Giugno
2001

"PILLOLE"
DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate
da
- SIMG-Roma
 
-A.S.M.L.U.C.
-eDott.it  

  Periodico di aggiornamento medico e varie attualita' a cura di: 
Daniele Zamperini dzamperini@bigfoot.com, Amedeo Schipani mc4730@mclink.it, Raimondo Farinacci raimondo.farinacci@tin.it
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm e su www.edott.it Il nostro materiale e' liberamente utilizzabile per uso privato. Riproduzione riservata.


INDICE GENERALE

  PILLOLE

- Ozono, le due facce di una medaglia 
- Utile la terapia eradicante anche nei sanguinamenti da aspirina
- Il pene piccolo e l' intervento chirurgico 
- Eritropoietina utile nella terapia dell' ictus
- Quanto puo' sopravvivere un seme?
- Sicurezza stradale e alcool, un problema antico
- Il vino riduce il rischio generico di morte
- Trattamento con insulina dell' intossicazione da calcio-antagonisti
- Utilita' della sertralina nel disordine da stress post-traumatico (PTSD)
- Le visite di gruppo migliorano il controllo metabolico nel diabete di tipo 2
- Statine utili nella prevenzione della trombosi venosa profonda
- Esperienze dei familiari sull’autopsia
- Autopalpazione utile o dannosa nello screening del carcinoma mammario?
- Carvedilolo e insufficienza cardiaca cronica severa

 

  NEWS  

1: Il Viagra (sildenafil) utile nell’ipertensione polmonare
2: Il Consumo di pesce può prevenire il cancro della prostata?
3: Nuova cura genetica per l’emofilia
4: Nuovo test per la malattia di Lyme
5: Impatto della terapia con interferone sulla cirrosi Epatite C correlata

  

APPROFONDIMENTI

- I problemi della nuova normativa sui famaci stupefacenti (Legge 8/2/2001 n. 12 G.U. n. 41 del 19/2/2001) (di D.Zamperini)

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita da D.Z. per l' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

- Il danno biologico definito dalla legge 5 marzo 2001 N.57 e dal D.L. 23 febbraio 2000 N. 38 e’ identico al danno biologico definito dalla sentenza 184/1986 della Corte Costituzionale? 
(di Angelo Fiori)

- Non viola la privacy raccogliere informazioni personali mediante cookies (Tribunale di New York)
- I maltrattamenti  sul lavoro equivalgono a quelli familiari  (Sentenza)

SCRIPTA MANENT

Segnaliamo un libro di Achille Martorelli, collega e amico "internettiano" dal titolo "L' arto fantasma e altri racconti". Il libro (una fiaba allegorica su un bambino dotato di una "gamba fantasma") gode di lusinghiere recensioni e di una presentazione di Francesco Pionati. Il ricavato dall' acquisto del volume (costo lire 20.000) verra' devoluto dall' Autore per un 'opera benefica in Burkina Faso (ospedale per i malati di lebbra). Per acquistarlo chiedere all'autore ( acmartor@libero.it   )o  all'editore : Alberti & C. editori -0575353532. 


Pillole di buonumore
Oggi: "Galateo della Rete" di E. Postnews, massima autorita' in fatto di netiquette, terza parte-(Da "Insieme" www.romanelmondo.com).

Cara Emily, ho appena letto una richiesta di informazioni da parte di qualcuno e anch'io sono interessato a conoscere la risposta: come mi devo comportare?

R: Invia senza indugio alcuno un 'follow-up' (ovvero una replica) al messaggio avendo cura di citare nel corpo della tua replica l'intero testo della domanda: in calce aggiungi le parole "Anch'io!!!" Devi spedire una replica analoga anche se qualcuno ha gia' inviato un follow-up di questo tipo: abbi solo cura di mettere tante 'o' quanti sono i follow-up che ti hanno preceduto. Ti faccio un esempio: se ci sono gia' sei richieste, in fondo al tuo messaggio devi aggiungere le parole "Anch'ioooooo!!!" Naturalmente non dimenticare di inserire la tua firma completa. Certo, potresti inviare una e-mail a colui che ha posto per primo la domanda chiedendogli di mandarti una copia delle risposte che ricevera', ma cosi' facendo imbratteresti solo la sua casella postale elettronica ed eviterai a coloro che risponderanno alla domanda il gradevole e leggiadro compito di spedire le copie a tutti i vari "Anch'io!!!"


PILLOLE

Ozono, le due facce di una medaglia

In questi ultimi anni e' molto aumentato l'interesse verso l'ozono (O3, ossigeno triatomico) con aspetti tuttavia ambivalenti, in quanto l' ozono viene considerato, alternativamente, un amico o un nemico.
Infatti aumentano le preoccupazioni per lo strato di ozono dell'alta atmosfera, quella compresa tra i 15 e i 30 Km. di quota che protegge il globo terrestre e la vita biologica dai raggi ultravioletti solari e che viene progressivamente erosa da una serie di inquinanti atmosferici soprattutto in corrispondenza del Polo sud, dove si e' verificato il famoso buco che tende progressivamente ad allargarsi. La diminuzione di questa fascia di ozono favorisce l'insorgenza nell'uomo di forme eritematose ma anche di melanomi, cataratte, ecc. La molecola di ozono infatti e' capace di bloccare i raggi ultravioletti solari in quanto, colpita da tali raggi, si spezza in due dividendosi in O2 (ossigeno molecolare e O (ossigeno atomico). I raggi ultravioletti vengono bloccati da questo procedimento, che ne assorbe l' energia.
Successivamente, attraverso nuove reazioni chimiche a cui partecipano altri componenti (come l'azoto), dall'ossigeno atomico e da quello molecolare si riforma l'O3 (ozono).
Effetto negativo hanno i clorofluorocarburi come quelli utilizzati per esempio come propellenti per aerosol in quanto i raggi ultravioletti spezzano le molecole di CFC liberando cloro che si combina con una molecola di ozono sottraendo ad esso un atomo di ossigeno. In questo modo la molecola di ozono (O3) torna ad essere una normale molecola di ossigeno molecolare (O2) non in grado di bloccare i raggi ultravioletti solari. Il cloro, dopo aver catturato l'atomo di ossigeno lo ricede a un altro ossigeno atomico ricostituendosi come cloro libero e formando ossigeno molecolare. Il cloro libero ricomincia il processo sopradescritto.
In questo processo a catena ogni molecola di cloro puo' arrivare a distruggere fino a 30-40mila molecole di ozono. Per questo motivo i propellenti a base di CFC sono stati sostituiti da altri prodotti come l'idrofluoroalcani (HFA) che non hanno effetti distruttivi sull'ozono stratosferico.
E' da sottolineare come i CFC sono in grado di sopravvivere in stratosfera anche oltre cento anni continuando a degradare inesorabilmente l'ozono.
L'altra faccia dell'ozono e' quella invece costituita dall'ozono "cattivo", quello aggressivo per l'apparato respiratorio, che colpisce coloro che vivono soprattutto in citta' soleggiate e con intenso traffico veicolare. Il problema e' meno conosciuto rispetto a quello di altri inquinanti atmosferici in quanto le ricerche in tale settore tendono ad essere effettuate nei paesi nordici, ove gli inquinanti sono di altro genere (SO2), mentre l'ozono come abbiamo detto tende a svilupparsi in zone soleggiate mediterranee apparentemente non inquinate e quindi poco studiate da questo punto di vista.
L'ozono inquinante e' stato studiato in California in quanto questo agente chimico costituisce lo smog fotochimico detto comunemente "smog di Los Angeles".
Ma come si forma l'ozono al suolo?  Si tratta di un inquinante cosiddetto "secondario" dal momento che deriva dalla trasformazione, per azione degli UV solari del biossido d'azoto (NO2) immesso in atmosfera dagli scarichi dei veicoli a motore. Poiche' la formazione di ozono necessita, oltre che dalla presenza di idrocarburi, anche di radiazioni solari ne deriva che la sua concentrazione nelle citta' soleggiate si verifica soprattutto in tarda mattinata e nel primo pomeriggio.
Viene a essere maggiormente soggetto a rischio quindi chi circola a piedi o in automobile in queste ore rimanendo magari a lungo imbottigliato nel traffico. All'effetto flogistico diretto dell'ozono sulle vie aeree occorre aggiungere l'effetto cosiddetto "priming", di incremento della permeabilita' delle mucose con conseguente facilitato passaggio di allergeni nella sottomucosa che possono interagire con le cellule infiammatorie.
Bisogna quindi considerare l'ozono come un Giano bifronte che da un lato protegge la nostra pelle ma da un altro lato puo' danneggiare il nostro apparato respiratorio.
(D.Z. Fonte:  "Aria Ambiente Salute" anno 4, n.1 - Febbraio 2001 - pag. 26-27).

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Utile la terapia eradicante anche nei sanguinamenti da aspirina

Alcuni ricercatori di Hong Kong hanno studiato quei soggetti che, essendo stati affetti da ulcera ed essendo pure cardiopatici, assumono acido acetilsalicilico o altri antiaggreganti piastrinici con conseguenti episodi di sanguinamento. Questi soggetti vengono comunemente trattati con Omeprazolo o altri inibitori di pompa protonica in quanto farmaci riconosciuti idonei alla prevenzione secondaria delle emorragie da FANS.
Gli studiosi cinesi hanno voluto esaminare l'efficacia di una eventuale terapia eradicante l'H.P. nei soggetti che, appartenendo a tale categoria, risultassero portatori di tale infezione. Hanno esaminato 400 pazienti con storie di sanguinamento gastroenterico, confermata con esame endoscopico e che avevano un reperto istologico di infezione da H.P. Questi soggetti assumevano sistematicamente acido acetilsalicilico o altri fans. Dapprima e' stata trattata l'ulcera con una terapia a base di Omeprazolo fino a cicatrizzazione; poi veniva di nuovo somministrato acido acetilsalicilico o Naprossene a dosi antiaggreganti. Venivano poi randomizzati per una terapia protettiva a base di Omeprazolo per sei mesi oppure una terapia eradicante a base di tetraciclina, metronidazolo e subcitrato di bismuto per una settimana, seguita da un placebo fino alla fine del sesto mese. I risultati hanno evidenziato che i soggetti che assumevano aspirina avevano una riduzione di rischio di emorragie analoga sia che fossero trattati con Omeprazolo che con la terapia eradicante; i pazienti trattati con altri FANS (Naprossene) invece avevano un beneficio 4 volte maggiore allorche' assumevano Omeprazolo rispetto alla semplice terapia eradicante.
E' possibile ipotizzare l'esistenza di una azione sinergica negativa sulla mucosa gastrica di H.P. e acido acetilsalicilico; tale azione non si verificherebbe pero' con altri fans.
I limiti di questo studio consistono essenzialmente nella mancanza di un gruppo di confronto trattato unicamente con placebo e dal fatto che la categoria "altri fans" era rappresentata dal solo Naprossene. Tuttavia si apre la possibilita' di trattare profilatticamente le emorragie gastriche da acido acetilsalicilico con una terapia eradicante che viene a essere breve e molto meno costosa di una terapia prolungata con inibitori di pompa protonica.

