INDICE
GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA LEGALE E
NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita da D. Z. per
l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica
PILLOLE
U.S.
Preventive Services Task Force: non è attualmente giustificato lo screening del carcinoma
della prostata con il PSA
La USPSTF nell'ultimo report
raccomanda di non intraprendere lo screening di roputine del carcinoma della prostata con
il PSA o l'esplorazione rettale.
Basandosi su di una revisione di studi pubblicati dal momento in cui erano state
licenziate le precedenti linee guida, la USPSTF giunge alla conclusione che vi sono buone
evidenze che lo screening possa individuare il cancro prostatico in fase precoce, ma
mancano le evidenze che tale scoperta possa apportare un reale vantaggio al paziente.
Le conclusioni dell'USPSTF sono che le evidenze non sono sufficienti per raccomandare o
per vietare lo screening di routine del carcinoma della prostata con il PSA o l'ispezione
digitale rettale.
Raccomandazione di tipo I (Evidenze insufficienti a favore o contro un intervento).
La Task Force ha identificato un trial in cui il PSA e l'esplorazione rettale sono stati
paragonati con nessuno screening: il numero di morti per carcinoma della prostata fu
uguale nel gruppo dei pazienti sottoposti e non sottoposti a screening.
In tre ulteriori studi caso controllo, 2 risultarono negativi e uno fornì risultati
favorevoli all'esplorazione rettale nella riduzione della mortalità.
Un altro trial randomizzato i ricercatori paragonarono la prostatectomia radicale con la
semplice osservazione per i tumori prostatici scoperti clinicamente. I tassi di mortalità
per carcinoma della prostata a 8 anni furono minori nel gruppo trattato con prostatectomia
(7% contro 14%) ma la mortalità per tutte le cause non differì significativamente.
La USPSTF pone l'accento sui pericoli dello screening: falsi positivi, ansia, biopsie e
complicanze del trattamento.
Fino alla conclusione dei trial randomizzati in corso, quindi, non è giustificato lo
screening del carcinoma della prostata e l'esecuzione del PSA deve essere discussa di
volta in volta con il paziente affinchè appaiano chiari i benefici e i rischi connessi
con l'esecuzione di tale test.
U.S. PreventiveServices Task
Force.
Screening for prostate cancer: Recommendation and rationale
Ann Intern Med 2002 Dec 3; 137: 915-6
Harris R and Lohr KN
Screening for prostate cancer: An update of the evidence for the U.S. Preventive Services
Task Force
Ann Intern Med 2002 Dec 3; 137: 917-29
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Estramustina e docetaxel efficaci anche nel ca prostatico non
ormono sensibile
La combinazione
estramustina/docetaxel sembrerebbe avere efficacia anche nel cancro della prostatata non
ormono sensibile precedentemente trattato, a giudicare da un nuovo studio condotto presso
l'Asaf Harofeh Medical Center in Israele.
I risultati sono simili a quelli ottenuti con la terapia standard del ca della prostatata
ma su una popolazione già precedentemente trattata e non responder alla terapia classica
e pertanto lo studio si è rivelato particolarmente incoraggiante.
Sia l'estramustina che il docetaxel inibiscono la formazione dei microtubuli neoplastici
ma attraverso vie metaboliche differenti agendo in maniera sinergica; inoltre il docetaxel
inibisce il gene Bcl-2 (gene coinvolto nella progressione del ca della prostata).
Lo studio è stato condotto su 24 pazienti di età media pari a 68 anni. I pazienti sono
stati trattati con 280 mg di estramustina 3 volte al giorno dal giorno 1 al giorno 5 e con
docetaxel 60 mg/m2 al giorno con cicli di 21 giorni e con una piccola dose di warfarin a
scopo profilattico. Al tempo zero il PSA medio era pari a 109.9 ng/ml
(range34,2-1967ng/ml) la maggior parte dei pazienti avevano metastasi ossee e circa i 2/3
dei pazienti erano stati sottoposti a radioterapia o chemioterapia, circa il 60% era stato
sottoposto a soppressione delle ghiandole surrenali.
In 11 pazienti (45,8%)si è riscontrato un decremento del 50% o più del PSA e tra questi
6 pazienti sperimentarono una riduzione almeno del 75%.
La sopravvivenza media è stata pari a 33,9 settimane, ma è stata più lunga nei pazienti
che hanno mostrato una riduzione del PSA rispetto ai non responders (42,4 settimane vs
17,8 settimane).
La tossicità della terapia secondo gli autori dello studio è stata di grado lieve.
L'effetto collaterale più comune è stato una neutropenia di 3° o 4° grado (33,3%);
complicanze infettive si sono verificate nel 16,6 % dei pazienti, altri effetti
collaterali segnalati sono stati l'astenia, la diarrea.
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Fibromiomi uterini: si possono anche embolizzare
I fibromiomi uterini si sviluppano
in circa metà delle donne, causando tutta una serie di complicanze tra cui l'anemia
ferropriva da polimenorrea.
L'intervento per il fibroma uterino consiste principalmente nell'isterectomia.
Alcuni studi hanno dimostrato, in casistiche limitate, che l'embolizzazione delle arterie
uterine può essere una valida alternativa alla isterectomia.
In questo studio prospettico vengono esaminati i risultati di 555 pazienti di età media
di 43 anni, trattate con embolizzazione delle arterie uterine per fibormatosi.
Le donne manifestavano sintomatologia legata al fibromioma da 5 anni in media ed erano
state viste in media da 3 ginecologi.
Nell'80% dei casi il sintomo principale era la polimenorrea, seguita da sintomi urinari
nel 73% dei casi, dolore durante i rapporti nel 41% dei casi e assenze dal lavoro nel 40%
dei casi.
La embolizzazione bilaterale delle arterie uterine venne praticata con successo nel 97%
dei casi.
Tre mesi dopo la procedura, il volume uterino si era ridotto in media del 35% e la massa
del fibroma principale del 42%. La durata media delle mestruazioni diminuì da 7.6 a 5.4
giorni.
Più dell'80% delle donne riportò un miglioramento nei sintomi. Il 91% si dichiarò
soddisfatto dal trattamento.
Pron G et al
The Ontario Uterine Fibroid Embolization Trial. Part 1. Baseline patients characteristics,
fibroid burden and impact of life
Fertil Steril 2003 Jan; 79: 112-9
Pron G et al
The Ontario Uterine Fibroid Embolization Trial. Part 2. Uterine fibroid reduction and
symptom relief after uterine artery embolization for fibrosids
Fertil Steril 2003 Jan; 79: 120-7
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Il
"pensiero magico" ha una localizzazione cerebrale
Alcuni studiosi hanno voluto
indagare il cosiddetto "pensiero magico" nella sua eventuale localizzazione
cerebrale, nonchè le sue manifestazioni fisiologiche. Hanno perciò voluto esaminare un
certo numero di soggetti divisi in due gruppi: gli scettici e i "pensatori
magici".
Venivano considerati "pensatori magici" coloro che credevano negli oroscopi, nei
numeri fortunati e nei sogni premonitori, ma soprattutto coloro che non credevano alle
semplici coincidenze.
Per misurare il pensiero magico fu usata una apposita scala "Scala dell'ideazione
magica".
È stato osservato che, presentando alcune figure complesse a questi soggetti, i pensatori
magici prestavano maggiore attenzione alla parte sinistra della figura, mentre i
cosiddetti scettici si concentravano di più sulla parte destra.
Ora è ben noto come l'elaborazione degli stimoli provenienti da sinistra si effettuata
dall'emisfero cerebrale destro, per cui si è dedotto che sarebbe appunto l'emisfero
destro ad alimentare il pensiero magico.
Precedenti studi neurofisiologici avevano già ipotizzato che l'emisfero destro cerebrale
fosse quello preposto alla fantasia e ai collegamenti mentali "illogici", mentre
l'emisfero sinistro sarebbe deputato al pensiero logico, matematico e consequenziale.
L'emisfero destro alimenterebbe quindi la creazione di connessioni significative tra
eventi tra loro non associati o associati solo tenuamente.
È da considerare, inoltre, che lo sbilanciamento di attività cerebrale in favore
dell'emisfero destro è stato rilevato anche in pazienti affetti da schizofrenia; è stato
perciò ipotizzato anche che un'attività eccessiva dell'emisfero destro, oltre a produrre
il "pensiero magico" (solo parzialmente avulso dagli elementi concreti),
potrebbe giungere, in casi estremi, a indurre invece veri e propri deliri, totalmete
dissociati dalla realtà.
È stato osservato che l'iperattività dell'emisfero destro porterebbe gli schizofrenici
ad una situazione di neglect destro (cioè a trascurare lo spazio di destra controllato
dall'emisfero sinistro);
in effetti la gravità di questo disturbo è spesso correlata con i sintomi deliranti:
più i soggetti e evidenziano una trascuratezza dello spazio destro, più tendono ad avere
deliri e allucinazioni.
