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Guida di Normativa Sanitaria"
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INDICE
GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA
LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita
da D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università
Cattolica
PILLOLE
Angioplastica
vs. terapia trobolitica nell'infarto miocardio
L'angioplastica coronaria
(PTCA) si sta rapidamente imponendo come trattamento di elezione nell'infarto
acuto. Numerosi trial ne riportano un confronto vantaggioso nei confronti
della tradizionale terapia trombolitica.
Questo studio segue la metodica della metanalisi per valutare la combinazione
dei trial pubblicati sull'argomento.
Sono stati selezionati 23 trial con un totale di 7739 pazienti con elevazione
del segmento ST inviati dopo randomizzazione alla trombolisi o o alla
PTCA.
Tra i pazienti trattati con terapia trombolitica, il 76% ha ricevuto agenti
fibrino-specifici.
In 12 trials vennero impiegati stents e inibitori della aggregabilità
piastinica furono usati in 8 trials.
In generale, la mortalità a breve termine (entro 4-6 settimante)
risultò del 7% nel gruppo trattato con PTCA e del 9% nel gruppo
trattato con trombolisi.
Escludendo un trial singolo che comprendeva pazienti in shock cardiogeno,
la mortalità risultò del 5% e del 7% rispettivamente.
Entrambe le analisi mostrarono una significatività delle differenze.
Significative differenze furono rilevate anche per quel che riguarda l'incidenza
di reinfarto nonfatale (3% PTCA contro 7% trombolisi), ictus (1% PTCA
contro 2% trombolisi), e l'endpoint combinato di morte, reinfarto nonfatale
o ictus (8% PTCA contro 14% trombolisi).
Durante un follow-up di 6-18 mesi il gruppo trattato con PTCA ebbe complessivamente
risultati migliori, anche quando la PTCA fu ritardata a causa del trasferimento
del paziente nelle strutture specializzate, senza differenze per quanto
riguarda l'agente trombolitico usato.
Keeley EC et al
Primary angioplasty versus intravenous thrombolytic therapy for acute
myocardial infarction: A quantitative review of 23 randomised trials.
Lancet 2003 Jan 4; 361:13-20
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Artrite
reumatoide: nuovo inibitore del Fattore di Necrosi Tumorale (TNF)
L'infliximab e l'etanercept
sono gli agenti anti TNF a disposizione attualmente. Essi si sono dimostrati
molto efficaci inibendo il fattore di necrosi tumorale tipo alfa. è
ora entrato in commercio un terzo farmaco, l'adalimumab, che è
il primo anticorpo monoclonale interamente umano contro il TNF alfa.
Per questo studio sponsorizzato dal produttore del farmaco, sono stati
arruolati 271 pazienti affetti da Artrite Reumatoide, attiva nonostante
trattamento con metotrexate.
Lo studio è stato effettuato in doppio cieco e randomizzazione.
I pazienti furono trattati con placebo o 3 dosaggi di adalimumab (20,
40 o 80 mg), somministrati per via sottocutanea ogni 2 settimane, continuando
la terapia con metotrexate.
L'endpoint primario era costituito da un miglioramento del 20% in uno
score formato da dati clinici soggettivi e oggettivi.
A distanza di 24 settimane la proporzione di pazienti che avevano ottenuto
l'endpoint risultò significativamente maggiore nei gruppi di trattamento
(48% - 20 mg; 67% 40 mg; e 66% - 80 mg) rispetto al gruppo placebo (15%).
Anche utilizzando un punteggio che indicava un miglioramento del 50% si
ebbe un numero di risposte significativamente maggiore nel gruppo di trattamento.
Alcuni pazienti ottennero un miglioramento nell'arco di tempo di una settimana.
Weinblatt ME et
al
Adalimumab, a fully human anti-tumor necrosis factor a monoclonal antibody,
for the treatment of rheumatoid arthritis in patients taking concomitant
methotrexate: The ARMADA trial
Arthritis Rheum 2003 Jan; 48: 35-45
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Chirurgia
della carotide: massimo beneficio con stenosi superiore al 70%
Abbiamo a disposizione
tre importanti trials, 1 europeo e 2 nordamericani, in cui si cerca di
determinare il grado di stenosi ottimale per sottoporre i pazienti sintomatici
ad intervento.
Purtroppo il grado di stenosi dei tre studi non è paragonabile,
potendosi avere, per esempio, che ad una stenosi del 50% nei trials americani,
corrisponda una stenosi del 65% in quello europeo.
In questo studio sono stati rianalizzati i dati e le angiografie di tutti
questi trials per determinare l'efficacia della endoarterectomia a seconda
del grado di stenosi carotidea, misurata con il metodo degli studi americani.
I risultati dello studio dei dati di 6092 pazienti hanno dimostrato che
tra i pazienti con stenosi <30%, il rischio a 5 anni di ictus ischemico
ipsilaterale (incluso ictus perioperatorio o morte) risultava aumentato
in modo significativo nei pazienti sottoposti a terapia chirurgica rispetto
a quelli sottoposti a terapia medica.
L'intervento chirurgico non conferì un vantaggio significativo
ai pazienti di stenosi compresa tra 30% e 49%, fornì un lieve beneficio
ai pazienti con stenosi compresa tra 50% e 69% e fu sicuramente efficace
con una stenosi maggiore o uguale al 70% ma senza subocclusione (riduzione
del rischio assoluto di circa il 16%)
La selezione dei pazienti da avviare alla endoarterectomia è fondamentale,
dato che l'intervento è gravata da un rischio a 30 giorni dell'1%
di morte e del 6% di ictus non fatale.
Rothwell PM et
al
Analysis of pooled data from the randomised controlled trials of endarterectomy
for symptomatic carotid stenosis
Lancet 2003 Jan 11; 361: 107-16
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Diuretico
o aceinibitore? Il confronto continua
In questo studio 6083
pazienti ipertesi sono stati randomizzati per essere trattati con enalapril
o idroclorotiazide come farmaco di inizio terapia.
La pressione media era di 168/91 mm Hg, il range di età era 65-84
anni.
Quando la monoterapia risultava inadeguata veniva aggiunto un altro farmaco,
Durante un follow-up di 4 anni la riduzione pressoria fu sovrapponibile
nei due gruppi.
La frequenza degli endpoints primari costituita da tutti gli eventi cardiovascolari
o dalla morte per ogni causa, fu di 54/1000 pazienti/anno nel gruppo trattato
con aceinibitori e di 60/1000 pazienti/anno nel gruppo trattato con diuretici.
La significatività fu del 5%.
Gli aceinibitori presentarono un tasso significativamente minore di infarto
miocardio ma non di ictus o morte per tutte le cause.
Wing LMH et al
A comparison of outcomes with angiotensin-converting-enzyme inhibitors
and diuretics for hypertension in the elderly
N Engl J Med 2003 Feb 13; 348: 583-92
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Farmaco
per l'acne si rivela utile nella degenerazione maculare
La malattia di Stargardt
fa parte di un gruppo di disturbi di degenerazione maculare che condividono
il sintomo comune di perdita della visione centrale. Si tratta di una
malattia ereditaria che affligge circa una persona su diecimila. Viene
spesso chiamata degenerazione maculare giovanile, in quanto i sintomi
cominciano a manifestarsi quando il paziente è ancora giovane,
di solito prima della pubertà.
Usando l'Isotretinoina, un farmaco di uso comune nel trattamento dell'acne,
ricercatori dell'Università della California di Los Angeles (UCLA)
sono riusciti con successo ad arrestare l'accumulo di pigmenti tossici
negli occhi di topi con un difetto genetico simile a quello della degenerazione
maculare di Stargardt. I ricercatori hanno somministrato iniezioni giornaliere
di Isotretinoina per mimare l'effetto della costante privazione di luce,
e i risultanti sono stati notevoli.
Un pigmento tossico, detto lipofuscina, è responsabile della perdita
della vista nei pazienti con la malattia di Stargardt. "Viste le
similarità fra il modello animale e gli esseri umani che soffrono
di questa malattia, - spiega Gabriel Travis, docente di oftalmologia e
chimica biologia - sembra probabile che l'Isotretinoina possa sopprimere
l'accumulo di lipofuscina nei pazienti. I nostri risultati dovrebbero
aprirci la strada verso una sperimentazione clinica sugli esseri umani".
Le basi scientifiche
dello studio sono contenute in un articolo pubblicato sull'edizione online
del 17 marzo della rivista "Proceedings of the National Academy of
Sciences" (PNAS)".
www.lescienze.it
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Incidenza
di infarti cerebrali silenti e fattori di rischio
I Ricercatori dell'Erasmus
Medical Center di Rotterdam ed i radiologi dell'ospedale Universitario
di Groningen, in Olanda, hanno studiato l'incidenza di infarti cerebrali
silenti in una popolazione anziana, sana.
Gli infarti cerebrali silenti sono associati ad un aumento del rischio
di ictus.
È stata presa in esame la popolazione che ha partecipato al Rotterdam
Scan Study (n=1.077), d'età compresa tra 60 e 90 anni.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a MRI ( Risonanza Magnetica
ad Immagine ) e, dopo alcuni anni (intervallo medio: 3,4 anni), 668 persone
hanno eseguito un secondo MRI.
Il 14% dei partecipanti allo studio (n=93) ha presentato uno o più
nuovi infarti al secondo MRI.
Di questi, 81 hanno avuto infarti silenti, mentre in 12 l'infarto è
risultato sintomatico.
L'incidenza degli infarti cerebrali silenti è aumentata in modo
marcato con l'età ed è risultata 5 volte più elevata
rispetto all'incidenza dell'ictus sintomatico.