(D.Z. Fonte: N.E.J.M. 2001;344:967-973)


Il pene piccolo e l' intervento chirurgico

E’ molto frequente in ambiente andrologico la richieste di ingrandimento chirurgico di un pene ritenuto troppo piccolo. Questa richiesta e’ spesso indipendente dall’effettiva lunghezza dell’organo genitale che all’esame clinico puo’ apparire nei limiti della norma. E’ ovvio che tali pazienti siano affetti da un disturbo psicologico di stampo fobico-ossessivo centrato sulla dismorfofobia genitale. I testi di andrologia valutano normale le dimensioni del pene eretto dai 10 cm. in su anche se alcuni autori arrivano a definire normale il pene fino a 7 cm.
E’ ovvio che l’approccio chirurgico non e’ indicato in soggetti aventi genitali di dimensioni maggiori; risulta inoltre alquanto discutibile di per se’, in quanto si dovrebbe privilegiare un approccio psicoterapeutico. Puo’ esistere pero’ una percentuale di pazienti in cui la tale psicoterapia puo’ risultare inefficace; possono esistere inoltre soggetti che lamentino difficolta’ relazionali anche dopo la psicoterapia, sempre attribuendole alle dimensioni del pene.
Un équipe chirurgica e’ percio‘ intervenuta su tre popolazioni di pazienti adulti che avevano indicazione ad un intervento sul pene: soggetti con pene curvo congenito, con morbo di La Peyronie, pazienti dismorfofobici trattati con successo mediante psicoterapia. E’ stata valutata la loro relazionalita’ con l’altro sesso prima e dopo la chirurgia mediante un colloquio sessuologico.
I sedici pazienti affetti da pene curvo congenito sono stati sottoposti ad intervento di raddrizzamento del pene; i settanta pazienti affetti da morbo di La Peyronie sono stati sottoposti ad intervento di raddrizzamento del pene secondo Naisbit; 22 pazienti affetti da dismorfofobia genitale sono stati sottoposti, dopo il ciclo di psicoterapia, a sezione del legamento sospensore del pene e falloplastica di ampliamento. L’allungamento medio e’ risultato di 1,3 cm. con un aumento di circonferenza di 1 cm. E’ stata valutata la soddisfazione dell’intervento e la modificazione della relazionalita’ con l’altro sesso.
L’ esame dei risultati ha evidenziato che i pazienti affetti da pene curvo congenito, pur dimostrandosi contenti dell’intervento dal punto vista estetico, non hanno modificato il proprio modo di relazionarsi con l’altro sesso mantenendo le difficolta’ relazionali recedenti. Altrettanto dicasi per i pazienti affetti dal morbo di La Peyronie: malgrado il successo chirurgico ed estetico del raddrizzamento il modo di porsi con l’altro sesso non era modificato. Differente invece e’ stato l’effetto della chirurgia sui pazienti affetti da dismorfofobia e gia’ sottoposti con successo a terapia psicologica. Ben 18 hanno modificato in positivo il proprio accesso con l’altro sesso nel senso di una maggiore disinvoltura nel proporsi. Da qui si rileva come l’efficacia della psicoterapia sia stata fondamentale in questi soggetti; si rileva inoltre come l’effettivo aspetto dei genitali non incida che in minima parte sulla relazionalita’ dei pazienti quando non sia supportato da una adeguata autostima. E’ ovvio che il ruolo che il maschio da’ alle dimensioni dei propri genitali nel successo della sua vita di relazione va quantomeno ridimensionato

Daniele Zamperini. Fonte:  Rivista di Sessuologia - vol. 24 - n.3 - Luglio-Settembre 2000 – pag. 243-245

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Eritropoietina utile nella terapia dell' ictus

L'eritropoietina, fattore di crescita ematopoietico, e' da lungo tempo usata con successo per curare l'anemia, soprattutto in soggetti nefropatici cronici o dializzati. Diversi studi su animali avevano evidenziato come  l'eritropoietina avesse anche un'azione neuroprotettiva, non solo nel danno ischemico ma anche in quello traumatico e infiammatorio, anche senza poterne chiarire le basi fisiopatologiche.
I ricercatori hanno proseguito le ricerche sull'animale provocando una occlusione dell'arteria cerebrale media e una conseguente ischemia cerebrale dopo l'iniezione di 5000 unita' pro/Kg di eritropoietina. Il gruppo di ratti trattati veniva confrontato con un gruppo equivalente di ratti non sottoposti a trattamento farmacologico preventivo. Rispetto al gruppo di controllo gli animali trattati col farmaco presentavano un'area ischemica cerebrale piu' piccola del 75% rispetto ai controlli ed era anche ridotto sensibilmente il numero di neuroni positivi per il DNA danneggiato. L'eritropoietina proteggerebbe quindi i neuroni dall' apoptosi attivando vie genetiche o metaboliche (attivazione di proteinchinasi specifiche) e attraverso un'attivita'  neurotrofica intrinseca.
Questi dati indicherebbero come l'eritropoietina possa essere usata con successo nel trattamento dell'ischemia cerebrale acuta. Per tale motivo sono in corso studi su soggetti umani affetti da ischemia cerebrale e sottoposti a trattamento con EPO.
(Proc. Nat. Acad. Sci. 2001;98:4044 -4049 - Citato da "Tempo Medico" 26 Aprile 2001)

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Quanto puo' sopravvivere un seme?

E' tuttora in corso negli Stati Uniti uno dei piu' lunghi esperimenti di biologia vegetale effettuati nel mondo. Nel 1879 sono state preparate dal botanico Willam Beal 20 bottiglie ermeticamente sigillate contenenti sabbia umida e i semi di 20 diverse piante infestanti. Il botanico si chiedeva quanto potessero rimanere vivi e germoglianti tali semi. Aveva scelto per questo esperimento alcune piante particolarmente resistenti e infestanti che si rivelavano immuni ad ogni trattamento diserbante. Le bottiglie erano state sigillate e sepolte a testa in giu' e ogni 5 anni ne veniva dissotterrata una e il suo contenuto veniva seminato su suolo sterile.
L'intervallo di tempo dell'apertura delle bottiglie (inizialmente di 5 anni) veniva poi allungato a 10 e a 20 anni; infatti tuttora il contenuto di queste bottiglie continua a produrre piante vive e vitali.
La bottiglia aperta nell'anno 2000 ha permesso ancora la crescita di una dozzina di pianticelle della specie verbascum e una piccola malva. Le bottiglie non sono ancora terminate: si prevede che l'ultima verra' aperta nel 2100, tuttavia gli scienziati si sono gia' resi conto che i semi sono capaci di sopravvivere per tempi molto lunghi, in stato quiescente, e riattivarsi con piena vitalita' quando le condizioni ambientali gliene offrono l'occasione.
Questo esperimento pone una conferma indiretta dati esperimenti effettuati con semi provenienti da antiche tombe o da antichi manufatti che hanno permesso la nascita di piantine dopo uno stato di quiescenza durato addirittura secoli.
E' presumibile percio' che tutti i terreni, sia desertici che boschivi, costituiscano in realta' una sorta di "banca del seme" di organismi pronti a crescere nel momento piu' adatto. Certamente e tuttavia l'esperimento in corso non permettera' di stabilire il limite massimo di sopravvivenza.
(D.Z. Fonte: "Scienze" 291:1884, 2001)

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Sicurezza stradale e alcool, un problema antico

"I progressi della biochimica permettono oggi di determinare la quantita' di alcool introdotta nell'organismo operando su piccolissime quantita' di sangue. Merce' microdosaggi effettuati secondo i metodi di diversi autori e' oggi possibile determinare rapidamente e con notevole esattezza le concentrazioni di alcool nel sangue: anche a distanza di parecchie ore dall'ingestione piu' o meno abbondante di bevande alcoliche ….. fin dal 1926 in Svizzera l'Istituto di Medicina Legale dell' Universita' di Zurigo si occupo' di tale questione; recentemente approfittando dell'autonomia legislativa cantonale i Cantoni di Vaud e di Berna e di hanno dato facolta' al Magistrato e all' Ufficiale di Polizia di ordinare ad un medico il prelevamento di una piccola quantita' di sangue nelle persone sospette di ubriachezza che abbiano partecipato in qualita' di autori o di vittime ad un infortunio stradale. Il prelevamento deve essere fatto al piu' presto possibile dopo l'infortunio; si sa pero' che anche nelle 24 ore successive a una soverchia libazione la diagnosi di ubriachezza con la determinazione della concentrazione dell'alcool nel sangue e' resa possibile con semplici accorgimenti tecnici. I prelevamenti di sangue devono essere fatti da medici autorizzati e naturalmente con tutte le regole dell'arte sempre che cio' non sia nocivo alla salute del soggetto … Oltre al sussidio che possono fornire tali prove al Magistrato inquirente e' da considerare anche l'efficacia preventiva che dovra' avere il timore, specialmente per chi conduce automobili, di essere riconosciuto ubriaco in caso di infortunio: il che come e' ovvio aggrava il reato. Non e' poi da credere che nelle persone appartenenti alle classi piu' ricche l'ubriachezza sia rara; nell'America del Nord si sono dovuti lamentare molto spesso numerosi infortuni stradali dopo grandi bevute collettive di liquori (cocktail party). ("Sapere", 31 Gennaio 1936 pag.64).
[Commento: L' articolo qui riportato, a parte qualche sottigliezza linguistica, potrebbe essere stato scritto in epoca attuale, tanto moderni sono i concetti espressi in esso. E' incredibile e inconcepibile comunque osservare come tali procedure, ampiamente note e attuabili addirittura negli anni '30, siano rimaste lettera morta in Italia fino agli anni 90, con tutte le migliaia di morti che ne sono conseguiti. D.Z.]

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Il vino riduce il rischio generico di morte

E' ben noto come gli alcolici siano stati alternativamente esaltati o demonizzati. L'abuso di alcolici e' ritenuto in molti Paesi un flagello sanitario ed era considerato fino a pochi decenni fa come la causa principale delle cirrosi epatiche e delle malattie epatiche in genere. L'alcool inoltre favorisce le morti accidentali ed i suicidi. Non e' stato pero' studiato se i vari tipi di alcolici si differenzino tra loro nel portare sia i benefici che i rischi riferiti. Sono stati percio' studiati circa 25 mila pazienti tra uomini e donne, di eta' compresa tra i 20 e i 98 anni indagando nelle abitudini alimentari e seguendone il follow-up. Nel corso dell'osservazione sono deceduti circa 5000 soggetti; l'analisi dei dati ha evidenziato come i moderati bevitori di bevande alcoliche: birra, liquori, super alcolici in genere (escluso il vino)  presentavano un rischio relativo di morte pari a 0,90 rispetto ai non bevitori. L'assunzione di modiche quantita' di vino riduceva questo tasso di rischio a valori ancora inferiori pari allo 0,66. A questa diminuzione di rischio corrispondeva una parallela diminuzione dei casi di coronaropatia e di malattie neoplastiche.
Gli autori concludono percio' che l'assunzione di modeste quantita' di vino comporta una riduzione del rischio generico di morte nonche' del rischio specifico di malattie cardiovascolari o neoplastiche.
D.Z. Fonte: Ann Intern Med. 2000;133:411-9

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Trattamento con insulina dell' intossicazione da calcio-antagonisti

I calcio-antagonisti, in dosi eccessive, possono essere causa di intossicazione potenzialmente letale. La manifestazione clinica più importante dell’overdose con questi farmaci e' legata direttamente alla sua indicazione terapeutica ed e' costituita da ipotnsione grave.
La terapia convenzionale di questa overdose consiste nella somministrazione endovenosa di liquidi, calcio, farmaci vasopressori (dopamina, dobutamina, etc), con risultati non sempre positivi. Gli autori di questa pubblicazione hanno trattato in modo nuovo due pazienti in condizione di intossicazione acuta da calcio-antagonisti mediante somministrazione di insulina in dose tale da non indurre ipoglicemia ma una condizione di "iperinsulinemia euglicemica".
Il primo soggetto aveva sviluppato ipotensione e bradicardia dopo aver ingerito 12 compresse di amlodipina di 2.5 mg. Il secondo caso aveva ingerito una quantità imprecisata di diltiazem. Entambi i soggetti non avevano risposto al trattamento convenzionale effettuato al Pronto Soccorso.
Veniva praticata, in entrambi i soggetti, una infusione di insulina alla dose di 0.5 U.I./Kg/ora. Nonostante l’alta dose di insulina ricevuta, la prima paziente non ha necessitato di glucosio supplementare EV, mentre tale somministrazione (al 10%, 100 ml/ora) e' stata necessaria nel secondo paziente. L’infusione di insulina ha risolto con successo e rapidamente l’ipotensione e la bradicardia nei due pazienti.
Non e' chiaro il meccanismo con cui la terapia insulinica risolve l’instabilità emodinamica indotta dai calcio-antagonisti non è stato definito. Si ritiene che l’insulina abbia un effetto inotropico positivo a livello cardiaco e aumenti la resistenze vascolari periferiche, in quanto promuove l’assunzione di glucosio da parte dei miociti e delle cellule muscolari lisce. Il rischio dell' ipoglicemia secondaria e' facilmente risolvibile con la somministrazione di glucosio e.v.