Gli scettici e i "creduloni" sarebbero quindi, almeno entro certi limiti,
persone "fisicamente" particolari in quanto dotati di diversi meccanismi
neurofisiologici.
Cortex 38, 2002, 247-252 citato
da Psicologia Contemporanea n. 173, 2002.
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Mammografia oltre i 75 anni: serve?
I grandi trial sulla prevenzione del
tumore della mammella prendono in considerazione principalmente le donne di età inferiore
a 70 anni.
In questo studio retrospettivo, sono stati valutati i dati ottenuti da 12,038 donne di
età uguale o superiore a 69 anni al momento della diagnosi di neoplasia mammaria. Le
informazioni vennero ottenute dal Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER)
program e dal database Medicare.
Le donne di 75 anni o più presentavano una maggiore probabilità rispetto alle donne più
giovani di presentare al momento della diagnosi uno stadio IIA o peggiore (44% contro
36%).
Le donne più anziane avevano meno probabilità di avere eseguito una mammografia di
screening entro un periodo di 2 anni dalla diagnosi (59% contro 67%).
Nell'ambito delle donne che avevano eseguito una mammografia di screening entro i due
anni, la prevalenza dello stadio IIA o peggiore non differiva tra il gruppo delle donne
più giovani e quelle più anziane.
Escludendo le pazienti con carcinoma duttale in situ e aggiustando i dati per il grading
della neoplasia e per numero di visite mediche, le donne che furono sottoposte a
mammografia diagnosticarono neoplasie più piccole rispetto alle donne che non furono
sottoposte a screening; in particolare questa osservazione risultò più significativa per
le donne più anziane.
Si dimostra quindi che l'esecuzione dello screening può portare a diagnosi più precoce
di neoplasia nelle donne più anziane.
Rimane da dimostrare interamente un eventuale aumento di sopravvivenza nel gruppo di
screening e, più in generale, se i benefici compensino i rischi.
Per questo l'American Geriatric Society raccomanda lo screening nelle donne anziane che
non abbiano gravi condizioni di comorbidità: in particolare suggerisce tale screening nei
soggetti che presentino una aspettativa di vita di almeno 4 anni.
Randolph WM et al
Regular mammography is associated with elimination of age-related disparities in size and
stage of breast cancer at diagnosis
Ann Intern Med 2002 Nov 19; 137: 78-90
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Minime
differenze tra isterectomia /linfadenectomia vs isterectomia/radioterapia nel cancro della
cervice uterina
Al 34° Annual Meeting of the
Society of Gynecologic Oncologists la Dr.ssa Laura Havrilesky ha presentato uno studio
retrospettivo condotto su tutte le pazienti affette da ca della cervice allo stadio IB2
trattate presso la Duke University School of Medicine del North Carolina negli USA negli
anni 1987 -2002.
Un gruppo di 47 pazienti fu trattato con isterectomia radicale e linfoadenectomia pelvica
ed un gruppo di 39 pz fu sottoposto a isterectomia radicale con linfoadenectomia pelvica e
paraaortica. Sebbene gli studi precedenti non avessero mostrato alcuna differenza rispetto
alla sopravvivenza a 5 anni (61-73 %) tra pazienti trattate con isterectomia +
linfoadenectomia e pazienti trattati con isterectomia + radioterapia, il rischio di
complicanze post operatorie rimane più elevato tra le pazienti sottoposte a radioterapia.
Nello studio in questione le pazienti sono state suddivise in sottogruppi per classi di
rischio (basso, medio,elevato) in base alla classificazione chirurgica e anatomo-
patologica. Alle pazienti classificate come a medio rischio fu praticata anche
radioterapia adiuvante. Nessuna significativa differenza è emersa tra i gruppi trattati
con radioterapia e quelli trattati con linfoadenectomia riguardo alla sopravvivenza a 5
anni, mentre la radioterapia espone a un maggior rischio di complicazioni.
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Nuovi
farmaci per la Sclerosi multipla
Le integrine sono molecole situate
alla superficie dei linfociti e di altri tipi di cellule immunitarie. Esse sono
responsabili della adesione delle cellule immunitarie all'endotelio e alla migrazione
delle stesse nei tessuti. È chiaro quindi che le integrine possono rappresentare un
ipotetico bersaglio nella terapia delle malattie autoimmuni.
Il natalizumab è un anticorpo ricombinante monoclonale contro la subunità alfa4
dell'integrina.
In questo trial randomizzato in doppio cieco sono stati trattati con natalizumab 213
pazienti con sclerosi multipla in fase di recidiva. La terapia ed il placebo venivano
somministrati per via endovenosa 1 volta al mese per 6 mesi.
Durante il periodo di osservazione il numero medio di nuove lesioni al sistema nervoso
rilevate alla RM è risultato significativamente minore nei pazienti che assumevano
natalizumab rispetto a quelli trattati con placebo (1 contro 10). Inoltre una percentuale
significativamente minore di pazienti trattati con natalizumab andò incontro a recidive
(19% contro 38%).
Miller DH et al
A controlled trial of natalizumab for relasing multiple sclerosis
N Engl J Med 2003 Jan 2; 348: 15-23
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Nuovo
bendaggio per le ferite, a base di nanofibre naturali
Scienziati della Virginia
Commonwealth University hanno creato un tessuto di nanofibre che potrebbe costituire una
sorta di bendaggio naturale. Il tessuto è realizzato a partire da fili di fibrinogeno
mille volte più sottili di un capello umano. Una volta posizionato su una ferita,
potrebbe non essere più rimosso, minimizzando la perdita di sangue e incoraggiando il
processo naturale di guarigione. La ricerca è stata pubblicata sul numero del 12 febbraio
della rivista "Nano Letters".
"Per fermare temporaneamente le emorragie, anziché usare una garza che deve poi
essere rimossa, commenta Gary Bowlin, docente di ingegneria biomedica e primo autore dello
studio - il nuovo tessuto potrebbe essere posizionato direttamente sulla ferita per far
cominciare il processo di coagulazione. In seguito, a seconda della natura e della
gravità della ferita, potrebbe essere lasciato lì per favorire la guarigione e infine
essere assorbito dal corpo. Potrebbe essere usato sia nel caso di piccoli tagli sia per
gravi ferite sul campo di battaglia, dove è fondamentale arrestare immediatamente la
perdita di sangue mentre si attende di essere trasportati a un ospedale".
Il fibrinogeno è un composto naturale che si trova nel flusso sanguigno. Quando ci si fa
un taglio, il corpo attiva il meccanismo di coagulazione, una serie di reazioni in cui il
fibrinogeno è convertito in fibrina, formando una specie di rete che mantiene insieme il
coagulo impedendogli di dissolversi. In seguito la stessa rete di fibrina prepara il
terreno per i processi naturali di guarigione.
Per realizzare le fibre, i ricercatori hanno usato una tecnica chiamata elettrofilatura,
nella quale una soluzione di fibrinogeno, immersa in un campo elettrico che ne rompe la
tensione superficiale, viene trasformata prima in un getto liquido e poi in una fibra
solida.
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Nuovo farmaco per abbassare il colesterolo: l'Ezetimibe
L'Ezetimibe è un nuovo farmaco che
agisce inibendo l'assorbimento intestinale del colesterolo.
La sua azione non si svolge nel lume intestinale, ma viene assorbito a livello sistemico.
Può essere impiegato da solo ma può anche essere utilmente associato alle statine.
In questo studio sono stati inclusi 668 pazienti ipercolesterolemici (LDL >=145 mg/dL e
<= 250 mg/dL; i trigliceridi erano <= 350 ng/dL). A tutti vennero fornite nozioni di
trattamento dell'ipercolesterolemia con la dieta e poi la popolazione venne randomizzata
per ricevere placebo, ezetimibe (10 mg), simvastatina (10, 20, 40 o 80 mg) o ezetimibe
più simvastatina (alle dosi riportate sopra).
A distanza di 12 settimane la riduzione dell'LDL colesterolo fu dell'1% con il placebo,
del 18% con ezetimibe, del 27-44% con le varie dosi di simvastatina solo e del 44-57% con
la terapia di combinazione.
A paragone della sola terapia con simvastatina, la terapia di combinazione migliorò
sensibilmente i valore delle LDL colesterolo, delle HDL colesterolo e dei trigliceridi.
La terapia associata risultò ben tollerata.
Davidson MH et al
Ezetimibe coadministered with simvastatin in patients with primary hypercolesterolemia
J Am Coll Cardiol 2002 Dec 18; 40: 2125-34
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L'Oblio
è dolce, come il glucosio?
