INDICE GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita da D.Z. per l'ASMLUC:
Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica
PILLOLE
L'uovo nella dieta
come aumenta l'ipercolesterolemia
Malgrado gli studi
effettuati precedentemente non fossero conclusivi ed anzi, in alcuni casi, avessero
addirittura ventilato un effetto favorevole della somministrazione di uova nella dieta sul
profilo lipidico, alcuni ricercatori hanno voluto valutare in modo più rigoroso l'effetto
di una dieta ricca di uova sul profilo lipidico stesso e soprattutto sul rapporto tra
colesterolo totale e colesterolo HDL.
Hanno effettuato quindi una metanalisi su una serie di studi identificati tramite alcune
banche-dati.
I criteri di inclusione erano i seguenti: un disegno a cross-over o con gruppo di
controllo in parallelo, il fatto che le diete sperimentali differissero solo per il
contenuto di colesterolo legato al numero di uova, una durata di 14 giorni.
Nell'analisi sono stati inclusi in complesso 17 lavori per un totale di 556 soggetti.
L'analisi metteva in evidenza come l'aggiunta di 100 mg. al giorno di colesterolo nella
dieta, aumentasse il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo HDL di 0,02 unità; le
concentrazioni di colesterolo totale aumentavano di 2,2 mg/DL; le concentrazioni di
colesterolo HDL aumentavano di 0,3 mg/DL.
In conclusione quindi, l'apporto di supplemento di colesterolo con la dieta, tramite la
somministrazione di uova, aumentava il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo HDL
con una influenza quindi negativa sul profilo lipidico plasmatico.
Gli autori concludono quindi che sembrerebbe ancora valido il consiglio di ridurre il
consumo di uova e di altri cibi ricchi di colesterolo nella dieta.
(Commento: occorre
tuttavia valutare come la modificazione indotta dal consumo di uova sul profilo lipidico
fosse una identità assai modesta in parametri assoluti, per cui potrebbe essere non
opportuno proibire un consumo moderato di uova da parte di pazienti dislipidemici. D.Z.).
AM. J. Clin. Nutr.
2001;73:885-91
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Nel colon irritabile
sospettare sempre la celiachia
È noto come la celiachia,
soprattutto nelle sue forme fruste e nei soggetti adulti, si manifesti come una
sintomatologia che ricalca in gran parte quella del colon irritabile. Raramente il
paziente affetto da tali disturbi viene però sottoposto a controlli in questo senso per
verificare l'esistenza di tale stato morboso.
Alcuni ricercatori inglesi hanno voluto valutare la correlazione tra le due malattie ed
hanno perciò analizzato i dati di circa 300 pazienti che presentavano sintomi attribuiti
a sindrome del colon irritabile, confrontandoli con i dati di circa 300 controlli sani.
Tutti i soggetti venivano sottoposti ad analisi sieriche per la verifica dei titoli di
anticorpi di antigliadina IGA e IGG e degli anticorpi antiendomisio. I soggetti risultati
positivi ai test anticorpali venivano poi sottoposti a una biopsia duodenale per
confermare l'eventuale esistenza di malattia celiaca.
È risultata un'associazione altamente significativa tra sindrome del colon irritabile e
malattia celiaca, tanto che gli autori raccomandano di effettuare accertamenti diagnostici
mirati per tutti i pazienti adulti con segni evidenti di sindrome del colon irritabile.
("Lancet"
2001;358:1504-08 )
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Le pillole contraccettive
di nuova generazione espongono allo stesso rischio di ictus delle pillole meno recenti
La 27° ISC ( International Stroke
Conference) dell'American Stroke Association tenutasi il 07.02.2002 in Texas negli USA ha
illustrato il primo grande studio sulle pillole di nuova generazione a minor contenuto di
estrogeni.
Il rischio di ictus rilevato nelle donne che assumono questi nuovi contraccettivi orali
rimane sempre il doppio rispetto a quello delle donne che non assumono la pillola.
In termini assoluti il numero di donne che sono candidate ad avere un ictus sale da tre a
6 per 10.000 /anno.
I contraccettivi orali sono costituiti da una associazione di ormoni femminili.La prima
pillola introdotta negli anni 60 era costituita da dosi molto elevati di estrogeni e da
noretisterone o linestrenolo.
Queste pillole erano associate con aumentato rischio di formazione di trombi ematici e di
eventi trombotici.
Nei prmi anni 70 furono sviluppate le pillole di seconda generazione che contenevano
minore quantità di estrogeno ( < 50 mcg) e contenevano come progestinico il
levonorgestrel.
Dieci anni dopo furono messe in commercio le pillole di terza generazione che contenevano
anch'esse una minore quantità di estrogeno ma avevano come progestinico il desogestrel o
il gestodene.
Studi precedenti sulle pillole di seconda generazione hanno dimostrato un aumento di
rischio di ictus soprattutto in alcuni sottogruppi di donne in trattamento con la pillola
e segnatamente per le fumatrici e le ipertese.In questo ultimo studio i ricercatori hanno
studiato il rischio di ictus per tutte e tre le generazioni di contraccettivi orali.Trai
203 casi di ictus e dei 925 controlli di età compresa tra 18 e 49 anni il rischio di
ictus fu 2,3 volte superiore tra le utilizzatrici di una qualsiasi delle classi di pillole
rispetto alle donne che non assumevano la pillola. I fattori di rischio generici per ictus
( fumo , ipertensione ,diabete ) si sommavano al rischio connesso alla pillola in tutti i
gruppi ci contraccettivi orali.
Poiché non vi sono virtualmente differenze tra la seconda e la terza generazione di
contraccettivi orali la scelta di usare un tipo o l'altro dipende dal rischio
cardiovascolare della singola donna.
Già dallo scorso anno uno studio del Dr.Algra e collaboratori ha evidenziato un aumento
del rischio di trombosi venosa profonda tra le utilizzatrici della pillola di terza
generazione. Lo stesso gruppo di ricercatori effettuando la metanalisi di precedenti studi
su ci contraccettivi orali ha rilevato un aumento di rischio di trombosi venosa maggiore
per i contraccettivi orali di terza generazione rispetto a quelli di seconda generazione.
Pertanto viene raccomandato alle donne fattori di rischio positivi per trombosi venosa
delle gambe che utilizzano le pillole di terza generazione di passare a quelle di seconda
generazione gravate da un minor rischio vascolare.
Doctor's guide
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Cortisonici
sottodosati: errore terapeutico frequente negli asmatici
È noto come la malattia asmatica
sia molto diffusa (almeno il 10% della popolazione nei paesi sviluppati) e capace di gravi
complicazioni, addirittura frequentemente minacciose per la vita stessa. L'asma è
generalmente curata sulla base delle linee-guida della "British Thoracic
Society" del 1997, che prevedono l'associazione di un beta-2 stimolante e di un
anticolinergico per via inalatoria, nonché l'uso di un corticosteroide ad alte dosi.
Alcuni ricercatori francesi hanno voluto esaminare se i trattamenti farmacologici dei
pazienti asmatici fossero adeguati; sono state perciò esaminate le terapie di circa 3.800
pazienti arrivati al Pronto Soccorso per condizioni di asma acuta.
Di questi quasi 1.000 avevano un asma iperacuta, minacciosa per la vita stessa.
Questa quota è molto alta rispetto a quanto prevedibile sulla base dei dati desunti dalla
generalità della popolazione; l'alta concentrazioni di forme gravi potrebbe essere indice
di un inadeguato trattamento domiciliare che rendeva necessario il ricorso al Pronto
Soccorso.