D.Z. : N Engl J Med, 2001; 344:1721-2

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Utilita' della sertralina nel disordine da stress post-traumatico (PTSD)

Il disordine da stress post-traumatico si associa generalmente ad una significativa disabilita'. Si e' voluto indagare l' efficacia del trattamento con sertralina a confronto con placebo, in uno studio multicentrico in doppio cieco della durata di 12 settimane.. Sono stati randomizzati 208 pazienti con forma moderata o severa, valutata con una serie di scale (CAPS-2, IES, CGI-S, CGI-I).
L' analisi dei risultati ha evidenziato un significativo vantaggio della sertralina rispetto al placebo; la sertralina si e' inoltre mostrata ben tollerata, con il 9% di interruzioni del trattamento secondarie ad effetti collaterali, rispetto al 5% del placebo. Gli effetti collaterali consistevano essenzialmente in insonnia, diarrea, nausea, inappetenza.
Gli autori concludono che la sertralina si e' mostrata utile, efficace e ben tollerata nel trattamento della sindrome da stress post-traumatico.
Arch Gen Psychiatry. 2001;58:485-492

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Le visite di gruppo migliorano il controllo metabolico nel diabete di tipo 2

Il controllo ottimale del diabete mellito richiede un approccio multidisciplinare, nell’intento sia di ottenere un controllo metabolico, sia di modificare lo stile di vita, sia di gestire i problemi medici intercorrenti. La maggior parte dei pazienti con diabete di tipo 2 non in terapia insulinica sono sottoposti a visite individuali, insieme con un supporto educazionale discontinuo, quando disponibile. Ciò provoca difficilmente modifiche comportamentali, in quanto le informazioni e le raccomandazioni ricevute durante le visite vengono recepite come contrastanti con le proprie abitudini e le proprie azioni quotidiane, pertanto vengono ignorate o dimenticate dai pazienti. Gli autori di questo lavoro (tutto italiano, N.d.R.) hanno voluto verificare se è possibile e utile sostituire le visite individuali con visite interattive di gruppo, come modalità principale di gestione dei pazienti diabetici ambulatoriali. Durante le visite di gruppo i pazienti beneficerebbero di una maggiore esposizione a tecniche di interazione, dinamiche positive, identificazione con gli altri membri. Le visite individuali potrebbero essere riservate al controllo delle complicanze e dei problemi medici intercorrenti.
E’ stato pertanto effettuato uno studio clinico randomizzato e controllato con 112 pazienti diabetici di tipo 2. Di questi pazienti, 56 sono stati suddivisi in gruppi di 9 o 10 persone che venivano sottoposte a visite periodiche di gruppo; gli altri 56, utilizzati come gruppo di controllo, sono stati sottoposti a controlli periodici individuali, più un supporto educazionale. Le visite hanno avuto una periodicità trimestrale, per una durata di due anni. Dopo due anni, i pazienti visitati in gruppo avevano, rispetto ai controlli, livelli di HbA1c più bassi (P = 0.002), colesterolo HDL più elevato (P = 0.045),  trigliceridi e indice di massa corporea più bassi (rispettivamente P = 0.053 e P = 0.06); inoltre erano migliorate la loro conoscenza del diabete (P = 0.001) e la loro qualità di vita (P = 0.001), e praticavano comportamenti più appropriati per la salute (P = 0.001). I medici avevano impiegato meno tempo per le visite di gruppo rispetto alle visite individuali, mentre i pazienti avevano avuto una interazione più prolungata con i loro operatori sanitari.
Conclusioni. Le visite di gruppo per pazienti diabetici di tipo 2 non in terapia insulinica sono praticabili nella pratica clinica quotidiana senza aumentare le ore di lavoro; in più, possono migliorare il controllo metabolico del diabete a breve termine, inducendo comportamenti più appropriati per la salute.
Diabetes Care, giugno 2001

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Statine utili nella prevenzione della trombosi venosa profonda

L’efficacia delle statine nella prevenzione delle patologie cardiovascolari può essere in parte dovuta alle loro proprietà antitrombotiche. Si conosce però ben poco riguardo agli effetti di questi farmaci sull’evoluzione della trombosi venosa profonda. Gli autori di questo lavoro hanno effettuato uno studio retrospettivo di coorte, per un periodo di otto anni, prendendo in considerazione tutta la popolazione residente dell’Ontario, Canada, di età superiore ai 65 anni; circa 1.4 milioni di persone. Sono stati esclusi i soggetti con storia documentata di aterosclerosi, tromboembolia o cancro nei 36 mesi precedenti l’arruolamento, come pure coloro ai quali era stato prescritto warfarin nei 12 mesi precedenti l’arruolamento. Sono state selezionate due coorti. Nella prima coorte, composta da 125.862 uomini e donne, sono stati distinti tre sottogruppi: soggetti in terapia con ormoni tiroidei, soggetti in terapia con statine, soggetti in terapia con farmaci ipocolesterolemizzanti non del gruppo delle statine (fibrati, niacina, resine sequestranti gli acidi biliari). La seconda coorte, composta da 89.508 donne, comprendeva anche un sottogruppo in terapia con estrogeni, oltre agli stessi sottogruppi della prima coorte. L’aggiunta di questo sottogruppo era dovuta al fatto che si prevedeva una associazione positiva tra estrogeni e trombosi venosa profonda. Risultati. Nella prima coorte, dopo aggiustamento per  vari fattori (età, sesso, precedente ospedalizzazione, cancro di nuova diagnosi, o prescrizione di aspirina, warfarin o estrogeni), i soggetti del gruppo statine hanno presentato una riduzione del rischio di trombosi venosa profonda rispetto al gruppo in terapia sostitutiva tiroidea: indice di rischio aggiustato = 0.78 (IC 95% = 0.69 – 0.87). Questa riduzione, rapportata al gruppo in terapia tiroidea sostitutiva, non si è avuta nel gruppo in terapia con farmaci ipolipemizzanti non del gruppo statine: indice di rischio aggiustato = 0.97 (IC 95% = 0.79 – 1.18). Nella seconda coorte, dopo aggiustamento per i vari fattori già enunciati, i soggetti del gruppo “estrogeni” hanno presentato un aumento del rischio di trombosi venosa profonda rispetto al gruppo “terapia tiroidea sostitutiva”: indice di rischio aggiustato = 1.16 (IC 95% = 1.01 – 1.33). Il gruppo “statine” ha presentato una riduzione del rischio di trombosi venosa profonda (indice di rischio = 0.68; IC 95% = 0.59 – 0.79). Il gruppo “ipolipemizzanti non statine” non ha presentato differenze nel rischio di trombosi venosa profonda rispetto al gruppo “terapia tiroidea sostitutiva”: indice di rischio aggiustato = 0.84; IC 95% = 0.63 – 1.12). Conclusioni. Nei soggetti selezionati di età uguale o maggiore di 65 anni le statine sono state associate ad una riduzione del rischio di trombosi venosa profonda del 22%. Si ritiene necessario un trial clinico randomizzato per valutare l’efficacia delle statine nella prevenzione primaria e secondaria della trombosi venosa profonda.
Archives of Internal Medicine, 11 giugno 2001

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Esperienze dei familiari sull’autopsia

Un’autopsia è certamente l’estremo mezzo per valutare la qualità dell’assistenza fornita. Le esperienze dei familiari dei soggetti sottoposti ad autopsia possono insegnare ai medici come gestire un’autopsia. Sette general practitioners (= medici di medicina generale) hanno preso contatto con alcuni familiari di soggetti sottoposti ad autopsia, chiedendo loro di collaborare con un’intervista sulle loro esperienze. L’intervista, effettuata da un intervistatore (non un general practitioner) esperto di eventi luttuosi e di counseling per il lutto, mediante un set di domande parzialmente strutturato, ha avuto luogo da 6 mesi a un anno dopo l’autopsia, nell’abitazione dei familiari. Complessivamente sono stati intervistati dodici parenti: sei partners, tre madri, un nipote e due sorelle. In un caso l’autopsia era stata richiesta dal giudice, in otto casi l’autopsia era stata richiesta dal general practitioner. E’ evidente che c’è spazio per migliorare la gestione dell’argomento “autopsia” da parte dei general practitioners. Il modo migliore per spiegarla è di paragonare l’autopsia ad una operazione chirurgica. Diversi familiari erano particolarmente preoccupati riguardo l’aspetto che i loro congiunti avrebbero avuto dopo l’autopsia. Molti parenti hanno riferito di essere stati rassicurati dai risultati dell’autopsia. E’ stata considerata molto importante la chiarezza sulle cause della morte. Infine, la rassicurazione sul fatto che essi non avevano trascurato eventuali sintomi importanti  ha aiutato molto i familiari nel corso del loro lutto.
Conclusioni. Richiedere un’autopsia è una delle cose più difficili da fare, in un momento molto difficile. I familiari vogliono una risposta a tre domande fondamentali: “C’è qualcosa che ho trascurato?”, “Come è potuto succedere questo?” e “Ci sono fattori ereditari che potrebbero avere conseguenze per il resto della famiglia?”. Il general practitioner è il professionista ottimale per discutere i risultati di un’autopsia con i familiari sopravvissuti. L’approccio migliore per il medico è un atteggiamento aperto, curando di fornire informazioni alla famiglia e di aiutarli nel loro dolore.
Family Practice, giugno 2001

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Autopalpazione utile o dannosa nello screening del carcinoma mammario?

L’autoesame della mammella  (BSE, da Breast Self Examination) è un metodo sistematico di autoispezione e autopalpazione della mammella e dell’ascella. Non ci sono evidenze conclusive su quale sia la tecnica più efficace, il metodo migliore per insegnarla e rafforzarla o la frequenza ottimale. La frequenza mensile, attualmente consigliata, non è stata stabilita con rigore scientifico. Questa tecnica è molto diffusa  tra le donne del Nordamerica come mezzo di screening non costoso e non invasivo per il cancro della mammella, inoltre è raccomandata dalle più importanti organizzazioni per il cancro.
Nel 1994 la
Canadian Task Force on the Periodic Health Examination, dopo aver esaminato la letteratura scientifica allora disponibile, concludeva che non c’erano evidenze sufficienti per pronunciarsi pro o contro l’utilizzo della BSE nello screening del cancro mammario (raccomandazione di grado C). Gli autori di questa review (Nancy Baxter con la Canadian Task Force on Preventive Health Care, che è il nuovo nome della precedente Canadian Task Force on the Periodic Health Examination) esaminano la letteratura pubblicata dal 1994 in poi e fanno raccomandazioni sul valore dell’insegnamento di routine della BSE in vari gruppi di età. Vengono esaminati due ampi trials randomizzati e controllati (uno cinese, il migliore, e l’altro russo), un trial quasi randomizzato, un grosso studio di coorte e parecchi studi caso-controllo. Nessuno degli studi esaminati ha dimostrato un beneficio derivante dalla regolare pratica della BSE o dell’insegnamento di questo, in confronto all’assenza della BSE. Per contro, c’è una buona evidenza di danno derivante dall’insegnamento della BSE, compresi un significativo aumento del numero di visite mediche per la valutazione di lesioni mammarie benigne e una frequenza significativamente aumentata di risultati benigni delle biopsie. Raccomandazioni. Per i gruppi di età dai 40 ai 49 anni e dai 50 ai 69 anni c’è una sufficiente evidenza di nessun beneficio, e una buona evidenza di danno; pertanto c’è una evidenza sufficiente per raccomandare che la tecnica della BSE non venga insegnata nel corso delle visite mediche periodiche in queste classi di età (raccomandazione di grado D). Per i gruppi di età sotto i 40 anni e sopra i 70 non ci sono evidenze sufficienti per fare raccomandazioni riguardo l’insegnamento della BSE. Peraltro, nelle donne di età inferiori ai 40 anni, essendo l’incidenza di cancro della mammella piuttosto bassa, il rischio di danni derivanti dall’insegnamento della BSE è ancora più probabile. Nota importante. Sebbene l’evidenza indichi che l’insegnamento routinario dell’autoesame della mammella non porti benefici, alcune donne chiederanno di apprendere la tecnica. In questo caso il medico discuterà con la donna i benefici e i rischi possibilmente derivanti dall’apprendimento della BSE e, se la tecnica viene insegnata, curerà che venga praticata in modo corretto.
In un editoriale dello stesso numero della rivista, dal titolo Is it time to stop teaching breast self-examination? (= E’ ora di smettere di insegnare l’autoesame della mammella?) l’autore, pur concordando con i risultati della review, mette in guardia riguardo le possibili reazioni delle donne, che per un trentennio sono state abituate a considerare l’autopalpazione come un valido strumento di screening e un mezzo per mantenere in parte il controllo sulla gestione della propria salute. Inoltre lo stesso autore ritiene che i 5 anni di follow-up dello studio migliore disponibile (quello cinese) sono un periodo troppo breve per spostare il grado di una raccomandazione da C a D.
Canadian Medical Association Journal, giugno 2001

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Carvedilolo e insufficienza cardiaca cronica severa

Si sa bene che i beta-bloccanti riducono il rischio di ricovero e la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca lieve e moderata, ma si sa poco riguardo i loro effetti nell’insufficienza cardiaca  di grado severo. Questo lavoro, un trial randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo, ha valutato 2289 pazienti con sintomi di insufficienza a cardiaca a riposo o per sforzi minimi, con una frazione di eiezione cardiaca inferiore al 25%. I pazienti sono stati seguiti per un periodo medio di 10.4 mesi, durante i quali hanno seguito la terapia standard per l’insufficienza cardiaca; in aggiunta, a 1133 pazienti è stato somministrato placebo, mentre agli altri 1156 è stato dato carvedilolo. Sono stati esclusi dal trial pazienti che presentavano marcata ritenzione idrica, o che erano in terapia con vasodilatatori per via endovenosa o con farmaci ad azione inotropa positiva. Risultati. Ci sono state 120 morti nel gruppo carvedilolo, contro 190 nel gruppo placebo. Ciò corrisponde ad una riduzione del rischio di morte del 35% nel gruppo trattato con carvedilolo rispetto al gruppo placebo (IC 95% = 19 – 48) un risultato significativo (P = 0.0014). Il numero complessivo dei ricoverati e dei morti nel gruppo placebo è stato di 507 pazienti, contro 425 nel gruppo carvedilolo. Ciò corrisponde ad una riduzione del 24% del rischio combinato di ospedalizzazione e morte per i pazienti del gruppo carvedilolo. Questi effetti favorevoli sono stati riscontrati in tutti i sottogruppi esaminati. Il numero di pazienti ritiratisi dalla sperimentazione per effetti avversi o per altri motivi è stato inferiore nel gruppo carvedilolo che nel gruppo placebo.
Conclusioni. I benefici, già riportati, del carvedilolo in relazione alla morbilità e mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca da lieve a moderata, sono stati riscontrati anche nei pazienti con insufficienza cardiaca severa valutati in questo trial.
New England Journal of Medicine, 23 maggio 2001

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Pillole di buonumore

Cara Emily, in quanto uomo vorrei sapere quale atteggiamento e' opportuno adottare nei confronti delle donne presenti sulla Rete.