Con l'invecchiamento, spesso i
livelli di zucchero nel sangue salgono lentamente. In casi estremi, ciò può essere causa
di diabete. Ma un nuovo studio suggerisce che livelli di zucchero anche solo moderatamente
alti possono provocare problemi di memoria e danneggiare l'ippocampo, la parte del
cervello fondamentale per l'immagazzinamento di nuove informazioni.
Molti anziani sviluppano una riduzione di tolleranza al glucosio, che impedisce al corpo
di muovere il glucosio dal sangue alle cellule che ne fanno uso. Questo aumento dei
livelli di zucchero nel sangue è stato studiato da Antonio Convit, psichiatra della New
York University. Con i suoi colleghi, lo scienziato ha esaminato 30 soggetti sani fra i 53
e gli 86 anni di età. Sono state usate immagini di risonanza magnetica del cervello dei
soggetti, una serie di test cognitivi e un esame per verificare la loro capacità di
rimuovere il glucosio dal sangue. Come ci si attendeva, i soggetti con livelli di zucchero
particolarmente elevati erano quelli con le peggiori prestazioni nel test di memoria.
Inoltre, il loro ippocampo era più piccolo. Non c'erano altre differenze nella struttura
cerebrale fra i gruppi.
Lo studio di Convit e colleghi è stato riportato sulla versione online della rivista
"Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS)".
www.lescienze.it
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Omocisteina e malattia cardiovascolare
Alti livelli di omocisteina sono
stati correlati con cardiopatia ischemica, trombosi venosa profonda, embolia polmonare e
ictus.
Per studiare la natura di queste correlazioni sono state portate avanti 2 metanalisi.
Gli autori hanno identificato 72 studi in cui l'effetto di una mutazione nel gene della
metilene tetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) produceva un moderato incremento nei livelli di
omocisteina nel siero. I ricercatori identificarono poi altri 20 studi prospettici di
coorte in cui veniva studiato il rapporto tra livelli di omocisteina e malattie
cardiovascolari, dopo aggiustamento per altri fattori di rischio.
Vennero calcolati gli Odds Ratio per incrementi di 5 µm/l di omocisteina nel siero: nel
caso di cardiopatia ischemica si ebbe un odds ratio di 1.42 negli studi sulla MTHFR e 1.23
negli studi prospettivci.
Per l'ictus l'Odds Ratio risultò di 1.65 negli studi MTHFR (non significativo) e 1.59
negli studi prospettici.
Nel caso della trombosi venosa profonda i dati dagli studi sulla MTHFR diedero un Odds
Ratio di 1.29. Non furono trovati invece studi di tipo prospettico.
Gli Autori concludono che una assunzione di 0.8 mg di acido folico al giorno riduce il
rischio di cardiopatia ischemica del 16%, di trombosi venosa profonda del 25% e di ictus
del 24% nella popolazione con livelli di omocisteina elevati.
Occorrono comunque, per confermare questi dati, dei trial randomizzati.
Wald DS et al
Homocysteine and cardiovascular disease: Evidence on causality from a meta-analysis
BMJ 2002 Nov 23; 325: 1202-6
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Prevalenza e importanza della disfunzione diastolica
La disfunzione diastolica è una
causa importante di scompenso cardiaco.
Gli autori di questo studio hanno preso in considerazione 2042 adulti di età di 45 anni o
più per calcolare la prevalenza della disfunzione diastolica.
Tutti i soggetti furono sottoposti a ecocardiografia.
Si rilevò che il 21% dei soggetti esaminati presentava una disfunzione diastolica lieve e
il 7% una disfunzione diastolica da media a grave.
Solo un quarto dei pazienti con disfunzione diastolica da media a grave presentava una
frazione di eiezione ridotta. (<= 50%).
6 soggetti dei 13 con disfunzione diastolica grave e 6 dei 118 soggetti con disfunzione
diastolica moderata avevano una anamnesi positiva per scompenso cardiaco.
Il 6% dei soggetti presentava invece una disfunzione sistolica (frazione di eiezione
<=50%).
Di questi, 18 soggetti su 40 con una frazione di eiezione del 40% o meno e 7 soggetti su
83 con frazione di eiezione variabile dal 41 al 50% avevano una anamnesi positiva per
scompenso cardiaco.
Durante un follow-up medio di 3.5 anni la disfunzione diastolica si dimostrò un
importante fattore predittivo indipendente di morte, anche dopo aggiustamento per la
frazione di eiezione.
La disfunzione sistolica è spesso presente in pazienti in cui non è stato ancora
diagnosticato uno scompenso cardiaco.
Molti pazienti con disfunzione diastolica possono avere frazione di eiezione normale.
La disfunzione diastolica quindi è un fattore predittivo di mortalità indipendente dalla
frazione di eiezione.
Bisogna impostare trial clinici per vedere come il trattamento possa modificare il decorso
dello scompenso diastolico.
Redfield MM et al
Burden of systolic and diastolic ventricular dysfunction in the community: Appreciating
the scope of the heart failure epidemic
JAMA 2003 Jan 8; 289: 194-202
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Scoperta la struttura del gene HER2
Un team di scienziati della Johns
Hopkins Medical Institutions e della compagnia di biotecnologie Genitope ha svelato la
struttura tridimensionale di HER2, il recettore che presenta un malfunzionamento nel 20-30
per cento dei casi di tumore del seno. Gli scienziati hanno anche capito come il recettore
interagisce con un anticorpo in commercio, herceptin, usato ogni anno per trattare
migliaia di pazienti di tumore del seno.
"Adesso - commenta Dan Leahy, docente di biofisica - conosciamo esattamente quali
'mattoncini' dell'herceptin interagiscono con quali 'mattoncini' di HER2. Se si
comprendono le proprietà dei recettori e degli anticorpi in termini della loro
interazione strutturale, si può cominciare a spiegare i loro effetti e a usare le
informazioni per progettare farmaci migliori."
Anche se negli Stati Uniti l'anticorpo era stato approvato come farmaco per il trattamento
del tumore del seno sin dal settembre 1998, nessuno finora aveva saputo precisamente come
esso interagiva con il recettore.
La scoperta spiega anche perché il recettore HER2 si comporta in modo così diverso dai
suoi parenti HER1, HER3 e HER4. Anche se la sequenza dei 'mattoncini' di tutte le quattro
proteine è simile, solo l'HER2 in eccesso porta a una crescita incontrollata delle
cellule in laboratorio e al tumore nei pazienti.
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Screening per l'aneurisma aortico addominale?
Mediante ecografia si può
riconoscere un aneurisma dell'aorta addominale (AAA) quando ancora di dimensioni ridotte e
tenerlo controllato fino al momento in cui l'operazione si rende necessaria.
Mancano tuttavia studi che giustifichino uno screening in questo campo.
In questo lavoro sono stati sottoposti a screening per AAA mediante US 67,800 uomini (età
65-74).
Ai soggetti fu offerta la possibilità di eseguire ecografia addominale contro nessun
esame.
I pazienti portatori di aneurismi di diametro superiore ai 3 cm furono sottoposti a
follow-up periodico con proposta di intervento per AAA di diametro maggiore di 5.5 cm o
con dilatazione di 1 cm per anno o con sintomi.
A 33.839 soggetti fu offerta la possibilità di essere sottoposti a screening. Di essi
27,147 furono sottoposti alla prima ecografia: vennero scoperti 1333 aneurismi (4.9% delle
ecografie).
Durante un periodo medio di follow-up di 4 anni, nel gruppo di intervento si osservarono
65 decessi causati da AAA contro 113 nel gruppo di controllo. La differenza risultò
significativa. La maggior parte della differenza fu attribuibile a decesso per rottura di
AAA nei controlli.
Gli interventi praticati non in regime di urgenza, che furono praticati in 332 soggetti
del gruppo di intervento e in 62 controlli furono caratterizzati da un tasso di mortalità
del 6% a 30 giorni.
Le operazioni praticate in regime di emergenza, su 27 soggetti del gruppo di screening e
54 controlli, si associarono ad una mortalità del 37% a 30 giorni.
Non si rilevarono differenze di mortalità per tutte le cause tra i due gruppi.
Fu effettuata anche una analisi costo-efficacia. Il costo aggiuntivo totale del gruppo di
intervento fu di 3.5 milioni di dollari con costo dello screening pari a circa 37.14
dollari per persona.
Il costo per anno di vita guadagnato a 4 anni fu stimato in 45,400 dollari.
I ricercatori stimarono che il rapporto costo/efficacia dello screening sarebbe aumentato
con il passare del tempo, calcolando un valore dei 12,800 dollari per anno di vita
guadagnato a 10 anni.
Questi risultati suggeriscono che lo screening per l'AAA negli individui di sesso maschile
è efficace nel salvare delle vite ad un costo ragionevole.