In effetti l'esame delle terapie somministrate a questi pazienti, soprattutto al gruppo ad
alto rischio di vita, è risultato spesso carente rispetto alle linee-guida: in questo
gruppo gli anticolinergici venivano somministrati soltanto alla metà dei soggetti mentre
il cortisone veniva usato nel 68% dei casi di gravità estrema.
È stato osservato come la maggior parte delle persone avesse ricevuto istruzioni scarse e
inadeguate circa le opzioni di trattamento della crisi asmatica domiciliare e non avesse
potuto quindi servirsi pienamente dei mezzi terapeutici a propria disposizione.
Soprattutto si è dimostrato rilevante l'inadeguato trattamento con cortisonici, forse per
carenze culturali dei pazienti o dei medici stessi.
(Lancet 2001;358:629-635)
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Il diabete può essere
prevenuto attraverso modificazioni dello stile di vita
È noto come il diabete stia
diventando uno stato morboso sempre più comune soprattutto nei Paesi industrializzati, e
che tale aumento di prevalenza si accompagni ad un aumento di sedentarietà e di obesità.
Non è ancora noto se il diabete mellito di tipo 2 possa essere prevenuto da interventi di
tipo igienico volti a modificare lo stile di vita dei soggetti.
Gli autori hanno voluto perciò esaminare oltre 500 soggetti sovrappeso di media età, di
entrambi i sessi, che presentavano diminuita tolleranza al glucosio. Questi pazienti sono
stati divisi in due gruppi randomizzati; i soggetti del primo gruppo hanno ricevuto una
serie di consigli individualizzati e finalizzati alla riduzione del peso, alla limitazione
dell'assunzione di grassi, soprttutto di assunzione di grassi totali e di grassi saturi,
all'aumento di assunzione di fibre, all'incremento dell'attività fisica. Tale training
non era fornito ai pazienti del secondo gruppo.
È stato effettuato annualmente un test orale di tolleranza al glucosio; il follow-up è
durato circa tre anni.
È stato evidenziato come il gruppo trattato in modo personalizzato presentasse alla fine
del periodo di studio una perdita di peso assai più pronunciata del gruppo di controllo;
l'incidenza comulativa di diabete era dell'11% nel gruppo di intervento e del 23% nel
gruppo nel controllo. Il gruppo di intervento dimostrava una diminuzione di rischio di
sviluppo di diabete del 58% rispetto ai controlli. Eliminati gli eventuali fattori
interferenti, è stato verificato che la ridotta incidenza di diabete era direttamente
associata alla modificazione dello studio di vita.
Gli autori concludono che il diabete di tipo2 può essere prevenuto, nei pazienti a
rischio, da opportune modificazioni dello stile di vita.
Ad analoghe conclusioni è giunto un
secondo studio effettuato su quasi 85.000 infermiere seguite per 16 anni: controllati
diversi fattori di rischio nonchè lo stile di vita, si verificava come il sovrappeso e
l'obesità fossero i fattori predittivi più importanti di diabete, tuttavia la mancanza
di attività fisica si dimostrava correlata significativamente all'insogenza di nuovi casi
di diabete.
Anche gli autori di questo studio concludono che la maggior parte dei casi di diabete di
tipo 2 può essere prevenuta mediante uno stile di vita più sano.
N.E.J.M: 2001;344:1343-1350
N.E.J.M.: 2001, 345:790-797
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Screening
mammografico il dibattito continua
Lo scorso anno una giornalista
americana di 53 anni ad un meeting oncologico tenutosi a Cambridge ha affermato di non
aver ancoro eseguito una mammografia perché pur avendo letto la letteratura
sull'argomento e ascoltato esperti da entrambe i lati dell'Atlantico non aveva ancora
avuto una risposta certa circa l'utilità dello sceening mammografico.
La giornalista in questione non è certo sola nella incertezza.La letteratura
sull'argomento fornisce ampia opportunità per dogmi e incertezze e può tranquillamente
essere interpretata per provare sia i benefici che i pericoli della mammografia .
Esiste una risposta chiara sulla efficacia della mammografia nel ridurre la mortalità?
Un articolo pubblicato su Lancet a marzo 2002 fornisce ulteriori informazioni.
Lennart Nystrom e collaboratori hanno presentato nell'articolo i dati di un trial svedese
randomizzato di 15,8 anni di durata.
I risultati dei trial inclusi erano stati già presentati individualmente ed usati in
meta-analisi sulla efficacia dello screening e citati nel rationale per il programma di
screening nazionale .Con le 247.010 donne arruolate questi trials forniscono un
eccezionale database con un follow up a lungo termine attraverso il quale valutare
l'efficacia di uno screening mammografico ad invito rispetto a un specifico interevento di
screening.
Gli esiti finali globali dei trials furono di 511 morti per ca della mammella su 1.864.770
donne /anno tra le donne invitate allo screening contro 584 morti per cancro della
mammella su 1.688.440 donne /anno tra i controlli.
Tradotto in termini statistici questi risultati evidenziano una riduzione significativa
della mortalità per ca mammario di circa il 21% (RR 0.79, CI 0.70-0.89).Nello studio
Nystrom e collaboratori evidenziano anche le dimensioni e le correlazioni con l'età dei
benefici dello screening sulla mortalità per ca mammario.
I benefici sono reali ma modesti. A dispetto della riduzione della mortalità per ca della
mammella , la mortalità complessiva( per tutte le cause) mostrò un rischio relativo pari
a 0.98 tra le donne invitate allo screening.
Questi dati possono aiutare il medico e la donna che negli ultimi anni sono stati
bombardati di messaggi in favore o contro la mammografia dai media e dai convegni
scientifici ?
Lo screening mammografico identifica tumori di piccole dimensioni parecchi anni prima che
esssi possano essere riscontrati alla palpazione. Clinici, statistici, economisti dei
sistemi sanitari, editors , e le maggiori riviste scientifiche sono d'accordo nel
riconoscere che la storia naturale del tumore del seno ci dice che il risultato in termini
di riduzione di mortalità può essere riconosciuto solo molti anni se non decadi dopo
l'inizio dello screening.
La conferma della stabile riduzione della mortalità dopo lungo tempo è forse il dato
più importante dello studio di Nystrom e collaboratori.
I critici dello screening allegano la paura, l'aumentato numero di diagnosi dei casi di ca
in situ, l'alto numero di falsi positivi, come prodotti pericolosi dello screening
.L'ultima rassegna condotta da Nystrom, invece , mostra differenti livelli di benefici
stratificati a seconda dei gruppi di età e di come i gruppi vengono definiti.
Per esempio il gruppo di età compreso tra 45 e 54 anni sembra avere il minor beneficio,
ma analizzando i dati con il tradizionale metodo a coorti (40-49; 50-59) il beneficio
della mammografia appare simile in tutti gruppi di età tra 40 e 74 anni.
Questo è il riflesso di una ridotta efficacia dello screening nel periodo della
perimenopausa dovuto ai mutamenti ormonali oppure è una semplice variazione statistica?
Dal 1990 abbiamo osservato una riduzione della mortalità per cancro della mammella vicina
al 30% Quanto questa riduzione è dovuta allo screening e alla diagnosi precoce e quanto
al miglioramento delle terapie?
Oggi non si sa se i benefici della terapia adiuvante e dello screening siano cumulativi e
pertanto sono necessari studi di analisi di popolazioni per discriminare gli effetti
relativi dello screening e della terapia.