R: Trattale come pupe da conquistare, che diamine! Tieni conto che le donne inviano messaggi solo per manifestare la propria disponibilita' sessuale. Ricorda: quelle che rifiutano le tue avances cercano solo di fare le difficili per rendere piu' eccitante il gioco. Se vuoi che sempre piu' donne si affaccino su Internet ricordati di inviare messaggi a sfondo esplicitamente sessuale a ogni donna che trovi nei vari newsgroup. Le donne impazziscono per queste cose, e senza dubbio vorranno conoscerti di persona. Poche cose eccitano una donna piu' di un esplicito invito sessuale proveniente da un perfetto sconosciuto che ignora tutto di lei tranne l'appartenenza al sesso femminile e la capacita' di interagire con la tastiera di un computer. E' una lusinga irresistibile e noi donne andiamo pazze per i giovanotti dai gusti cosi' raffinati.
Se ti capita di leggere su un newsgroup un messaggio di una donna che espone i propri problemi sessuali, non esitare a inviarle un'e-mail esplicita e libidinosa. Questo tuo gesto non fara' che incoraggiare sempre piu' donne a partecipare ai dibattiti nei vari newsgroup su un piano di parita' con i loro amici cibernauti maschi.
Non dimenticare infine che le donne sono meno intelligenti dei maschi e non capiscono nulla di tecnologia e computer. Trattale quindi con patenalistica condiscendenza evitando rigorosamente di usare termini tecnici. Segui questi miei consigli e vedrai svanire come neve al sole quella strana paura che sembra tenere le donne lontane da Internet.


NEWS 


Il Viagra (sildenafil) utile nell’ipertensione polmonare


La notizia giunge dal 3° Congresso Mondiale di Cardiologia Pediatrica.I ricercatori del Royal Brompton Hospital di Londra hanno usato il sildenafil in pazienti affetti da ipertensione polmonare resistente alla terapia convenzionale con prostacicline .I casi trattati sono 2 .Una bambina di 4 anni con ridotta gettata cardiaca, ipotensione sistemica ed elevata pressione polmonare trattata senza successo con ossido nitrico e prostacicline.
Il trattamento con 2 mg /Kg 4 volte al giorno ha ottenuto un immediato e sensibile miglioramento dei parametri dell’emogasanalisi con un aumento della percentuale di ossigeno nel sangue venoso del 10%.Le condizioni della piccola paziente sono progressivamente migliorate fino a consentire alla paziente dopo più di 2 anni di terapia con sildenafil di sospendere la terapia con ossigeno e prostacicline e di riprendere la deambulazione autonoma e la frequenza a scuola.
Il secondo paziente trattato è stato un uomo di 21 anni affetto da 3 anni da ipertensione polmonare con massiva dilatazione dei vasi polmonari e una pressione polmonare pari 128 mmHg.Dopo 5 mesi terapia con 100 mg di Viagra 5 volte al giorno il paziente ha potuto riprendere gli esercizi fisici aerobi.Il sildenafil agisce bloccando la 5-fosfodiesterasi presente sia a livello del pene che del polmone in quantità rilevanti ed in inducendo vasodilatazione per effetto miorilassante sulle cellule muscolari lisce de vasi.Il costo della terapia con Viagra anche a dosaggi inusuali come quelli riportati nella comunicazione è più basso del costo della terapia con prostacicline, d’altro canto gli autori dello studio affermano che pochi sono i casi di ipertensione polmonare che non rispondono alla terapia classica.
R.F.( Fonte Doctor’s guide)

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Il consumo di pesce può prevenire il cancro della prostata?

Uno studio condotto dal Karolinska Institut di Soccolma ,nel periodo compreso dal 1967 al 1997, su una coorte di 6.272 uomini residenti in una regione della Svezia con tradizionalmente alto consumo di pesci grassi come salmone , aringhe e maccarelli ha aggiunto nuove evidenze alla ipotesi che il consumo di acidi grassi omega 3 possa rappresentare un fattore protettivo contro il ca della prostata.
Durante il follow up durato 30 anni 460 uomini ammalarono di cancro alla prostata e di questi 340 ne morirono.Gli uomini che consumarono pesce in quantità modeste o rilevanti ebbero un rischio da 2 a 3 volte inferiore rispetto a coloro che non consumarono pesce.
L’ipotesi è che il consumo di pesce riduca il rischio di cancro alla prostata attraverso inibizione della biosintesi degli eicosanoidi derivati dall’acido arachidonico.
Lo studio European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) ha evidenziato alti ( fino a 3 o 4 volte la norma) livelli di EPA ( acido eicosapentanoico) tra gli uomini di Svezia e Danimarca che consumano pesci grassi.
L’EPA compete con l’acido arachidonico come substrato per la sintesi di prostaglandine ,così alte concentrazioni di EPA possono produrre importanti modificazioni sulle concentrazioni delle prostaglandine capaci di promuovere la crescita tumorale.
R.F.(Fonte :Lancet 2001;357:1764-65)

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Nuova cura genetica per l’emofilia

Utilizzato un nuovo e più sicuro metodo non virale di trasferimento dei geni.
Un test preliminare del Beth Israel Deaconess Medical Center ha dimostrato che una terapia genetica basata sul fattore VIII per i casi più gravi di emofilia A è sicura e ben tollerata. I risultati mostrano inoltre che il trattamento può essere efficace nel ridurre le emorragie spontanee. I risultati di questa sperimentazione sono descritti sulla rivista "New England Journal of Medicine". ……
Questo primo studio ha riguardato sei pazienti affetti da una grave forma del morbo. Nonostante l’obiettivo fosse la semplice verifica della sicurezza della terapia, quattro pazienti hanno mostrato un netto aumento del fattore VIII nel sangue. Inoltre, in nessun paziente sono stati osservati effetti secondari o reazioni immunitarie.
La novità più interessante riguarda la tecnica non virale in vivo utilizzata per trasferire il gene per il fattore VIII nelle cellule prelevate dai pazienti, tecnica che presenta pochi rischi poiché non coinvolge virus come vettori. Il processo inizia con l'isolamento di fibroblasti dalla pelle. Il gene viene poi introdotto nelle cellule mediante brevi scariche elettriche. In seguito, le cellule vengono iniettate nel tessuto adiposo dell'addome del paziente.
R.F. Fonte www.lescienze.it

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Nuovo test per la malattia di Lyme

Con il finanziamento del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) è stato messo a punto un nuovo test per la determinazione degli anticorpi contro la Malattia di Lyme.Il test si è rivelato altamente specifico e sensibile.Prodotta da Immunetics,Inc. di Cambridge, Massachusetts la nuova metodica ha ottenuto l’approvazione della FDA.
Si tratta del primo supporto diagnostico che sfrutta una sostanza sintetica chiamata C6, un marker chimico ibrido derivato da un componente della superficie della Borrelia Burgdorferi,l’agente etiologico della malattia di Lyme.
Il test al C6 è specifico per gli anticorpi prodotti durante la fase attiva dell’infezione. La malattia di Lyme infatti presenta spesso difficoltà diagnostiche a causa del basso titolo di anticorpi riscontrabile nelle fasi tardive della malattia. Il test oltre a permettere di testare gli anticorpi in tutte le fasi della malattia presenta il vantaggio di essere sensibile sia nei confronti di ceppi europei che dei ceppi statunitensi della Borrelia.
R.F. Fonte:www.niaid.nih.gov

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Impatto della terapia con interferone sulla cirrosi Epatite C correlata

Uno studio prospettico controllato (non randomizzato) condotto da ricercatori italiani ha preso in considerazione l’impatto della terapia con interferone sulla cirrosi Epatite C correlata.
72 pazienti trattati con interferone furono paragonati con 72 pazienti non trattati in un follow up di circa 5 anni.
Nei due gruppi morirono rispettivamente 7 e 9 pazienti e 20 pazienti del gruppo trattato con interferone svilupparono complicanze contro 32 del gruppo di controllo.
Il carcinoma epatocellulare è insorto in 6 pazienti del gruppo trattato e in 19 controlli (p=0.018).
L’insorgenza di complicazioni cliniche è stata significativamente associata a bassi livelli di albumina, alla bilirubina e al tempo di potrombina, mentre l’insorgenza di epatocarcinoma è stata correlata significativamente con varici esofagee, mancanza di trattamento con intrferone, alfafetoproteina plasmatica. In particolare l’efficacia dell’interferone sembra essere statisticamente significativa solo nei pazienti con alfa fetoproteina basale maggiore o uguale a 20 ng/ml.
In conclusione l’interferone non sembra capace di modificare la sopravvivenza in toto o la sopravvivenza libera da complicanze nei pazienti affetti da cirrosi Epatite C correlata, sembra però capace di prevenire l’insorgenza dell’epatocarcinoma.
R.F. Fonte: Gut 2001;48:843-848 (June)

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Pillole di buonumore

Cara Emily, anchhe se o una laurea, non sonno propio capacie a schrivvere bene. Forse potrebbi dirmi ceh cosa devo fare?

R: Non badare all'aspetto dei tuoi articoli. Ricorda che quel che conta e' il contenuto del messaggio, non il modo in cui lo presenti. Cosa vuoi che conti una dozzina di strafalcioni grammaticali di fronte alla luminosita' intellettuale dei tuoi scritti?
Senza dubbio in un contesto affidato totalmente alla parola scritta gli errori d'ortografia hanno lo stesso significato delle eventuali macchie sul vestito indossato da un oratore, ma tu non devi preoccupartene.

Cara Emily, mi sto scompisciando; conosco una barzelletta fenomenale. Ci sono tre ...
R: Ti prego. Non sprecare una simile perla con me. Invia la tua barzelletta al gruppo rec.humor e contemporaneamente spediscila anche a tutti i newsgroups e alle mailing-list che conosci. Non importa se questi gruppi trattino argomenti seri ed importanti,  puoi star sicuro che non l'hanno mai sentita prima e ti saranno senz' altro grati.


 APPROFONDIMENTI

I problemi della nuova normativa sui famaci stupefacenti (Legge 8/2/2001 n. 12 G.U. n. 41 del 19/2/2001)

La legge n. 12 del 8/2/2001 esprime espressamente, nel titolo, il suo campo di azione, limitato alla nuova regolamentazione dell’ uso degli oppioidi nel dolore severo (particolarmente nei pazienti neoplastici terminali). Tale aspetto pero’ non e’ stato ben recepito da molti operatori del settore, che hanno invece interpretato la norma in senso ben piu’ ampio, come una semplificazione "generale" nella prescrizione della morfina. Non e’ stato evidenziato, percio’, come in realta’ molti aspetti prescrittivi restino legati alla vecchia normativa e anzi, in certi casi, si possa creare un intreccio e una sovrapposizione di norme alquanto disturbante.
La prescrizione dei farmaci "stupefacenti" era finora regolata dal D.L. 539 del 30/12/92, rimasto praticamente immodificato fino all’ epoca attuale.
Nel 2000 la Commissione Centrale Stupefacenti del Ministero della Sanita’ aveva emanato alcune circolari interpretative tendenti ad incentivare, secondo le linee guida attuali, l’ uso della morfina nei pazienti neoplastici; non essendosi potuta modificare la norma fondamentale, le circolari avevano potuto agire solo su qualche aspetto secondario, apportando lievi e non significative modifiche. E’ stato necessario un ampio movimento di opinione (che ha interessato in primo luogo tutte le categorie mediche) e la forte volonta’ di un Ministro particolarmente attento al settore perche’ fosse approvata dal Parlamento una normativa veramente nuova e, almeno in parte, semplificativa.
La Legge n. 12 dell’ 8/2/2001 ha apportato in effetti alcune sostanziali modifiche, adottando la tecnica di sostituire alcune frasi della precedente legge con altre frasi di piu’ ampio respiro. Pero’ questa tecnica comporta il fatto che, trattandosi di correzioni ad un testo preesistente che non viene quindi annullato o sostituito, le parti non modificate restano tuttora vigenti nello stesso modo del periodo precedente.
E proprio alcune norme ivi contenute devono essere portate all’ attenzione di tutti.