The Multicentre Aneurysm
Screening Study Group. The Multicentre Aneurysm Screening Study (MASS) into the effect of
abdominal aortic aneurysm screening on mortality in men: A randomised controlled trial.
Lancet 2002 Nov 16; 360: 1531-9
Multicentre Aneurysm Screening
Study Group. Multicentre aneurysm screening study (MASS): Cost effectiveness analysis of
screening for abdominal aortic aneurysms based on four year results from randomised
controlled trial.
BMJ 2002 Nov 16; 325: 1135-8
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Statine agli anziani? Pro e contro
In questo trial sono stati arruolati
6000 pazienti di età compresa tra 70 e 82 anni affetti da malattia vascolare o con
fattori di rischio. I pazienti furono randomizzati per ricevere pravastatina (40 mg/die)
contro placebo.
Il valore medio delle LDL colesterolo (147 mg/dl) si abbassò di circa il 34% nel gruppo
di trattamento.
Durante un periodo di osservazione di 3 anni l'incidenza dell'endpoint primario composito
(morte coronarica, infarto miocardico non fatale, ictus fatale e nonfatale) fu
significativamente minore nel gruppo pravastatina che nel gruppo placebo (14.1% contro
16.2%).
Le morti per coronaropatie e gli infarti miocardici non fatali vennero ridotti
significativamente, ma non l'incidenza di ictus.
Nessuna differenza nelle funzioni cognitive e nella disabilità.
Nel gruppo di trattamento si ebbe un aumento significativo dei casi di neoplasia ( 8.5%
contro 6.8%).
In questo studio il rischio di cardiopatia appare quindi diminuito (15%) in misura minore
rispetto agli altri studi (25%) e appare inquietante l'eccesso di neoplasie nel gruppo di
trattamento.
Sono necessari altri dati per confermare i vantaggi e gli svantaggi del trattamento con le
statine nei pazienti anziani.
Sheperd J et al
Pravastatin in elderly individuals at risk of vascular diseasae (PROSPER): A randomised
controlled trial
Lancet 2002 Nov 23; 360: 1623-30
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Terapia adiuvante con goserelin per il tumore della mammella in
premenopausa (1)
In questo trial sono state incluse
1600 donne con linfonodi positivi ma senza metastasi.
Dopo essere state operate e sottoposte o meno a terapia radiante, furono randomizzate per
ricevere una iniezione mensile di goserelin per 2 anni contro 6 cicli di chemioterapia con
ciclofosfamide, methotrexate e fluorouracile (CMF).
Nel gruppo di donne che presentavano positività ai recettori per gli estrogeni, il
goserelin e il CMF presentarono un tasso di sopravvivenza libera da malattia e una
sopravvivenza totale a 6 anni paragonabile.
Le donne che presentavano neoplasie negative per gli estrogeni, avevano migliori risultati
riguardo all'intervallo libero da malattia e alla sopravvivenza globale a 6 anni rispetto
al gruppo trattato con goserelin.
Jonat W et al
Goserelin versus cyclophosphamide, methotrexate, and fluorouracil as adjuvant therapy in
premenopausal patients with node-positive breast cancer: The Zoladex Early Breast Cancer
Research Association Study.
J Clin Oncol 2002 Dec 15; 20:4621-7
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Terapia adiuvante con goserelin per il tumore della mammella in
premenopausa (2)
In questo studio sono state
selezionate 1000 donne affette da neoplasia mammaria con linfonodi positivi e negativi
all'esame bioptico. Tutte le neoplasie presentavano positività per i recettori per
estrogeni. Dopo l'intervento chirurgico seguito o meno da radioterapia, le pazienti furono
randomizzate per essere trattate con goserelin per 3 anni e in seguito tamnoxifene per 5
anni, contro 6 cicli di polichemioterapia CMF (Ciclofosfamide, Metrotexate,
Fluorouracile).
Durante un follow-up medio di 5 anni la sopravvivenza libera da malattia fu
significativamente superiore nel gruppo trattato con goserelin e tamoxifene (81% contro
76%).
Fu rilevato inoltre un trend non significativo verso una migliore sopravvivenza nel gruppo
trattato con goserelin e tamoxifene.
Jakesz R et al
Randomized adjuvant trial of tamoxifen and goserelin versus cyclophosphamide, methotrxate,
and fluorouracil: Evidence for the superiority of treatment with endocrine blockade in
premenopausal patients with hormone responsive breast cancer - Austrian Breast and
Colorectal Cancer Study Group Trial 5.
J Clin Oncol 2002 Dec 15; 20: 4621-7
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Trombosi residua e recidiva di trombosi venosa profonda (TVP)
In questo studio tutto italiano sono
stati arruolati 313 pazienti affetti da TVP prossimale confermata con ecodoppler. Al
momento dell'inizio dello studio, tutti i pazienti avevano completato il ciclo di terapia
con eparina e 3 mesi di anticoagulanti orali senza andare incontro a recidiva di TVP.
Nessuno di essi presentava indicazioni per un trattamento anticoagulante continuo.
A tre mesi di distanza dalla TVP il 20% dei pazienti presentava un quadro ecografico
negativo e negatività al test della compressione.
A 36 mesi il 74% dei pazienti presentava un test ecografico normale. L'incidenza
cumulativa di recidiva fu del 16%.
Con un modello multivariato aggiustato per la durata del trattamento anticoagulante, il
rischio di TVP aumentò sensibilmente in pazienti con trombosi residua (Rapporto Di
rischio, 2.4), TVP idiopatica (Rapporto di Rischio 2.5) o trombofilia (per esempio
mutazione del fattore di Leiden V; rapporto di rischio: 3.1) a paragone dei pazienti che
presentavano solo fattori di rischio temporanei per TVP.
Prandoni P et al
Residual venous thrombosis as a predictive factor of recurrent venous thromboembolism
Ann Intern Med 2002 Dec 17; 137: 955-60
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Le
donne sottoposte ad isterectomia sono ad aumentato rischio di tumore della tiroide nel
primi 2 anni
I Ricercatori dell'University of
Tampere (Finlandia) hanno studiato la relazione tra isterectomia e tumore della tiroide.
Lo studio ha riguardato 17.900 donne, sottoposte ad isterectomia tra il 1986 ed il 1995, e
seguite fino al 1997.
Sono stati identificati 118 casi di tumore della tiroide, di cui 103 di tipo papillare e
15 follicolare o medullare.
L'incidenza di carcinoma tiroideo è risultata significativamente elevata (SIR=1,38; CI=
1,15-1,64).
L'aumento nell'incidenza di tumore tiroideo non era dipendente dall'entità
dell'operazione, ma dal periodo di osservazione.
L'aumento dell'incidenza di carcinoma tiroideo è stato osservato 0,5-1,4 anni dopo
l'isterectomia (SIR=2; CI=1,31-2,93). Successivamente si è avuta una diminuzione (SIR=
1,30; CI= 0,99-1,67).
Non è stata osservata differenza nell'incidenza di tumore della tiroide dopo isterectomia
con o senza ooforectomia.
Questo studio ha confermato la maggiore incidenza di carcinoma tiroideo nelle donne
sottoposte ad isterectomia nei primi 2 anni dopo l'operazione.
Am J Obstet Gynecol 2003;
188:45-48
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Le vitamine possono aiutare gli ex fumatori
Un composto simile alla vitamina A
potrebbe essere in grado di riparare alcuni dei danni genetici causati dal fumo, e forse
persino prevenire il cancro dei polmoni. Questo, almeno, è quanto dichiara uno studio
effettuato da ricercatori americani dell'Università del Texas, che sperano così di
contribuire alla scoperta di un modo per prevenire il tumore negli ex fumatori.
"Il farmaco che abbiamo usato - spiega il dottor Jonathan Kurie del centro oncologico
M.D. Anderson - serve ad annullare un'anomalia genetica associata con lo sviluppo del
tumore del polmone. Non crediamo che possa essere usato direttamente come medicinale,
perché ha troppi effetti collaterali, ma sicuramente indicherà la strada da seguire
verso una vera e propria cura".
La metà dei tumori diagnosticati negli Stati Uniti appartiene a ex fumatori, che
presentano un rischio elevato di sviluppare la malattia anche anni dopo aver cessato di
fumare. I ricercatori da tempo studiano gli antiossidanti, composti che prevengono e in
alcuni casi annullano i danni genetici, come possibili trattamenti per i tumori. Alcuni
degli antiossidanti più comuni sono vitamine come la vitamina A.
La ricerca di Kurie, basata sull'acido 9-cis-retinoico, un parente della vitamina A, è
stata pubblicata sulla rivista "Journal of the National Cancer Institute".