Ma a quale conclusioni ci porta lo studio di Nystrom e quale risposta potremmo dare oggi
alla giornalista confusa citata all'inizio dell'articolo?
Sia la American Society for Clinical Oncology che il PDQ che dipendono dal National Cancer
Institute statunitense oggi guardano ancora allo screening mammografico. L'ultima analisi
dei trials svedesi ci rassicura che i dati dello studio svedese sono credibili e ci
permette di usarli per lo sviluppo di linee guida. I dati confermano che le donne che
godono buona salute, soprattutto nella fascia di età tra 55 e 69 anni, e quelle che sono
più attente al cancro del seno dovrebbero essere incoraggiate a sottoporsi allo screening
e dovrebbe essere loro offerta la possibilità di effettuare la mammografia almeno ogni 2
anni.
Il dibattito continua sul possibile effetto benefico dello screening per le donne più
giovani (quelle sotto i 50 anni)
The Lancet.Vol 359. March 16,2002
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Effetti
cardiovascolari del Sildenafil durante l'esercizio negli uomini con malattia coronarica
nota o probabile
La relazione tra uso di sildenafil
citrato e eventi avversi cardiovascolari in uomini con malattia coronarica non è ancora
ben definita. Lo studio pubblicato su Jama condotto tra marzo e ottobre 2002 negli USA è
stato condotto in doppio cieco contro placebo con l'obiettivo di chiarire questa
relazione.
Sono stati arruolati 105 pazienti di età media pari a 66 anni con disfunzione erettile e
malattia coronarica nota o fortemente sospetta.
Tutti i pz sono stati sottoposti ad ecocardiogamma sotto esercizio ( ecostres) a distanza
di tre giorni 1 ora prima di ogni test è stata somministrata una dose di sildenafil o
placebo ai pazienti.
Sono stati misurati gli effetti emodinamici del sildenafil durante l'esercizio
fisico(inizio, estensione e gravità dell'ischemia ) mediante valutazione
ecocardiografica.
Risultati: la media della frazione di eiezione a riposo fu del 56%.Dopo l'uso del
sildenafil la pressione arteriosa sistolica si ridusse da 138 a 128 mmHg. Dopo placebo la
pressione arteriosa sistolica si ridusse da 135 a 133 mmHG .La media della differenza
della frequenza cardiaca dopo placebo e dopo sildenafil fu di 4,3.La frequenza cardiaca a
riposo , la pressione diastolica, lo score index del movimento delle pareti cardiache
(misura della estensione e della severità delle anomalie della mobilità delle pareti
cardiache ) non mostrò significative variazioni trai due gruppi.La capacità di esercizio
fu simile trai due gruppi.La frequenza cardiaca e la pressione arteriosa sono aumentati in
maniera molto simile nei due gruppi.Dispnea e angina furono osservati in 69 pazienti del
gruppo sildenafil e in 70 del gruppo placebo.Le anomalie di parete insorsero in numero
simile di pazienti dopo l'assunzione di sildenafil o di placebo( rispettivamnete 69 pz che
assunsero sildenafil e 70 che assunsero placebo).L'elettrocardiogramma da sforzo fu
positivo in 12 pz che assunsero sildenafil(11%) e in 17 che assunsero placebo ( 16%).
Anche le anomalie del movimento delle pareti ventricolari si svilupparono in un numero
simile di pazienti sia dopo sildenafil che dopo palcebo.
In conclusione negli uomini con malattia coronarica stabile il sildenafil non ha effetti o
sintomi sulla durata dell'esercizio o sulla estensione dell'ischemia indotta
dall'esercizio valtutata con l'ecocardiografia.
JAMA.2002;287:719-725.
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Ancora utili i fibrati
Benchè attualmente le statine siano
considerati farmaci di prima scelta nel trattamento delle dislipidemie, continuano gli
studi anche sui fibrati, farmaci anticolesterolemici di largo impiego da molti anni. Sono
stati esaminate oltre 400 persone, di entrambi i sessi, affetti da diabete mellito e
trattati con una dose giornaliera di fenofibrato o con placebo per oltre tre anni.
In questi soggetti, affetti tutti da coronaropatia ostruttiva, veniva valutata la
progressione della forma stenotica, la quale si è dimostrata molto meno rilevante nei
soggetti trattati con fenofibrato rispetto a quelli trattati con placebo. Il gruppo dei
pazienti trattati con fenofibrato ha dimostrato anche una minor incidenza di episodi
infartuali, meno interventi di angioplastica e un minor tasso di mortalità.
Benchè gli studi in questo settore vadano ancora approfonditi, gli autori hanno
evidenziato come sia utile monitorare i livelli di grassi nel sangue nei soggetti
diabetici e intervenire farmacologicamente in tutti quei soggetti diabetici in cui il solo
controllo dietetico sia insufficiente.
Lancet 2001;357:905-910
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Attività sessuale e
farmaci antiipertensivi
È ben noto come i farmaci
antiipertensivi costituiscano uno dei principali motivi di problematiche sessuali nei
soggetti maschi. Tali farmaci sono infatti indicati tra quelli maggiormente induttori di
deficit erettile o comunque diminuzione dell'attività sessuale.
È noto però anche come non tutti questi farmaci abbiano effetti collaterali della
medesima intensità, ma sono rari gli studi approfonditi nel settore.
Un gruppo di ricercatori italiani ha confrontato gli effetti sull'attività sessuale di
Valsartan (antagonista recettoriale dell'angiotensina 2) e Carvedilolo (betabloccante).
Entrambi i gruppi hanno evidenziato una diminuzione dell'attività sessuale all'inizio
della terapia farmacologica, e particolarmente nel primo mese di terapia. In epoca
successiva si è invece assistito a un differente comportamento in quanto il gruppo dei
soggetti trattati con Valsartan recuperava una capacità sessuale pressochè normale
rispetto al gruppo trattato con Carvedilolo, che evidenziava il permanere di problematiche
persistenti nel tempo.
Sembrerebbe quindi, anche se gli studi nel settore andrebbero approfonditi, che gli
antagonisti dell'angiotensina 2, e in particolare il Valsartan, comportino minori problemi
di deficit sessuale rispetto ai betabloccanti.
"American Journal of
Hypertension" 2001;14:27-31
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È dimostrato: il fumo
passivo è veramente dannoso per il cuore
È ben noto fin dal 1992, dalle
dichiarazioni dell'"American Health Association", che i soggetti esposti al fumo
passivo di tabacco nell'ambiente domestico presentino un rischio di morte per malattie
cardiovascolari notevolmente aumentato (fino al 30%) rispetto alla popolazione generale.
Tuttavia non erano mai stati valutati gli effetti acuti all'esposizione al fumo di
tabacco.
Alcuni ricercatori giapponesi hanno voluto indagare, con metodiche indirette, l'effetto
del fumo passivo sul circolo coronarico. Hanno valutato la riserva di velocità del flusso
dell'arteria coronarica discendente anteriore mediante la tecnica dell'ecodoppler
trans-toracico.
I ricercato hanno eseguito delle misurazioni su gruppi di pazienti prima e dopo la
permanenza in una sala fumatori nel loro Ospedale. I risultati sono stati significativi:
prima dell'esposizione i non fumatori presentavano una riserva di velocità di flusso
coronarico maggiore rispetto ai fumatori; questa differenza veniva annullata dopo una
permanenza di sola mezz'ora nell'ambiente saturo di fumo di sigaretta.
Anche altri parametri ematochimici, come i livelli di carbossiemoglobina, aumentavano dopo
l'esposizione al fumo dei soggetti non fumatori mentre rimanevano invariati nei fumatori
abituali.
