INDICE GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA LEGALE
E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita da
D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università
Cattolica
PILLOLE
Bifosfonati: nuove indicazioni e nuovi metodi di
somministrazione
Nel corso del 2002
sono stati pubblicati numerosi studi che hanno confermato l'efficacia dei
bifosfonati nella prevenzione delle fratture in pazienti osteoporotici.
Inoltre ulteriori evidenze sulla loro lunga durata d'azione hanno permesso
la somministrazione intermittente di questi farmaci. Un potente
bifosfonato, lo Zolendronato può essere addirittura somministrato ad
intervalli di un anno producendo modificazioni della densità ossea e del
turnover osseo comparabili con quelli prodotti dalla terapia orale
giornaliera convenzionale usata per l'alendronato e il residronato: se
tale regime proverà di prevenire le fratture è facilmente immaginabile un
aumento della compliance dei pazienti ed uno uso più diffuso dei
bifosfonati. Ulteriori evidenze sono state pubblicate sull'utilità dei
bifosfonati nel prevenire le complicanze ossee di alcune neoplasie e una
possibile riduzione della mortalità nei pazienti con cancro della
mammella. Il ruolo dei bifosfonati nell'osteogenesi imperfetta è stato
nuovamente confermato e sono emerse nuove indicazioni nel trattamento
della spondilite anchilosante, della mielofibrosi e dell'osteoartropatia
ipertrofica polmonare.
Curr Opin
Rheumatol. 2003 Jul;15(4):458-63
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Fumo e carcinoma pancreatico
familiare
Il 10% circa dei
carcinomi pancreatici sono ereditari, ma i fattori alla base della
oncogenesi nel carcinoma pancreatico familiare non sono noti. I
Ricercatori della Divisione di Gastroenterologia dell'University of
Washington negli Usa hanno valutato i fattori di rischio per il carcinoma
pancreatico familiare in 251 membri di 28 famiglie. Tutte le famiglie
comprendevano 2 o più membri con carcinoma pancreatico. Il fumo è
risultato essere un fattore di rischio indipendente per il carcinoma
pancreatico familiare (odds ratio: 3,7); i maschi ed i soggetti d'età
inferiore a 50 anni hanno presentato un odds ratio (OR) di 5,2. I
fumatori hanno sviluppato il tumore al pancreas una decade prima dei non
fumatori (59,6 versus 69,1 anni). Il diabete non si è rivelato un
fattore di rischio per il carcinoma pancreatico, sebbene il diabete sia
risultato associato alla displasia pancreatica. I membri di famiglie
in cui il carcinoma pancreatico è ereditario non dovrebbero fumare.
Gastroenterology
2003; 124:1292-1299
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Gingko Biloba e memoria
Alcuni ricercatori
dell'istituto neuropsichiatrico dell'Università della California di Los
Angeles (UCLA) hanno osservato un significativo miglioramento della
memoria verbale in un gruppo di pazienti con problemi mnemonici dovuti
all'età. I pazienti che avevano ricevuto per sei mesi un supplemento di
erbe di gingko biloba hanno ottenuto migliori prestazioni nei test di
memoria verbale rispetto a quelli che avevano ricevuto soltanto un
placebo. Gli autori dello studio, presentato al convegno annuale 2003
della Society for Neuroscience a New Orleans, hanno usato la tomografia a
emissione di positroni (PET) per scoprire che le prestazioni erano
correlate con un miglior funzionamento dei centri di memoria del cervello.
Tuttavia i reali cambiamenti nel metabolismo cerebrale, misurati per la
prima volta con la PET, non differivano in maniera significativa fra i due
gruppi di volontari, di età compresa fra i 45 e i 75 anni. I ricercatori
sottolineano che, anche se i pazienti che ricevevano il gingko biloba
manifestavano una miglior memoria verbale, sarà necessario studiare un
campione più grande per giungere a conclusioni attendibili sul metabolismo
del cervello. Il gingko biloba è una pianta cinese usata spesso come
supplemento alimentare per curare la perdita di memoria. L'effetto del
gingko sul metabolismo del cervello, mai misurato in precedenza,
sembrerebbe in contraddizione con i risultati di altri trial clinici sul
miglioramento della memoria verbale. Ma Gary Small, il principale autore
dello studio dell'UCLA, afferma che la nuova ricerca è una delle prime a
misurare gli effetti della pianta su un periodo di tempo lungo ben sei
mesi.
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Massa corporea e reflusso esofageo
Uno studio norvegese
ha valutato la relazione tra massa corporea ed i sintomi del reflusso
gastroesofageo. I partecipanti allo studio comprendevano 3.113
soggetti che presentavano pirosi o rigurgito negli ultimi 12 mesi. Il
gruppo controllo era rappresentato da 39.872 persone senza sintomi da
reflusso. È stata osservata un'associazione dose-risposta tra
l'aumento dell'indice di massa corporea ed i sintomi da reflusso in
entrambi i sessi (p per trend < 0,001). L'associazione è risultata più
significativa nelle donne (p< 0,001). Il rischio di reflusso è
risultato maggiore tra i pazienti obesi (BMI > 35) sia uomini (OR: 3,3)
che donne (OR: 6,3). L'associazione tra indice di massa corporea e sintomi
da reflusso era più forte tra le donne in premenopausa rispetto alle donne
in postmenopausa (p<0,001). La riduzione dell'indice BMI ha comportato
una riduzione del rischio di sintomi da reflusso.
JAMA 2003;
290:66-72
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Studio SURVEIL: mortalità tra i pazienti in trattamento con
inibitori della pompa protonica
Ricercatori inglesi
appartenenti al SURVEIL (Study of Undetected Reaction Vigilance Enquiry
into Links) Group, hanno esaminato la mortalità tra 17.489 pazienti a cui
era stato prescritto l'Omeprazolo nel periodo 1993-1995. A 12.703
pazienti sono stati prescritti altri farmaci antisecretori oltre
all'Omeprazolo, mentre 8.097 pazienti hanno assunto solo Omeprazolo.
Un totale di 3.097 pazienti è deceduto. La mortalità per tutte le
cause è stata più alta nel primo anno (osservato/atteso: 1,44) con una
maggiore incidenza di tumori (1,82), malattie circolatorie (1,27) e
malattie respiratorie (1,37). La mortalità per malattie digestive è
perdurata nel corso degli anni (2,56). La mortalità per tumore allo
stomaco (4,06), del colon retto (1,40), della trachea, bronchiale,
polmonare (1,64) osservata nel primo anno si è azzerata a partire dal
quarto anno, a differenza di quella per tumore dell'esofago (7,35 nel 1°
anno, 2,88 nel 4° anno). Nel 51,3% dei pazienti morti per tumore
dell'esofago, la malattia era già presente al momento dell'assunzione
dell'Omeprazolo, così come per 27 altri pazienti che presentavano malattia
di Barrett, stenosi, ulcera o esofagite. Sei pazienti con ernia iatale
o reflusso sono deceduti, mentre sono state osservate 5 morti tra i
pazienti senza malattia esofagea. Secondo gli Autori l'aumento di
mortalità nei pazienti trattati con l'inibitore della pompa protonica
Omeprazolo sarebbe dovuto a malattie preesistenti. Non è stato
osservato un aumento del rischio di adenocarcinoma esofageo tra i pazienti
privi di danno mucosale esofageo.