Secondo gli scienziati, il composto sembra in grado di riparare i danni al DNA causati dal
fumo.
www.lescienze.it
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APPROFONDIMENTI
Recenti orientamenti giurisprudenziali sul
deliberato contagio da AIDS
Alcune recenti pronunce della Corte
di Cassazione in tema di rischio di contagio da AIDS hanno ribadito quanto si affermava da
più parti, in base a considerazioni di diritto e a pronunce giudiziarie, finora però
limitate ai Giudici di Merito.
I casi giudiziari che hanno
"fatto testo":
- Un caso "storico" su tali
fattispecie è quello, giudicato in primo grado dal Tribunale di Cremona che, con Sentenza
del 14 Ottobre 1999, ha condannato per omicidio un marito che, affetto da AIDS, pur
essendo ben consapevole del proprio stato patologico, aveva evitato di parlarne alla
moglie e aveva proibito ad altre persone a conoscenza delle condizioni stesse di
avvertirla della propria malattia. Per questo motivo, essendosi verificato il contagio e,
successivamente, il decesso del coniuge, egli era stato prima accusato di omicidio
volontario, successivamente derubricato nella fattispecie meno grave di omicidio colposo
aggravato. I Giudici ritennero che il comportamento dell'imputato fosse stato dovuto non
alla volontà di uccidere, ma ad un basso livello di cultura e di intelligenza, per cui
non si era reso conto pienamente delle potenziali conseguenza dei suoi atti. Il processo
si concluse con la condanna a 14 anni di reclusione: veniva anche sottolineato dai
magistrati che "il comportamento sessuale a rischio di un soggetto portatore di
HIV è fondamentalmente anche idoneo a mettere in pericolo la vita del partner". Questo
procedimento si è recentemente concluso in Cassazione allorchè, con una sentenza
pubblicata con risalto dai giornali, la Suprema Corte ha ritenuto di dover dare credito
alla valutazione dei Giudici di Merito circa la mancanza di volontà di uccidere, ma
adombrando la possibilità di introdurre una norma specifica che punisse il contagio di
AIDS, magari riesumando con le dovute modifiche l'articolo 554 del Codice penale che
sanzionava chi, con rapporti sessuali, trasmetteva ai partner la sifilide o la
blenorragia.
- Altro caso storico è quello
conclusosi con Sentenza del Tribunale di Ravenna del 3 Maggio 1999: si trattava di una
prostituta, malata di AIDS, e del suo protettore. La prostituta, consapevole della propria
malattia, aveva intrattenuto centinaia di rapporti sessuali non protetti con inconsapevoli
clienti, rimasti sconosciuti. La Difesa aveva eccepito proprio l'indeterminatezza delle
vittime della prostituta chiedendo l'assoluzione in quanto non era stato possibile
identificare materialmente i clienti e verificare l'effettivo compimento del contagio. Il
Tribunale di Ravenna però rigettava l'obiezione condannando la prostituta per il delitto
di "Tentate lesioni personali gravissime". Il fatto che le vittime non
fossero state individuate era indifferente ai fini dell'individuazione del reato, non
essendoci dubbio sull'idoneità potenzialmente lesiva della condotta seguita. Infatti era
stato accertato che la malata accettava consapevolmente di avere rapporti sessuali non
protetti con i clienti, senza avvertirli del rischio che ciò comportava. Il Tribunale
stabilì che era irrilevante la probabilità più o meno elevata di trasmissione della
malattia mediante un singolo rapporto in quanto, una volta verificato che la via sessuale
è una di quelle attraverso le quali avviene il contagio, nulla toglie alla pericolosità
della condotta dell'imputata e alla sua idoneità a trasmettere il virus dell'infezione.
La donna venne alla fine condannata per tentate lesioni personali gravissime e non per
tentato omicidio soprattutto per il fatto che non vi era stata in concreto la
dimostrazione di effettivi casi di contagio realmente verificatosi ma soltanto della
potenzialità di questo.
- Si è conclusa con sentenza n. 9541/2000
(Cass. Pen. Sez. I) la vicenda di un tossicodipendente che, sorpreso in possesso, a
fini di spaccio, di dodici dosi di eroina, aveva sputato contro gli agenti di polizia
sangue infetto da Aids, fuoriuscito dalle ferite che lo stesso si era procurato al momento
della perquisizione, minacciando di rovinarli. Già condannato nei primi due gradi di
giudizio, la Cassazione ha addirittura, per la prima volta, aggravato la fattispecie di
reato, affermando chiaramente che la condotta dell'imputato, cosciente che la
trasmissione del virus poteva determinare il relativo contagio, era da connotarsi appunto
come tentato omicidio volontario e non come "lesioni gravi", come spesso optato
dalle corti di merito. E non importa se poi la malattia non si sia manifestata: "In
tema di tentato omicidio (ha stabilito la Suprema Corte) l'idoneità degli atti
deve essere considerata sotto il profilo potenziale, dal punto di vista dell'attitudine
causale a conseguire il risultato prestabilito, indipendentemente da ogni evento che in
concreto abbia impedito la realizzazione dell'evento".
- La Cassazione si è recentemente
pronunciata (Cass. Pen., sez. III, n. 250/2001) sul caso di un fotografo che, con
la scusa di procurare lavoro a giovani ragazze aspiranti attrici, le costringeva con
l'inganno a subire atti sessuali, che andavano dai "toccamenti insidiosi" -
effettuati con la scusa di mettere le ragazze in una posizione più "fotogenica"
- alla vera e propria "congiunzione carnale". È da sottolineare come il Codice
Penale consideri tra le aggravanti il fatto di "approfittare delle condizioni di
inferiorità fisica o psichica della vittima": tale aggravante è applicabile anche
al caso attuale, in quanto il fotografo si approfittava dello stato di "soggezione
psicologica" nel quale si trovavano giovani ragazze in cerca di prima occupazione. La
gravità è ulteriormente aumentata, poi, se chi commette il reato è affetto da virus
HIV, anche se la possibilità di contagio esiste solo in astratto. La Corte ha
confermato così la pena inflitta dalla Corte d'Appello, che aveva ritenuto sufficiente,
ai fini dell'applicazione dell'aggravante, la sola "astratta" possibilità di
contagio, anche se in concreto lo stesso non si sia concretizzato, concludendo che in
caso di violenza sessuale, la possibilità, sia pure remota, di trasmettere l'AIDS
costituisce aggravante
Conseguenza pratiche dell'attuale
orientamento giurisprudenziale
La trasmissione sessuale dell'AIDS
è ormai ampiamente documentata, anche se l'eventualità di contagio appare maggiormente
legata ad una reiterazione di rapporti e sia più raramente legata ad un singolo rapporto
occasionale, anche se tale eventualità non è del tutto da escludersi.
La possibilità di contagio, seppure
con una tasso di probabilità non determinabile, acquista un importante valore legale in
quanto la malattia trasmessa è, allo stato attuale, potenzialmente letale.
Il Codice Penale classifica tra le
aggravanti del reato di lesioni personali il fatto che dal fatto derivi "una
malattia certamente o probabilmente insanabile"; molte Corti di merito, perciò, in
caso di condotta idonea a causare contagio, facevano riferimento a questa ipotesi di
reato, meno grave. Le recenti pronunce della Cassazione fanno però propendere invece per
l'ipotesi di reato più grave, cioè per l'omicidio o il tentato omicidio.
Mentre finora per i casi non seguiti
da decesso si era quasi sempre ipotizzato il reato di lesione personale ex art. 582 C.P.
con eventuali aggravanti, ora possono essere più propriamente ipotizzati reati (attuati o
tentati) quali l'omicidio doloso (art. 575 C.P.) eventualmente con l'ulteriore aggravante
del rapporto di contagio (art. 577 C.P.) oppure (nel caso manchi la volontà di uccidere )
l'omicidio colposo di cui all'art. 589 C.P., semplice o aggravato.
La condotta delittuosa viene a
configurarsi ogni volta che il soggetto portatore di virus HIV metta in concreto (sia pure
indeterminato) pericolo di contagio un altro soggetto non consapevole o non
volontariamente esposto al rischio.
È stato eccepito da alcuni che la
semplice sieropositività (senza malattia conclamata) non possa essere considerata
malattia mortale analoga all'AIDS, ma anzi comporti scarso interessamento delle condizioni
generali di salute; in tal caso l'eventuale contagiato che diventi sieropositivo senza
sviluppare AIDS conclamato non potrebbe invocare nè il tentativo di omicidio nè
l'insorgenza di malattia insanabile.
Malgrado l'opposizione delle
Associazioni di tutela dei malati, che temono una eccessiva criminalizzazione, l'indirizzo
giurisprudenziale ormai prevalente è invece indubbiamente concorde nel considerare la
sieropositività (anche nelle condizioni di patologia non conclamata) come condizione
di malattia dall'evoluzione potenzialmente letale. E tale potenzialità letale è già
di per sè sufficiente, secondo diverse sentenze di merito (Tribunale di Roma, 13 Novembre
1992) confermate dalle ultime pronunce della Cassazione, a configurare le ipotesi di reato
più gravi.