L'effetto acuto del fumo passivo sulla riserva coronarica è quindi molto più elevato nei
soggetti non fumatori rispetto ai fumatori.
È perciò dimostrato come il fumo di sigaretta, oltre a essere il principale fattore di
rischio per il cancro al polmone, presenti notevoli effetti biologici acuti anche in
concentrazioni certamente non elevate; tali effetti sono particolarmente evidenti nei
soggetti non fumatori e non abituati all'inalazione di fumo.
(Jama 2001; 286:436-441)
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Insospettate
interferenze tra cannabinoidi e cocaina
Benchè i cannabinoidi e la cocaina
vengano compresi e comunemente nella stessa categoria di farmaci stupefacenti, sono stati
sempre considerati come sostanze chimicamente e fisiologicamente indipendenti.
Questa convinzione potrebbe essere inesatta, sulla base di uno studio olandese effettuato
su animali.
I ricercatori sono partiti dal presupposto che i cannabinoidi endogeni sono coinvolti in
vari processi chimici cerebrali e il sistema recettoriale che risponde ai cannabinoidi
svolge un ruolo fondamentale anche nel bisogno compulsivo dell'assunzione di cocaina anche
dopo periodi di astinenza prolungati.
Per verificare questo assunto i ricercatori hanno sperimentato su alcuni topi
cocaino-dipendenti gli effetti di un'agonista del tetraidrocannabinolo (il principio
attivo della marijuana). La somministrazione di questa sostanza ha provocato nei topi il
desiderio compulsivo di cocaina, anche dopo un prolungato periodo di astinenza. Questo
effetto è stato bloccato in modo efficace da un'antagonista specifico. Il fatto
dimostrerebbe come i recettori specifici dei cannabinoidi siano coinvolti nelle ricadute
di assunzione di cocaina e potrebbero quindi diventare un utile bersaglio farmacologico
finalizzato alla prevenzione delle crisi.
I ricercatori hanno voluto anche esaminare la risposta dei topi a stimoli fisiologici e
sensoriali: l'induzione di un riflesso pavloviano, indotto con stimoli luminosi
intermittenti prima della somministrazione di stupefacenti, richiamava la crisi durante il
periodo di astinenza; tale crisi era però attenuata da somministrazione dell'antagonista
sintetico del cannabinolo. Le crisi invece provocate mediante condizionamento fisico
(scosse elettriche) non venivano attenuate dall'uso dell'antagonista. Sembrerebbe quindi
che esitano diversi circuiti neuronali e diversi recettori implicati nella ricerca
compulsiva dello stupefacente.
Questo lavoro potrebbe aprire importanti strade in quanto è ben noto come le terapie
attuali per la dipendenza da cocaina sono caratterizzate da una alta frequenza di
insuccessi e ricadute anche dopo lunghi periodo di astinenza. È sperabile quindi che,
sostanze antagoniste capaci di agire sui recettori specifici possano servire come utile
arma terapeutica.
(Nat. Med. 2001; 10:1151-1154)
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La pasta al pomodoro
protegge dai raggi ultravioletti
È ampiamente noto come le sostanze
del gruppo dei carotenoidi abbiano una funzione biologica antiossidante molto potente. È
stato evidenziato che una dieta che preveda un'assunzione continua e abbondante di pasta
al pomodoro aumenta significativamente la concentrazione plasmatica di un importante
carotenoide (il licoprene) contenuto nel vegetale.
Si è voluto studiare l'effetto biologico di questo aumento di livello di carotenoide
sull'esposizione dei raggi ultravioletti. I soggetti studiati sono stati sottoposti per
dieci settimane a una dieta ricca di questi prodotti e poi esposti all'azione di raggi
ultravioletti. Veniva misurata la formazione di eritema cutaneo, il quale è risultato
ridotto del 40% nei soggetti che assumevano nella dieta pomodoro o derivati di esso ricchi
di licoprene.
Si conclude quindi che un'abbondante assunzione di pomodoro o di altri vegetali contenenti
licoprene possa svolgere un'azione protettiva significativa verso i raggi ultravioletti.
J. Nutr. 2001;131:1449-145
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Raloxifene e eventi
cardiovascolari in donne in menopausa. I risultati a 4 anni dello studio MORE
Il Raloxifene è un modulatore
selettivo del recettore per gli estrogeni, migliora i fattori di rischio cardiovascolari
ma il suo effetto sugli eventi cardiovascolari non è noto .
Obiettivo dello studio MORE(Multiple Outcomes of Raloxifene Evaluation trial) è valutare
gli effetti del raloxifene sugli eventi cardiovascolari nelle donne osteoporotiche in post
menopausa .
Lo studio ha preso in considerazione un totale di 7.705 donne osteoporotiche in post
menopausa ( età media 67 anni) selezionate in 180 centri distribuiti in 25 Paesi nel
periodo Novembre 1994 Settembre 1999.
In tutte le coorti non sono state rilevate differenze tra i gruppi in trattamento nel
numero totale di eventi cerebrovascolari e coronarici :96 (3,7 %) con il placebo, 82 (3,2
%) con 60 mg /die di raloxifene, e 94(3.7%) con 120 mg /die di raloxifene.Il rischio
relativo (RRs) fu 0,86 ( 95% C.I.) e 0,98(95% CI) per 60 mg/ die e per 120 mg /die di
raloxifene rispettivamente.Simili risultati si sono ottenuti analizzando separatamente gli
eventi coranarici e gli eventi cerebrovascolari. Nel sottogruppo di 1035 donne con rischio
cardiovascolare aumentato al momento dell'ingresso nello studio, quelle assegnate al
trattamento con Raloxifene ebbero un rischio cardiovascolare significativamente minore
paragonato al placebo(RR 0,60 ; 95% C.I.).
Il numero di eventi cardiovascolari nel I anno di terapia non mostrò significative
differenze nei vari gruppi del campione, né nei vari gruppi del campione, né tra le
donne con aumentato rischio cardiovascolare o con evidenza di malattia coronarica.
CONCLUSIONI .La terapia con Raloxifene per 4 anni non incrementa significativamente il
rischio di eventi cardiovascolari , ma riduce significativamente il rischio di eventi
cardiovascolari nel sottogruppo di donne con aumentato rischio cardiovascolare già
all'inizio della terapia.Non ci sono evidenze che il raloxifene causi un incremento
precoce ( primo anno di terapia) di eventi cardiovascolari.
Prima di usare il raloxifene per prevenzione di eventi cardiovascolari c'è bisogno di
conferme a questi dati da parte di trial che abbiano come obiettivo primario la
valutazione degli outcomes cardiovascolari.
JAMA. 2002;287:847-857
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Simvastatina e
markers del metabolismo osseo nell'osteopenia
Il trattamento con simvastatina di
donne osteopeniche per un periodo di 12 settimane non ha alcun effetto sui marker del
riassorbimento o della formazione ossea.
È stato notato in vitro che nei roditori gli inibitori dell'idrossimetilglutaril coenzima
A provoca un aumento dei processi di neoformazione ossea .Tuttavia gli studi
epidemiologici sul rapporto tra uso di ipocolesterolemizzanti e densità minerale ossea e
fratture sono fino ad oggi insufficienti.
In questo studio sono state arruolate 24 donne osteopeniche ( diagnosticate con
densitometria ad ultrasuoni).Le donne furono assegnate random a trattamento con placebo o
con simvastatina alla dose di 20 o 40 mg per un periodo di 12 settimane.Al tempo 0 e a 6 e
12 settimane i ricercatori hanno misurato il profilo lipidico a digiuno a i markers
biochimici di neoformazione ossea ( isoenzima osseo della fosfatasi alcalina) e del
riassorbimento osseo(telopeptide N terminale e telopeptide C terminale del collagene di
tipo1).