Gut 2003;
52:942-946
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Nuove strategie per combattere la
tubercolosi
Il microbo che provoca
la tubercolosi agisce alla maniera un terrorista: con pochissime risorse a
disposizione, si nasconde con abilità e accumula le forze prima di
attaccare inaspettatamente. Il batterio, responsabile di più decessi di
qualsiasi altro patogeno batterico, utilizza persino le difese del suo
ospite, nascondendosi in una cellula del sistema immunitario chiamata
macrofago. Alcuni Ricercatori della Rockefeller University hanno
scoperto un metodo con cui il sistema immunitario può neutralizzare
l'attacco del microbo. Se questa difesa potesse essere rafforzata, si
potrebbe forse sconfiggere biologicamente la TBC. In un articolo
pubblicato sul numero del 24 ottobre della rivista "Science", MacMicking e
i colleghi John McKinney e Greg Taylor scrivono di aver identificato una
nuova via stimolata dalla proteina solubile chiamata interferone gamma,
che nei topi indebolisce la capacità del batterio della TBC di riprodursi.
La proteina istruisce le cellule immunitarie a svolgere diversi compiti,
aiutando ad attivare o a disattivare determinati geni. In particolare, una
volta che il segnale di interferone gamma viene trasmesso al nucleo della
cellula attivata, vengono indotti letteralmente centinaia di geni. Di
questi, solo alcuni sono responsabili del controllo della replicazione del
batterio. La chiave di tutto è scoprire quali sono i geni coinvolti
nell'attività antimicrobica contro la TBC. Gli autori dello studio
hanno individuato il pathway LRG-47 basandosi su indizi provenienti dallo
studio di un'altra via che inibisce la TBC, chiamato NOS2, e sull'analisi
dei geni di topo che si attivano durante l'infezione. Gli autori stanno
già progettando lo studio della versione umana di LRG-47.
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Pimecrolimus nel trattamento dell'eczema atopico
Il Pimecrolimus è un
inibitore delle citochine infiammatorie. L'efficacia terapeutica e la
sicurezza del Pimecrolimus crema 1% nell'eczema atopico è stata dimostrata
in studi clinici che hanno coinvolto adulti e bambini. Più del 70% dei
pazienti trattati con Pimecrolimus nelle prime 3 settimane ha presentato
sollievo dal prurito e scomparsa o miglioramento dell'arrossamento e del
gonfiore. Quando applicato ai primi segni e sintomi dell'eczema
atopico, il Pimecrolimus ha prevenuto la progressione fornendo un
controllo della malattia nel lungo periodo superiore rispetto al
trattamento con corticosteroidi. La crema all'1% di Pimecrolimus è
risultata ben tollerata, anche su aree sensibili, come sulla faccia e sul
collo. Le concentrazioni ematiche del farmaco rimangono basse, anche
quando sono sottoposte a trattamento di estese parti del corpo.
Int J Clin Pract
2003; 57:319-327
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Pregabalin e trattamento del disturbo d'ansia generalizzato
Uno studio in doppio
cieco ha valutato il trattamento dei pazienti con disturbo d'ansia
generalizzato con Pregabalin, un anticonvulsivante. Un totale di 276
pazienti è stato assegnato in modo random al trattamento con Pregabalin
150 mg/die o 600 mg/die, Lorazepam 6 mg/die o placebo. La riduzione
nel punteggio della scala Hamilton Anxiety è stata di 9,2 punti nel gruppo
dei pazienti trattati con Pregabalin 150 mg/die, di 10,3 punti con
Pregabalin 600 mg/die, di 12 punti con Lorazepam e di 6,8 punti con il
placebo. I più comuni effetti indesiderati riscontrati con Pregabalin
e Lorazepam sono stati: sonnolenza, senso di instabilità. Non è stata
osservata sindrome da sospensione associata al trattamento con Pregabalin.
Am J Psychiatry
2003; 160:533-540
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Fattori
prognostici nel carcinoma ovarico epiteliale
Lo studio ha valutato
i fattori prognostici tra giovani donne (età inferiore a 45 anni) e donne
più anziane (età superiore ai 45 anni) con carcinoma ovarico epiteliale,
invasivo di stadio III e IV. Delle 104 donne con carcinoma ovarico
epiteliale, 52 avevano un'età inferiore a 45 anni. La percentuale di
sopravvivenza a 5 anni nelle pazienti più giovani è stata del 48% e la
sopravvivenza media è stata di 54 mesi. Nelle donne più anziane (età
superiore a 45 anni) è stata invece riscontrata un 22% di sopravvivenza a
5 anni e 34 mesi di sopravvivenza media. L'età, il "performance
status", lo stadio della malattia ed il grado dopo chirurgia citoriduttiva
sono risultati importanti fattori indipendenti di sopravvivenza
Obstet Gynecol
2003; 102:156-161
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Radioterapia più efficace del Tamoxifene nelle donne con
carcinoma duttale in situ
La diffusione dei
programmi di screening mammografico ha portato ad un aumento
dell'identificazione del carcinoma duttale in situ (DCIS). Esistono
controversie riguardo al trattamento di questo tumore. Uno studio
clinico, compiuto in Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda, ha valutato
l'efficacia della radioterapia adiuvante e del Tamoxifene. Tra il
maggio 1990 e l'agosto 1998 sono state arruolate 1.701 pazienti. Le
pazienti sono state sottoposte a resezione chirurgica completa della
lesione. Il periodo medio di follow-up è stato di 52,6 mesi. L'end
point primario dello studio era rappresentato dall'incidenza di malattia
invasiva ipsilaterale. È stato osservato che il Tamoxifene non ha
ridotto la malattia invasiva ipsilaterale, ma ha ridotto la recidiva del
carcinoma duttale in situ (hazard ratio: 0,68; p=0,03). La
radioterapia ha ridotto sia l'incidenza di malattia invasiva ipsilaterale
(HR = 0,45; p=0,01) che quella di carcinoma duttale in situ ipsilaterale
(HR= 0,36; p=0,0004), senza alcun effetto sul presentarsi della malattia
controlaterale. Secondo gli Autori la radioterapia può essere
raccomandata nelle pazienti con carcinoma duttale in situ, sottoposte a
resezione locale completa. Esiste invece una scarsa evidenza per
l'impiego del Tamoxifene in queste pazienti.
Lancet 2003;
362:95-102
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Ramipril e incidenza di insufficienza cardiaca nei pazienti
ad alto rischio di eventi cardiovascolari
È stato valutato se il
Ramipril, un Ace inibitore, fosse in grado di prevenire lo sviluppo di
insufficienza cardiaca nei pazienti ad alto rischio, senza bassa frazione
d'eiezione o insufficienza cardiaca. Un totale di 9.297 pazienti è stato
assegnato in modo random a ricevere Ramipril (10 mg/die) o placebo per 4,5
anni. Morte attribuibile ad insufficienza cardiaca, ospedalizzazione
per insufficienza cardiaca o sviluppo di segni o sintomi tipici
dell'insufficienza cardiaca si sono sviluppati in 951 pazienti.