Il Medico di Famiglia, il rischio
di contagio, la privacy
Nel caso che un medico venga a
conoscenza della condizione di potenziale contagiosità di un suo paziente, e di un
comportamento, da parte di quest'ultimo idoneo invece a trasmettere la malattia a soggetti
inconsapevoli, può generarsi un conflitto tra diverse norme, alcune tese a tutelare la
riservatezza del soggetto, altre a tutelare la salute delle "vittime".
Infatti il medico soggiace
all'obbligo di riservatezza sui dati riguardanti la salute dei propri pazienti (c.d.
"dati sensibili") in base a ben tre diverse normative che variamente si
intrecciano: la normativa sul segreto professionale (art. 622 C.P.), la normativa sulla
privacy (Legge 675 del 1996 e successive integrazioni e modificazioni) e codice
deontologico professionale (art. 10)
Come abbiamo visto, però, ci si
viene a trovare nella situazione di poter evitare un danno irrimediabile alla salute di
una persona, provocato da un'azione che viene inoltre a presentare caratteristiche di delitto.
Sono da favorire tutte quelle azioni
che possano salvare entrambi i beni tutelati dalla legge (salute della vittima e privacy
del malato) operando sull'ottenimento di un consenso alla rivelazione da parte di
quest'ultimo. Qualora però questi si opponesse, si impone un'azione indirizzata alla
tutela del bene più rilevante.
Benchè per le malattie infettive
(tra le quali è stata inserita anche l'AIDS attraverso il Decreto 28 Novembre 1986 art.3)
l'art.132 del R.D. 352/1901 n. 45, disponga che "in tutti i casi di malattie
infettive e diffusive il medico curante dovrà dare alle persone che assistono o
avvicinano l'infermo le istruzioni necessarie per evitare il contagio", tale
norma è stata finora disattesa in quanto ritenuta dai più subordinata alle norme sul
diritto alla riservatezza dei malati di AIDS.
Autorevoli Giuristi sostengono
invece da tempo che esiste un dovere etico da parte del medico, in questi casi, di
informare (contact tracing) il coniuge del malato di AIDS. Altri invece hanno basato la
possibilità di deroga dal segreto in base alle esimenti previste dalla legge in caso di
fatti illeciti commessi in stato di necessità. Interverrebbe in tal caso il dettato
dell'art. 52 C.P. che stabilisce che "non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro
il pericolo attuale di offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa",
mentre l'art. 54 stabilisce che "non è punibile chi ha commesso il fatto per
esservi stato costretto dalla necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, ne altrimenti
evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale all'offesa".
Lo stesso Garante Rodotà in una
intervista riportata da Arcangeli e al., Medicina Previdenziale n. 3 anno 2000 pag.14, ha
ribadito che, laddove vi sia un grave pericolo per la salute di un terzo, vada superato
il segreto professionale attenuandosi il potere del singolo di esercitare un controllo
esclusivo sulla circolazione delle notizie che lo riguardano.
Il Codice Deontologico, all'art.10,
stabilisce che la rivelazione del segreto è consentita, senza autorizzazione del malato,
solo se imposta dalla Legge o per giusta causa.
La giusta causa deriverebbe, con
pieno diritto, dai concetti esposti sopra dalla Suprema Corte. Infatti da quanto esposto
sopra deriva con chiarezza che condotte potenzialmente contagianti tenute da soggetti
malati di AIDS vengono a configurare fattispecie delittuose. Di conseguenza ogni condotta
tesa ad evitare l'esecuzione di un delitto è da considerare del tutto lecita, alla luce
delle normative già riportate.
Un'espressa deroga alla riservatezza
è poi contenuta nella legge 66 del 1996 che all'art.16 prevede che l'imputato per i
delitti di cui sopra è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per
l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto
possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime.
La rivelazione del segreto deve
essere, comunque, l'ultima ratio, in quanto, prima di ricorrere a ciò, il medico dovrà
tentare una valida e concreta opera di persuasione sul paziente, indicandogli le
precauzioni da prendere o invitandolo a rivelare egli stesso la malattia di cui è
portatore, sottolineando anche la responsabilità giuridica della sua condotta.
Queste conclusioni, ovviamente, non
sono limitate ai casi di AIDS ma possono essere applicate anche a condizioni morbose
diverse, purchè ad essa assimilabili, per pericolosità e possibilità diffusiva.
Daniele Zamperini (Pubblicato su
"Doctor" n. 5, 2002)
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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica
gestita dall'ASMLUC:
Associazione Specialisti in Medicina Legale Università
Cattolica (a cura di D. Z. )
Responsabilità penale del medico di struttura
pubblica per il dirottamento di pazienti verso clinica privata
Cassazione Sezione
Seconda Penale Sentenza n. 960 del 13 gennaio 2003
È stata riporttata con
clamore dai Media la sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna dichiarava E. G.
responsabile dei delitti di abuso di ufficio e di truffa aggravata per essersi fatto
pagare, mediante artifici e raggiri, parcelle milionarie per prestazioni effettuate quale
professionista privato nei confronti di pazienti da lui conosciuti perchè ricoverati
presso la struttura pubblica di cui è dipendente (condanna alla pena di mesi sei di
reclusione e L. 1.000.000 di multa, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per 1
anno).
Il G. aveva dapprima rappresentato al paziente M. C. e ai suoi congiunti l'imminenza di un
pericolo inesistente e l'impossibilità di un ricovero tempestivo preso la struttura
pubblica convincendoli ad eseguire gli esami più urgenti presso la clinica privata, di
cui costoro prima ignoravano l'esistenza, poi aveva tentato di convincere i medesimi a
scegliere la stessa clinica per un intervento chirurgico mediante la falsa spiegazione che
la struttura pubblica al momento non disponeva di certe endoprotesi metalliche
probabilmente necessarie.
Il condannato proponeva appello in Cassazione, la quale ha invece confermato la condanna.
La Cassazione ha sottolineato la violazione del dovere di fedeltà alla P.A. da
parte del G. avendo egli fatto ricoverare presso una clinica privata il paziente
proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende senza essersi attivato
nell'ambito della medesima struttura pubblica al fine di consentire l'immediato
intervento.
Nel caso di necessità
di ricovero urgente (come prospettato al paziente), infatti, sarebbe stato doveroso
" il ricovero immediato per procedere ad accertamenti tempestivi, eventualmente
costringendo ad ulteriori attese pazienti le cui condizioni siano meno pressanti, e, nel
caso, al tempestivo intervento chirurgico
In tale situazione, quando il paziente
tornò tre giorni dopo per ricoverarsi, il G. avrebbe dovuto per le vedute ragioni
disporne il ricovero immediato e, ove questo fosse stato assolutamente impossibile per
carenza di letti, avviare il paziente presso altra struttura ospedaliera disponibile,
anzichè consigliargli una serie di esami da effettuare in una struttura privata."
La Corte riconosceva
nel comportamento del G. "la violazione di doveri professionali normativamente
definiti" e confermava la condanna che però, essendo gli eventi accaduti nel 1993,
risultava prescritta.
(È quindi reato, per
il medico dipendente da un Ospedale, attivarsi per indirizzare i pazienti dalla struttura
pubblica a quella privata, avendo egli, in quanto dipendenti della pubblica
amministrazione, un "dovere di fedeltà" che lo obbliga a fare quanto in suo
potere per consentire il ricovero "immediato" sempre nell'ambito della sanità
pubblica.
Nel caso specifico è stato sottolineato che la scelta del ricovero presso la struttura
privata non fosse un'autonoma decisione del paziente, il quale neanche conosceva la
clinica in questione, ma fosse artatamente indotta dal Sanitario, che forniva anche false
informazioni circa la mancanza, nella struttura pubblica, delle endoprotesi necessarie al
paziente, con "artifici e raggiri" che erano stati alla base della condanna per
truffa.
Non sarebbe perciò reato, di per sè, inviare il paziente presso una struttura privata:
diviene perseguibile invece l'indirizzamento presso una struttura privata allorchè
vengano addotte motivazioni false o pretestuose, magari per fini di lucro personale e non
venga fatto prima il possibile per effettuare il ricovero presso una struttura pubblica.)
Daniele Zamperini
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Le regole per la patente di guida ai diabetici
È utile ricordare le
norme procedurali per i diabetici che intendano prendere o rinnovare la patente di guida.
