui criteri di priorità per l'accesso alle prestazioni diagnostiche e terapeutiche e sui tempi massimi di attesa ...........
17.05.02 119 Decreto del Ministero della salute Modificazione dell'autorizzazione all'immissione in commercio delle specialità medicinali contenenti «Ketorolac trometamina» ...........
17.05.02 119 Decreto del Ministero della salute Attuazione della raccomandazione della Commissione europea del 18 aprile 2001, n. 2001/337/CE, relativa ad un programma coordinato di controllo ufficiale dei prodotti alimentari per il 2001 ...........
17.05.02 114 Deliberazione del Senato della Repubblica Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, nonchè sulle cause dell'incendio sviluppatosi tra il 15 e il 16 dicembre 2001 nel comune di San Gregorio Magno ...........
13.05.02 110 Circolare del Ministero della salute Programma nazionale per la formazione continua - ECM ...........
08.05.02 106 Decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca Assegnazione alle università delle borse di studio per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione nell'anno accademico 2001/2002 ...........
27.04.02 98 Decreto del Ministero della salute Estensione ad alcuni uffici sanitari dell'autorizzazione a praticare la vaccinazione contro la febbre gialla Contiene anche l'elenco completo dei centri autorizzati (allegato)

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