L'incidenza di insufficienza cardiaca è risultata significativamente
aumentata in presenza di malattia coronarica (risk ratio, 2,17),
microalbuminuria (1,82), ipertrofia ventricolare sinistra (1,47),
invecchiamento (per decade 1,37) e diabete (1,36). Il trattamento con
Ramipril ha ridotto l'incidenza di insufficienza cardiaca di nuova
insorgenza dal'11,5% al 9% (rischio relativo: 0,77; p< 0,0001). La
riduzione dell'insufficienza cardiaca di nuova insorgenza con Ramipril è
avvenuta sia nei pazienti con infarto miocardico (rischio relativo: 0. 87)
che senza (rischio relativo: 0,78). Il Ramipril ha ridotto
maggiormente la percentuale di insufficienza cardiaca nei pazienti con
pressione sistolica di base al di sopra della mediana (139 mmHg; rischio
relativo: 0,67) rispetto a quelli con pressione sistolica al di sotto
(rischio relativo: 0,91)
Circulation 2003;
107:1284-1290
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Rischio di tumori nei pazienti con psoriasi trattati con la
Ciclosporina
Uno studio prospettico
ha valutato l'incidenza di tumori nei pazienti con forma grave di psoriasi
trattati con Ciclosporina. Un totale di 1.252 pazienti di età media 43
anni sono stati seguiti fino a 5 anni. I pazienti hanno ricevuto
Ciclosporina per 1,9 anni. Tumori sono stati riscontrati in 47
pazienti (3,8%). Di questi il 49% presentava tumori delle pelle,
soprattutto carcinoma a cellule squamose. Lo studio condotto dalla
Ricerca Clinica della Novartis Pharma a Basilea in Svizzera ha dimostrato
che il trattamento della psoriasi con la Ciclosporina è associato ad un
aumento del rischio di carcinoma cutaneo non-melanoma. I pazienti
trattati per più di 2 anni con Ciclosporina hanno presentato un maggior
rischio di tumori.
J Invest Dermatol
2003; 120:211-216
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Scoperta nuova sindrome genetica
Un team di ricercatori
della clinica Mayo ha identificato una sindrome genetica, un disturbo
ereditario dalla nascita caratterizzato da incapacità di apprendimento,
debolezza degli organi e ritardo mentale. In precedenza il disturbo è
sempre stato diagnosticato in modo errato o addirittura non riconosciuto.
Gli scienziati hanno anche scoperto la base genetica della sindrome:
una ridistribuzione del DNA chiamata "microduplicazione". Questa fa sì che
i segmenti di DNA vengano ripetuti, causando un eccesso di geni. La
microduplicazione è un meccanismo poco studiato alla base di diverse
malattie umane, e i ricercatori della Mayo sono fra i primi a fornire
prove del suo impatto. Lo studio, pubblicato sul numero di novembre
della rivista "American Journal of Human Genetics", è stato possibile
grazie al completamento, nel febbraio 2001, dell'Human Genome Project, la
mappa di tutti i geni principali del corpo umano. Il progetto ha infatti
dato origine a un database che descrive le sequenze di DNA dei circa 30.
000 geni degli esseri umani. I sintomi specifici della sindrome
possono includere volti leggermente deformi e occhi insolitamente
spaziati, sopracciglia posizionate più in alto del normale e visi lunghi e
stretti, con orecchie dalla forma irregolare. Alcuni pazienti presentano
difficoltà nell'udire e nel parlare, malfunzionamenti della milza e del
timo o difetti cardiaci. Infine, possibili problemi del sistema
immunitario e un certo grado di ritardo mentale.
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Studio
ESTEEM
Lo studio ESTEEM ha
mostrato che l'inibitore della trombina per os Ximelagatran ha fornito un
aggiuntivo beneficio rispetto al trattamento con Aspirina nella
prevenzione degli eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti che avevano
subito un infarto miocardico. Ximelagatran, somministrato assieme
all'Aspirina, ha ridotto in modo significativo il rischio di morte, di
recidiva di infarto miocardico o di gravi episodi anginosi dal 16,3% al
12,7% durante i 6 mesi di trattamento, con una riduzione del rischio del
24% rispetto alla sola Aspirina (hazard ratio: 0,76; p=0,036). Non c'è
stata differenza significativa nei sanguinamenti maggiori tra Ximelagatran
e placebo (1,8% versus 0,9% rispettivamente). L'incidenza di
sanguinamento totale (maggiore e minore) è risultata più alta tra i
pazienti trattati con Ximelagatran. È stato osservato un aumento
dell'incidenza di innalzamento degli enzimi epatici nei pazienti che hanno
assunto Ximelagatran: 6,5% nei pazienti trattati con il dosaggio più basso
(24 mg), 12,2-13% con dosaggi più alti. Nello studio lo 0,6% dei
pazienti trattati con Ximelagatran ha presentato alti livelli di
bilirubina associati ad un aumento della alanino aminotransferasi (ALT)
rispetto allo 0,2% dei pazienti trattati con placebo. I valori di ALT
si sono ridotti continuando il trattamento o dopo la sua interruzione.
European Society of
Cardiology / Annual Meeting 2003, Vienna
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Studio
PROSPER
La pravastatina nei
soggetti anziani a rischio di malattia vascolare: trial randomizzato
controllato. Sebbene le statine riducano la morbilità e la mortalità
per malattia coronarica e cerebrovascolare nei pazienti adulti, la loro
efficacia e sicurezza nei pazienti anziani non è ancora completamente
accertata. L'intenzione degli autori dello studio è stata quella di
testare i benefici del trattamento con pravastatina in una coorte di
uomini e donne anziani ad alto rischio per ictus e malattie
cardiovascolari. Lo studio ha arruolato 2.804 uomini e 3.000 donne (5.804
soggetti)di età compresa tra 70 e 82 anni con storia di malattia
cardiovascolare o con fattori di rischio per malattia cardiovascolare e ha
assegnato i pazienti in maniera randomizzato al trattamento con 40 mg die
di pravastatina o al placebo. Il colesterolo al momento dell'arruolamento
nello studio era compreso nel range 4-9 mmol/L. Il follow up è durato 3,2
anni in media gli endpoint dello studio sono stati: morte coronarica,
infarto miocardico non fatale, ictus fatale, ictus non
fatale: Risultati: Pravastatina ha ridotto la concentrazione di LDL di
circa il 34 % e ha ridotto l'incidenza degli endpoint primari a 408 eventi
contro i 473 del gruppo placebo (p= 0,014), anche il rischio di morte
coronarica e di infarto non fatale è stato ridotto (p= 0,006). Il rischio
di ictus invece è rimasto immutato, mentre lievemente diminuito è
risultato il rischio di T. I. A. Sono stati diagnosticati più cancri nel
gruppo trattato con pravastatina rispetto al gruppo placebo. Ciononostante
includendo questi dati in una meta-analisi di tutti i trial su
pravastatina e statine non vi è evidenza di un aumento del rischio
globale. La mortalità per malattia coronarica si è ridotta del 24 % nel
gruppo trattato con pravastatina. La pravastina non ha però alcun effetto
su funzioni cognitive o su disabilità neurologiche. Interpretazione:
La Pravastatina data per 3 anni riduce il rischio di malattia coronarica
nei pazienti anziani, lo studio PROSPER estende ai pazienti anziani le
strategie terapeutiche correntemente in uso per i pazienti più giovani.
Lancet. 2002 Nov
23;360(9346):1623-30
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Polemica tra prestigiose riviste: The Lancet contro
l'American Journal of Cardiology
La prestigiosa rivista
scientifica "The Lancet" ha criticato in un editoriale la strategia
marketing adottata da AstraZeneca per il suo farmaco anti-colesterolo
Rosuvastatina ritenuta troppo spregiudicata. La strategia di vendita della
Rosuvastatina è basata sul programma GALAXY. GALAXY comprende 16 studi
clinici che hanno valutato l'efficacia della Rosuvastatina in varie
situazioni cliniche. Nell'editoriale si cita uno studio a firma di un
dipendente di AstraZeneca, James Blasetto, pubblicato sul supplemento del
marzo 2003 dell'American Journal of Cardiology, definito come
"promozionale". Blasetto J et al hanno raccolto i dati di 5 studi clinici
della durata di sole 12 settimane e sono giunti alla conclusione che la
Rosuvastatina è più efficace nel ridurre i livelli plasmatici di
colesterolo LDL rispetto all'Atorvastatina, Pravastatina e Simvastatina.