I fattori di rischio associati a nuovi infarti cerebrali silenti sono
stati: età, pressione sanguigna, diabete mellito, livelli di colesterolo
e di omocisteina, spessore intima-media, placche carotidee e fumo.
Stroke 2003; 34:
392
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Insufficienza
renale e aterosclerosi
L'insufficienza renale
presenta un rischio aumentato di malattia cardiovascolare. Questo è
in parte spiegabile con una aumentata incidenza di diabete e ipertensione
tra i pazienti affetti da insufficienza renale.
In questo studio è stata indagata la situazione dei biomarcatori
dell'infiammazione e della coagulazione nelle persone anziane con o senza
insufficienza renale per vedere se questi aspetti potessero contribuire
all'aumento del rischio.
I markers furono esaminati nei soggetti di età maggiore di 65 anni
afferenti al Cardiovascular Health Study. L'insufficienza renale, definita
come tasso di creatinina nel siero maggiore o uguale a 1.3 mg/dl nella
donna e 1.5 mg/dl nell'uomo fu evidenziata in 648 soggetti su 5808 (11%).
Dopo aggiustamento per fattori clinici e differenze nelle misurazioni
di base, i livelli di proteina C reattiva, di fibrinogeno, di interleukina-6,
dei fattori VII e VIII, del complesso plasmina- antiplasmina e del D-dimero
risultarono significativamente più alti nei pazienti con insufficienza
renale che in quelli con normale funzione renale.
È chiaro che questi dati non costituiscono un nesso causale, ma
solo una prima acquisizione del fatto che i pazienti con insufficienza
renale presentano un aumento del rischio cardiovascolare che può
essere mediato da un aumento di fattori proinfiammatori e della coagulazione..
Occorrono ulteriori studi per capire i nessi e per capire se la terapia
volta alla modifica di questi fattori possa portare ad una diminuzione
del rischio cardiovascolare.
Shlipak MG et al
Elevation of inflammatory and procoagulant biomarkers in elderly persons
with renal insufficiency
Circulation 2003 Jan 7; 107: 87-92
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La
marijuana induce l'uso di stupefacenti più potenti?
In questa ingegnosa
ricerca, tesa a dimostrare che la marijuana apre la porta all'impiego
di droghe più pesanti, sono stati studiati 311 gemelli monozigoti
o dizigoti dello stesso sesso i quali avevano un comportamento diverso
per quanto riguardava l'uso di marijuana.
La maggior parte dei gemelli che riportava l'uso di altri tipi di droghe
aveva riferito di aver cominciato con la marijuana.
Quelli che avevano cominciato prima con la marijuana avevano una probabilità
maggiore rispetto a chi aveva cominciato più tardi o non aveva
mai cominciato, di usare altre droghe vietate, o di avere dipendenza da
altre droghe o da alcool. In una analisi aggiustata tenendo conto dello
stato familiare, sociale e individuale (comprendendo malattie psichiatriche,
uso precoce di tabacco e/o di alcool), coloro che impiegavano precocemente
la marijuana presentavano una associazione significativa con un maggiore
impiego di sedativi, allucinogeni, cocaina o oppiacei e con un più
frequente stato di abuso o dipendenza di cocaina o oppiacei.
Lynskey MT et al
Escalation of drug use in early-onset cannabis users vs co-twin controls
JAMA 2003 22/29; 289: 427-33
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Neuropatia
Idiopatica: la causa è una ridotta tolleranza al glucosio?
Vi è una cospicua
percentuale di pazienti che sviluppa neuropatia senza che vi siano cause
dirette apparenti. In questo studio si cerca di capire se una alterata
tolleranza al glucosio può essere la causa di questi casi di neuropatia.
97 pazienti con sintomi prevalentemente sensoriali furono esaminati in
tre cliniche neurologiche per neuropatia di origine indeterminata.
Di questi pazienti, 73 furono sottoposti a test da carico di glucosio.
In 26 casi si dimostrò una ridotta tolleranza al glucosio (glicemia
a digiuno 110-126 mg/dl o livelli di glucosio 2 ore dopo carico 140-200
mg/dl). 15 di essi furono classificati come diabetici.
Mediante test di conduzione nervosa e biopsie per determinare la densità
delle fibre nervose (bassa densità significa neuropatia sensoriale
a piccole fibre) si è visto che in 11 su 26 casi di diminuita tolleranza
al glucosio si aveva neuropatia sensoriale a piccole fibre, mentre negli
altri casi si era di fronte a neuropatia sensoriale a grosse fibre o neuropatia
sensitivo-motoria.
Solo 1 dei pazienti affetti da diabete presentava neuropatia sensitiva
a piccole fibre, mentre gli altri presentavano neuropatia sensitiva a
grosse fibre o neuropatia sensitivomotoria o sensitiva a larghe fibre.
Sembra quindi che in alcuni casi di neuropatia idiopatica ci si possa
trovare di fronte a diminuita tolleranza al glucosio e che la neuropatia
sensitiva a carico delle piccole fibre possa essere uno stadio precoce
della neuropatia da ridotta tolleranza al glucosio.
Sumner CJ et al
The spectrum of neuropathy in diabetes and impaired glucose tolerance
Neurology 2003 Jan 14; 60: 108-11
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Scoperto
nuovo gene associato a tumore del seno
Ricercatori dell'Università
di Rochester e della Vaccinex hanno identificato un nuovo gene, chiamato
C35, che sembra essere associato da vicino con il tumore del seno. Secondo
i dati pubblicati negli atti del 94esimo convegno annuale dell'American
Association for Cancer Research (AACR), più del sessanta per cento
dei tessuti di tumore del seno esaminati esprimevano in eccedenza il gene
in questione. Lo studio ha anche scoperto che il gene C35 era espresso
in quantità elevata solo nelle cellule tumorali, e non nei normali
tessuti delle donne. Anche se studi clinici su larga scala devono ancora
essere completati, è possibile che C35 divenga presto l'obiettivo
di terapie e un indicatore per la diagnosi di questo tipo di tumore.
Gli scienziati hanno scoperto che il gene è localizzato sul cromosoma
17, adiacente all'oncogene che codifica per HER2/neu (il recettore 2 del
fattore di crescita dell'epidermide umana): Lo sviluppo di terapie incentrate
su HER2/neu ha rappresentato un grande progresso per i pazienti che soffrono
di tumore del seno.
La ricerca mostra che la proteina codificata dal gene C35 è espressa
in modo eccessivo nel 65 per cento dei pazienti. I medici hanno fatto
un confronto con HER2/neu, che è espressa nel 30 per cento circa
dei tumori del seno ed è associata con una forma più virulenta
del tumore.
C35 si accumula all'interno delle cellule tumorali. Quando le cellule
muoiono, il gene viene rilasciato nei tessuti circostanti. I ricercatori
stanno cercando di sviluppare un test diagnostico per rivelare la presenza
della proteina o dei suoi anticorpi nel sangue dei pazienti.
www.lescienze.it
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Patologia
renale non diabetica: efficacia della terapia combinata
Un trial randomizzato
e controllato ha confrontato l'impiego di ACE inibitori, inibitori del
recettore dell'angiotensina (ARB) e l'associazione di entrambi nel trattamento
della nefropatia non di origine diabetica.
Sono stati inclusi nello studio 263 pazienti non ricoverati, di età
compresa tra 18 e 20 anni, con livelli di creatinina di 1.5-4.5 mg/dl
o tasso di filtrazione glomerulare di 20-70 ml/min/1.73 mq). I trattamenti
consistevano in ACE inibitori (trandolapril 3 mg/die), ARB (losartan 100
mg/die) o entrambi associati.
Quasi tutti i pazienti erano affetti da ipertensione trattata con pressione
media di 130/75 mm Hg e impiego di farmaci anche diverse da ACE inibitori
e ARB.
I pazienti furono seguiti per una media di 2.9 anni.
L'endpoint primario, costituito dal raddoppiamento della creatinina o
dal raggiungimento dell'ultimo stadio di nefropatia, risultò significativamente
minore (11%) nel gruppo di trattamento combinato rispetto agli altri due
gruppi a trattamento singolo (23% in ciascuno dei due gruppi).
Oltre alla terapia combinata, i fattori associati in modo indipendente
con una minore incidenza dell'endpoint primario furono una maggiore riduzione
nella proteinuria e l'impiego di diuretici.
In tutti i gruppi si ebbe la stessa diminuzione media della pressione
(5mm per la sistolica e 3 mm per la diastolica).
Non si ebbero effetti collaterali significativamente differenti per i
vari gruppi.
Nakao N et al
Combination treatment of angiotensin-II receptor blocker and angiotensin-converting-enzyme
inhibitor in non-diabetic renal disease (COOPERATE): A randomised controlled
trial.
Lancet 2003 Jan 4; 361: 117-24
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Una
proteina allunga la vita?
Alti livelli di una
proteina anti-infiammatoria potrebbero rappresentare la chiave genetica
verso la longevità, almeno per quanto riguarda gli uomini. Lo rivela
uno studio pubblicato sulla rivista "Journal of Medical Genetics".
Il processo di invecchiamento è associato a infiammazione cronica
e di basso livello in tutto il corpo, che a lungo termine porta a danni
ai tessuti e all'aumento del rischio di sviluppare malattie degenerative,
come il morbo di Alzheimer, quello di Parkinson, l'osteoporosi e il diabete
di tipo 2.
Ricercatori del dipartimento di biopatologia e biomedicina dell'Università
di Palermo hanno esaminato i livelli di due proteine (citochine) coinvolte
nel processo infiammatorio del corpo: IL-10, che smorza l'infiammazione,
e TNFa, che invece la favorisce. Gli scienziati hanno studiato la frequenza
dei geni che codificano per le due proteine in un campione di 72 uomini
e 102 donne che avevano raggiunto i 100 anni di età. Inoltre hanno
analizzato anche il DNA di diversi individui di età compresa fra
i 22 e i 60 anni.