Dopo 12 settimane di trattamento lo studio ha rilevato che i livelli di colesterolo
plasmatici LDL sono scesi del 7% nelle donne che assumevano placebo, 39 percento per
quelle che assumevano 20 mg di simvastatina, e 47 % per le donne che ne assumevano 40 mg.
Al tempo 0 la concentrazione di markers ossei era simile in tutti e tre i gruppi di donne.
I marcatori però non mostrarono modificazioni rispetto al tempo 0 né a 6 né a 12
settimane .Gli Autori concludono che il trattamento per 12 settimanecon simvastatina in
donne osteopeniche per 12 settimane non influenza i markers di riassorbimento o di
neoformazione ossea.
BMC Musculoskeletal Disorders
2002 3:7
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Stimolazione
elettrica per il Parkinson
La stimolazione profonda di alcuni
territori cerebrali potrebbe sostituire l'intervento chirurgico proposto da altri autori
nelle complicazioni neurologiche nel trattamento con Levodopa nei malati di Parkinson.
Gli autori hanno esaminato 134 soggetti, con complicazioni neurologiche dovute alla
terapia farmacologica (discinesie, fluttuazioni motorie e fenomeno On-Off ecc.).
Essendo stato poi individuato come l'origine di queste disfunzioni sia dovuto a un aumento
dell'attività neuronale del nucleo subtalamico e della parte interna del globo pallido,
si è in alcuni casi preferito adottare un approccio terapeutico di tipo chirurgico; al
fine di evitare le complicazioni frequenti dell'intervento gli Autori hanno voluto
tentare, ove ritenuto possibile, una terapia basata sulla stimolazione elettrica dei
medesimi nuclei cerebrali.
Sono stati trattati con stimolazione elettrica del globo pallido o del nucleo subtalamico
circa 100 pazienti. Esaminati a tre mesi di distanza veniva rilevato un miglioramento
della scala motoria pari al 50% nei soggetti trattati con stimolazione del nucleo
subtalamico, al 37% nei soggetti trattati con stimolazione del globo pallido.
Inoltre si è avuto in entrambi i gruppi, con oscillazioni dal 64 al 74%, un progressivo
miglioramento delle capacità motorie individuato dall' entità del tempo libero da
movimenti involontari.
L'effetto terapeutico è stato tale da permettere anche la riduzione della posologia di
Levodopa nel gruppo trattato con stimolazione del nucleo subtalamico.
Anche il trattamento stimolante ha tuttavia effetti collaterali, anche se inferiori a
quelli provocati dall'intervento chirurgico: sono state presenti emorragie intracraniche
in 7 pazienti, nonchè infezioni che hanno reso necessaria la rimozione dell'elettrodo in
2 soggetti. La terapia elettrostimolante appare tuttavia molto promettente in quanto tali
effetti sono stati numericamente molto inferiori a quelli provocati dall'intervento
chirurgico.
N.E.J.M 2001;345;956-963
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TOS e cancro della
mammella
Gli studi sull'uso a lungo termine
della terapia ormonale sostitutiva ( TOS, o, in inglese,HRT) suggeriscono un aumento del
rischio di ammalare di cancro della mammella ma non è stato studiata l'associazione tra
HRT e differenti tipi istologici di K della mammella.
Lo studio ha preso in considerazione 705 donne in post menopausa arruolate nel GHC di età
compresa tra 50 e 74 anni che erano state colpite da un cancro invasivo della mammella
diagnosticato tra il 01 Luglio 1990 e il 31 .12 .1995 e 692 donne arruolate in maniera
randomizzata di pari età sempre nel GHC.
L'incidenza di cancro mammario, di tutti i tipi istologici, aumentò dal 60% all '80%
nelle pz che di recente avevano usato HRT di lunga durata sia con solo estrogeno sia in
combinazione con il progestinico. Le pz che avevano usato più a lungo la HRT ( per 57
mesi o più OR 3,07) e le pazienti che correntemente usavano la terapia combinata ( OR
3,91) mostrarono un aumentato di carcinoma globulare. La HRT di lunga durata fu associata
ad un aumento del rischio pari al 50% per carcinoma non globulare( OR 1.52 per 57 mesi di
durata o più).
Conclusioni i dati dello studio si aggiungono alle altre crescenti osservazioni che il
recente uso di HRT di lunga durata è associato con un aumento di cancri della mammella e
che tale aumento è particolarmente evidenti per i carcinomi lobulari.
JAMA. 2002;287:734-741
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Trattamenti
complessi aumentano il rischio di cancro della pelle nella psoriasi
È ben noto come nella psoriasi
siano state tentate, nel tempo, diverse strategie terapeutiche.
Alcuni ricercatori hanno ritenuto però che l'associazione di alcune di queste terapie
possa essere addirittura nociva in quanto favorirebbe l'insorgenza di neoplasie della
pelle.
I ricercatori hanno esaminato circa 850 pazienti, seguiti dal 1975 al 1988 presso 16
centri universitari degli USA.
Questi soggetti erano stati trattati, in quanto affetti da psoriasi, con raggi PUVA
(esposizione a psoralene e raggi ultravioletti A). Una trentina di questi pazienti
risultava poi essere stata trattata, in epoca successiva, con ciclosporina. Di questi
ultimi soggetti, sei hanno sviluppato dei carcinomi squamocellulari nel periodo precedente
il trattamento con ciclosporina mentre, nel periodo successivo al trattamento, il numero
era salito a 13.
Pur esaminando i molteplici fattori interferenti, i ricercatori hanno dimostrato come
l'incidenza dei tumori squamocellulari nei soggetti trattati prima con PUVA e poi con
ciclosporina era sette volte maggiore rispetto ai controlli. La stessa analisi statistica
stabiliva che la ciclosporina comportava un rischio pari 200 volte al trattamento con
PUVA.
L'ipotesi avanzata dai ricercatori è che il trattamento immunosoppressivo con
ciclosporina sia in grado di aumentare in elevata misura il rischio di tumore nei soggetti
esposti a sostanze cancerogene: nel caso specifico l'incremento nella neoplasia
interessava le sedi di radiazione PUVA e non quelle non esposte al sole.
I risultati non sono ovviamente generalizzabili ma, creano un presupposto importante per
ulteriori ricerche circa possibile genesi dei tumori in questi soggetti.
(Lancet 2001;358:1042-1045)
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APPROFONDIMENTI
Un controverso caso
assicurativo
"Lo scorso dicembre mio
padre, di 74 anni, aveva prenotato un viaggio da effettuarsi nel successivo mese di
febbraio. Da alcuni anni è affetto da iperplasia prostatica con una sintomatologia
modesta tanto da permettergli di programmare una vacanza. A fine gennaio però, a seguito
di una infezione delle vie urinarie, si era manifestata una ritenzione urinaria acuta.
Ricoverato veniva deciso l'intervento di TUR della prostata in presenza di una sofferenza
renale attribuibile a ritenzione, evidentemente presente misconosciuta da qualche tempo.