L'editoriale di The Lancet critica anche l'American Journal of
Cardiology che ha pubblicato lo studio (Am J Cardiol 2003; 91 (5A):
3C-10C) "È difficile comprendere come tale ricerca di natura
commerciale sia potuta comparire su un rispettato giornale medico
peer-reviewed". The Lancet ricorda che il problema della sicurezza
è di primaria importanza nell'uso delle statine. Solo due anni fa
(2001) la Bayer è stata costretta a ritirare del commercio la
Cerivastatina per l'elevata incidenza di rabdomiolisi. AstraZeneca non
ha commercializzato il dosaggio di 80 mg di Rosuvastatina proprio a causa
di problemi di sicurezza. Il presentarsi di proteinuria e di ematuria dopo
l'impiego di alti dosaggi di Rosuvastatina ha destato qualche perplessità
sulla sicurezza del farmaco.
The Lancet, October
25, 2003
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Trattamento dell'acne vulgaris negli adolescenti
La scelta della
terapia dovrebbe essere principalmente basata sul tipo di lesioni e sulla
gravità dell'acne, ma i problemi psicologici correlati alla malattia e la
presenza di cicatrizzazione possono influenzare l'approccio al
trattamento. La forma lieve di acne richiede solo un trattamento
topico. Il Benzoil Perossido, l'Acido Azelaico e gli antibatterici
sono generalmente impiegati nelle lesioni infiammatorie. I retinoidi
topici sono particolarmente efficaci nelle lesioni non infiammatorie, e le
terapia di combinazione è utile nelle lesioni miste. L'acne
moderatamente grave generalmente richiede antibatterici orali. Le
tetracicline (Oxitetraciclina) e l'Eritromicina sono farmaci di prima
scelta. Le tetracicline di seconda generazione, come Limeciclina,
Doxiciclina e Minociclina presentano un migliore assorbimento. La
Minociclina ha il vantaggio di indurre una minore resistenza nel
Propionibacterium acnes, ma questo antibiotico può causare gravi effetti
indesiderati. Il Trimetoprim è un antibatterico di terza scelta e
trova indicazione nei pazienti non responder ad altri trattamenti. Il
Benzoil Perossido dovrebbe essere impiegato in associazione ad
antibatterici con l'obiettivo di ridurre la resistenza batterica.
L'Isotretinoina è il farmaco di scelta nell'acne nodulare grave.
L'Isotretinoina è tuttavia associata a gravi effetti indesiderati, ed
i pazienti dovrebbero essere tenuti sotto stretta osservazione.
Paediatric Drugs
2003; 5: 301-313
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Trovati i geni della Psoriasi?
Dopo una ricerca
durata un decennio, un team di ricercatori della Scuola di Medicina
dell'Università di Washington di St. Louis ha identificato tre geni
collegati alla psoriasi, la condizione della pelle caratterizzata da
chiazze rosse o squamose. Gli autori affermano che i risultati potrebbero
aiutare gli scienziati a comprendere i dettagli molecolari della malattia
e a trovare nuovi metodi per trattare la condizione. Lo studio è stato
pubblicato online il 9 novembre sulla rivista "Nature Genetics". È ora
possibile studiare i ruoli funzionali di questi geni e scoprire come
impediscono normalmente alla pelle e al sistema immunitario di danneggiare
i tessuti sani con i loro meccanismi difensivi. I risultati potrebbero
essere d'aiuto per trovare risposte a questioni molto importanti, per
esempio sul modo in cui i cambiamenti nei meccanismi cellulari provocano
la malattia e se è possibile prevedere in anticipo chi svilupperà il
disturbo. La psoriasi è legata a diversi geni e fattori ambientali.
Può manifestarsi in numerose forme, fra le quali l'artrite psoriasica che
provoca sintomi simili all'artrite e affligge fino al 30 per cento di
tutti i pazienti di psoriasi. La ricerca è durata un decennio perché i
ricercatori erano alla ricerca di effetti quasi impercettibili: i geni
coinvolti - SLC9A3R1, NAT9 e RAPTOR - non mutano di molto. Inoltre gli
scienziati hanno scoperto che le forme dei geni che accrescono il rischio
di psoriasi sono presenti anche nel 37 per cento dei membri del gruppo di
persone che non soffre in modo palese della malattia.
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Tumore al seno, geni e stile di vita
È noto che le donne
che presentano difetti in alcuni geni hanno molte probabilità di
sviluppare un tumore del seno. Ma uno stile di vita salutare può ridurre
notevolmente questo rischio. Quasi il dieci per cento delle donne con
un tumore del seno presenta mutazioni nei geni chiamati BRCA1 e BRCA2. Chi
ha avuto un parente con un tumore del seno o delle ovaie, ha una
probabilità dell'80 per cento di svilupparlo a sua volta, contro il 10 per
cento della popolazione generale. Il rischio è molto alto anche per le
donne con mutazioni dei geni BRCA senza casi di tumori in famiglia. La
scoperta rafforza l'opinione che le donne che risultano positive a un test
genetico debbano sottoporsi a cure preventive, come regolari controlli del
seno o persino la rimozione delle ovaie. In ogni caso, un controllo
sarebbe comunque consigliato per tutte le donne. Alcuni ricercatori
hanno scoperto che anche lo stile di vita svolge un ruolo importante. Per
esempio, le donne nate dopo il 1940 con una mutazione in uno dei due geni
presentano un rischio del 67% di sviluppare un tumore del seno entro i 50
anni di età. Per quelle nate prima del 1940, il rischio è solo del 24%.
Ciò rafforza l'ipotesi che gli stili di vita moderni abbiano accresciuto
il rischio di tumore, anche se non è chiaro in che modo.
Science 2003; 302:
643 - 646
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Ulcera peptica emorragica e terapia di
mantenimento
I pazienti con ulcera
peptica non complicata, dopo l'eradicazione dell'Helicobacter Pylori, non
richiedono terapia antisecretoria di mantenimento. Lo studio ha inteso
valutare se i pazienti che presentino invece ulcera peptica emorragica
dovessero ricevere terapia di mantenimento dopo la completa eradicazione
dell'Helicobacter Pylori e la guarigione dell'ulcera. Sono stati
arruolati 82 pazienti con ulcera peptica emorragica associata
all'Helicobacter Pylori. Dopo la completa eradicazione del batterio
con la tripla terapia, i pazienti sono stati assegnati ad uno di 4 gruppi
di terapia di mantenimento della durata di 16 settimane. Un gruppo di
pazienti ha ricevuto 15 ml di una sospensione antiacido, 4 volte al
giorno. Il secondo gruppo ha ricevuto 300 mg di Bismuto subcitrato
colloidale, 4 volte al giorno. Il terzo gruppo ha ricevuto 20 mg/2
volte die di Famotidina. Il quarto gruppo, infine, ha ricevuto
placebo, 2 volte al dì. Durante il periodo osservazionale (follow-up)
di 56 mesi, nei 3 gruppi di trattamento non è stata osservata nessuna
recidiva di ulcera peptica. Tutti i pazienti sono rimasti liberi
dall'infezione di Helicobacter Pylori. Gli autori concludono perciò
che nei pazienti con ulcera peptica emorragica, la terapia antisecretoria
di mantenimento non è necessaria per prevenire le recidive di ulcera dopo
che l'Helicobacter Pylori è stato eradicato e l'ulcera guarita. Lo
studio ha dimostrato che il trattamento di 1 settimana con la tripla
terapia con l'inibitore della pompa protonica è efficace nell'assicurare
una lunga eradicazione dell'Helicobacter Pilori.