La normativa ad essi riguardante ha subito infatti nel tempo continui rimaneggiamenti e
continue modifiche che hanno creato non pochi scompigli. Ricordiamo ancora l'epoca del
certificato anamnestico rilasciato dal medico di famiglia che comportava tutta una serie
di problematiche relazionali e medico-legali soprattutto per quanto atteneva la sfera
della privacy e del segreto professionale. In questo settore i cambiamenti normativi si
sono succeduti a ritmo incalzante.
Evoluzione della
normativa: lo "stato anteriore"
Il D.L. n. 285 del
30 Aprile '92, riguardante appunto la disciplina per il rilascio della patente di
guida, veniva sostanzialmente modificata dalla Legge n. 472 del 7 Dicembre '99
"Interventi nel settore dei trasporti".
Uno dei problemi più controversi riguardava le figure abilitate dal D.L. al rilascio o al
rinnovo delle patenti di guida. Veniva stabilito infatti che l'accertamento dei requisiti
psichici e fisici nei confronti dei soggetti affetti da diabete, veniva effettuato da
"medici specialisti della USL che indicheranno l'eventuale scadenza entro la quale
effettuare il successivo controllo medico cui è subordinata la conferma o la revisione
della patente di guida". Per le patenti C, D, ed E, veniva anche stabilito di
integrare la commissione medica con un medico specialista diabetologo "sia ai fini
degli accertamenti relativi alla specifica patologia sia ai fini dell'espressione del
giudizio finale". Inoltre veniva stabilito che per i soggetti affetti da diabete,
trattati con insulina, gli accertamenti... venivano effettuati ogni anno, salvo periodi
più brevi indicati sul certificato di idoneità.
In questo modo i diabetici insulino-dipendenti venivano pesantemente discriminati, in
quanto l'obbligo di revisione annuale era stabilito indipendentemente dalla presenza o
meno di complicanze in grado di incidere sostanzialmente sulla capacità di guida. Il
fatto poi che, non venisse specificata da chi fosse rappresentata la figura dei
"medici specialisti della USL" impose una richiesta di interpretazione del
Ministero della Sanità che in data 24 Gennaio 2001 (Circ. DVP. U07 C.D. 1E 14/147)
precisava: i medici specialisti erano "i medici che prestano servizio presso
l'ufficio delle ASL territorialmente competenti cui sono attribuite funzioni in materia
medico legale".
Veniva specificato che questi medici specialisti, ai fini del rilascio del certificato,
avrebbero ricevuto dal paziente un'attestazione rilasciata dal medico di base o dal centro
diabetologico che lo aveva in cura, recante notizie sullo stato di compenso metabolico,
sulla terapia ed eventuali complicanze d'organo, nonchè l'indicazione se il paziente è
sottoposto a regolari controlli medici.
È evidente come, in mod surrettizio, venisse reintrodotto il vecchio certificato
anamnestico, con l'ulteriore complicazione dell'obbligo di dover fornire una serie di
informazioni particolarmente approfondite, senza che si sapesse bene quale figura, tra le
tante indicate, fosse quella più responsabile di un giudizio definitivo.
Lo stato attuale
Quanto detto sopra è
poi stato in parte superato da una normativa successiva: la Legge n. 85 del 22 Marzo
2001 "Delega al Governo per la revisione del nuovo codice della strada".
Questi riprende il vecchio comma 2bis dell'art. 119 del D.L. n. 472, con alcune modifiche:
l'accertamento dei requisiti psichici e fisici nei confronti dei soggetti affetti da
diabete per il conseguimento, la revisione, o la conferma delle patenti di categoria A, B,
e sottocategorie, è effettuato da medici specialisti nell'area della diabetologia e
malattie del ricambio dell'Unità Sanitaria Locale che indicheranno la eventuale scadenza
entro la quale effettuare il successivo controllo medico per la conferma o la revisione
della patente di guida.
In altre parole il rilascio della certificazione viene sottratto all'esame diretto
dell'ufficio medico-legale e riportato in ambito clinico in quanto, limitatamente per le
categorie suddette, deve essere eseguito direttamente dai medici diabetologi curanti della
ASL che si assumono la responsabilità di indicare i termini del rinnovo. L'accertamento
diretto da parte del diabetologo fa pure cadere la necessità dell'attestato del medico di
base.
Per le categorie superiori: C, D, DE, nulla è specificato, per cui resta in vigore quanto
stabilito dall'art. 32 del D.L. n. 472 del 7 Dicembre '99, che rimanda la Commissione
Medica integrata dal medico specialista diabetologo.
Alcuni problemi
È ovvio come il
diabetologo possa generalmente ben valutare lo stato di compenso metabolico del paziente
che a lui si presenta e, effettuando eventuali gli opportuni accertamenti del caso,
valutare anche la presenza o meno di complicazioni o di danni d'organo che possono
influire concretamente nell'abilità di guida.
I possibili problemi coinvolgono:
- La valutazione dell'omeostasi
glicidica (possibilità di crisi ipoglicemiche con perdita di coscienza o comunque
alterazione dello stato mentale). È evidente come possa essere difficoltoso prevedere
tale situazione in base a controlli non continuativi.
- L'apparato visivo (possibilità di
retinopatia e di difetti visivi non sempre agevolmente riconoscibili).
- Il S.N. centrale e periferico: la
neuropatia diabetica può influire sulla capacità di guida sia per l'influenza sul S.N.
autonomo (comparsa di disturbi del ritmo e altri disturbi cardiaci) che sul S.N.
periferico (deficit o alterazioni della sensibilità)
- L'apparato urinario: eventuale
nefropatia diabetica, che però non sarebbe idonea (a parte i casi più gravi) a limitare
la capacità di guida.
Non sempre perciò la
capacità clinica può essere unita a adeguate conoscenze medico-legali, di peculiare
importanza allorchè il complesso patologico formi dei quadri particolarmente complessi,
tali da rendere difficoltosa una decisione concreta.
In questi casi potrebbe, nei casi estremi, addirittura ventilarsi una ipotesi di
responsabilità del diabetologo che avesse rilasciato una inopportuna certificazione
positiva (concedente cioè la posssibilità di guida di autoveicoli) in un paziente
diabetico che poi venga ad essere coinvolto in un incidente stradale.
D'altra parte è evidente come in certi particolari casi una decisione non possa essere
esclusivamente clinica ma giunga invece a coinvolgere una serie di aspetti legati
specificatamente più alla medicina legale che alla diabetologia clinica.
Alcune ASL (ma non tutte ) hanno perciò studiato un sistema di valutazione integrato tra
diabetologi e Commissione medico-legale in modo che, mentre i soggetti con un quadro
clinico chiaro possono essere direttamente giudicati dal solo diabetologo, i casi più
complessi, sia pure per le patenti di grado inferiore, vengano inviati alla commissione
medica che poi deciderà in base ad una visione più ampia del problema.
È da tener presente, alla fine, anche l'aspetto socio-economico del problema, in quanto
non sembrerebbe realistico nè utile l'effettuazione routinaria (per tutti i diabetici) di
una serie non indifferente di controlli clinico-metabolici interessante pressochètutti
gli apparati; è prevedibile però che, in un'ottica di "medicina difensiva" sia
il diabetologo che la Commissione medico-legale possano trincerarsi dietro un
atteggiamento burocratico che può finire per vanificare i benefici che, nelle intenzioni,
dovevano essere apportati dalle nuove norme.
Daniele Zamperini
(pubblicato, con qualche modifica, su "Occhio Clinico" n. 8 2002)
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È
responsabile per colpa grave ed è tenuto al risarcimento, il Primario che effettui
ricoveri impropri o troppo prolungati in favore di un proprio familiare
CORTE DEI CONTI, sez. giur. per
l'Emilia-Romagna, SENTENZA 29 maggio 2001, n. 1135
I Fatti
L'AUSL di Rimini riferiva di aver
disposto il recesso dal servizio del prof. Carlo B., Dirigente ospedaliero di II. Livello
"essendosi accertato nei confronti del medesimo dei ricoveri impropri e/o
eccessivamente prolungati a favore di un diretto familiare (la propria madre)".
Il danno conseguente, era stato quantificato in lire 53.537.080.