Le modifiche apportate dalla nuova legge:

D.L. 539 del 30/12/92. G. U.- N. 41 DEL 19/2/01. L. 8/2/2001, N. 12.
PRESCRIZIONE:
La prescrizione dei farmaci stupefacenti va fatta su ricetta speciale predisposta dal Ministero della Sanita’ e distribuito dagli Ordini dei Medici compilata in triplice copia in base ai criteri dell’ articolo 43 (mezzo indelebile, generalita’ del paziente, dose in lettere, modalita’ di somministrazione, data, firma del prescrittore con indirizzo e numero telefonico).
PRESCRIZIONE.
Le ricette per i farmaci di cui all’ allegato III bis sono compilate in duplice copia a ricalco (per i farmaci non forniti dal Servizio sanitario nazionale), ed in triplice copia a ricalco per i farmaci forniti dal Servizio sanitario nazionale, su modello predisposto dal Ministero della sanità, completato con il timbro personale del medico. . La ricetta deve contenere l'indicazione del domicilio professionale e del numero di telefono professionale del medico chirurgo da cui è rilasciata".
La copia della ricetta va conservata per due anni. Invariato
La ricetta e’ valida per 10 giorni Ha validita’ limitata a trenta giorni.
La prescrizione deve contenere un solo farmaco (portato a due, nel 2000, in base ad una nuova interpretazione della norma avanzata dalla Commissione Stupefacenti del Ministero, ma con limitazioni legate al dosaggio) in quantita’ limitata per otto giorni. La prescrizione puo’ contenere fino a due preparazioni o dosaggi per cura di durata non superiore a trenta giorni
ACQUISTO DA PARTE DEI MEDICI: I titolari di studi medici possono acquistare tali sostanze dalle farmacie per la quantita’ occorrente alle normali necessita’ usata nello studio medico. Va effettuata una richiesta in triplice copia su ricettario personale del medico. I medici chirurghi e i medici veterinari sono autorizzati ad approvvigionarsi, a detenere nonché a trasportare la quantità necessaria di sostanze di cui alle tabelle I, II e III (allegato III-bis) per uso professionale urgente mediante autoricettazione. Copia dell'autoricettazione è conservata per due anni a cura del medico.
DETENZIONE degli stupefacenti acquistati: il medico deve attivare un registro di carico e scarico dove va registrato anche l’ impiego fatto dei farmaci acquistati (art. 64: generalita’, indirizzo del paziente, diagnosi e quantita’ usata. Da notare l’ estrema facilita’ di possibili errori formali). Il registro deve essere vidimato dal sindaco o dal responsabile del settore farmaceutico della ASL e controllato ogni anno Il medico tiene un registro delle prestazioni effettuate, per uso professionale urgente, con i farmaci di cui all'allegato III-bis.
USO: e’ limitato alla terapia degli stati dolorosi e, con particolari modalita’ (certificazione e piano terapeutico col SERT) al recupero e alla riabilitazione dei tossicodipendenti E’ esclusa la possibilita’ di trasporto e consegna a domicilio nel trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei
TRASPORTO per attivita’ professionale: e’ possibile il trasporto di stupefacenti da parte del medico per quantita’ terapeutiche necessarie in caso di intervento domiciliare. Comunque e’ necessario avere i documenti giustificativi del regolare possesso degli stupefacenti trasportati. Il personale dei distretti sanitari di base, dei servizi territoriali e degli ospedali pubblici o accreditati, è autorizzato a consegnare al domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei, le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all'allegato III-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l'utilizzazione nell'assistenza domiciliare.
  La consegna di sostanze sottoposte a controllo può essere fatta anche da parte di operatori sanitari, per quantità terapeutiche di farmaci di cui all'allegato III-bis, accompagnate da dichiarazione sottoscritta dal medico di medicina generale, di continuità assistenziale o dal medico ospedaliero che ha in cura il paziente, che ne prescriva l'utilizzazione anche nell'assistenza domiciliare di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa,
  ALLEGATO III bis: Farmaci che usufruiscono delle modalità prescrittive semplificate:
Buprenorfina; Codeina; Diidrocodeina; Fentanyl; Idrocodone; Idromorfone; Metadone; Morfina; Ossicodone; Ossimorfone".

E’ importante sottolineare che tutte le modifiche apportate dalla nuova legge ed esposte nella tabella riguardino unicamente i farmaci iscritti nell’ allegato III bis. Si tratta di un ambito piuttosto ristretto, e non giustifica il clima di esultanza; soprattutto non giustifica l’ opinione di poter finalmente abbandonare il vecchio e insufficiente ricettario speciale (quello giallo, in triplice copia, con gli spazi assolutamente insufficienti, da ritirarsi presso gli Ordini dei Medici). In realta’ questo, allo stato attuale e fino ad auspicati chiarimenti ministeriali, mantiene tutta la sua validita’ per la prescrizione dei farmaci esclusi dall’ allegato III bis o per malattie diverse dal dolore cronico neoplastico o degenerativo.

E’ quindi importante sottolineare:
- Le prescrizioni di stupefacenti non compresi nell’ allegato III bis soggiacciono alle vecchie regole: vecchio ricettario, durata del trattamento per otto giorni, ecc.
- I farmaci dell’ allegato III bis, qualora utilizzati per indicazioni diverse da quelle del "dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa" dovrebbero soggiacere essi stessi alle vecchie regole. Cio’ puo’ valere, ad esempio, per la morfina usata per la "dispnea dovuta ad edema polmonare acuto cardiogeno" e, volendo attenersi strettamente alla lettera della norma, anche nella prescrizione per dolore acuto (infarto del miocardio, coliche renali gravi, politraumatismi). La cosa appare del resto ragionevole, in quanto nelle patologie acute non sarebbe giustificata una prescrizione eccessivamente prolungata.
- La nuova normativa non prevede piu’ l’ obbligo del registro di carico per gli stupefacenti, tuttavia prevede ancora un registro delle prestazioni effettuate, per uso professionale urgente, con i farmaci di cui all'allegato III-bis. Cio’ equivale a dire che il medico che si approvvigiona di farmaci analgesici stupefacenti per uso ambulatoriale dovra’ ugualmente soggiacere all’ obbligo di tenere il registro dove non dovra’ piu’ annotare l’ acquisto, ma il solo l’uso. Non sono specificate le caratteristiche di questo registro, per cui e’ presumibile che dovrebbe ricalcare quanto previsto precedentemente (vidimazione annuale da parte delle ASL, dati del paziente ecc. ). Dovrebbero percio’ rimanere parimenti invariate le sanzioni (assai pesanti) previste per l’ irregolare tenuta del registro stesso.

TABELLA ESEMPLIFICATIVA (limitata ad alcuni stupefacenti di tab. I) DEI FARMACI AMMESSI ALLA PRESCRIZIONE SEMPLIFICATA

Principi attivi ammessi alla prescrizione semplificata (all. III B) Principi attivi classificati in tab. I (estrapolato da Giofil) (*)
BUPRENORFINA

CODEINA
DIIDROCODEINA
FENTANYL
IDROCODONE
IDROMORFONE
METADONE
MORFINA
OSSICODONE
OSSIMORFONE

SODIO OSSIBATO (ACIDO 4 IDROSSIBUTIRRICO) (GHB) 
MORFINA + ATROPINA
FENTANIL 
METADONE (CLORIDRATO)

ALFENTANILE (CLORIDRATO)
SUFENTANIL (CITRATO) 

FENTANIL (CITRATO)
KETAMINA (CLORIDRATO) FENTANIL+DROPERIDOLO
MORFINA CLORIDRATO
MORFINA SOLFATO

PETIDINA (CLORIDRATO)
BUPRENORFINA (CLORIDRATO)
REMIFENTANIL (CLORIDRATO

(*) In grassetto i farmaci ammessi; in corsivo i farmaci dubbi (derivati del Fentanil ma non espressamente elencati); in carattere normale i farmaci esclusi dalla prescrizione semplificata
Come si puo’ vedere, diversi farmaci restano esclusi dalla nuova normativa.

Un vecchio problema: lo smaltimento degli stupefacenti:
Nessuna semplificazione, invece, nel settore dello smaltimento: come abbiamo segnalato in un articolo precedente, le modalita’ previste per lo smaltimento degli stupefacenti sono molto indaginose, in quanto si tratta di rifiuti "pericolosi", che devono seguire un iter diverso da quello dei rifiuti "speciali" ormai normalmente smaltiti da tutti gli studi medici.

Occorre:
Comunicare per iscritto alla AUSL di riferimento territoriale il quantitativo di stupefacenti scaduto. La ASL inoltra la richiesta di termodistruzione al Ministero della Sanita’ che a sua volta invia comunicazione ai NAS .
Il Responsabile del Servizio Farmaceutico della AUSL stende il verbale di constatazione del quantitativo di sostanze da avviare alla termodistruzione, attribuendo un numero identificativo progressivo che seguira’ tali sostanze per tutto l’ iter; si reca sul posto e sigilla con piombino o ceralacca gli stupefacenti; Prenota mediante fonogramma il forno inceneritore prendendo contatto con una ditta autorizzata al trasporto e comunicando ai NAS la data e l’ ora stabilita; rilascia le eventuali autorizzazioni per conservare il farmaco in attesa di distruzione).
Il giorno stabilito il Responsabile Farmaceutico provvede personalmente alla raccolta (insieme alla Ditta idonea incaricata dell' atto) dei farmaci sigillati, compila un Verbale di Presa in Consegna, provvede alla termodistruzione in presenza sia dei NAS che del responsabile dell’ inceneritore.
A quel punto si stende verbale di avvenuta distruzione, una copia del quale va inviata al medico, in modo che possa scaricarli, mentre una copia va alla ASL, che la ritrasmette al Ministero.

Si tratta, evidentemente, di una procedura molto indaginosa, che non e’ stata presa in considerazione dalle nuove norme semplificative, ma che puo’ creare difficolta’ ai medici di famiglia, da sempre "allergici" alla burocrazia, ed attualmente particolarmente vessati.
Le segnalazioni contenute in questo articolo non hanno intento "terroristico" verso la categoria: e’ sperabile che, venendo messi in evidenza alcuni aspetti evidentemente sfuggiti all’ attenzione del legislatore, il Ministero possa provvedere (in occasione magari dell’ emanazione delle norme regolamentari) a programmare eventuali modifiche o a fornire adeguati chiarimenti interpretativi, possibilmente in senso semplificativo.
Nel frattempo e’ necessario che il medico si muova con cautela, conservando (anche in occasione dell’ uscita del nuovo modello) il vecchio ricettario per gli stupefacenti e facendo attenzione a differenziare i farmaci ammessi alla prescrizione semplificata da quelli non ammessi, nonche’ le condizioni patologiche che rientrano nella nuova normativa da quelle che ne esulano.
Speriamo che nelle Autorita’ il buon senso (e la volonta’ di una effettiva semplificazione) prevalgano!

IN CONCLUSIONE, in attesa di provvedimenti: 
- Prescrivere con le nuove regole e col nuovo ricettario solo i principi attivi previsti nell’ allegato III bis, per la sola terapia del dolore cronico.
- Prescrivere gli stessi farmaci con il vecchio ricettario (e con le vecchie norme) qualora la prescrizione riguardi altre patologie.
- Prescrivere i farmaci non inclusi nell’ allegato III bis sul vecchio ricettario e con le vecchie norme.
- In caso di approvvigionamento per uso ambulatoriale di emergenza, munirsi ugualmente di registro ove annotare lo "scarico".
- Attenzione alle procedure previste per lo smaltimento degli stupefacenti scaduti!