Arch Intern Med
2003;163:2020-2024
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APPROFONDIMENTI
Il nuovo caso
del dottor Cretinetti-Falchetto
a cura del dottor
Giuseppe Ressa, medico di famiglia e specialista internista
[Continua la
presentazione di casi clinici basati su esperienze concrete, che possono
offrire lo spunto a utili considerazioni metodologiche e pratiche. I
personaggi di Cretinetti e Falchetto sono stati ideati dal Dott. Giuseppe
Ressa, che ha curato anche la scelta e l'esposizione dei casi.]
Il dottor
Cretinetti è un medico che fa anamnesi approssimative, esami obiettivi
volanti, prescrive montagne di analisi ed esami strumentali; il dottor
Falchetto è il suo opposto: anamnesi ed esami obiettivi maniacali,
connessioni diagnostiche mirabolanti, scorciatoie fulminanti, esami
diagnostici centellinati; a volte cerca diagnosi rarissime mancandone
altre più probabili e giuste. Capita che Cretinetti e Falchetto
coesistano schizoidamente nella stessa persona.
Falchetto e il caso
n. 5: Quella brutta faccia storta (di Giuseppe Ressa)
Il paziente è un
maschio ultra70 enne, affetto da dislipidemia II a; morbo di Dupuytren
alle mani, è in trattamento cronico con simvastatina. Il suo rapporto
interpersonale con Falchetto presenta qualche ambiguità, egli è
ricchissimo, abituato più a comandare che ad obbedire e Falchetto
all'inizio si è chiesto perché ha scelto di farsi curare proprio da lui.
Poi la segretaria gli ha riferito una telefonata col cellulare, sentita in
sala d'aspetto, in cui il magnate dell'industria prendeva in giro un amico
che si faceva curare da un mega specialista: "Chissà quanto ti sarà
costato, io vengo dal mio medico della mutua che è gratis!!".
Falchetto pensa tra sé e sé che forse l'avarizia ha fatto la
differenza, prova un pò di amarezza ma, comunque sia, il rapporto fila
abbastanza liscio, solo con qualche impuntatura. Un giorno il paziente
gli estorce un patto verbale secondo cui "mai e poi mai" Falchetto lo
avrebbe ricoverato perché "oramai sono vecchio e se devo morire deve
essere a casa mia!", Falchetto non è abituato ad ospedalizzare con
leggerezza ed accetta di buon grado. Un giorno il paziente viene in
studio perché facendosi la barba ha notato un "bozzo" sulla guancia
sinistra. Falchetto palpa la zona ed effettivamente apprezza una
lesione di circa 2 cm, poco mobile, di consistenza duro elastica, non
dolente; estende la palpazione alla regione laterocervicale ed
omolateralmente palpa dei linfonodi aumentati di volume senza altre
caratteristiche sospette, nella regione anteriore del collo gli sembra di
apprezzare un nodulo tiroideo, il cavo orale è apparentemente indenne,
nessuna secrezione dal dotto di Stenone. Prescrive una ecografia nella
quale il radiologo Cretinetti 1 rileva: neoformazione in regione parotidea
25x12 mm ad ecostruttura disomogenea e margini regolari, linfoadenopatia
laterocervicale omolaterale, nodulo tiroideo 14x9 mm. Falchetto dice
al paziente che è meglio eseguire una biopsia della lesione, il malato
rifiuta "perché in fondo non mi dà nessun fastidio"; dopo qualche giorno
telefona allarmato perché "la faccia gli si è un pò storta" e la pressione
è 200\105; visita immediata con rilevazione di: paralisi del facciale
inferiore, pressione arteriosa 185\90. Il paziente afferma che è
convinto di avere un ictus e chiede la terapia per abbassare la pressione
ed accertamenti per confermare la "sua" diagnosi. Falchetto riflette
sui seguenti fatti: il paziente non è mai stato iperteso, però il facciale
ha un paralisi parziale e non totale, forse il paziente si è spaventato
per la paresi e gli si è alzata la pressione, però è anche dislipidemico e
magari qualche placca carotidea si è frantumata col rialzo pressorio;
qualcosa però non lo convince. Alla fine "patteggia" la terapia
antiipertensiva e una TC cerebrale privata urgente con l'impegno a fare la
biopsia al più presto. L'industriale chiama un taxi e si reca alla
clinica privata Salus Salus, la TC risulta negativa ma il radiologo dice
al paziente che potrebbe essere un falso negativo, consiglia ripetizione
dopo 7 gg dell'esame ed in più attiva una consulenza immediata
cardiologica, neurologica ed oculistica; l'ECG è normale cosi pure
l'ecocardio, un ecodoppler dei tronchi sovraortici mostra un ispessimento
intimale diffuso, il fondo dell'occhio è compatibile con l'età.
Falchetto viene contattato (su richiesta del paziente) dal cardiologo
privato Cretinetti 2 che afferma essere senz'altro un accidente vascolare
cerebrale e prescrive terapia antipertensiva e asa; alle perplessità
addotte da Falchetto sulla giustezza della diagnosi taglia corto e la
comunicazione si interrompe. Passano 2 giorni ed il paziente
ritelefona perché la paralisi è aumentata pur con una pressione arteriosa
di nuovo normale, chiede lumi; Falchetto riesce ad imporre la biopsia del
nodulo e poi telefona alla collega anatomopatologa che riferisce:
"epitelio squamoso con qualche atipia". Falchetto va in crisi, non
sapeva che a livello ghiandolare ci fosse un epitelio squamoso e chiede
lumi alla collega Cretinetti 3 che ipotizza una metastasi da ca.
polmonare. Falchetto chiude la conversazione, ringraziando, ma si
chiede perché una metastasi debba arrivare alla parotide saltando tutti i
passaggi intermedi, la collega è però MOLTO risoluta per cui il mutualista
fa effettuare una TC polmonare che rileva effettivamente un piccolo
nodulo. Nel frattempo la paralisi del facciale inferiore è arrivata ad
impedire al paziente un eloquio fluente e c'è anche uno scolo permanente
di saliva dalla commissura labiale deviata. Falchetto prende il
telefono e risolve il caso.
Discussione
Falchetto quando sente
delle castronerie dette da colleghi non si mette in testa che qualcuno
possa arrivare a dirle e cerca le ragioni di simili asserzioni, IN PIÙ
cade nel tranello che "l'anatomopatologa VEDE le cellule", cosa che
Falchetto non può fare QUINDI la collega potrebbe avere ragione.
Comunque in realtà alla fine la cosa andò così: Falchetto prese il
telefono, abbandonò la consueta diplomazia e disse in modo MOLTO RISOLUTO
alla collega anatomopatologa che secondo lui il DECORSO CLINICO deponeva
per un cancro parotideo e chiese di RIESAMINARE il vetrino. La cosa
STUPEFACENTE fu che dopo 30 minuti la stessa antomopatologa rispose
INEFFABILE che era una ca. parotideo rimangiandosi la sua fantasiosa
ipotesi. Il paziente fu sottoposto a paroidectomia totale con
svuotamento laterocervicale e radioterapia adiuvante. Il caso è del
2000, il paziente è ancora vivo, si è sottoposto anche ad una plastica
facciale che gli ha restituito un aspetto accettabile.