Ovviamente, dopo cinque giorni d'ospedale e la necessaria convalescenza ,il viaggio era
saltato. Il contratto con l'agenzia prevedeva la copertura assicurativa per il rimborso
parziale delle spese del pacchetto vacanza nel caso di impossibilità a partire a seguito
di sopraggiunta malattia, per cui mio padre inviava la necessaria documentazione
all'assicurazione, certo di recuperare parte del costo del biglietto. Con sua grande
irritazione e mia sorpresa l'assicurazione rifiutava però di riconoscergli qualsiasi
rimborso attribuendo la causa della malattia precedente alla stipula del contratto. Fu del
tutto inutile far loro rilevare che l'ipertrofia prostatica benigna, non necessariamente
esita verso la ritenzione urinaria e la sofferenza renale tanto da essere non obbligato il
rapporto tra queste ed una condizione tanto frequente dopo i 70 anni da passare per
parafiologica.
Forse il caso non si presta a
generalizzazioni ma, senza entrare nello specifico sull'utilità di coperture assicurative
così aleatorie, c'è da chiedersi come possa la logica della medicina assicurativa
tutelare senza rischi la nostra salute."
I problemi delle assicurazioni
private
I rapporti tra medici e Società
Assicurative sono spesso conflittuali a causa delle continue problematiche inerenti le
certificazioni in ambito infortunistico; ancora di più lo diventano allorchè il medico
si venga a trovare nella veste di assicurato. Si aprono sovente dei contenziosi che
l'interessato non riesce a capire, e i rapporti finiscono per deteriorarsi sempre di più.
Il caso presentato dal collega non
è affatto raro: spessissimo l'assicurato, allorchè si trovi nelle condizioni di dover
chiedere alla Società il rispetto dei patti sottoscritti, scopre qualche aspetto rimasto
misconosciuto, che ne distrugge le aspirazioni risarcitorie.
Prima di esaminare il caso concreto,
conviene prendere in esame le norme che regolano i rapporti asscicurativi privati.
Generalità sulle assicurazioni
private
L'assicurazione, innanzitutto, può
essere definita come "un rapporto giuridico implicante il diritto di fruire (e
reciprocamente, di far fruire) di un dato beneficio in occasione dell'attuarsi di un
rischio, secondo accordi e parametri specificati contrattualmente".
Il contratto assicurativo (polizza)
viene stipulato tra l'assicurando ed una Compagni assicuratrice secondo la normativa
regolata dal Codice Civile. Dal punto di vista giuridico l'art. 1882 così definisce: "L'assicurazione
è il contratto col quale l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a
rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un
sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente
alla vita umana".
La dizione del codice, ovviamente,
può adattarsi ad innumerevoli ambiti, e nel tempo sono state concepite assicurazioni per
i più diversi aspetti della vita: infortuni, malattie, incidenti stradali, danni
accidentali, eventi avversi di ogni tipo. Tutti questi contratti hanno però in comune una
serie di aspetti:
- Si tratta di un contratto privato,
liberamente sottoscritto dalle parti, che ne accettano consapevolmente tutti gli aspetti.
- Viene assicurato "un
rischio" : la possibilità, cioè, che un evento negativo (possibile o
ipotizzabile) si attui in un danno effettivo.
- Il pagamento del premio è
commisurato all'intensità del rischio stesso. Infatti il costo della stessa polizza
può variare enormemente allorchè venga stipulata per soggetti che abbiano un fattore di
rischio diverso. Esempio classico può essere quello delle polizze assicurative contro gli
errori professionali dei medici, di un modesto costo per i medici di famiglia, dieci volte
più costose nel caso di categorie a rischio come gli odontoiatri o i chirurghi plastici.
In caso di rischio molto elevato la Società può anche rifiutare la stipula.
Diviene indispensabile quindi,
per la stipula del assicurativo, che la Società sia in grado di valutare esattamente il
rischio che si vuole assicurare. A questo scopo vengono generalmente richieste una
serie di informazioni preliminari attinenti il rischio da prendere in esame.
L'assicurando è tenuto a fornire
informazioni complete e veritiere in ordine alle circostanze che possano avere influenza
su rischio; l'art. 1892 del C.C. stabilisce infatti che " le dichiarazioni
inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l'assicuratore non
avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse
conosciuti il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il
contraente ha agito con dolo o colpa grave".
L'art. 1893 specifica: "Se
il contraente ha agito senza dolo o colpa grave, le dichiarazioni inesatte e le reticenze
non sono causa di annullamento del contratto, ma l'assicuratore può recedere dal
contratto stesso.".
In verità è possibile derogare in
senso favorevole all'assicurato (art. 1932 C.C.) allorchè il contratto sia in vigore da
un certo periodo di tempo e non si tratti di malafede. è evidente come i casi concreti
possano prestarsi a innumerevoli contestazioni.
Le "trappole" delle
polizze
Non paghi delle protezioni fornite
loro dalla legge, le Società Assicuratrici tendono a formulare i contratti in modo da
garantirsi una serie di tutele supplementari. Infatti, benchè teoricamente i contratti
vengano stilati di comune accordo tra le parti, in realtà all'assicurando è generalmente
presentato un contratto standard precompilato al quale non è permesso approntare
modifiche sostanziali, se non per clausole aggiuntive espressamente previste dalla
Società. A ciò si aggiunge l'abitudine, assai radicata in Italia, di firmare i contratti
assicurativi senza leggerli e fidando unicamente nelle parole dell'assicuratore; questi
spesso dimentica di illustrare aspetti importanti che potrebbero venire in luce solo in
epoca successiva. Ne enumeriamo sinteticamente qualcuno:
- "Franchigia" :
fissazione di una soglia sotto la quale non si dà luogo ad indennizzo. Tale soglia può
essere costituita da una somma in denaro (si rimborasno i danni solo a partire da una
certa cifra) o da una percentuale di invalidità (non si rimborsano i danni inferiori, ad
es. al 5%).
- Non assicurabilità: La
polizza infortuni standard, ad esempio, prevedeva fino a pochi anni fa, che non fossero
assicurabili le persone di età superiore ai 70 anni e "le persone colpite da
apoplessia o affette da epilessia, paralisi, infermità mentali, delirium
tremens
diabete o da altre infermità gravi e permanenti". "Non
assicurabilità" sta a significare, in concreto, che un soggetto affetto da tali
forme morbose che si fosse assicurato, non avrebbe avuto diritto in caso di infortunio
(anche se non ci fosse alcun nesso con la condizione "incriminata"), ad alcun
indennizzo, e neppure alla restituzione dei premi pagati.
- Valutazione dello "stato
anteriore": molte polizze contengono clausole che limitano o aboliscono il
diritto all'indennizzo in caso di malattie o altre condizioni particolari preesistenti
alla stipula. Talvolta viene prevista l'indennizzabilità anche delle malattie pregresse
qualora l'assicurato le dichiari in anticipo e paghi il necessario (e giusto)
sovrapprezzo.
- Clausola compromissoria: le
polizze private prevedono in genere che, in caso di controversia sull'entità del
risarcimento o sul nesso di causalità, la controversia non venga portata in tribunale ma
venga risolta mediante un "arbitrato irrituale". Si tratta di una procedura
consistente (in caso di problemi legati alla salute) in una visita collegiale effettuata
dal medico dell'assicurazione, dal medico dell'assicurato e da un terzo medico scelto dai
primi due o, in caso di disaccordo, dall'Ordine dei Medici.