 Daniele Zamperini ("Doctor", n. 8, maggio 2001 )

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Pillole di buonumore

D: Cara Emily, sono in forte disaccordo con un utente della Rete. Mi sono lamentato di lui presso il suo sysadmin, ho lanciato campagne di mailbombing ai suoi danni, ho proposto di espellerlo dalla Rete e mi sono addirittura rivolto al suo datore di lavoro chiedendo che lo licenzi. Purtroppo tutte queste mie iniziative mi hanno trasformato nello zimbello della Rete senza ottenere alcun risultato pratico. Come posso fare per risolvere il mio problema?

R: Caro amico, rivolgiti ai quotidiani. Quasi tutti i giornalisti della carta stampata sono infatti profondi conoscitori delle reti
informatiche e non mancheranno di comprendere appieno il tuo problema: pertanto pubblicheranno resoconti accurati ed esenti da errori od omissioni in modo da offrire ai propri lettori un'informazione obiettiva. Il pubblico a sua volta reagira' con
saggezza grazie alla profonda conoscenza della delicata e complessa dinamica delle relazioni interpersonali all'interno di una rete informatica di estensione planetaria.
Tieni conto che i quotidiani non ingigantiscono ne' distorcono mai i fatti, quindi non dimenticare di sottolineare gli eventuali
atteggiamenti discriminatori su base razziale o sessuale di cui potrebbe essersi macchiata la persona con cui sei in contrasto.
Specifica chiaramente che nelle comunicazioni tramite Internet e' bandita del tutto la metafora e che pertanto ogni termine, in
particolar modo gli insulti, deve essere preso alla lettera. Se possibile cerca di stabilire un collegamento tra le tesi del tuo
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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
  Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica (a cura di D.Z.)

Il danno biologico definito dalla legge 5 marzo 2001 N.57 e dal D.L. 23 febbraio 2000 N. 38 e’ identico al danno biologico definito dalla sentenza 184/1986 della Corte Costituzionale?
( di Angelo Fiori, Direttore Istituto Medicina Legale U.C.S.C.; per gentile concessione del Prof. Francesco Introna, Direttore della Rivista Italiana di Medicina Legale, ed. Giuffre'; articolo in anteprima assoluta, di prossima uscita sulla Rivista)