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Il caso
del malato terminale in Ospedale
Di recente mi sono
trovato a sostenere le ragioni di un mio paziente che pregava i medici
dell'ospedale di non dimetterlo. Affetto da una neoplasia avanzata, era
obbligatoriamente allettato, cateterizzato, costretto a una alimentazione
parenterale totale, assolutamente dipendente da un'assistenza continua che
temeva essere impossibile presso il proprio domicilio. Naturalmente si era
predisposto il suo ritorno attivando l'assistenza domiciliare integrata,
verificata la collaborazione della moglie che, pur intimorita dalla
gravità delle condizioni e dalla stessa sofferenza del marito, aveva
accettato la decisione del primario di dimetterlo. Da parte mia mi ero
reso disponibile a seguirlo anche negli orari di guardia medica. L'unico a
non essere d'accordo era proprio il paziente che, senza alcuna illusione
sull'utilità di ulteriori cure, ma consapevole del proprio stato di
bisogno, temeva di gravare eccessivamente sulla moglie e soprattutto di
essere privato di quella sorta di cintura di sicurezza che l'ospedale
comunque gli garantiva. Teneva alla sua privacy,voleva poter vivere quegli
ultimi giorni senza dover rendere conto a parenti e amici del proprio
stato di salute, voleva evitare l'imbarazzo di dolorose manifestazioni di
circostanza. Come dargli torto? Io ho sostenuto il diritto del mio
paziente ad essere "ospitato" presso una pubblica struttura ospedaliera,
nonostante i DRG. Ma ci si può opporre alla dimissione? So di pazienti
in stato di coma vegetativo che rimangono presso unità di terapie
intensive per anni non potendo essere dimessi, in mancanza di sistemazioni
adeguate e alternative, senza incorrere, da parte della struttura di
ricovero, nel rischio di omissione di soccorso.
Il problema dei
"Malati terminali"
I tumori in Italia
aumentano progressivamente: sembra che attualmente il numero di malati si
aggiri intorno ai 300 mila ogni anno, con un numero di decessi annuale (è
la seconda causa di morte dopo le malattie dell'apparato
cardiocircolatorio) compreso tra i 150.000 e i 180.000. Gran parte dei
decessi per tumore (almeno il 70%) è preceduta da una fase terminale la
cui durata è stata calcolata, mediamente, intorno ai 90 giorni. Di
fronte ad un problema di tali dimensioni è stato necessario adeguare le
strutture sociali, quelle assistenziali, e il modo stesso di concepire
l'assistenza al malato terminale.
Le cure
palliative
L'Organizzazione
Mondiale della Sanità definisce le Cure Palliative come la "cura totale
prestata alla persona affetta da una malattia che non risponde più alle
terapie utilizzate per raggiungere la guarigione. Le Cure Palliative
affermano il valore della vita, considerano la morte come un evento
naturale, non prolungano né abbreviano l'esistenza dell'ammalato;
provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi; tengono conto
degli aspetti psicologici e spirituali; offrono un sistema di supporto per
aiutare il paziente a vivere il più attivamente possibile sino alla morte;
aiutano la famiglia dell'ammalato a convivere con la malattia e poi con il
lutto". Le Cure Palliative non hanno lo scopo di accelerare o
differire la morte, ma cercano di garantire la migliore qualità della
vita, sino alla fine combattendo la sofferenza, sia fisica (dolore,
ed altri numerosi sintomi invalidanti), psicologica (paura della
morte, ansia, perdita dell'autonomia ecc.), o sociale
(preoccupazione della famiglia, difficoltà oggettive, perdita del ruolo
lavorativo e sociale...) rispettando il diritto del malato di ricevere
tutte le cure possibili idonee ad eliminare o ad attenuare la sofferenza.
Queste terapie possono essere organizzate secondo diversi
modelli: L'assistenza domiciliare: Da sempre la "casa" riveste, per
i malati, il ruolo di luogo pieno di sicurezza, di protezione, di affetto
e di calore, ove le abitudini di una vita si sono consolidate, pieno di
ricordi e della storia di una famiglia. Il malato terminale, nella
maggior parte dei casi, preferisce rimanere nella propria casa, tuttavia
questa non è una regola assoluta, in quanto l'assistenza al domicilio, per
i familiari, può essere fonte di stress e di sofferenza fisica o
psicologica sia per i familiari che per il malato stesso. In effetti
la casa del malato è il luogo ideale per impostare eventuali cure
palliative, ma non sempre è disponibile o adatta per un'assistenza
adeguata. D'altro canto attualmente l'ospedale è strutturato
essenzialmente per il trattamento di patologie acute, o comunque bisognose
di trattamenti attivi, con mezzi tecnici e risorse umane finalizzate
principalmente alla guarigione della malattia, con relativa scarsità di
mezzi finalizzati ad una migliore qualità della vita di questi pazienti.
Si è cercato di ovviare a questi problemi mediante l'incentivazione
delle strutture d'appoggio domiciliari, in parte centrate sulla figura del
Medico di Famiglia (Assistenza Domiciliare Programmata e/o Integrata), in
parte centrata sulla formazione di specifiche forme di intervento tali da
coprire i bisogni del malato mediante interventi tecnologici (ogni
intervento che necessiti di attrezzature specifiche o di specifiche
competenze medico-sanitarie: scelta ed esecuzione delle terapie) o
assistenziali: (tutto quanto può essere necessario a un ammalato
durante la sua giornata: nutrirlo, fargli compagnia, lavarlo, risolvere i
numerosi problemi burocratici che l'inabilità ha creato, occuparsi degli
eventuali bambini, aiutare i famigliari nel momento del decesso ed
eventualmente nella fase del lutto). Il nucleo centrale di una Equipe
di Cure Palliative comprende, oltre al medico e l'infermiere, il
volontario, lo psicologo, l'assistente sociale e l'assistente spirituale,
che a loro volta possono far perno sul familiare leader,
(cosiddetto "care giver"), che di fatto si assumerà il compito più gravoso
dell'assistenza, e che generalmente è un congiunto o il parente più
stretto: talvolta è un amico o un conoscente.
L'assistenza
ospedalizzata
L'ospedale è
attualmente sempre meno disponibile e adatto ai malati cosiddetti
"cronici", a degenza protratta seppure indeterminata, scarsamente reagenti
alle terapie, di scarso vantaggio economico per le Aziende. L'entrata
in vigore del decreto legislativo 502/517, con l'introduzione dei DRG, ha
portato a riconsiderare nuovi modelli di intervento, con la tendenza alla
dimissione precoce dei malati che la legge ha stabilito essere poco
remunerativi. Torna ad essere essenziale quindi, in seguito ad una
serie di considerazioni tecniche e organizzative, che tiene conto dei
mutamenti sociali oltre che economici, rivalutare il modello assistenziale
domiciliare interessante l'intero nucleo familiare del paziente e che vede
l'integrazione di competenze mediche, psicologiche e infermieristiche.