L'arbitrato è una procedura nata
per favorire lo snellimento e la velocità delle procedure di rimborso, che vengono
completate in pochi mesi anzichè negli anni richiesti dall'iter giudiziario; è tuttavia
parecchio costoso, e viziato oltretutto dal fatto che la maggior parte dei medici chiamati
a fare da terzo arbitro è a sua volta spesso legato alle Compagnie Assicurative da
vincoli lavorativi ed economici. è piuttosto difficile che le compagnie accettino che un
arbitrato sia presieduto da persona totalmente estranea all'ambiente, per cui questa
procedura finisce per essere generalmente sfavorevole all'assicurato, che si sentirebbe
più tutelato in Tribunale, a cui però non può accedere (in realtà, quando la materia
del contendere non riguarda la valutazione del danno o del nesso di causalità bensì
altri aspetti, come l'interpretazione di una clausola o il mancato rispetto di una
procedura, è possibile ricorre al Tribunale; spesso però l'assicurato non è a
conoscenza di questa possibilità).
L'evoluzione delle normative del
settore, e l'apertura alle norme internazionali hanno inoltre comportato, alla fine, una
certa maggiore elasticità nella stipula delle polizze: molte polizze, ad esempio, non
annoverano più il diabete tra i motivi di non assicurabilità (o limitano tale esclusione
solo alle forme più gravi); lo stato anteriore viene spesso valutato con criterio meno
restrittivo, tenendo conto delle modalità con cui l'aggravamento si è manifestato; la
clausola compromissoria è spesso formulata in modo diverso e con parole diverse da
contratto a contratto, offrendo così lo spunto per "saltare" l' arbitrato e
rivolgersi direttamente al tribunale.
Tutto ciò però, deve derivare
da quanto scritto nel contratto, che deve essere letto e capito fino in fondo (cosa
non facile, dato il linguaggio spesso criptico e oscuro).
Il caso in oggetto
Da quanto esposto sopra è facile
comprendere come la base di tutto sia costituita dalla precisa terminologia del contratto
firmato dal padre del collega. Sembrerebbe di capire che la polizza includesse uno dei
motivi di "non risarcibilita" di cui abbiamo parlato sopra, ma non abbiamo
elementi sufficienti per esprimere un giudizio preciso. Il fatto che l'assicuratore abbia
deciso autonomamente di non procedere all'indennizzo è piuttosto anomalo, in quanto le
società prevedono generalmente una visita medica e il parere di un medico fiduciario, al
quale sarebbe più facile addurre argomenti di tipo sanitario con la speranza di essere
favorevolmente recepiti..
è anche possibile che ci fossero
delle possibili scappatoie legali sfuggite all'attenzione: capita abbastanza sovente che
gli assicuratori (o i loro fiduciari) tendano a confidare troppo nella passata esperienza,
facendo riferimento sempre alle clausole riportate nelle vecchie polizze standard e non
adeguandosi invece alle polizze a loro sottoposte. La maggiore varietà di offerta
assicurativa può portare sovente a condizioni di maggior favore per l'assicurato, ma per
rendersene conto è indispensabile una lettura attenta.
Attenzione: le eventuali
questioni che sorgano sulla corretta interpretazione delle clausole del contratto, sono di
competenza del Tribunale, e non dell'arbitrato. è possibile quindi, in questi casi,
procedere direttamente per vie legali.
Non è possibile esprimere quindi un
giudizio preciso su quanto accaduto al collega in mancanza di una lettura della polizza:
sarebbe importante sapere se questa prevedesse, e a quali condizioni, delle esclusioni di
rimborsabilità legate alla valutazione dello stato anteriore, così come sarebbe anche
importante sapere se all'assicurato è stato richiesta una dichiarazione sulle sua
condizioni di salute, e cosa egli abbia eventualmente risposto.
è possibile solo esprimere un
giudizio moralmente critico sull'operatore assicurativo che, nel momento in cui stipulava
una polizza ad un 74enne, non ha fatto presente che questa poi non avrebbe coperto la
maggior parte degli eventi patologici "a rischio" in quanto, data l'età,
sarebbero poi stati poi fatti certamente risalire ad epoca precedente e quindi considerati
"non indennizzabili". è poi probabile anche che il papà del collega, come
qualsiasi buon italiano, abbia firmato una polizza senza assicurarsi di averne ben
compreisi i risvolti.
In conclusione
- Le polizze assicurative sono
contratti privati liberamente sottoscritti, e quindi tutto ciò che stabiliscono, purchè
non contrario alla legge, è lecito e pieneamente legale (compresi gli aspetti che sopra
abbiamo soggetto a critica).
- Bisogna sempre leggere le polizze e,
se qualcosa non è chiaro, non vergognarsi di chiedere chiarimenti.
- Evitare di "passar sopra",
all'atto della stipula, ad eventuali incongruenze che cadano sotto la nostra attenzione:
se si osserva che può esserci qualche motivo di "non indennizzabilità", non
fidarsi delle parole rassicuranti dell'assicuratore (" Sì, c'è scritto così, ma è
solo una formalità!") , perchè nel momento critico ciò che avrà valore è quanto
è stato scritto e controfirmato.
- In caso di controversia, fate leggere
il contratto da un esperto: nelle pieghe dei vari articoli può celarsi più di
un'opportunità.
Daniele Zamperini -
Pubblicato su "Occhio Clinico" - gennaio 2002
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MEDICINA
LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti
in Medicina Legale Università
Cattolica (a cura di D.Z.)
Nullità
del matrimonio per errore relativo a malattia preesistente di un coniuge
La nullità del
matrimonio si configura allorchè la malattia sia preesistente al matrimonio, anche in
forma prodromica. (Cassaz. Sezione Prima Civile n. 12431dell'11 ottobre 2001)
I Fatti:
Il signor S.P. conveniva avanti al Tribunale di Milano la moglie L. E. ed i suoceri M. G.
e A. E. per sentir dichiarare la nullità del proprio matrimonio, per errore sulle
qualità personali della coniuge, e per sentire condannare tutti i convenuti in solido al
pagamento dell'indennità prevista dall'art. 122 c.c.
A sostegno della propria domanda il P. esponeva che dopo un periodo di convivenza normale
la moglie aveva cominciato ad evidenziare disturbi alla vista e a manifestare uno stato di
depressione psichica per cui era stata più volte ricoverata in ospedale.
Nell'agosto del 1987, in occasione di uno dei ricoveri era stato informato, dal medico
curante, che la moglie era affetta da sclerosi multipla, i cui sintomi si erano già
manifestati prima del matrimonio, senza che egli ne fosse a conoscenza.
Va premesso a questo proposito che gli elementi che l'art. 122 c.c. richiede per l'azione
di impugnazione del matrimonio (in caso di errore che riguardi l'esistenza di una malattia
fisica o psichica di uno dei coniugi) sono i seguenti:
- esistenza della malattia prima del
matrimonio;
- non conoscenza dell'esistenza
della malattia da parte del coniuge che richieda l'annullamento del matrimonio;
- rilevanza dell'affezione ai fini
dello svolgimento della vita matrimoniale;
- influenza determinante sul
consenso della non conoscenza dell'esistenza dell'infermità.
I1 Tribunale di
Milano respingeva la richiesta di annullamento.
Contro la sentenza di primo grado S.P. proponeva appello, che però veniva respinto.
Infatti la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 22.3/15.11.1996 respingeva
l'appello sul presupposto che non era risultato
- che la malattia della quale era stata
riscontrata affetta L. E. fosse insorta prima del matrimonio contratto dalle parti
- che di tale malattia la convenuta
fosse consapevole
- che l'attore non avrebbe contratto
matrimonio qualora fosse stato a conoscenza della malattia della moglie.