1. Il quesito contenuto nel titolo di questa nota ci sembra giustificato. Ci si deve infatti chiedere, dopo che il legislatore è intervenuto due volte – con il D.L. 38/2000 e con la Legge 5 marzo 2001 n. 57 – con definizioni normative di danno biologico quasi uguali, se siano sopravvenuti elementi tali da indurre a mutamenti interpretativi del concetto di tale danno che in precedenza era stato elaborato esclusivamente dal cosiddetto "diritto vivente". 
La parola-chiave sulla quale si deve concentrare l’attenzione interpretativa, ai fini del confronto, è senza dubbio il sostantivo "integrità" associato all’aggettivo composto "psicofisica". Il contenuto concettuale di tale locuzione deve riflettersi sul metodo di quantificazione percentuale dell’invalidità permanente che si avvale di Tabelle orientative già pubblicate o in corso di elaborazione secondo la previsione normativa.
L’art. 13 del D.L. 23 febbraio 2000 n. 38 – emanato in attuazione della Legge delega n. 144 del 17.5.1999 - recita, al n. 1, "In attesa della definizione di carattere generale del danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato".
L’art. 5 della Legge n. 57 del 5 marzo 2001, a sua volta,, pur nella sua dichiarata provvisorietà fornisce la seguente definizione al comma n. 3: "Agli effetti di cui al comma 2, per danno biologico si intende la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato". Ed al comma n.4 aggiunge: "Fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato".
2. Varie sono state le precedenti definizioni di danno biologico, formulate dalla giurisprudenza e dalla dottrina giuridica e medico-legale e a ciascuna di esse, invero simili tra loro, si potrebbe risalire per il confronto che qui ci proponiamo di effettuare. La scelta più opportuna è peraltro quella di tornare alla nota sentenza della Corte Costituzionale 30 giugno 1986 n. 184 con la quale i Giudici delle Leggi hanno collocato il pilastro portante nella evoluzione del diritto giurisprudenziale concernente il danno alla persona da responsabilità civile.
In quella sentenza, infatti, sono state fornite chiare precisazioni concettuali e semantiche distinguendo tra "danno biologico" e "lesione della salute". La giurisprudenza e la prassi degli anni successivi hanno privilegiato l’uso dell’espressione "danno biologico", includendo in essa, di fatto, anche la "lesione della salute" e differenziando peraltro, all’interno del "danno biologico", l’aspetto statico e l’aspetto dinamico
Le due nuove norme sopra citate hanno di fatto cristallizzato questa semplificazione semantica, per cui si deve ora accettarla ed interpretarla. Ai fini di questa interpretazione appare utile tornare a riflettere sulla formulazione iniziale della Consulta, perché in essa si rinviene una parte della terminologia impiegata sia dal D.L. 38/2000 che dalla Legge 57/2001. Su questa identità terminologica riteniamo debba fondarsi la lettura interpretativa delle due norme e la conseguente rinnovata riflessione sul metodo di quantificazione percentuale medico-legale del danno.
La Consulta, che in quella sentenza ha distinto tra danno-evento e danno-conseguenza (distinzione che molti giuristi hanno invero messo in discussione e che non figura più in successive sentenze), ha incluso nel concetto di "danno-evento" il danno biologico e nella categoria dei "danni conseguenza" il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale in senso stretto.
Scrive testualmente la Corte al par.4: "La menomazione dell’integrità psico-fisica del soggetto" è "evento, naturalistico, effettivo, da provare in ogni caso" "che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non è per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico del danno morale subiettivo)". Questo, secondo la Corte è il "danno biologico" o "danno fisiologico", espressioni entrambe che "pongono l’accento sull’evento, naturalistico, interno al fatto lesivo della salute".
Per quanto riguarda invece il "danno-conseguenza" scrive la Corte che "il termine salute evoca, in questa sede, primariamente il bene giuridico, costituzionalmente tutelato dall’art. 32 della Costituzione, ed offeso dal fatto realizzativo della menomazione dell’integrità psicofisica del soggetto passivo. In questo senso, la lesione della salute, del bene-giuridico salute, è l’intrinseca antigiuridicità obiettiva del danno biologico o fisiologico: essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta da quella naturalistica, alla quale fanno riferimento le locuzioni ‘danno biologico’ e ‘danno fisiologico’".
3. Risulta dunque evidente che la sentenza-base 184/1986 della Consulta – cui gli studiosi continuano a fare riferimento anche se successive sentenze della Corte hanno operato alcune diversificazioni – indicava come danno-base quello naturalistico espresso dalla locuzione "danno biologico", ed individuava tale danno nella "menomazione dell’integrità psicofisica " del soggetto passivo.
Il sostantivo "integrità" era dunque il punto di riferimento della Corte ed è lo stesso utilizzato dall’art. 13 del D.L. 38/2000 e dall’art. 5 della Legge 57/2001.
Riandando ai precedenti di rilievo possiamo limitarci a citare la nota sentenza del Tribunale di Genova il quale ha il merito di aver raccolto, nel 1974, l’originale proposta di Cesare Gerin ed ha definito il danno biologico come "la lesione dell’integrità fisica in sé e per sé considerata", includente implicitamente, come osserva Busnelli, il danno psichico. Lo stesso Busnelli, nella sua riflessione sulla distinzione concettuale tra le due figure di danno alla persona (fisico e psichico), "troppo spesso inopportunamente confuse tra loro", scrive conclusivamente distinguendo il danno biologico "che si identifica con la menomazione somato-psichica, e che si presta a una valutazione, per così dire, standardizzata e condotta alla stregua di parametri in cui l’equità tende a coincidere con l’automatismo" e il danno alla salute", che ha per oggetto la lesione della salute (intesa nel suo ampio significato costituzionale) e che "deve essere valutato caso per caso alla stregua di criteri in cui l’equità implica un attento contemperamento tra esigenze di uniformità nella valutazione dell’evento lesivo ed esigenze di concretezza nella valutazione delle conseguenze pregiudizievoli di tale evento sull’equilibrio psico-fisico del danneggiato".
La lettura di tante sentenze, sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione ed anche dei Giudici del merito, rischierebbe di farci perdere il filo del nostro discorso, inteso ad individuare, nell’attualità, il concetto di danno biologico introdotto di recente nell’ordinamento con particolare riguardo al significato della integrità psicofisica e alle relative conseguenze nella valutazione percentuale medico-legale delle menomazioni permanenti. Infatti molte sono le sfumature che si incontrano nelle numerose definizioni, e molte di esse potrebbero apparire non coincidenti con la lesione dell’integrità e più vicine invece ad un concetto che sta alla base del dommage corporel dei francesi sul quale abbiamo di recente già scritto ma cui dobbiamo qui ritornare.
Pertanto è da ritenere sufficiente avvalersi della definizione proposta nel 1997 da Petti, giurista che, già nelle prime righe della sua monografia, offre una definizione dottrinale che si può ritenere conclusiva ed appieno coincidente con quella che oggi si deve accettare in relazione alle nuove norme oggetto di questa nota: "Il danno biologico, in senso medico legale, consiste nella lesione della preesistente integrità psicofisica del soggetto, e rappresenta il presupposto naturalistico di qualsiasi tipo di risarcimento del danno, patrimoniale o non, o di qualsiasi altra provvidenza legislativa o privatistica che lo contempli come fatto giuridico rilevante".
Scrive più avanti Petti, in modo del tutto condivisibile: "L’integrità psicofisica rappresenta la condizione basilare per il godimento di un normale stato di salute e per la estrinsecazione di una normale efficienza psicofisica. Tale integrità è diminuita anche quando si abbia un pur minimo danno anatomico (cd. lesione lieve) in quanto essa integrità, per sua natura ed essenza (è la salute della persona) richiede il mantenimento di tutti gli attributi fisici e psichici. Non è dunque costituzionalmente ammissibile una ‘franchigia’ per il danno biologico".
4. La definizione di "danno biologico" come lesione dell’integrità psicofisica - che dalla storica sentenza del Tribunale di Genova (la quale ha rielaborato la validità psicofisica di Gerin), è passata attraverso la definizione di Franchini di danno biologico di rilevanza patrimoniale, è giunta alla sentenza 184/986 della Consulta ed infine è stata tradotta nel D.L. 38/2000 e nella Legge 57/2001, e coincide ora di fatto con la definizione dottrinale di Petti del 1997 – richiede, a questo punto, un chiarimento interpretativo se possibile definitivo ed inequivoco, attraverso il confronto con alcune espressioni del linguaggio medico corrente. Se non si opera questo chiarimento, possono rimanere zone d’ombra e di confusione concettuale che, alla fine, potrebbero rendere difficile l’ormai indispensabile concezione unitaria imposta dalle nuove norme, pur ancora incomplete.
Si deve anzitutto sottolineare che la definizione di danno biologico contenuta nelle due norme qui esaminate, cioè la lesione dell’integrità psicofisica, si avvale di termini di provenienza giuridica, e non medica in senso stretto. Non a caso abbiamo ritenuto (cfr. par. 3) di dover accettare la definizione anticipatrice del giurista Petti la quale precede di alcuni anni (1997) le norme in esame, ricollegandosi nel contempo ai precedenti dottrinali e giurisprudenziali più rilevanti.
Tuttavia l’accertamento (art. 5 della Legge 57/2001) e la valutazione (art. 13 D.L. 38/2000), da ritenere peraltro sostanzialmente coincidenti, sono di spettanza medico-legale - come le due norme stabiliscono esplicitamente, e per la prima volta – ed è pertanto indispensabile effettuare la conversione del concetto-base in termini medici affinché nel passaggio da una disciplina (il diritto) all’altra (la medicina) non avvengano delle distorsioni e degli errori di "traduzione" causati dalla differenze dei linguaggi specifici.
Gli equivoci interpretativi, ed i conseguenti errori nella metodologia valutativa medico-legale, possono originare – e di fatto originano – dal possibile inquinamento dell’espressione integrità psicofisica ad opera di due aggettivi sostantivati di comune impiego in medicina, organico e funzionale, connessi al sostantivo invalidità.
Nel corrente linguaggio medico si è soliti distinguere – con uno schematismo invero convenzionale ed impreciso – tra malattie organiche e malattie funzionali.
Alle malattie cosiddette organiche si riconosce una base di accertabile alterazione anatomo-patologica, istopatologica o anche soltanto citopatologica, oggi anche genomica, che può produrre sintomi morbosi attraverso l’alterazione di varie funzioni. Molte di tali malattie, malgrado la loro organicità, sono ad eziologia ignota: lo sono, tipicamente, molte malattie croniche del sistema nervoso. Alterazioni organiche, anche di natura malformativa interna (cioè non visibile sulla superficie esterna del corpo), possono essere clinicamente silenti, cioè non tradursi in uno stato di malattia percepita dall’individuo che ne è portatore, e ciò a causa dei compensi funzionali di cui l’organismo è capace, temporaneamente, ovvero per lungo tempo od anche per tutta la vita. In questi casi le funzioni relative all’organo interessato possono essere apparentemente normali: perché percepite come tali, ovvero perché i pur avanzati strumenti di indagine funzionale attualmente disponibili non sono in grado di cogliere eventuali, intime disfunzioni. 
Queste forme organiche di alterazione, sia che si esprimano in funzioni palesemente alterate, ovvero rimangano silenti, rappresentano comunque una deviazione dalla normalità "media" cioè da quella integrità che può considerarsi patrimonio di ciascun individuo pur nelle sue particolarità individuali che, com’è noto, sono uniche ed irripetibili per ciascun individuo di ieri, di oggi e di domani. Se tali alterazioni organiche sono prodotte da agenti morbosi esterni, esse sono denominate "acquisite" e costituiscono fattori esogeni di menomazione dell’integrità fisica e/o psichica dell’individuo anche in assenza, lo ripetiamo, di una disfunzione apprezzabile da parte di chi ne è portatore, e dal medico.
Si denominano comunemente malattie funzionali quelle per le quali non si riesce ad individuare, con i mezzi attuali, una base organica. Si tratta spesso di sintomi a carattere soggettivo non oggettivabili (cefalee, nevralgie, dolori localizzati o vaganti, alterazioni psichiche soggettive, ecc.) altre volte oggettivabili mediante l’esame clinico e strumentale (così le aritmie cardiache) ma spesso non dimostrabili nella loro causa organica. L’uso non infrequente dell’aggettivo "funzionale", utilizzato per designare il disturbo in assenza di riscontro oggettivo di qualche alterazione organica, nasconde in genere l’insufficienza delle conoscenze e degli strumenti della medicina nei confronti di molte patologie di questo tipo.
La distinzione che abbiamo ricordato non ha precisi confini ed anzi il progredire delle conoscenze mediche tende ad aumentare il campo delle malattie su base organica – comprendendo sempre di più anche molte malattie psichiatriche – giungendo ad individuarne l’organicità biologica anche a livello di alterazioni molecolari.
Bisogna a questo punto aggiungere che in ambito clinico si tende comprensibilmente a sottovalutare determinate alterazioni organiche compensate e silenti dando valore soprattutto alle alterazioni funzionali, anche a quelle prive di base organica conosciuta. Tale tendenza ha una sua precisa ragione nel fatto che il clinico ha come compito principale quello di eliminare od attenuare i sintomi, abbiano essi una base organica ovvero anche meramente funzionale.
Ne consegue che per determinate alterazioni anatomiche il clinico si pone l’obiettivo di verificarne le conseguenze accertabili attraverso un eventuale monitoraggio periodico, non ricorrendo a terapie se queste non risultano necessarie e confortando il paziente che viene in genere incoraggiato a non preoccuparsi della menomazione silente di cui è portatore. In altri termini vi è la tendenza a dare un peso modesto o nullo a menomazioni dell’integrità apparentemente prive di effetti nell’attualità e, sperabilmente, nel futuro (cioè con un atteggiamento di ottimismo che deve essere trasmesso al paziente per doverose ragioni psicologiche).
Queste considerazioni spiegano la ragione della scelta esplicita operata da correnti di pensiero medico-legale che privilegiano, ai fini della quantificazione percentuale del danno, quelle menomazioni che abbiano influenza funzionale, cioè producano sintomi, specie se oggettivamente accertabili: tra i quali si possono annoverare anche i "sintomi" visibili costituiti dalla alterazione estetica.
E’ quanto avviene nella vicina Francia dove, come abbiamo recentemente ricordato, le tabelle percentuali per la quantificazione del dommage corporel en droit commun (cioè in diritto civile) sono esplicitamente costruite sulla base del principio della incapacité fonctionnelle.
Tale principio, applicato in Francia, utilizza dunque il criterio clinico che abbiamo sopra sommariamente richiamato, e non coincide con il principio della lesione dell’integrità psicofisica contenuto nelle due norme italiane qui commentate: il quale prescinde dalla necessità di un corrispettivo disfunzionale o ipofunzionale accertabile e che inoltre, come afferma Petti, non tollera una "franchigia".
La lesione dell’integrità psicofisica che nelle nuove norme costituisce il danno biologico è dunque sostanzialmente diversa da quella ancorata all’entità delle conseguenze funzionali cui si attengono la dottrina e la giurisprudenza francese.
Si deve sottolineare, a questo punto, quanto di recente abbiamo già rilevato, cioè che il concetto civilistico di danno biologico finisce di fatto con l’essere sovrapponibile a quello di integrità che designa il bene protetto dalle norme penali concernenti le lesioni personali. L’indebolimento permanente di senso e di organo ex art. 583 c.p., che si ricava dalla dottrina e, soprattutto, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, è riconosciuto anche per postumi permanenti minimi purché apprezzabili (nel senso di accertabili obiettivamente) e quindi corrispondenti essenzialmente alla lesione dell’integrità psicofisica: la perdita di un dente, l’anchilosi di un’articolazione interfalangea, la perdita di 2/10 del visus o di pochi decibel di udito. Talune sentenze della Corte di Cassazione che hanno riconosciuto alla asportazione della milza la dignità di perdita di organo, cioè di lesione personale gravissima, obbediscono allo stesso criterio interpretativo della norma penale.
Questa concezione unitaria deve costituire il criterio di base per la costruzione delle Tabelle orientative per la quantificazione percentuale del danno biologico.
E’ ovvio che alla costruzione delle tabelle – in perfezionamento di quelle già esistenti in Italia, per molti versi pregevoli – si dovrà operare con il massimo buon senso ricordando il carattere convenzionale del sistema di quantificazione in percentuale ed evitando gli eccessi in meno ed in più. Ma nel contempo ci si dovrà avvalere in modo più aggiornato delle conoscenze scientifiche attuali, ricordando che le percentuali di invalidità permanente contengono una rilevante quota prognostica che deve far parte della quantificazione.
In questo nodo si ritrova la differenza tra la clinica e la medicina legale. Infatti se il clinico di fronte ad un nefrectomizzato può limitarsi al monitoraggio periodico della funzione renale, per intervenire in caso di evoluzione disfunzionale, il medico legale deve invece formulare una valutazione che si proietta nel futuro, non di rado per molti decenni, in relazione all’età del leso. Per cui solo menomazioni organiche sicuramente statiche per tutta la vita possono giustificare percentuali definitive: come ad esempio l’amputazione di un dito, includenti contestualmente la evidente perdita anatomica e funzionale, ed implicitamente certe sul piano prognostico. Ma non così è per organi ad alta qualificazione funzionale come i reni, i polmoni, l’encefalo, l’udito e la vista, l’organo dell’equilibrio, l’apparato digerente, il pancreas, arterie importanti, e così via. Per tali lesioni dell’integrità psicofisica le conoscenze scientifiche circa l’invecchiamento delle strutture residue e delle disfunzioni subcliniche devono suggerire percentuali valutative che includano - con prudenza, ma senza superficiali ottimismi – anche una quota percentuale che tenga conto della prevedibile evoluzione peggiorativa nel lungo periodo.
5. I barèmes di lingua francese hanno costituito in passato un utile riferimento per l’Italia, specie per la quantificazione del danno in casi in cui mancavano voci analitiche nelle guide tabellari italiane, le quali attualmente sono ormai dotate di una articolazione di voci così ampia da rendere in genere inutile la consultazione di tabelle straniere.
L’esame comparativo di detti barème di lingua francese dimostra chiaramente la distanza concettuale che esiste tra il concetto di danno biologico italiano - che trova sostanzialmente concorde la dottrina e la giurisprudenza prevalenti e le due norme recenti – inducendo ad una preoccupata riflessione circa le possibilità di costruire un comune barème europeo.
Minori preoccupazioni possono emergere nel frattempo a causa dell’annunciata creazione di un barème ufficiale italiano dedicato al danno alla persona da responsabilità civile (che per ora, sorprendentemente, dovrebbe riguardare soltanto le menomazioni tariffabili dall’1 al 9%). Infatti le guide orientative attuali e quella pubblicata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale nel luglio 2000 in applicazione del D.L. 38/2000, non si sono allineate alla posizione francese se non per qualche aspetto. Malgrado ciò è da ritenere che per l’Italia siano comunque opportuni - nella prospettiva di un barème ufficiale per la responsabilità civile, e di modifiche previste per le cosiddette Tabelle INAIL - un ulteriore approfondimento e dei ritocchi che rendano le voci chiave più aderenti al concetto di lesione dell’integrità psicofisica. E una tesi che abbiamo recentemente sostenuta e che la legge 5 marzo 2001 n. 57 ci induce a riproporre con ancora maggiore convinzione.
La recentissima (2001), sesta edizione del Barème indicatif d’évaluation des taux d’incapacité en droit commun (cfr. nota 14 ) de Le Concours Médical, contiene cinque note introduttive nelle quali si potrebbero invero cogliere alcune differenze relativamente al concetto di incapacité permanente: dubbi fugati peraltro dalle percentuali che il barème propone per alcune voci emblematiche. Mentre Patrice Jourdain afferma che la tabella fornisce tassi percentuali per misurare una incapacité fonctionnelle,la nota introduttiva redatta dal Comité scientifique du Centre de Documentation sur le Dommage Corporel fornisce una definizione di "incapacité permanente" che può essere così tradotta in italiano: "la riduzione definitiva del potenziale fisico, psico-sensoriale o intellettuale risultante da una lesione all’integrità anatomo-fisiologica; medicalmente constatabile e quindi apprezzabile mediante un esame clinico adeguato, completato dallo studio degli esami complementari; alla quale si aggiungono i fenomeni dolorosi e le ripercussioni psicologiche normalmente legate alle conseguenze menomative descritte, così come le conseguenze abitualmente e oggettivamente legate a tale lesione nella vita di ogni giorno".
Questa seconda definizione sembrerebbe dunque più vicina a quella italiana in quanto vi figura il concetto di integrità anatomo-fisiologica ed anche quello di potenziale fisico, psicosensoriale o intellettuale. Ma se questa è la definizione, riesce allora difficile comprendere il significato, scientifico ancor prima che applicativo medico-legale, di alcune voci che a titolo di esempio possiamo citare.
In realtà il concetto che domina è quello di incapacité fonctionnelle e ciò può spiegare, ma senza convincere, le ragioni di alcuni parametri percentuali. Il più sconcertante di questi parametri tabellari è da ritenere la nefrectomia monolaterale tariffata con il 3%. Tra le altri voci citiamo: la splenectomia valutata "fino al 5%" (nella prassi, ci viene riferito, potrebbe esserle assegnato anche lo 0%); la dispnea da sforzi importanti con alterazioni minori di una prova di funzionalità respiratoria: dal 2 al 5%; l’asma che non necessita di trattamento "de fond": "fino al 5%"; l’edema permanente misurabile di un arto inferiore che necessita dell’uso continuo di fascia contentiva ed è associato a dermatite: dal 4 al 10%; la cirrosi post-epatitica con buona funzione epatica: dal 10 al 20%; la perdita di 2/10 di visus: 0%.
E’ opportuno prendere come esempio il paradossale 3% assegnato alla nefrectomia monolaterale – che implicitamente il barème intende assegnare ad a un soggetto diventato monorene ma che non presenta alcun segno di insufficienza della funzione renale - per porlo a confronto con il 20% che lo stesso barème attribuisce invece alla perdita del pollice dell’arto dominante. Tale scelta, del tutto inapplicabile al concetto italiano di lesione dell’integrità psicofisica, appare incomprensibile anche se confrontata con la definizione del comitato scientifico francese sopra citata, specie in relazione al problema della potenzialità dannosa della menomazione. Ed appare scientificamente insostenibile anche alla luce delle considerazioni in precedenza svolte circa i possibili equivoci sulle comuni espressioni mediche di danno organico e di danno funzionale di cui abbiamo detto al par 4.
In altra sede affronteremo più sistematicamente il problema del valore di lesioni organiche apparentemente prive di valore funzionale attuale. Per ora, al fine di completare l’esempio, ci limitiamo a menzionare alcune voci della letteratura corrente nefrologica le quali dimostrano non solo l’ipertrofia compensatoria cui va incontro il rene superstite – segno per proprio conto di un aumento non fisiologico della funzione di un organo sul quale viene a gravare tutta una fondamentale funzione che nel soggetto normale è provvidenzialmente ripartita su due parallele strutture anatomo-funzionali – ma anche altri aspetti poco conosciuti e che sono stati indagati, ad esempio, per stabilire a quali possibili conseguenze negative possono andare incontro i donatori di rene da vivente, specie se di sesso femminile. Si tratta di conoscenze scientifiche che sono ovviamente disponibili, in varia misura, anche per altri apparati e che rendono perfino paradossali le proposte del barème francese.
In Spagna, paese che sempre più attivamente partecipa in sede comunitaria allo studio della valutazione medico-legale del danno alla persona, il barème attualmente in vigore per una norma di legge si attesta spesso su valori tariffari percentuali che chiameremo "tradizionali", altre volte coincide con valori dei barèmes francesi e italiani. La nefrectomia monolaterale è valutata dal 20 al 25%, la splenectomia senza alterazione ematologica dal 5 al 10%. D’altro canto la perdita del visus di un occhio è tariffata dal 23 al 25%, la cecità completa dall’82 all’85%.
In Italia, le proposte tabellari sono state, analogamente alla Spagna, molto moderate pur implicando talune riduzioni dei valori percentuali di alcuni importanti organi. Esse sono state quindi più aderenti al concetto di lesione dell’integrità psicofisica. Ci limitiamo a ricordare la perdita di un rene tariffata con il 25% da Luvoni et al., con il 15% nella Guida di Bargagna et al., con il 18% nella Tabella INAIL; la splenectomia tariffata rispettivamente con il 10%, il 5-10% e "fino a 9"% in caso di "necessità di accorgimenti terapeutici" (voce 109 della Tabella INAIL).
In queste voci esemplificative la quantificazione è dunque intermedia rispetto al passato ed alle riduzioni estreme del recente Barème francese. Tuttavia, nel rispetto del concetto di lesione dell’integrità psicofisica, dobbiamo ancora una volta segnalare lo squilibrio esistente rispetto alle voci relative all’apparato locomotore che, per un retaggio dell’evoluzione storica del sistema tabellare, mantengono una supremazia a scapito di lesioni permanenti di organi che, per la loro importanza funzionale e l’evoluzione nel lungo periodo, meritano invece un diverso apprezzamento. Di ciò riteniamo si dovrà tenere conto nella future elaborazioni e correzioni tabellari per le quali uno sforzo comune potrà portare alle soluzioni più soddisfacenti ed adeguate all’attuale concezione italiana di danno biologico.
6. La risposta al quesito che ci siamo proposti nel titolo di questa breve nota – se il danno biologico definito dalla legge 5 marzo 2001 n.57 sia o meno identico al danno biologico definito dalla sentenza 184/1986 della Corte Costituzionale - è dunque sostanzialmente positiva ma richiede una precisazione semantica ed impone delle coerenti decisioni nella rielaborazione delle guide-tabelle di valutazione percentuale delle lesioni dell’integrità psicofisica.
La definizione di danno biologico normativamente fissata dal D.L.38/2000 e dalla Legge 5 marzo 2001 n. 57 è indubbiamente quella lesione dell’integrità psicofisica (in sé e per se considerata) che la Corte Costituzionale aveva qualificato "danno-evento", sottolineandone l’aspetto naturalistico. Ciò che è intervenuto in questi quindici anni è stata peraltro la sostanziale scomparsa, nella terminologia corrente, della più corretta espressione di danno alla salute che la Consulta aveva utilizzato per indicare l’aspetto giuridico del danno. In altri termini la locuzione danno biologico, oggi introdotta nell’ordinamento, si è estesa a rappresentare unitariamente sia l’aspetto naturalistico che quello giuridico di questo danno non economico, compreso nell’art. 2043 c.c., che la Corte aveva invece designato con due espressioni diverse.
L’aspetto dinamico di tale danno, enucleato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è oggi accolto anche dalla Legge 57/2001 la quale all’art. 5 n. 4 stabilisce che "il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato". In ambito INAIL, invece, l’art. 13 del D.L. 38/2000, al n. 2 lettera a) stabilisce che le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica sono valutate in base alla specifica ‘Tabella delle menomazioni "comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali". Tale inclusione è giustificata dalla natura indennitaria della tutela e potrà senza dubbio creare dei problemi in sede di rivalsa.
Lasciando per ora da parte molte considerazioni critiche circa il metodo di traduzione in moneta dei danni biologici (produttivi di invalidità permanenti comprese tra l’1 ed il 9%) previsto dall’art. 5 della Legge 57/2001 - sul quale il dibattito avviato in varie sedi si è già chiaramente espresso - si può motivatamente affermare che la giurisprudenza non dovrebbe trovare, nelle nuove norme, alcun motivo di deviare dal lungo ed importante percorso finora compiuto dal diritto vivente nel novellare i principi ed il metodo di risarcimento del danno alla persona da responsabilità civile. La definizione di danno biologico di recente approvata dalla SIMLA l’11 maggio 2001 si è posta su questa stessa linea interpretativa, ispirata alla continuità dei principi.
Il consolidamento dei concetti che deriva dalle due nuove norme, impone oggi con maggiore forza il dover trarre coerenti conseguenze applicative medico-legali dalla natura del danno biologico considerando definitivamente comprese nella categoria delle lesioni dell’integrità psico-fisica anche lesioni di tale integrità prive talora - nell’attualità od anche per molti anni, o addirittura per sempre - di sintomi disfunzionali od ipofunzionali clinicamente evidenti: purché esse siano accertabili obiettivamente con i vari mezzi di cui la moderna medicina dispone.
Il concetto medico-legale di integrità psicofisica che si deve evincere oggi dalle norme, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, appare dunque ancora più esteso di quello pur ampio di salute che è espresso dalla nota definizione coniata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO): "Health is a state of complete physical, mental, and social well-being and not merely the absence of disease or infirmity" il quale fa riferimento al concetto funzionale di benessere, non di integrità.
Tale ampiezza del concetto di "lesione dell’integrità psicofisica", che sta alla base del danno biologico normativamente definito, impegna i medici legali ad una costruzione tabellare medico-legale molto diversa da quella francese, nella quale i valori percentuali di base attribuiti ai singoli organi ed apparati siano proporzionali al loro valore organo-funzionale. L’eventuale sintomatologia clinica disfunzionale prodotta dalla lesione non può che costituire elemento suppletivo di accertamento e quantificazione del danno biologico non economico cui aggiungere quindi, se sussistente, anche l’ulteriore quota dinamico-relazionale.
Le tabelle italiane recenti sono in linea di massima aderenti ai concetti che abbiamo analizzato ma richiederanno nel vicino futuro dei ritocchi intesi a riequilibrare, in senso maggiorativo, le lesioni di organi di essenziale importanza per l’integrità della persona per tutto il corso della sua vita.
RIASSUNTO
La definizione di danno biologico come lesione dell’integrità psicofisica contenuta nell’art. 13 del D.L. 23 febbraio 2000 n. 38 e nell’art. 5 della legge 5 marzo 2001 n.57 coincide sostanzialmente con il concetto a suo tempo formulato nella sentenza della Corte Costituzionale 30 giugno 1986 n. 184. Tuttavia la prassi, ed ora le due recenti norme di legge, hanno attribuito alla locuzione di danno biologico il doppio significato, naturalistico e giuridico, decretando la scomparsa della espressione "danno alla salute".
Il risarcimento della lesione dell’integrità non richiede necessariamente l’esistenza di sintomi clinicamente accertabili. Pertanto il sistema tabellare italiano deve differenziarsi da quello francese e le future rielaborazioni eventuali delle attuali guide tabellari dovranno rivalutare i danni d’organo riequilibrandoli rispetto ai danni all’apparato locomotore.