È stato ritenuto necessario, però, per tutti i casi che per
qualsivoglia motivo non potessero usufruire utilmente dell'assistenza in
regime domiciliare, creare delle forme di ricovero alternativo, i
cosiddetti Hospice. Si definiscono Centri Residenziali di Cure
Palliative (hospice) delle strutture finalizzate all'assistenza in
ricovero temporaneo di malati affetti da malattie progressive ed in fase
avanzata, a rapida evoluzione e a prognosi infausta per i quali ogni
terapia finalizzata alla guarigione o alla stabilizzazione della patologia
non è più possibile o comunque risulta inappropriata. Il ricovero
negli hospice è destinato per lo più a malati affetti da patologia
neoplastica terminale. Si tratta di centri o case di accoglienza che
forniscono assistenza continua a chi si trova a vivere la fase terminale
di una malattia inguaribile, garantendo un supporto di tipo
medico-infermieristico, ma anche affettivo, psicologico, relazionale e
spirituale. Essi cercano, idealmente, di riprodurre in l'ambiente
familiare: i parenti e gli amici dei pazienti hanno generalmente libero
accesso alla struttura, con possibilità, talora, di rimanervi a dormire; i
pazienti possono portare da casa alcuni oggetti personali e ad ognuno
viene garantita la propria privacy grazie alla creazione di stanze
singole. La maggior parte di tali strutture (pubbliche o private) è
concentrata attualmente soprattutto nel Nord Italia (67%), ove è stato
calcolato che circa il 60-70% dei pazienti neoplastici avanzati necessiti
di tale tipologia assistenziale. È evidente quindi come il paziente
del collega avrebbe potuto eventualmente (qualora se ne riscontrassero i
requisiti) essere ricoverato in una di queste strutture.
Normative che
regolano l'assistenza domiciliare ai malati terminali
- Piano Sanitario
1998-2000: prevedeva essenzialmente l'estensione dell'assistenza
domiciliare. Il servizio veniva affidato ai Distretti di tutte le
Aziende, che dovevano attivare delle Commissioni Professionali (composte
da vari specialisti, tra cui l'oncologo, l'infettivologo, il geriatra,
il cardiologo e il rappresentante dei medici di famiglia) con il compito
di stilare delle Linee Guida per le diverse procedure di assistenza
domiciliare a seconda della tipologia, e di formulare un Nuovo
Prontuario Terapeutico.
- Legge n 39 del
26 febbraio 99: dedicata all'assistenza dei malati terminali
oncologici, prevedeva l'istituzione in ogni regione di 20 Centri per
l'assistenza dei malati terminali, con un finanziamento di 310 miliardi
in tre anni.
- D. M. 28
settembre 1999 - G. U. n. 55 del 7. 03. 2000 - in attuazione del D. L.
28 dicembre 1998 n. 450, convertito dalla Legge 26 febbraio 1999, n. 39
"Programma per la realizzazione di strutture per le cure palliative e di
assistenza ai malati terminali". Prevedeva, coerentemente con gli
obiettivi del Piano sanitario nazionale 1998-2000, che in ogni Regione o
Provincia Autonoma venisse realizzata almeno una struttura dedicata
all'assistenza palliativa e di supporto, prioritariamente per i pazienti
affetti da patologia neoplastica terminale.
- DPCM 20 gennaio
2000 ha definito i requisiti strutturali, tecnologici ed
organizzativi dei centri residenziali (hospice), ad integrazione dei
requisiti per l'esercizio dell'attività sanitaria approvati con DPR 14
gennaio 1997.
- DM 28 marzo
2001, 4 maggio 2001, 5 settembre 2001 e 6 dicembre 2001
(ammissione a finanziamento dei progetti coerenti con le specifiche
indicazioni date) il programma è stato concretamente avviato con
l'erogazione dei primi finanziamenti. La definizione dei protocolli
operativi è demandata dal d. m. alle regioni e P. A. Viene previsto,
oltre alla realizzazione dei Centri residenziali, un programma
complessivo di assistenza integrata con gli altri servizi del territorio
e con l'ospedale, programmi di formazione del personale nonché un piano
di comunicazione alla cittadinanza finalizzato alla corretta
divulgazione del nuovo servizio.
- CONFERENZA
STATO-REGIONI, Seduta del 22 novembre 2001 includeva tra le
prestazioni essenziali l'assistenza socio-sanitaria ai malati terminali.
Daniele Zamperini
(pubblicato, con qualche modifica, su Occhio Clinico)
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La
"prescrizione del diritto" può precludere il risarcimento dei medici
specializzati 1983/91 (Sentenza TAR Lazio n. 5927/02)
La recente sentenza
della Cassazione (Sezione Terza Civile n. 7630 del 16 maggio 2003)
che ha riconosciuto il diritto dei medici, specializzatisi nel periodo
1983/91, ad essere risarciti delle somme che avrebbero dovuto ricevere
quale compenso mensile in tale periodo, ha risvegliato le speranze da
parte di tutti gli interessati. Come abbiamo però esposto in un nostro
precedente articolo pubblicato su eDott (Lo specializzando che non ha
percepito il compenso stabilito dalle norme comunitarie ha diritto al
risarcimento da parte dello Stato) il diritto al risarcimento non era
pacifico, in quanto andavano valutate alcune circostanze, come ad esempio
le eventuali attività lavorative svolte all'epoca e, in particolare, il
problema della prescrizione del diritto. Come è noto, i termini
per la prescrizione dei diritti patrimoniali varia tra i 5 ai 10 anni, con
possibilità di derogare a tali termini qualora, ad esempio, permanga una
continuità di rapporto tra i due interessati. Il TAR Lazio, investito
a suo tempo del problema, ha stabilito infatti che, nel caso in esame, il
termine di prescrizione fosse quello più breve (5 anni),
trattandosi di somme da corrispondersi "ad anno" ai sensi dell'art. 2948
n. 4 c. c. (v. precedenti sentenze del TAR del Lazio, n. 640 del 1999 e n.
6691 del 2001) a decorrere dall'epoca in cui i diritti in questione
avrebbero dovuto essere fatti valere (Cass. Civ, Sez. lav, 3 giugno 2000,
n. 7437). La data "critica", quella cioè della maturazione del
diritto, da cui vanno calcolati i cinque anni, coincide con la conclusione
di ciascun anno accademico in cui il medico ha frequentato il corso di
specializzazione o, al più tardi, dalla data in cui questo diritto è stato
sostanzialmente negato, (coincidente con quella di emanazione del
decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, di attuazione della direttiva
82/76CEE con decorrenza solo dall'anno accademico 1991/1992, cioè ottobre
1991). L'opportunità di un ricorso giudiziario finalizzato al
risarcimento del danno va quindi valutata prendendo in considerazione
anche questo aspetto in quanto, qualora il medico non avesse effettuato
idonee procedure interruttive, i diritti sarebbero da considerare
prescritti dopo tali termini. Le procedure interruttive potrebbero
consistere, ad esempio, nella ripetizione (entro i termini) delle
richieste di rimborso mediante lettera raccomandata.
Il discorso non può
però considerarsi concluso, in quanto potranno intervenire ulteriori
pronunce da parte, ad esempio, del Consiglio di Stato o di altri organi
giurisdizionali o legislativi. Gli interessati faranno bene perciò a
consultare un legale veramente esperto.