S.P.
ha allora proposto ricorso in Cassazione lamentando in particolare che la Corte d'Appello
avesse ritenuta non provata l'esistenza della malattia da epoca antecedente al matrimonio
nonostante il C.T.U. avesse accertato, come si legge nella parte motiva della sentenza che
"la infermità ... ha cominciato a manifestarsi all'età di 14 anni con una
sintomatologia a poussèes (episodio parestetico a 14 anni, disturbi diplopici a 19 anni)
che ha portato alla diagnosi di nevrassite prima e di sclerosi a placche
successivamente", in quanto lo stesso C.T.U. aveva chiarito che "alla
luce dei sintomi che sono andati nel tempo instaurandosi non si poteva con assoluta
certezza ritenere che gli episodi sarebbero evoluti verso la sclerosi multipla".
La Cassazione accoglieva il ricorso di S.P. in quanto, accertata tale risultanza
istruttoria, la Corte territoriale non avrebbe dovuto respingere l'appello ma al massimo
procedere ad un più approfondito accertamento del significato clinico degli episodi
riportati dal C.T.U. nel suo elaborato, "tenuto conto che l'art. 122 C.C. non
richiede che l'infermità sia clinicamente conclamata prima del matrimonio, ipotesi questa
che la renderebbe riconoscibile probabilmente all'uomo medio, ma che sia esistente, sia
pure allo stato di sintomi o episodi prodromici, ciò perché solo la malattia insorta
completamente dopo il matrimonio ne esclude l'annullamento in base al generale principio
di solidarietà che deve connotare nel bene e nel male la valida unione coniugale."
La Corte rilevava pure che "nessun accenno è rinvenibile nella sentenza in ordine
all'incidenza della malattia sul normale svolgimento dell'unione matrimoniale,
accertamento che il giudice di merito avrebbe dovuto fare d'ufficio al fine di valutare
l'effettiva incidenza dell'affezione sullo svolgimento di una normale vita coniugale. (Cass.
civ. sez. I, 9.4.1998 n 3671)".
La sentenza d'appello veniva quindi cassata e rinviata a diversa sezione perchè venisse
accertata, "tenuto presente il punto di diritto su enunciato, consistente nel
ritenere esistente la malattia fin dal manifestarsi dei segni prodromici, poi esitati in
malattia conclamata", la questione di merito, "se la sclerosi a placche
dalla quale risulta affetta la P., sia infermità di natura e gravità tale da incidere
sul normale svolgimento della vita matrimoniale dei coniugi".
(Daniele Zamperini)
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Nuovo
codice etico europeo
Numerose riviste
d'importanza internazionale come "Lancet" e gli "Annals of Internal
Medicine", hanno pubblicato la cosiddetta "Carta della Professionalità"
definita anche, da diverse riviste, come "Il Nuovo Codice Deontologico dei
Medici".
Il documento, che ha l'intenzione di aggiornare le regole deontologiche risalenti
all'epoca ippocratica, si basa su una visione "contrattuale" del rapporto
medico-paziente, ed è costituito da tre principi fondamentali: la centralità del
benessere del paziente, l'autonomia del paziente, la giustizia sociale.
Questi tre principi, a loro volta, sono sviluppati tramite dieci "impegni":
- Mantenimento di adeguata competenza
professionale,
- Onestà verso i pazienti,
- Impegno alla riservatezza,
- Mantenimento di un rapporto corretto
con i pazienti,
- Miglioramento della qualità delle
cure,
- Miglioramento dell'acceso alla cura
- Distribuzione equa delle risorse
limitate,
- Impegno alla conoscenza scientifica,
- Impegno a conservare la fiducia
affrontando i conflitti di interesse,
- Impegno nei confronti delle
responsabilità professionali.
Si
può osservare come questi impegni siano chiaramente strettamente interconnessi tra loro;
il nuovo "Codice" li esprime in termini molto pratici e concreti, con un occhio
sempre diretto ai problemi della farmaco-economia, attualmente molto rilevanti.
Gli autori hanno affrontato questo tema in quanto spronati dalla osservazione che tra i
legittimi bisogni dei pazienti e le risorse disponibili al loro soddisfacimento si è
creata in realtà un divario che impedisce una totale soddisfazione. Lo scopo della
"Carta della Professionalità Medica" sarebbe quindi quello di incoraggiare e
promuovere iniziative e linee d'azione che abbiamo valore e portata universale, spingendo
i medici a riaffermare soprattutto i principi della professionalità, da cui il titolo
originale del "Codice".
(Fondazione ABIM,
Fondaz. ACP-ASIM, Federazione Europea di Medicina Interna e altri)
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Obbligo
di referto nei casi di overdose
È noto come il medico
convenzionato soggiaccia al duplice obbligo di denuncia e di referto in caso venga a
trovarsi in condizioni di essere a conoscenza di un reato.
La differenza tra le due fattispecie consiste in sostanza nel fatto che l'obbligo di
referto si manifesti allorchè il medico venga a conoscenza nel corso della sua attività
di un reato perseguibile d'ufficio; l' obbligo di rapporto riguarda invece qualsiasi
Pubblico Ufficiale che venga a conoscenza di un reato.
Nel caso che un medico venga a trovarsi ad assistere un paziente in overdose, egli è
tenuto a presentare referto in quanto ha il dovere sociale di collaborare a combattere il
traffico di stupefacenti.
La Cassazione (Sentenza 9445 del 2001) ha stabilito che non esclude dall'obbligo
l'incertezza sulla provenienza delle sostanze utilizzate dal tossicodipendente, mentre il
medico conserva l'obbligo di denunciare il reato di spaccio di cui il suo paziente è
stato soggetto passivo.
Il medico non è tenuto a redigere il referto se la notifica rischia di esporre il suo
assistito a procedimento penale ma, lo è nei casi in cui il suo assistito sia stato
soggetto passivo di un reato come, in questo caso, del reato di spaccio di stupefacenti.
"La dimenticanza" del medico configura il reato di omissione referto, punito
dall'art. 365 del C. P.
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PRINCIPALI
NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di febbraio - marzo 2002
La
consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da
"Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 20.04.2002.
Per consultarli, cliccare qui |
DATA
GU |
N° |
TIPO
DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI
CHE TRATTA? |
19.03.02 |
66 |
Decreto del Ministero Salute del 13.11.01 |
Modifica della composizione di medicinali costituiti
da vaccini monodose iniettabili contenenti mertiolato o altri composti organomercuriali
come conservanti o come residui nel processo di fabbricazione |
....... |
13.03.02 |
61 |
Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze
|
Attuazione dell'art. 23, comma 4, del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, in
materia di vigilanza sull'applicazione della legislazione sulla sicurezza e sulla salute
dei lavoratori nei luoghi di lavoro |
....... |
08.03.02 |
57 suppl. ord. 40 |
Decreto Legislativo n. 25 del 02.02.02 |
Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione
della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici
durante il lavoro |
....... |
04.03.02 |
53 |
Decreto del Ministero Salute del 12.02.02 |
Revisione parziale delle autorizzazioni all'imbarco
quale medico di bordo e degli attestati di iscrizione nell'elenco dei medici di bordo
supplenti |
....... |
28.02.02 |
50 suppl. ord. 34 |
Accordo del 26.09.01 |
Accordo sui servizi pubblici essenziali e sulle
procedure di raffreddamento e conciliazione in caso di sciopero del personale del comparto
del Servizio sanitario nazionale |
Regolamentazione dello sciopero dei medici |
21.02.02 |
44 suppl. ord. 32 |
Circolare del Ministero Salute n. 13 del 13.12.01
|
Indicazioni per l'applicazione dei regolamenti
relativi all'esenzione per malattie croniche e rare |
....... |
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|