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Non viola la privacy raccogliere informazioni personali mediante cookies sui siti Internet (Sentenza del Tribunale di New York, 28/3/2001)

Il Tribunale di New York ha stabilito, in una sentenza del 28 marzo 2001, che e' lecito servirsi dei cookies ("marcatori" elettronici che raccolgono informazioni sulle rotte seguite dagli utenti Internet)  per registrare i dati sulle preferenze dei navigatori ai fini pubblicitari, assolvendo la Double Click, societa' americana di advertising on line, citata in giudizio da diversi ricorrenti con l’accusa di violazione del diritto alla privacy e ingiusto arricchimento personale. L'accusa aveva contestato alla Double Click  l’utilizzo dei cookies, attraverso i quali dal 1996 la societa' pubblicitaria aveva raccolto   informazioni personali dei navigatori assemblando dossiers completi sui gusti e le abitudini degli utenti da utilizzare successivamente per inviare loro pubblicita' mirata.Malgrado i richiami all’Electronic Communications Privacy Act (Ecpa), la legge americana che proibisce l'intercettazione, la Corte ha stabilito che l’utilizzo dei cookies da parte di un’agenzia di pubblicita'  on line non costituisce violazione della privacy. (D.Z. da: www.internetlex.kataweb.it)
[Commento: Malgrado la scarsa importanza che, teoricamente, dovrebbe rivestire  una sentenza americana nei nostri confronti, non e' possibile ignorare che, di fatto, la Rete e' in massima parte in mano americana. Gli USA gestiscono le maggiori Societa' e Fornitori di Servizi e di connessione, nonche' le maggiori ditte commerciali. Un comportamento incoraggiato dagli USa non potra', di fatto, essere disatteso o contrastato efficacemente in Europa. E' probabile, percio', che ci si debba rassegnare ad una diffusa violazione delle norme sulla privacy. D.Z.]

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Il maltrattamento sul lavoro equivale a quello in famiglia in quanto la convivenza sul luogo di lavoro è equiparabile a quella familiare - Cassazione 10090/2001

La convivenza sul luogo di lavoro e' equiparabile a quella familiare per cui i maltrattamenti  sul lavoro equivalgono a quelli familiari  (Cassazione 10090/2001)

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato (con sentenza 10090/2001) le condanne per maltrattamenti e violenza privata inflitte ai responsabili di una ditta di vendite porta a porta che avevano sottoposto i giovani addetti alle vendite ad ogni serie di vessazioni e maltrattamenti, con minacce, insulti e violenze fisiche e morali, e massacranti turni lavorativi. La Corte ha riconosciuto la responsabilita' inerente il reato di maltrattamenti in famiglia in quanto il dipendente e' appunto assimilabile ad un membro della famiglia. Infatti la legge estende l'applicabilita' del reato di maltrattamenti in famiglia anche alle persone conviventi o sottoposte all'altrui autorita'. Nel caso in esame, rileva la Suprema Corte, non vi e' dubbio che il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest’ultimo nella condizione, specificamente prevista dalla norma penale, di persona sottoposta alla sua autorita' per cui non vi e' dubbio sulla sussistenza, da parte del datore di lavoro, del reato di maltrattamenti in danno dal lavoratore dipendente. Nel caso specifico, poi, si veniva a realizzare tra le parti un' assidua comunanza di vita in quanto essi viaggiavano spesso insieme, nel corso delle lunghe trasferte, viaggiando su un unico pulmino, consumando insieme i pasti e alloggiando nello stesso albergo.

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Pillole di buonumore

Cara Emily, che tipo di computer devo acquistare? Un Atari ST oppure un Amiga?

R: Spedisci una domanda in tal senso ai gruppi Atari e Amiga: si tratta infatti di una questione nuova e assai interessante che sicuramente suscitera' un dibattito approfondito. In realta' la cosa migliore da farsi e' spedire tale quesito agli innumerevoli gruppi di argomento tecnico, concludendo il messaggio con la precisazione "Si prega di rispondere via e-mail, perche' non seguo questo gruppo". (Non temere, nessuno trovera' che questa precisazione sia impertinente: in fin dei conti l'intera Rete esiste per fornire aiuto a te soltanto...)
Non c'e' nessuna ragione per cui tu debba seguire per qualche giorno i messaggi inviati al gruppo e tanto meno non ha senso che tu faccia riferimento alla raccolta di FAQ (Frequently Asked Question, ovvero Domande Piu' Domandate) relative al gruppo in questione per sapere se l'argomento che ti interessa e' gia' stato dibattuto in passato.
Queste raccomandazioni vanno bene per quegli individui che per loro disgrazia sono privi del tuo innato senso di buona educazione e che sono destinati a porre domande scontate e banali. Questo a te non potrebbe capitare mai e senza dubbio la questione che stai ponendo e' del tutto inusitata e originale, pertanto non ha senso che tu cerchi di scoprire se qualcuno ha gia' fornito la risposta in passato. Impossibile, visto che nessuno ha mai posto questo problema prima di te.