I risultati mostrano che un numero significativamente più elevato
di uomini centenari esprimeva geni che codificano per alti livelli di
IL-10, la proteina anti-infiammatoria, rispetto agli uomini più
giovani. Invece, per quanto riguarda i livelli della TNFa, non c'erano
differenze fra i diversi gruppi di età. Sempre gli uomini centenari
esprimevano i geni corrispondenti alla combinazione di alti livelli di
IL-10 e bassi di TNFa. Fra le donne, invece, non c'era differenza nei
livelli delle citochine, né separatamente né in combinazione.
Secondo gli autori dello studio, queste variazioni genetiche potrebbero
essere specifiche dei pazienti presi in esame e non essere evidenti al
di fuori della popolazione testata. Ma in ogni caso, i livelli elevati
della citochina anti-infiammatoria sembrano associati alla longevità.
www.lescienze.it
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Teriparatide
(Paratormone umano ricombinante) e osteoporosi postmenopausale
Il Teriparatide sembra
in grado di indurre modificazioni benefiche nell'achitettura del tessuto
osseo, aumentandone la resistenza meccanica ed è gravato da scarsi
effetti collaterali.
In un trial condotto in Argentina il farmaco è stato somministrato
una volta al giorno per via iniettiva in donne affette da osteoporosi
post menopausale.
Il trattamento con paratormone ricombinante riduce il rischio d'insorgenza
di fratture vertebrali e non vertebrali e incrementa la densità
minerale ossea dell'osso trabecolare mentre non è ancora chiaro
l'effetto su l'osso corticale.
In questo studio gli autori hanno studiato i parametri relativi alla qualità
dell'osso corticale mediante pQTC ( periferal quantitative computed tomografy)
nel radio distale del braccio non dominante di 101 donne in post menopausa.
Le pazienti sono state assegnate in maniera randomizzata al trattamento
con teriparatide a 20 mg(38 pz ) o 40 (28 pz) mg sottocute o al placebo
(35 pz).
Dopo un periodo medio di osservazione di 18 mesi sono stati misurati il
momento d'inerzia, la circonferenza dell'osso, il contenuto minerale
osseo, e l'area oseea, i risultati sono stati aggiustati per età
peso e altezza. Le pazienti che hanno ricevuto 40 mg di teriparatide paragonate
al gruppo placebo hanno avuto una densità minerale ossea significativamente
più elevata così come migliori sono stati il momento d'inerzia
assiale e trasversale, l'area ossea corticale e la circonferenza ossea.
Anche le pazienti trattate con 20 mg hanno avuto risultati migliori rispetto
al gruppo placebo.
J Bone Miner Res
2003 Mar;18:3:539-43.
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Effetti
del trattamento a breve termine con Azitromicina sugli eventi ischemici
nei pazienti con sindrome coronarica acuta: Lo studio AZACS
La sindrome coronarica
acuta è dovuta generalmente alla rottura della placca e alla sovrapposta
formazione del trombo che esita nell'occlusione della coronaria. A dispetto
del largo uso di potenti farmaci antiaggreganti e di statine la frequenza
di eventi ischemici ricorrenti nei 2-6 mesi dall'evento acuto ( infarto
o insorgenza di angina instabile) rimane molto alta intorno al 12-20%.
L'infiammazione vascolare che esita nella rottura della placca e alla
conseguente formazione del trombo potrebbe essere in parte dovuta ad una
infezione della parete vascolare per lo più dovuta alla Chlamydia
pneumoniae. L'infezione produce l'attivazione di metaboliti proinfiammatori
e protrombotici creando una connessione patofisiologica tra infezione
e evento coronario acuto.
I risultati di studi preliminari in cui la Chlamidia pneumoniae è
stata trattata con azitromicina o roxitromicina suggeriscono una riduzione
dei markers sierici dell'infiammazione e un decremento del numero di eventi
ischemici ricorrenti nei pazienti con sindrome coronarica acuta. I risultati
di questi studi non sono però conclusivi a causa del piccolo numero
di pazienti arruolati.
Nello studio AZACS gli autori si propongono di determinare se il trattamento
a breve termine con Azitromicina sia in grado di ridurre gli eventi ischemici
ricorrenti o le morti nei sei mesi successivi all'evento acuto.
Il trial è stato condotto in doppio cieco su 1439 pazienti con
angina instabile o infarto del miocardio. I pazienti sono stati assegnati
in maniera randomizzata ad un braccio di trattamento con Azitromicina
500 mg al primo giorno e poi 250 mg die per 4 giorni, o al braccio placebo.
Il follow up è durato sei mesi e gli endpoint primari sono stati: reinfarto, ischemia ricorrente con necessità di rivascolarizzazione
e la morte.
Dei 716 pazienti in trattamento con azitromicina 23 ( 3%) morirono, 17(
2%) svilupparono un infarto del miocardio, 65 ( 9%) soffrirono di ischemia
ricorrente con necessità di rivascolarizazione e 100 ( 14%)ebbero
uno più di questi endpoint .Nel gruppo placebo ( 723 pz) i numeri
corrispondenti furono 24 ( 4%), 22 ( 3%), 59 (8%),e 106 (15%) ( p= 0.664).
Gli autori concludono che il trattamento con Azitromicina non riduce il
numero di eventi ricorrenti nei pazienti con sindrome coronarica acuta.
Lancet 2003;361:809-13
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Un
chip nel cervello per riparare i danni
Scienziati americani
affermano che un microprocessore di silicio potrebbe essere usato per
rimpiazzare l'ippocampo, dove viene coordinato l'immagazzinamento dei
ricordi. Presto comincieranno a sperimentare l'apparecchio in laboratorio
su cervelli di topi. Se gli esperimenti dovessero funzionare, entro sei
mesi i ricercatori proveranno l'ippocampo artificiale in topi vivi e poi
in scimmie addestrate per eseguire esercizi di memoria, prima di passare
a sperimentarlo sugli uomini.
Attualmente, alcuni apparecchi sono in grado di simulare l'attività
del cervello, ma l'obbiettivo degli scienziati è quello di mettere
a punto una vera e propria protesi di silicio per rimpiazzare i tessuti
cerebrali danneggiati. I ricercatori sono consapevoli del fatto che il
loro lavoro possa provocare controversie: il cervello influisce sull'umore,
sulla consapevolezza e la coscienza, oltre che sulla memoria, tutte aree
legate direttamente all'identità della persona.
L'ippocampo è un'area alla base del cervello umano, in prossimità
della giunzione con il midollo spinale. Si ritiene che "decodifichi"
le esperienze per poterle immagazzinare nelle memorie a lungo termine
in altre parti del cervello. Il modo in cui lavora, tuttavia, non è
ancora chiaro.
I ricercatori dell'Università della California Meridionale di Los
Angeles hanno impiegato dieci anni a sviluppare l'ippocampo artificiale,
che si limita a copiare il comportamento di quello naturale attraverso
un modello matematico ottenuto dalla stimolazione dell'ippocampo dei topi
con segnali elettrici e dallo studio delle risposte. La ricerca sarà
presentata alla conferenza di ingegneria neurale che si terrà a
Capri dal 20 al 22 marzo.
www.lescienze.it
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Un
esame del sangue sostituirà la colonscopia?
Un semplice esame
del sangue potrebbe essere in grado di prevedere se il paziente corre
il rischio di sviluppare un tumore del colon, evitando così esami
sgradevoli come la colonoscopia. Lo affermano ricercatori americani della
Johns Hopkins University di Baltimora, che hanno scoperto una mutazione
genetica particolarmente comune nelle persone cui è stato diagnosticato
il tumore.
Gli scienziati sostengono che saranno necessari altri studi prima di essere
sicuri dei risultati, ma sperano di aver trovato un metodo semplice e
accurato per una diagnosi precoce del tumore. La ricerca è stata
pubblicata sul numero del 14 marzo della rivista "Science".
"Finora non esistono esami per identificare le persone con una predisposizione
genetica ai tumori" afferma il direttore dello studio, Andrew Feinberg.
Il tumore colorettale è al secondo posto, dopo quello del polmone,
nelle cause di decessi per cancro negli Stati Uniti. L'American Cancer
Society prevede che quest'anno ne verranno diagnosticati 147.000. La prevenzione
è difficile, perché pochi si sottopongono al test della
colonoscopia.
Feinberg e colleghi hanno esaminato 172 pazienti, scoprendo una specifica
alterazione genetica, detta "perdita di imprinting" in un gene
chiamato IGF2, che controlla la produzione di un fattore di crescita.
Coloro che soffrono di tumore del colon hanno circa 22 volte più
possibilità di presentare questa alterazione, che nella maggior
parte dei casi può essere rivelata semplicemente dal sangue.
www.lescienze.it
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PCR
per la diagnosi di ischemia inducibile nella malattia coronarica stabile
Alti livelli di PCR
sono associati con un aumentato rischio di eventi cardiovascolari nella
popolazione in apparete buona salute.
Gli autori di questo studio hanno determinato i livelli di PCR in 118
pazienti con ischemia inducibile con ecostress e in 111 soggetti in cui
l'ischemia non era inducibile.
I pazienti che si collocavano al quintile più alto dei livelli
di PCR (>0.38 mg/dl) avevano una probabilità significativamente
maggiore di presentare ischemia inducibile rispetto ai pazienti con più
bassi livelli di PCR (75% contro 45%).