Il procedimento amministrativo aveva
concluso negativamente in ordine alla correttezza degli anzidetti ricoveri: per il primo
ricovero (dal 17 marzo al 24 maggio 1996), pur non contestandosi la sua opportunità
iniziale (per accertamenti relativi ad una patologia lombosciatalgica non acuta, ma
resistente alla terapia domiciliare), veniva rilevata la sua anomala protrazione in
rapporto alle valutazioni degli atti clinici documentati ed alla durata media di degenza
per analoghe patologie, protrazione non giustificata neppure da un episodio di scompenso
cardiaco risoltosi nello spazio di una settimana. Per il secondo ricovero (5 giugno - 2
novembre 1996) si contestava, oltre alla lunghezza, il fatto che il ricovero urgente
stesso fosse stato effettuato direttamente dal prof. B. senza passare per il Pronto
Soccorso. Inoltre la diagnosi di ammissione ("lombosciatalgia dx. acuta") non
risultavava seguita da coerente trattamento terapeutico e che la condizione di
instabilità vascolare e cardiocircolatoria (reale motivo del ricovero secondo le
giustificazioni del prof. B.) non trovava adeguata corrispondenza nell'impostazione
terapeutica adottata. Circa il terzo ricovero, anch'esso protrattosi in modo anomalo (9
agosto - 16 ottobre 1997), si rilevava che la paziente, ricoverata per "rachialgia
acuta con irradiazione sciatalgica sinistra" non fu sottoposta ad alcun trattamento
coerente con tale sintomatologia manifestando, secondo la documentazione clinica, uno
stato patologico cronico per il quale sarebbero state necessarie un'impostazione
terapeutica ed una vigilanza clinica effettuabili in regimi assistenziali diversi dal
ricovero ospedaliero.
La difesa dell'accusato eccepiva la
discrezionalità tecnica alla base dei ricoveri effettuati, nonchè ventilava una
possibile corresponsabilità della ASL per omissione dei doverosi controlli, o per
indebita tolleranza delle eventuali irregolarità riscontrate.
La sentenza
Il primario, ha stabilito la Corte,
si è posto con il suo comportamento in aperta violazione con le indicazioni relative al
contenimento della spesa sanitaria.
Infatti, a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 502/92 il Legislatore ha
stabilito dei meccanismi fondati sui cc.dd. D.R.G. (Diagnosis Related Groups, cioè
Raggruppamenti omogenei di diagnosi); in più, con il decreto 15 aprile 1994, il
Legislatore ha classificato in tre categorie le prestazioni di assistenza ospedaliera
consentendo "ai ricoveri ospedalieri (nei Reparti ordinari) soltanto per patologie
acute e contenendo la durata delle degenze nei limiti di tempo strettamente
necessari".
Il Primario invece, con il suo
comportamento, ha disatteso tali finalità, contravvenendo ai criteri di economicità
della gestione del Presidio Ospedaliero, occupando indebitamente un letto per lunghi
periodi, e ostacolando l'espletamento di interventi o di prestazioni assistenziali verso
altri utenti.
"Posto che tra i soggetti chiamati al corretto perseguimento degli obiettivi del
Servizio Sanitario Nazionale nonché al rispetto dei criteri e delle priorità dettate per
la gestione delle degenze devono collocarsi innanzitutto i Primari responsabili dei
singoli reparti, si afferma che il comportamento del Primario qui convenuto (così come
sopra descritto) deve ritenersi censurabile in quanto caratterizzato da notevole
inadempimento degli obblighi del suo ufficio sicché in esso è individuabile l'elemento
soggettivo del dolo o, quanto meno, della colpa grave."
Inoltre " Il decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128
("Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"), aveva stabilito, all'art. 7
(terzo comma), che il primario "provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il
tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle cure" ed "è
responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche" e, all'art. 14, che
"negli ospedali regionali e provinciali il servizio di accettazione sanitaria è
espletato, qualora non sia possibile istituirlo in modo autonomo, dal personale addetto al
pronto soccorso" (secondo comma), che "sulla necessità del ricovero e sulla
destinazione del malato decide il medico di guardia" (sesto comma) e che "il
giudizio sull'urgenza e sulla necessità del ricovero è rimesso alla competenza del
medico che accetta l'infermo..." (nono comma)."
I giudici hanno ritenuto che il
comportamento tenuto dal Primario fosse gravemente colposo: "Lo scostamento
rilevabile, ad un esame comparativo, tra la condotta in astratto prescritta dalla
normativa vigente (sopra richiamata) e la condotta in concreto tenuta dal convenuto
è di tale evidenza da essere di per sé ostensivo dell'esistenza di un atteggiamento
psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli posti
dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora affermare che, anche se
il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla sua
negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità di configurare il suo
operato come gravemente colposo.
Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di ricoveri
impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media di
reparto (secondo i dati statistici, relativi a pazienti ultraottantenni, di cui si è
detto in narrativa) ed il mancato rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia
di ammissione al ricovero ospedaliero".
"Né è possibile invocare, per quanto riguarda la durata dei ricoveri ospedalieri,
le prerogative inerenti alla discrezionalità tecnica giacché, secondo la giurisprudenza
amministrativa (cfr., ad es., Consiglio di Stato, Sezione VI., 26 ottobre 1979, n. 729),
gli atti a prevalente contenuto tecnico-discrezionale non sfuggono al sindacato di
legittimità allorché sia violato uno dei cosiddetti "limiti interni" della
discrezionalità amministrativa".
A causa dell'inadempienza da parte della ASL nell'effettuazione dei doverosi controlli, la
Corte condannava il Primario al risarcimento dei danni nella somma di lire 20.000.000 più
interessi e spese di giudizio.
Daniele Zamperini
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Telefonate a casa da ufficio: una ogni 2 giorni non è reato
Cassazione, Sez. VI penale, sentenza
7347/03
La Cassazione è tornata sul
capitolo telefonate personali dall'ufficio: dopo aver sancito nel settembre scorso (come
riportato nello scorso numero di Pillole) che può bastare una chiamata al giorno per fare
scattare una condanna per peculato, oggi ha precisato meglio i suoi indirizzi affermando
che, invece, effettuare una telefonata ogni due giorni non costituisce reato.
I Fatti
La Procura di Campobasso chiedeva la
condanna di Luigi D. N., impiegato Pubblico del Molise, colpevole di avere effettuato 32
telefonate personali in 60 giorni dal telefono dell'ufficio. Luigi D. N. era finito sotto
inchiesta per il reato di peculato (previsto dall'art. 314 c.p.), con l'aggravante della
continuazione, per le 32 telefonate effettuate nell'orario di lavoro nel periodo 30 marzo
- 29 maggio del '98.
L'accusato era stato assolto dal gup del Tribunale di Campobasso il 23 ottobre del 2001.
Contro l'assoluzione opponeva appello il Procuratore della Repubblica di Campobasso,
sottolinenando che l'assoluzione dell'impiegato "avrebbe surretiziamente e
illegittimamente introdotto una soglia di punibilità non prevista dal legislatore".
Ad avviso del pm inoltre l'impiegato avrebbe potuto "soddisfare le sue esigenze con
il ricorso alle moderne tecnologie". In altre parole avrebbe potuto utilizzare il
proprio cellulare per chiamare casa.
La Cassazione respingeva il ricorso
in quanto l'utilizzo del telefono dell'ufficio con questa frequenza rientrerebbe nel
"caso eccezionale", non punibile poichè in questi casi "l'ordinamento
espressamente riconosce la deroga all'uso del telefono da parte del pubblico
dipendente".
Per l'Alta Corte una chiamata ogni due giorni deve essere "interpretata come
espressione del 'caso eccezionalè alla cui sussistenza l'ordinamento espressamente
riconosce la deroga all'uso del telefono da parte del pubblico dipendente, con gli
eventuali riflessi che possono derivarne sul piano disciplinare o sotto altri aspetti nel
caso di accertata mancanza dei presupposti idonei a giustificare una deroga, pur in via di
principio ipoteticamente configurabile".
(In definitiva, per la Cassazione è
reato penale telefonare a casa dall'ufficio una volta al giorno, ma non lo è se le
chiamate personali avvengono un giorno sì e uno no, a meno che non sia stata accertata la
mancanza del motivo di necessità (che consente appunto la deroga al divieto). Può essere
ancora configurato, inoltre, l'illecito disciplinare. Meglio servirsi, qualora possibile,
del proprio cellulare. DZ)
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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di febbraio-marzo 2003 (a cura
di Marco Venuti)
La
consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da
"Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 22.04.2003.
Per consultarli, cliccare qui
|
DATA
GU |
N° |
TIPO
DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI
CHE TRATTA? |
27.02.03 |
48 |
Decreto
del Ministero della Salute |
Modifica
degli stampati delle specialità medicinali contenenti un'associazione di estrogeni
coniugati naturali e medrossiprogesterone acetato (MPA) |
........ |
04.03.03 |
52 |
Decreto-legge
n° 32 |
Disposizioni
urgenti per contrastare gli illeciti nel settore sanitario |
........ |
17.03.03 |
63 |
Decreto
del Ministero della Salute |
Nomina
della Commissione unica del farmaco per il biennio 2003-2004 |
........ |
18.03.03 |
64 |
Decreto
del Ministero della Salute |
Integrazione
della lista dei farmaci, sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e delle
pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping, ai sensi della legge 14 dicembre
2000, n. 376 |
........ |
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