Questa associazione si dimostrò più forte nei pazienti che
non ricevevano betabloccanti (93% contro 42%) o statine (94% contro 44%)
e non apparve significativa nei sottogruppi trattati con questi farmaci
singolarmente o in associazione.
Si ipotizza quindi che i betablocccanti e le statine possano avere una
attività antinfiammatoria che contrasta il processo infiammatorio
che porta all'ischemia.
Beattie MS et al
C-reactive protein and ischemia in users and nonusers of b-blockers and
statins: Data from the Heart and Soul Study
Circulation 2003 Jan 21; 107: 245-50
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Vertebroplastica
e cifoplastica per fratture vertebrali da osteoporosi
In caso di fratture
vertebrali da osteoporosi si possono eseguire due nuovi interventi chirurgici:
la vertebroplastica percutanea e la cifoplastica con pallone.
Nel caso della vertebroplastica percutanea viene inserito un trequarti
nel corpo vertebrale e si inietta del polimetilmetacrilato.
Nella cifoplastica con pallone un palloncino viene fatto espandere nell'ambito
del corpo vertebrale per riportarne al normale l'altezza prima di iniettare
il polimetilmetacrilato.
In 2 reports vengono descritti i risultati con queste procedure in pazienti
con forte sindrome dolorosa.
Il primo studio è retrospettivo multicentrico e include 345 pazienti
che furono sottoposti a vertebroplastica. I punteggi medi del dolore riportati
dai pazienti scesero da 8.9 (scala di 10 punti) a 3.4 punti dopo la vertebroplastica.
La percentuale di pazienti che risultò, dopo l'intervento, in grado
di condurre le normali attività quotidiane senza dolore passò
dal 7% al 62%.
Nel secondo studio si illustrano i risultati della cifoplastica eseguita
su 96 pazienti.
I punteggi del dolore medi scesero da 8.6 a 2.1 dopo l'intervento.
La proporzione di pazienti che camminavano normalmente aumentò
con l'intervento da 35% a 84%. L'altezza media dei corpi vertebrali, osservata
con radiografie seriate, aumentò dal 60% al 90% della misura prevista.
Evans AJ et al
vertebral compression fractures: Pain reduction and improvement in functional
mobility after percutaneous polymethylmethacrylate vertebroplasty - retrospective
report of 245 cases
Radiology 2003 Feb; 226: 366-72
Ledlie JT and Renfro
M
Balloon kyphopasty: One-year outcomes in vertebral body height restoration,
chronic pain, and activity levels
J Neurosurg 2003 Jan; 98: Spine: 36-42
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APPROFONDIMENTI
La
bicicletta e i problemi sessuali
La bicicletta deve
essere considerata un importante fattore di rischio per la disfunzione
erettiva".
È questo l'allarme che Irwain Goldstein, professore di urologia
all'università di Boston ed esperto mondiale sulla disfunzione
erettiva, continua a rilanciare.
Il problema era già stato segnalato negli anni passati da vari
autori, soprattutto norvegesi e francesi, ma mai con tanta determinazione
e preoccupazione. "E l'allarme bicicletta, sempre secondo lo studioso
americano, scatterebbe dopo solo tre ore di allenamento alla settimana
ed interesserebbe proprio tutti: bambini, giovani, adulti e anche le donne".
Attualmente non esiste una esatta conoscenza sulla prevalenza della disfunzione
erettiva associata al ciclismo su larga scala ma i dati riportati dal
ricercatore su circa 400 ciclisti studiati sono interessanti ed al tempo
stesso molto curiosi. Infatti, quelli che più frequentemente andrebbero
incontro a disturbi sessuali sarebbero i ciclisti della domenica, mentre
quelli che ne soffrirebbero meno sono gli appassionati delle mountain
bikers. In particolare lo studioso ha osservato che l'incidenza della
disfunzione erettiva variava dal 9 al 13 % ma l'origine era sempre traumatica:
cosi i ciclisti del weekend sono risultati al primo posto con il 41%,
soggetti sotto i 10 aa che imparano ad andare in bicicletta (30%), ciclisti
che utilizzano la bicicletta per andare al lavoro (22%), ciclisti professionisti
che si esercitano regolarmente (20%), adolescenti che si divertono ad
andare in bicicletta (19%), "patiti della bicicletta"(17%).
Il 72% dei soggetti con deficit erettivo aveva utilizzato sellini stretti
ed allungati, il rimanente sellini a tavoletta. Secondo il ricercatore
la causa dei disturbi erettivi sarebbe soprattutto nei problemi vascolari.
Nella sua esperienza infatti, l'insufficiente apporto di sangue arterioso
ai corpi cavernosi rappresentava la causa dominante del deficit erettivo
(58%), più del doppio di frequenza rispetto alla disfunzione venoocclusiva
(26%). Nel rimanente 16% erano presenti problemi neurologici.
Il ricercatore ha quindi riferito che su un altro campione di 81 ciclisti,
nell'84% il ciclismo era stata la causa di almeno un episodio di insensibilità
al perineo o di arsura della cute perineale mentre il 9% ricordava un
incidente esitato in bruciori e dolori durante la minzione o addirittura
fuoriuscita di sangue con le urine.
Il meccanismo d'azione:
La relazione tra una pressione continua di lunga durata e l'impotenza
non è nuova ma risale agli antichi greci ed è stata descritta
per la prima volta da Ippocrate in alcuni cavalieri sciiti.
Esistendo molte omologie tra l'anatomia sessuale dell'uomo e della donna, le disfunzioni sessuali e le alterazioni del tratto urinario sarebbero
da attribuire al traumatismo compressivo che si realizza tra il sellino,
i tessuti molli e le ossa del bacino, nel momento in cui si va in bicicletta
per più di tre ore alla settimana e può interessare, separatamente
o in associazione, la componente vascolare (arteriosa e venosa) e quella
neurologica.
Nello caso specifico verrebbero danneggiati i vasi ed i nervi il nel canale
di Alcock e lungo la branca ischiopubica. L'augurio del ricercatore è
stato quello secondo cui, ben presto la case produttrici di bicicletta
possano realizzare un sellino che riduca questi rischi. I tedeschi stanno
già sperimentando qualcosa!
Intanto speriamo che in futuro venga condotto uno studio scientifico serio
e multicentrico, coordinato ( perché no!) anche dalla società
Italiana di Andrologia e che coinvolga una larga popolazione di ciclisti.
I disturbi sessuali nelle donne cicliste:
Delle 282 donne esaminate il 93% delle cicliste erano road bikers, solo
l'11% erano professioniste;il 57% usava biciclette con il sellino stretto,
il 75% biclette con sellino a tavoletta. Il 32% avevano riportato un episodio
di trauma sul telaio della bicicletta, il 44% dei quali associati a strappi
o abrasioni, il 19% associati ad ematuria o disuria, il 34% ad insensibilità
del perineo, l'1.5% frattura pelvica e l'1.8% stenosi uretrali.
Goldstein conclude osservando che le disfunzioni sessuali ed i disturbi
del tratto urinario basso nella donna correlate al ciclismo, come per
il maschio, sono direttamente proporzionali alla dose di esposizione del
fattore di rischio stesso, e cioè alle ore trascorse sulla bicicletta.
di Aldo Franco
De Rose
www.clicmedicina.it
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MEDICINA
LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica
gestita dall'ASMLUC:
Associazione
Specialisti in Medicina
Legale
Università Cattolica
(a cura di D. Z. )
Pornografia
minorile - diffusione di materiale pornografico
(Corte
di Cassazione, Sezione Quinta Penale - Sentenza n. 4900 del 3 febbraio
2003)
Perché
si concretizzi il reato di divulgazione o distribuzione di materiale
pornografico occorre che l'agente inserisca le foto pornografiche minorili
in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo "privilegiato",
o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa
scaricare, o le invii bensì ad indirizzi di persone determinate
ma in successione, realizzando una serie di cessioni multiple a diverse
persone; non è sufficiente l'invio a singoli soggetti, anche
per via telematica.
I Fatti:
T. C. era stato indagato per il reato di cui all'articolo 600 ter terzo
comma e 81 c.p. per avere ripetutamente - l'attività durava da
quasi un anno - e per via telematica, operando con il nickname "tcbsx",
distribuito o comunque divulgato materiale pornografico avente ad oggetto
minori di diciotto anni ritratti nel corso di rapporti sessuali tra
loro e con adulti, cedendolo nel corso di tali attività ad ufficiali
di p.g. del compartimento di polizia postale e delle telecomunicazioni
"Veneto", che agivano sotto copertura.
Secondo il Tribunale, il fatto che con il sistema della chat line, che
non prevede una divulgazione a tutti i presenti, "l'interlocutore
via internet debba di volta in volta mostrarsi interessato a quel prodotto
e accettare di ricevere e scambiare le foto, non è incompatibile
con il concetto di divulgazione, in quanto in detto colloquio "privilegiato"
l'interlocutore è sconosciuto e può essere potenzialmente
costituito nella realtà fisica (non virtuale) da più persone
delle quali non è dato conoscere nulla, nemmeno l'età".
La
Suprema Corte sentenziava che è da escludere che tale trasmissione
diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d'accordo
sulla trasmissione del materiale, configuri senz'altro una divulgazione
o distribuzione ai sensi del terzo comma della norma citata, in quanto
tali attività implicano la comunicazione con un numero indeterminato
di persone. Né è sufficiente la considerazione che più
persone possano nascondersi sotto un unico nickname.
"Perché
vi sia divulgazione o distribuzione occorre, invece, che l'agente inserisca
le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di
fuori di un dialogo "privilegiato", o le invii ad un gruppo
o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii
bensì ad indirizzi di persone determinate ma in successione,
realizzando cioè una serie di conversazioni private (e, quindi,
di cessioni) con diverse persone (come nella specie contestato all'indagato,
ma da questi negato).
Di conseguenza, quando la cessione avvenga, come nel caso in esame,
attraverso un canale di discussione (cosiddetta chat line), è
necessario verificare, al fine della contestazione dell'ipotesi del
terzo comma, se il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione
di cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili,
in modo che chiunque possa accedervi e, senza formalità rivelatrici
di una sua volontà specifica e positiva, prelevare direttamente
le foto. Laddove, invece, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione
di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata,
si versa nell'ipotesi più lieve di cui al quarto comma."
La Cassazione, quindi annullava la sentenza con rinvio.
(L'art.
600 ter della Legge 3 agosto 1998, n. 269 stalisce, al terzo comma:
"Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo
comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce,
divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma,
ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento
o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire
cinque milioni a lire cento milioni."
Il quarto comma prevede invece:
"Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo,
secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito,
materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei
minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a
tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni".
È
evidente la diversa gravità tra le due fattispecie, in quanto
il reato di cui al quarto comma può essere punito con la sola
pena pecuniaria, a differenza di quanto previsto al terzo comma. In
ogni caso, tuttavia, la cessione di materiale pornografico riguardante
i minori resta un atto illecito, punibile dal Codice Penale, sia pure
con una più specifica graduazione delle pene. DZ)
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Nuove
disposizioni per l'ECM
Il nuovo
accordo Stato-Regioni sugli obiettivi e sul programma di formazione continua
per l'anno 2003, (GU n. 85 del 11-4-2003) ha parzialmente modificato le
precedenti disposizioni, pur senza cambiamenti sostanziali.
Vengono di seguito riportati alcuni punti di particolare interesse per
il medico:
- Gli esiti delle
sperimentazioni finalizzate a testare attività di formazione
a distanza, ad individuare i requisiti per l'accreditamento delle società
scientifiche nonchè dei soggetti pubblici e privati che svolgono
attività formative, e a realizzare un progetto unitario per la
gestione e certificazione dei crediti formativi acquisiti dai singoli
professionisti, dovranno essere portati all'esame della Conferenza Stato-Regioni,
cui resta riservata ogni ulteriore decisione di livello nazionale.
- Per l'anno 2003
le attività formative residenziali, ivi comprese quelle aziendali,
continueranno ad essere accreditate e valutate con le modalità
e le procedure attualmente in vigore, ferma restando l'esigenza dei
necessari adeguamenti dettati dall'esperienza acquisita nel corso dell'anno
2002.
- Le regioni, che
abbiano deciso di procedere ad una propria attività di accreditamento
comunicheranno alla Commissione nazionale l'avvio dell'attività
di accreditamento secondo i criteri individuati dalla stessa e garantendo
la pubblicizzazione anche a livello nazionale degli eventi formativi
accreditati regionalmente.
- I crediti maturati
dai singoli professionisti nell'ambito delle iniziative di formazione
continua accreditate dalle regioni sono riconosciuti su tutto il territorio
nazionale.
- In considerazione
della carente offerta formativa per alcune categorie professionali registratasi
nel corso dell'anno 2002, e tenuto conto che il predetto anno è
stato il primo della formazione residenziale a regime, non essendo stata
ancora attivata la formazione a distanza, è consentito di soddisfare
il debito formativo stabilito per il 2002 anche nel corrente anno (2003).
- Sono fatti salvi
i crediti maturati con la partecipazione ad eventi formativi nel periodo
compreso dal 1 gennaio 2003, fino alla data del presente accordo
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Le
multiformi responsabilità amministrative del primario ospedaliero
tra vecchie sentenze e nuove normative
Sono state spesso
esaminate e discusse, in varie sedi, gli aspetti di responsabilità
professionale dei primari (o dirigenti di secondo livello) ospedalieri;
raramente, invece, sono stati esaminati gli aspetti che riguardano la
responsabilità amministrativa, considerata finora un aspetto del
tutto secondario.
L'evoluzione "burocratica"
della professione nel nostro Paese ha però portato in primo piano
proprio le responsabilità burocratiche, molto pesanti e incidenti
pesantemente sull'attività organizzativa.
Le recentissime normative
(Decreto "antitruffa") accentuano ulteriormente questi aspetti,
fino ad estremi forse neppure voluti.
Esaminiamo, attraverso
sentenze giudiziarie, due fattispecie apparentemente opposte, ma ambedue
gravide di responsabilità.
Caso 1: È penalmente responsabile il medico di struttura pubblica
che dirotti i suoi pazienti verso una struttura privata (Cassazione
Sezione Seconda Penale Sentenza n. 960 del 13 gennaio 2003)
I fatti
Con sentenza in data
12.4.2001 la Corte di Appello di Bologna dichiarava il dott. E. G. responsabile
dei delitti di abuso di ufficio e di truffa aggravata per essersi
fatto pagare mediante artifici e raggiri parcelle milionarie per prestazioni
effettuate quale professionista privato nei confronti di pazienti da lui
conosciuti perchè ricoverati presso la struttura pubblica di cui
è dipendente e lo condannava alla pena (sospesa con la "condizionale")
di sei mesi di reclusione e L. 1.000.000 di multa, oltre all'interdizione
dai pubblici uffici per anni uno.
La Corte affermava che il G. aveva rappresentato ad un paziente e ai suoi
congiunti l'imminenza di un pericolo inesistente e l'impossibilità
di un ricovero tempestivo preso la struttura pubblica convincendoli ad
eseguire gli esami più urgenti presso la sua clinica privata (di
cui costoro prima ignoravano l'esistenza), poi aveva tentato di convincerli,
mediante la falsa spiegazione che la struttura pubblica al momento non
disponeva di certe endoprotesi metalliche, a scegliere la stessa clinica
per un intervento chirurgico.
Il medico proponeva
ricorso in Cassazione, chiedendo l'annullamento della condanna.
La Cassazione sottolineava invece una serie di comportamenti del G., configuranti
violazioni di legge. In particolare le violazioni contestate riguardavano
innanzitutto il dovere di fedeltà alla Pubblica Amministrazione,
manifestatesi nel mancato apprestamento del ricovero del paziente presso
altra struttura pubblica, avendo egli invece fatto ricoverare il paziente,
proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende, presso una clinica
privata senza essersi attivato nell'ambito della medesima struttura pubblica
al fine di consentire l'immediato intervento.
Infatti la stessa
diagnosi effettuata dal G. (" nel corso della prima visita lo stesso
G. riferì alla figlia del paziente che la patologia da lui rilevata
poteva comportare un ictus in tempi brevi") rendeva necessario
un ricovero urgente, eventualmente dando la precedenza nei confronti di
altri pazienti le cui condizioni fossero meno pressanti.
Infatti in
tale situazione "il G. avrebbe dovuto per le vedute ragioni disporne
il ricovero immediato e, ove questo fosse stato assolutamente impossibile
per carenza di letti, avviare il paziente presso altra struttura ospedaliera
disponibile, anzichè consigliargli una serie di esami da effettuare
in una struttura privata".
La Corte concludeva quindi che la sentenza dei Giudici di Merito aveva
correttamente individuato nel suo comportamento "la violazione di doveri
professionali normativamente definiti" e confermava la condanna per abuso
d'ufficio e truffa aggravata che però, essendo gli eventi accaduti
nel 1993, risultava prescritta.
È quindi reato,
per il medico dipendente da un Ospedale, attivarsi per indirizzare i pazienti
dalla struttura pubblica a quella privata, avendo egli, in quanto dipendenti
della pubblica amministrazione, un "dovere di fedeltà"
che lo obbliga a fare quanto in suo potere per consentire il ricovero
"immediato" sempre nell'ambito della sanità pubblica.
A ben guardare, la
Suprema Corte ha voluto sottolineare come la scelta del ricovero presso
la struttura privata non fosse un'autonoma decisione del paziente, il
quale neanche conosceva la clinica in questione, ma fosse artatamente
indotta dal Sanitario. Questi poi, per operare tale indirizzamento presso
la Clinica, forniva anche false informazioni circa la mancanza, nella
struttura pubblica, delle endoprotesi necessarie al paziente. Tale comportamento
configurava gli "artifici e raggiri" che erano stati alla base della condanna
per truffa.
Pur non essendo quindi
di per sè reato inviare il paziente presso una struttura privata,
lo diventa quando tale indirizzamento viene effettuato senza aver prima
fatto il possibile per effettuare il ricovero presso una struttura pubblica,
e quando vengano addotte motivazioni false o pretestuose, magari per fini
di lucro personale.
Caso 2: È
responsabile di un danno economico, ed è tenuto al risarcimento,
il Primario che effettui ricoveri impropri o troppo prolungati in favore
di un proprio familiare.
CORTE
DEI CONTI, sez. giur. per l'Emilia-Romagna, SENTENZA 29 maggio 2001, n.
1135
I
fatti
L'AUSL di Rimini riferiva
di aver disposto, al termine di apposito procedimento disciplinare avviato
su segnalazione del Tribunale per i diritti del malato, il recesso dal
servizio del prof. Carlo B., Dirigente ospedaliero di II. Livello "essendosi
accertato nei confronti del medesimo dei ricoveri impropri e/o eccessivamente
prolungati a favore di un diretto familiare (la propria madre)".
Il danno conseguente
derivato all'AUSL era stato quantificato in lire 53.537.080.
La decisione era scaturita
in seguito ad un procedimento formale di contestazione effettuato dal
Responsabile del Presidio Ospedaliero, dott. M., da cui emergeva un giudizio
negativo in ordine alla correttezza degli anzidetti ricoveri.
In particolare, per
quanto riguardava il primo ricovero (dal 17 marzo al 24 maggio 1996),
pur non contestandosi la sua opportunità iniziale (accertamenti
relativi ad una lombosciatalgia resistente alla terapia domiciliare),
veniva rilevato il suo anomalo prolungamento temporale, in rapporto sia
agli elementi clinici documentati che alla durata media di degenza per
analoghe patologie.
Circa il secondo ricovero
(5 giugno - 2 novembre 1996) si osservava innanzitutto che era stata attuata
una procedura non corretta, essendosi effettuato un ricovero d'urgenza
la cui valutazione era stata sottratta ai Medici del Pronto Soccorso e
attestata, invece, dal prof. B.
Si osservava, inoltre,
che le patologie per cui si era disposto il ricovero non risultavano seguite
da coerente trattamento e non trovavano adeguata corrispondenza nell'impostazione
terapeutica adottata.
Si sottolineava, ancora,
in relazione all'anomalo perdurare della degenza, che le stesse consulenze
specialistiche e l'esame della documentazione clinica evidenziavano la
sussistenza di una patologia cronica con lunghi periodi di invariabilità
del quadro clinico.
In ordine al terzo
ricovero, anch'esso protrattosi in modo anomalo (9 agosto - 16 ottobre
1997), si rilevava che la paziente (ricoverata con diagnosi di "rachialgia
acuta con irradiazione sciatalgica sinistra") non fu sottoposta ad alcun
trattamento coerente con tale sintomatologia manifestando invece, secondo
la documentazione clinica, uno stato patologico cronico per il quale sarebbero
state necessarie un'impostazione terapeutica ed una vigilanza clinica
effettuabili in regimi assistenziali diversi dal ricovero ospedaliero.
La difesa dell'accusato
eccepiva come alla base dei ricoveri esistesse una discrezionalità
tecnica del Medico Responsabile; ventilava inoltre una corresponsabilità
della ASL per omissione dei doverosi controlli, e per indebita tolleranza
delle eventuali irregolarità riscontrate.
Il primario, stabiliva
la Corte, si era posto con il suo comportamento in aperta violazione con
le indicazioni relative al contenimento della spesa sanitaria, come stabilite
a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 502/92 (decreto di riforma
del S.S.N.). Con tale decreto il Legislatore ha infatti individuato i
meccanismi con i quali provvedere alla riduzione della spesa sanitaria,
con l'adozione dei D.R.G. (Diagnosis Related Groups, cioè
Raggruppamenti omogenei di diagnosi); in più, con il decreto
15 aprile 1994, il Legislatore classificava in tre categorie le prestazioni
di assistenza ospedaliera distinguendo tra le prestazioni per acuti erogate
in regime di degenza, quelle per acuti erogate in regime di ricovero diurno,
e, quelle, infine, di riabilitazione ospedaliera erogabili in regime di
degenza, limitando i ricoveri ospedalieri (nei Reparti ordinari) "soltanto
alle patologie acute e contenendo la durata delle degenze nei limiti di
tempo strettamente necessari".
Il Primario coinvolto
nella vicenda, invece, con il suo comportamento ha disatteso tali finalità,
in quanto i ricoveri prolungati anche per mesi della propria madre contravvenivano
ai criteri di economicità della gestione del Presidio Ospedaliero,
occupando indebitamente un letto per lunghi periodi, e ostacolando l'espletamento
di interventi o di prestazioni assistenziali verso altri utenti con un
danno per la ASL di circa 53 milioni di lire.
" Posto che tra
i soggetti chiamati al corretto perseguimento degli obiettivi del Servizio
Sanitario Nazionale nonché al rispetto dei criteri e delle priorità
dettate per la gestione delle degenze devono collocarsi innanzitutto i
Primari responsabili dei singoli reparti, si afferma che il comportamento
del Primario qui convenuto (così come sopra descritto) deve ritenersi
censurabile in quanto caratterizzato da notevole inadempimento degli obblighi
del suo ufficio sicché in esso è individuabile l'elemento
soggettivo del dolo o, quanto meno, della colpa grave."
Anche
altri aspetti (procedure di accettazione, tenuta delle cartelle cliniche
ecc.) erano illegittime in quanto "Il decreto del Presidente della
Repubblica 27 marzo 1969, n. 128 ("Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"),
aveva stabilito, all'art. 7 (terzo comma), che il primario "provvede a
che le degenze non si prolunghino oltre il tempo strettamente necessario
agli accertamenti diagnostici ed alle cure" ed "è responsabile
della regolare compilazione delle cartelle cliniche" e, all'art. 14, che
"negli ospedali regionali e provinciali il servizio di accettazione sanitaria
è espletato, qualora non sia possibile istituirlo in modo autonomo,
dal personale addetto al pronto soccorso" (secondo comma), che "sulla
necessità del ricovero e sulla destinazione del malato decide il
medico di guardia" (sesto comma) e che "il giudizio sull'urgenza e sulla
necessità del ricovero è rimesso alla competenza del medico
che accetta l'infermo .." (nono comma)."
I
Magistrati hanno poi ulteriormente precisato che lo scostamento rilevabile,
tra la condotta prescritta dalla normativa e quella tenuta in concreto
dal convenuto era tale da evidenziare di per sé l'esistenza
"di un atteggiamento psicologico improntato ad assoluta indifferenza
nei confronti dei vincoli posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse
pubblico: si deve allora affermare che, anche se il soggetto agente non
ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla
sua negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità
di configurare il suo operato come gravemente colposo.
Costituiscono
indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di
ricoveri impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore
alla degenza media di reparto (secondo i dati statistici, relativi a pazienti
ultraottantenni, di cui si è detto in narrativa) ed il mancato
rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia di ammissione al
ricovero ospedaliero".
Né, rileva
la Corte, era possibile invocare, per quanto riguarda la durata dei ricoveri
ospedalieri, le prerogative inerenti alla discrezionalità tecnica
giacché anche gli atti a prevalente contenuto tecnico-discrezionale
devono rispettare i cosiddetti "limiti interni" della discrezionalità
amministrativa che, nel caso in oggetto risultavano violati "
essendo le cartelle cliniche disponibili indicative di un quadro patologico
che appare in evidente contraddizione con i motivi addotti per giustificare
i ricoveri cui esse si riferiscono."
Veniva riconosciuto
un certo grado di inadempienza anche da parte della ASL circa l'obbligo
di effettuazione dei doverosi controlli, per cui la responsabilità
economica di B.si riduceva alla somma di Lire 20 milioni, più interessi
e spese di giudizio.
I due casi visti
alla luce del Decreto Legge 3 marzo 2003, n.32 (Disposizioni urgenti per
contrastare gli illeciti nel settore sanitario- GU n. 52 del 4-3-2003)-
Decreto "antitruffa"
È ormai ben
noto come il nuovo DL preveda all'art. 1 che " sulla base anche
della sola colpa grave o una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore
nel minimo a 50.000 euro … '. I soggetti interessati a questa norma
sono tutti i professionisti sanitari dipendenti o convenzionati con il
servizio sanitario nazionale o responsabili di strutture accreditate che,
nello svolgimento delle funzioni o del servizio, effettuano prestazioni
farmaceutiche o diagnostiche non pertinenti per tipologia o quantità
con la patologia di riferimento, ovvero in violazione di legge o di regolamento
richiedono rimborsi inappropriati, determinano ingiustificati ricoveri
ospedalieri o assumono impegni contrattuali e obbligazioni cagionando
danno alle aziende unità sanitarie locali e ospedaliere… è
inoltre disposta la confisca amministrativa dei beni e delle cose che
servirono o furono destinate a commettere la violazione… Il provvedimento
che conclude il procedimento deve essere comunicato al competente ordine
o collegio professionale di
appartenenza, che,
valutati gli atti, può disporre la sospensione dall'esercizio della
professione o la radiazione dall'Albo.".
All'art. 4, a proposito
del reato di Truffa, è previsto che "Se il fatto è commesso
a danno del Servizio sanitario nazionale, da professionisti sanitari dipendenti
dal medesimo Servizio o con
esso convenzionati,
ovvero responsabili di strutture sanitarie accreditate per l'erogazione
di prestazioni clinico-diagnostiche, la pena pecuniaria di cui al secondo
comma è decuplicata. È sempre ordinata la confisca delle
cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose
che ne sono il prodotto o il profitto. Il provvedimento che definisce
il giudizio deve essere comunicato al competente ordine o collegio professionale
di appartenenza che, valutati gli atti, dispone la radiazione dalla professione
del responsabile.".
Il sanitario di
cui al caso 1, ritenuto colpevole di abuso di ufficio e di truffa
aggravata, sarebbe rientrato pienamente nella fattispecie dell'art. 4.
Qualora il Decreto fosse stato in vigore all'epoca dei fatti al Primario,
malgrado l'avvenuta prescrizione, sarebbero state comminate le sanzioni
amministrative pecuniarie, la confisca dei beni derivati dal lavoro effettuato
in clinica privata verso pazienti provenienti dall'Ospedale, la radiazione
dall'Ordine dei Medici.
Il sanitario di
cui al caso 2, in seguito alla condotta giudicata dal tribunale Amministrativo
"gravemente colposa" avrebbe subìto, a fronte di un danno
di 20 milioni di lire cagionato alla ASL, le sanzioni previste dall'Art.1,
vale a dire, oltre al risarcimento del danno stabilito dal Tribunale,
una ulteriore sanzione amministrativa compresa tra 50.000 e 200.000 euro
e il deferimento all'Ordine per un provvedimento di sospensione o radiazione
dall'Albo.
Analoghe sanzioni
rischierebbero pure i sanitari dirigenti ASL che, secondo il Tribunale,
avevano omesso colposamente i doverosi controlli.
Le maggior parte delle
polizze assicurative contro i "rischi professionali" prevede il risarcimento
di quanto dovuto per danni da attività sanitaria, e non quelli
da responsabilità "burocratica" o "amministrativa". L'intero onere
sarebbe gravato perciò direttamente ed esclusivamente sulle tasche
dei diretti interessati. Ogni polizza che prevedesse questo tipo di risarcimento
subirà prevedibilmente un pesantissimo rincaro.
Vorremmo lasciare
alla coscienza dei lettori il giudizio se effettivamente tali comportamenti
siano stati effettivamente (specialmente nel caso n. 2) così gravi
e destabilizzanti da meritare sanzioni di tale entità.
A questo scopo vorremmo
anche paragonare queste sanzioni a quelle ( irrisorie, al confronto) che
vengono irrogate per delitti colposi di gravità addirittura maggiore
ma interessanti settori diversi da quello sanitario (come, ad esempio,
i delitti contro l'incolumità personale): chi ha notizia di sanzioni
così gravi nei casi, ad esempio, di omicidio colposo o di lesioni
gravissime da incidente d'auto?
Inoltre va considerato
che le pene accessorie, prive di gradualità, porterebbero alla
radiazione dall'albo per un singolo reato, magari con un danno di pochi
milioni, contro ogni possibilità di recupero o di espiazione, determinando
la rovina irrimediabile del sanitario.
Daniele Zamperini
(pubblicato su Doctor)
(Nelle more della
pubblicazione, il Decreto Antitruffa è stato ritirato. È
possibile però che le informazioni riportate su questo articolo
possano essere ugualmente utili, in quanto di interesse più generale.
DZ)
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Considerazioni
sul concetto amministrativo di "Colpa Grave"
(DL 3/3/2003 n. 32,
Decreto "Antitruffa")
L'evoluzione "burocratica"
della professione nel nostro Paese ha portato in primo piano le responsabilità
amministrative del medico, spesso da questi trascurate ma incidenti pesantemente
sulla sua attività. Le recentissime normative (c.d. "Decreto antitruffa")
accentuano ulteriormente questi aspetti, portando in primo piano il concetto
di "colpa grave" che, ben conosciuto finora in ambito civile e penale,
si presenta minaccioso in ambito amministrativo, potenzialmente devastante
a causa delle pesantissime sanzioni previste dal Decreto. Ricordiamo solo,
brevemente, che il Decreto prevede, per colpa grave connessa a prestazioni
sanitarie non pertinenti re tali da arrecare danno al SSN, un'ammenda
minima di 50.000 euro, oltre la sospensione o radiazione dall'albo.
Conoscere il problema:
la "colpa" dal punto di vista amministrativo
Una definizione di
colpa non è contenuta nel codice civile per cui usualmente
si procede, per la sua definizione, in analogia con quanto disposto dal
codice penale.
Mentre il dolo
è l'intenzione e la consapevolezza di agire in modo illegittimo
(l'atto e l'omissione sono quindi voluti, e talora attuati mediante inganni
e raggiri per cui in certi casi si può sconfinare nella truffa),
il delittò colposò invece è l'illecito
commesso senza deliberata volontà ma in base a condotte scorrette
per negligenza, imperizia, imprudenza, inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini e discipline.
Chi è interessato
da tali norme?
Innanzitutto
va specificato che la responsabilità amministrativa è riferita
alla persona in ragione dello status di dipendente pubblico (o assimilato):
(art. 28 Cost.:" I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti
pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili
e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali
casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti
pubblici "). Il giudice naturale delle questioni relative alle suddette
responsabilità è la Corte dei Conti secondo l'art. 103 co.
2 Cost.
L'art.
1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, (modificato dalla legge 23 ottobre
1996 n. 543) sancisce la regola secondo la quale gli amministratori ed
i dipendenti pubblici rispondono solo dei fatti e delle omissioni connotati
da dolo o da colpa grave.
Nell'ipotesi
di colpa lieve invece il dipendente è esente da responsabilità
amministrativa e contabile; il rischio dell'eventuale danno ricade interamente
sulla P.A.
La
distinzione tra colpa grave e colpa lieve è quindi particolarmente
importante, perché mentre la colpa lieve potrà essere moralmente
censurabile, ma non comporta alcuna conseguenza giuridica, la colpa grave,
invece, comporta la responsabilità giuridica e il conseguente obbligo
del risarcimento del danno, nonchè le gravissime sanzioni stabilite
nel recente decreto.
La
responsabilità amministrativa è, quindi, caratterizzata
dai seguenti elementi:
- dolo o colpa grave
( a seconda dell'elemento psicologico );
- danno alla P.A.
( concreto, attuale e non potenziale, non necessariamente patrimoniale:
es: danno ambientale, danno morale, danno all'immagine, danno da tangente
ecc….); il danno all'Amministrazione può essere diretto, ma
può riconoscersi anche un danno indiretto.
- nesso causale (
o eziologico ) tra la condotta illecita e l'evento di danno ).
Come
viene valutata la gravità della colpa?
Il
criterio di giudizio in ambito amministrativo è diverso rispetto
a quello "civile", in quanto mentre in quest'ultimo si adotta il confronto
con il "buon padre di famiglia medio", il primo si serve di un criterio
soggettivo, che considera la situazione concreta in cui l'agente opera
( incarichi, mansioni, ruolo ricoperto, ordini di servizio, motivi dell'agire,
difficoltà, livello e tipo di discrezionalità consentiti
ecc...).
Il
problema principale: come si distingue la colpa grave dalla colpa lieve?
La
soluzione non è semplice, proprio per la mancanza di definizioni
precise: le norme relative alla responsabilità degli amministratori
e del personale degli enti locali (articolo 58 della legge 142/90) rinviano
allo statuto degli impiegati civili dello Stato, che appare anch'esso
assolutamente generico, perché stabilisce (articolo 13, Testo unico
3/57) che l'impiegato deve curare "in conformità alle leggi,
con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'amministrazione per
il pubblico bene".
I
criteri di individuazione della colpa grave dei funzionari e amministratori
degli enti locali sono stati quindi stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa,
specie della Corte dei Conti, che in estrema sintesi possono essere così
indicati:
- inosservanza del
minimo di diligenza;
- assenza di difficoltà
oggettive ed eccezionali nell'ottemperare ai doveri di servizio
violati
- prevedibilità
e "prevenibilità" dell'evento dannoso.
- violazione di quei
comportamenti che anche i meno diligenti e cauti sogliono osservare.
- atteggiamento di
grave disinteresse nell'espletamento delle funzioni, agendo senza
le opportune cautele.
- deviazione dal
modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle
comuni regole di comportamento.
- comportamento gravemente
negligente sia riguardo all'esame del fatto (omissione di
tale esame o aver limitato questo ad aspetti marginali), sia riguardo
all'applicazione del diritto (nelle diverse forme dell'imperizia,
dell'inosservanza, o dell'erronea interpretazione delle norme).
La
colpa grave consisterebbe quindi in una sprezzante trascuratezza dei doveri
d'ufficio resa palese da un comportamento improntato alla massima negligenza
o imprudenza, ovvero da una particolare noncuranza dell'interesse
della p.a. o ancora da una grossolana superficialità nell'applicazione
delle norme di diritto.
Andrebbe
cioè rapportato il comportamento dell'agente con quello che sarebbe
stato necessario in ossequio a specifiche prescrizioni normative o comunque
desumibili dalle comuni regole di cautela; ed il raffronto va effettuato
utilizzando due criteri di valutazione, l'uno oggettivo (relativo all'individuazione
dello standard di diligenza richiesto) e l'altro soggettivo (relativo
alla valorizzazione delle cause che hanno indotto l'agente a discostarsi
dalle prescritte regole di prudenza).
In
base a tali criteri la giurisprudenza amministrativa si mostra talvolta
incline ad escludere la responsabilità nelle ipotesi di errore
professionale scusabile, rinvenibile, ad esempio, nella obiettiva difficoltà
interpretativa delle norme, ovvero in ipotesi di irrazionale ed incongrua
situazione organizzativa riconducibile esclusivamente all'amministrazione.
Profilo
giuridico della "colpa grave" nei comportamenti dei Pubblici Dipendenti.
Alcune sentenze
della Corte dei Conti (per es. quella delle SS.RR n. 56 del 1997) approfondiscono
la materia e permettono di individuare un profilo più preciso
della colpa grave: è possibile distinguere:
- La colpa grave
nella applicazione di norme giuridiche (Quando si verifica un errore
nell'interpretazione di una norma, nonostante l'obbiettiva certezza
interpretativa, ovvero quando la scelta sia stata fatta in base ad opinioni
soggettive, senza tener conto di direttive, istruzioni, indirizzi, prassi
e pronunce giudiziali conoscibili).
- La colpa grave
nelle scelte tecniche (La colpa grave coinciderebbe con un errore
professionale (inescusabile allorchè vengano violate regole precise)
oppure nella mancata attivazione del procedimento di aggiornamento culturale
che avrebbe consentito di conoscere la regola d'azione da seguire).
- La colpa grave
nelle scelte discrezionali (Anche in tal caso sarebbe decisivo,
per la sussistenza della colpa grave, l'inescusabilità dell'errore
nell'individuazione delle regole da seguire, l'obbiettiva rilevabilità
dell'evento dannoso, e la conoscenza del comportamento diverso che doveva
essere seguito).
- La colpa grave
nell'attività di organizzazione e direzione (Tenuto conto
delle recenti riforme sul pubblico impiego che hanno dato, almeno ai
vertici dirigenziali, nuovi poteri in materia di disciplina degli uffici
e dotazioni organiche, una attività gravemente colposa, in tale
ambito, potrebbe ravvisarsi nelle ipotesi in cui manchino provvedimenti
organizzativi, o gli stessi siano solo apparenti, ovvero non si siano
apportati dei correttivi, nonostante l'emergere di nuove esigenze. Strettamente
connessa è la problematica della colpa grave per omessa o inadeguata
vigilanza).
È purtroppo
da sottolineare come le stesse definizioni, essendo per la maggior parte
esse stesse non definite, rimangano astratte, aleatorie e discrezionali.
Questa circostanza, comune nel nostro ordinamento, diviene intollerabilmente
oppressiva quando vada a comportare, come nel caso del Decreto in discussione,
sanzioni enormemente più gravi rispetto ad altri soggetti, sproporzionate
al danno, non graduabili e talvolta inemendabili, come nel caso della
prevista radiazione dall'albo per comportamenti che, pur amministrativamente
colposi, potrebbero non avere parallela incidenza nè sul piano
economico nè su quello etico-deontologico.
Criteri concreti
di giudizio delle Autorità Amministrative
Alcune sentenze che
possono illustrare dei casi concreti o che esprimono massime di carattere
generale:
- La Corte Dei
Conti, Sez. Lazio, Sentenza 18 giugno 2001 n. 2485/2001/R ha
stabilito che Non assume il carattere della colpa grave il
comportamento del medico in servizio presso un carcere, quando il danno
derivante dal mancato controllo, secondo le disposizioni ministeriali,
delle diverse scadenze dei farmaci acquistati in grande quantità,
discende da un disordine gestionale del servizio di medicina a causa
dell'annessione di altro Istituto alla Casa Circondariale dove il medesimo
medico prestava servizio, con la conseguente aggregazione di risorse
umane e strumentali in una condizione di precarietà logistica
e con evidenti e documentati attriti tra il personale medico e quello
paramedico.
- La Corte Dei
Conti Sez. Piemonte, Sentenza 10 giugno 1999 n. 1058/99, in seguito
a condotta sanitaria colposa da parte di un ginecologo che aveva portato
ad un risarcimento verso i danneggiati che superava il massimale
assicurativo dell'Ente, stabiliva che "Al fine di valutare la responsabilità
dei medici ospedalieri, si possono applicare anche nel giudizio di responsabilità
amministrativa i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte
di Cassazione, secondo i quali bisogna distinguere tra interventi di
difficile esecuzione ed interventi di routine. Per questi ultimi,
incombe al medico l'onere di dimostrare che l'insuccesso dell'intervento
non è ascrivibile ad un difetto di diligenza o di perizia… Costituisce
colpa grave per un medico ginecologo, omettere l'esecuzione di un monitoraggio
cardiotocografico in presenza di chiari sintomi di sofferenza fetale,
in quanto l'uso di tale strumento consente ai sanitari di scegliere
la tecnica d'intervento più appropriata (taglio cesareo e non
espulsione naturale).
- Corte Dei Conti,
Sezione Puglia - Sentenza 15 gennaio 2001 8/EL/2001, a proposito
del comportamento non collaborativo di uno specialista causato dalla
mancanza o dall'assoluta inadeguatezza degli strumenti messi a disposizione
del dipendente (essendo onere dell'amministrazione, che ha previamente
valutato la necessità di avvalersi di tale attività, assicurare
l'efficiente allestimento delle apparecchiature necessarie) stabiliva
che " Costituisce colpa grave non aver curato il tempestivo acquisto
di attrezzature, occorrenti per lo svolgimento dell'attività
professionale da parte di un medico specialista convenzionato, nonostante
la disponibilità dei fondi e la conoscenza della necessità
dell'acquisto.
Costituisce colpa grave, sotto il profilo dell'ingiustificabile negligenza,
il ritardo nell'esecuzione di un adempimento, quando vi è un'evidente
e macroscopica sproporzione tra l'assoluta semplicità dell'adempimento
ed il tempo impiegato per attuarlo, (nella specie sono stati impiegati
circa otto mesi far pubblicare l'avviso dell'indizione di una trattativa
privata)."
- Corte dei Conti,
sez. Umbria, sentenza n. 98/E.L./2001, del 6 marzo 2001: è
colpevole di colpa grave il primario che permetta lo svolgimento della
professione sanitaria a dei medici volontari non strutturati, nelle
more del rilascio delle prescritte autorizzazioni, nonché, addirittura,
ad un soggetto del tutto sprovvisto della necessaria laurea, e questo
anche in assenza di un danno erariale diretto, in quanto si configura
un danno indiretto ("danno all'immagine"). Del medesimo fatto risponde
altresì, sempre a titolo di colpa grave, anche il Direttore sanitario
per avere omesso l'attività di vigilanza e controllo.
- Particolarmente
importante, a nostro giudizio, il pronunciamento della Corte Dei
Conti, sez. Emilia-Romagna, sentenza 29 maggio 2001, n. 1135
che sanzionava come colpa grave il comportamento di un Primario
ospedaliero che ricoverava ripetutamente la propria madre ultraottantenne
nel suo ospedale per periodi eccessivamente prolungati e, in un caso,
saltando il parere del medico di accettazione: "Lo scostamento rilevabile,
ad un esame comparativo, tra la condotta in astratto prescritta dalla
normativa vigente e la condotta in concreto tenuta dal convenuto (come
provata dalle cartelle cliniche disponibili) è di tale evidenza
da essere di per sé ostensivo dell'esistenza di un atteggiamento
psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli
posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora
affermare che, anche se il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso,
lo ha però determinato grazie alla sua negligenza, negligenza
così marcata da imporre la necessità di configurare il
suo operato come gravemente colposo.
Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa:
la reiterazione di ricoveri impropri, il loro
perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media
di reparto ... ed il mancato rispetto persino delle disposizioni
vigenti in materia di ammissione al ricovero ospedaliero".
Il danno per l'erario venne quantificato in circa 20 milioni
di lire, a fronte del quale, in epoca attuale, il medico dovrebbe soggiacere
a tutte le sanzioni previste dal DL (vale a dire, oltre al risarcimento
del danno stabilito dal Tribunale, ad una ulteriore sanzione amministrativa
compresa tra 50.000 e 200.000 euro, con deferimento all'Ordine per un
provvedimento di sospensione o radiazione dall'Albo).
Secondo la sentenza
costituiscono quindi criterio di individuazione della "colpa grave":
- reiterazione prolungata
del comportamento illecito
- comportamento diffusamente
noncurante delle normative in vigore
- macroscopica violazione
delle norme di appropriatezza, ingiustificabile in base ai comuni criteri
di diligenza.
Il danno da colpa
grave amministrativa può essere coperto dalle Assicurazioni?
Il CCNL per la Dirigenza
Medica prevede la copertura a spese dell'Ente della "responsabilità
civile dei dirigenti,
ivi comprese le spese di giudizio per le eventuali conseguenze derivanti
da
azioni giudiziarie
di terzi, relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera
professione
intramuraria, senza
diritto di rivalsa, salvo i casi di dolo o colpa grave".
La Corte dei Conti
ha ribadito (Sez. Lazio, sentenza 24.02.97 n. 12) che possono essere messe
a carico dell'Amministrazione solo le spese per un'assicurazione che
copra responsabilità diverse da quelle derivanti da dolo o colpa
grave del dipendente: è priva di giustificazione e, come
tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali
l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente
medesimo (C. Conti, sez. I, 29 novembre 1990 n. 254). Alla stregua della
citata giurisprudenza, pertanto, nel mentre possono ritenersi ammissibili
le assicurazioni volte a coprire la responsabilità, ad esempio
per infortuni, non può ritenersi ammissibile la stipula di una
polizza per coprire i componenti del Consiglio di amministrazione dai
rischi conseguenti ad un'eventuale responsabilità amministrativa."
Seguendo questo indirizzo
il D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, art. 29, dispose che: "Le
unità sanitarie locali possono garantire anche il personale dipendente,
mediante adeguata polizza di
assicurazione per
la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivante
da azioni
giudiziarie promosse
da terzi, ivi comprese le spese di giudizio, relativamente alla loro
attività,
senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo."
Il medico che volesse
cautelarsi dovrà quindi provvedere con apposita polizza personale,
curando che siano espressamente comprese le coperture per colpa grave
o illecito amministrativo, nonchè una copertura in caso di sospensione
o radiazione dall'Albo.
Daniele Zamperini
(03/2003) Pubblicato su Edott: www.edott.it
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PRINCIPALI
NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese
di marzo-aprile 2003 (a cura di Marco Venuti)
La
consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta
Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco
Venuti: essa è libera fino al giorno 22.04.2003. Per consultarli,
cliccare qui
|
DATA
GU |
N° |
TIPO
DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI
CHE TRATTA? |
27.03.03 |
72 |
Decreto
del Ministero della Salute |
Modifica
degli stampati di specialità medicinali contenenti come principio
attivo eparine a basso peso molecolare |
In
particolare su precauzioni d'uso e associazioni |
11.04.03 |
85 |
Conferenza
Permanente Stato-Regioni |
Accordo
tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano sugli obiettivi e sul programma di formazione continua
per l'anno 2003, di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 16-ter del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni,
proposti dalla Commissione nazionale per la formazione continua |
.......... |
15.04.03 |
88 |
Decreto
del Ministero della Salute |
Modifica
degli stampati di specialità medicinali contenenti come principio
attivo Amiodarone cloridrato |
In
particolare sulla tossicità polmonare |
16.04.03 |
89 |
Ordinanza
del Ministero della Salute |
Misure
profilattiche contro la sindrome acuta respiratoria severa (SARS) |
.......... |
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