Daniele
Zamperini
Il testo della
sentenza n. 5927/02 (il testo qui riportato non ha valore
ufficiale)
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
REGIONALE DEL LAZIO SEZIONE III BIS
composto dai Signori
Magistrati: Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente Consigliere Vito
CARELLA Relatore Consigliere Antonio AMICUZZI Componente ha pronunciato la
seguente S E N T E N Z A sul ricorso n. 10743 del 2001 proposto da
FRANCO Maria Domenica, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Vitale e
presso lo stesso elettiv. te dom. ta in Lecce, Via B. Mazzarella n. 8;
C O N T R O Ministero dell'istruzione, dell'università e della
ricerca Scientifica, per legge rappresentata e difesa dall'Avvocatura
Generale dello Stato; PER OTTENERE adeguati provvedimenti giurisdizionali
che si possono nella sostanza riassumere nelle domande che seguono: PER
L'ANNULLAMENTO con fissazione di C. C. si sensi e per gli effetti di
cui all'art. 2 della legge n. 205/2000 del silenzio illegittimamente
serbato dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca sulle istanze
presentate dalla ricorrente per la corresponsione delle borse di studio,
ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 11 della legge n. 370/1999,
relative ai medici ammessi alla frequenza delle scuole di specializzazione
in medicina, negli anni accademici precedenti all'A. A. 1991/92; nonché
per l'annullamento nei limiti degli interessi della ricorrente, del
Decreto 14 febbraio 2000 del Ministero dell'Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 72 del
27 marzo 2000, nelle parti in cui, in violazione delle direttive 82/76/CEE
e 75/362/CEE (oggi trasfuse nella direttiva 93/16/CEE), dispone che: ? gli
aventi diritto alla corresponsione di una borsa di studio, in qualità di
medici ammessi alle scuole di specializzazione in medicina dall'anno
accademico 1983/84 all'anno accademico 1990/91, sono solo i destinatari
delle sentenze passate in giudicato del TAR Lazio (Sez. I bis), n. 601 del
1993, n. 279 del 1994, n. 280 del 1994, n. 281 del 1994, n. 282 del 1994,
n. 283 del 1994; nonché, ove occorra e nei limiti degli interessi dei
ricorrenti per l'annullamento del medesimo Decreto 14 febbraio 2000 del
Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica,
laddove stabilisce, in contrasto con l'allegato alla direttiva 75/363/CEE,
introdotto dalla direttiva 82/76/CEE che: - il diritto alla
corresponsione di una borsa di studio spetta solo ai medici che non
abbiano svolto, per tutta la durata del corso di specializzazione,
qualsiasi attività libero professionale esterna, nonché attività
lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio
Sanitario Nazionale; - ed ancora, nella parte in cui statuisce che
sono esclusi dalla corresponsione della borsa di studio per gli anni della
durata del corso: 1. - coloro che non hanno partecipato alla totalità
delle attività mediche dedicando a tale formazione pratica e teorica tutta
la propria attività professionale per tutta la durata della settimana
lavorativa e per tutto l'anno; 2. - coloro che non abbiano dichiarato
il mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione
di qualsiasi attività libero professionale esterna, nonché di attività
lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio
sanitario nazionale, così come richiesto dall'art. 1, comma 3, punto 6),
del decreto medesimo; 3. - coloro che per tutti gli anni di corso
abbiano percepito borse di studio, a qualsiasi titolo, per qualsiasi
importo, quale che sia il soggetto erogatore; 4. - coloro che non
abbiano concluso il corso di specializzazione ovvero non abbiano
recuperato i periodi di sospensione di cui all'art. 5, comma 3, del
decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 o abbiano sospeso la frequenza
dei corsi per motivi diversi da quelli previsti dal citato articolo;
e, limitatamente ai ricorrenti che hanno inviato l'istanza di
corresponsione della borsa di studio al M. U. R. S. T. successivamente al
27 giugno 2000, nella parte in cui stabilisce che le istanze dovevano
pervenire allo stesso Ministero entro tre mesi dalla data di pubblicazione
del decreto medesimo, a pena di decadenza; e per la
disapplicazione delle disposizioni contenute nell'art. 11 della legge
19 ottobre 1999, n. 370 nelle parte contrastanti con le disposizioni di
cui alle direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE; nonché per l'accertamento del
diritto della ricorrente a percepire comunque un adeguato compenso, ai
sensi e per gli effetti delle direttive 82/76/CEE e 75/362/CEE (oggi
trasfuse nella direttiva 93/16/CEE), per aver frequentato corsi di
specializzazione post universitari di medicina e chirurgia nel periodo che
parte dall'A. A. 1983/84 sino all'A. A. 1990/91; per il risarcimento dei
danni subiti dalla ricorrente a causa della mancata ottemperanza da parte
dello Stato Italiano all'obbligo, imposto a tutte le normative degli Stati
membri della CEE, di prevedere entro e non oltre il 31 dicembre 1983 che
tutti i corsi di specializzazione debbano svolgersi, di regola, con
frequenza a tempo pieno e con diritto ad una remunerazione adeguata.
Ove occorra e, comunque, in via meramente subordinata: per la
remissione degli atti e del procedimento alla Corte Costituzionale giacché
ritenuta manifestamente non infondata e rilevante la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n.
370, per violazione degli artt. 3, 10, 11, 35 e 97 della Costituzione,
nonché per gli stessi motivi del decreto ministeriale 14 febbraio 2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione
in giudizio dell'Avvocatura Generale dello Stato; Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti
tutti della causa; Alla camera di consiglio del 20 maggio 2002 su
relazione del Cons. Vito Carella uditi, i difensori come da verbale
d'udienza. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO 1. Le scuole di specializzazione annesse alle
facoltà di medicina e chirurgia delle Università, alle quali potevano
accedere i medici - chirurghi già abilitati all'esercizio della
professione, erano disciplinate in piena autonomia dai singoli statuti
delle Università (d. P. R. 10 marzo 1982 n. 162). L'esigenza di assicurare
in Europa uniformità alla professione del medico - chirurgo, ispirata al
principio di libera circolazione in ambito comunitario, condusse alla
emanazione di due direttive del Consiglio: la direttiva 75/362/CEE del 16
giugno 1975 (c. d. "di riconoscimento") relativa al reciproco
riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli di medico e
contenente misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto
di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico; la
direttiva 75/363/CEE del 16 giugno 1975 (c. d. "di coordinamento")
relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative che disciplinano l'attività del medico - chirurgo nel
territorio comunitario. Una prima trasposizione nel diritto italiano
delle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE venne attuata con legge 22 maggio
1978 n. 217 sul diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi da
parte dei medici cittadini di Stati membri della Comunità europea, che
riguardava sia i medici (generici), sia i medici specialisti. Le due
direttive innanzi ricordare vennero successivamente modificate dalla
direttiva 82/76/CEE del 26 gennaio 1982 relativa alla formazione dei
medici specialisti. Alla la formazione dei medici generici (formazione
specifica in medicina generale) provvederanno l'art. 5 della legge di
delega 30 luglio 1990 n. 212 e il decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 256
di attuazione della direttiva 86/457/CEE del 15 settembre 1986. Nei
provvedimenti sopra citati, relativi alla formazione dei medici
specialisti (raccolti nella direttiva 82/76/CEE), sono prescritti i
requisiti minimi del corso di formazione che il medico deve frequentare,
assicurando la sua partecipazione alla totalità delle attività mediche
proprie del servizio nel quale è acquisita la specializzazione, comprese
le guardie, in modo che sia dedicata alla formazione pratica e teorica la
intera attività professionale, per la durata della normale settimana
lavorativa e per tutto l'anno secondo "le modalità fissate dalle autorità
competenti". In considerazione dell'impegno esclusivo richiesto, tale
formazione "forma pertanto oggetto di una adeguata rimunerazione". Una
attenzione particolare è dedicata ai casi, che non potevano essere
ignorati, dei corsi di formazione "a tempo ridotto": realtà evidentemente
non gradita (nel preambolo della direttiva 82/76/CEE è prevista la
soppressione della formazione a tempo ridotto non conforme ai requisiti
minimi indicati nella direttiva medesima), per la quale sono fissate
regole rigorose rivolte ad assicurare che la "durata totale e la qualità
della formazione non siano inferiori a quelle della formazione a tempo
pieno"; essa risponde alle stesse esigenze di quest'ultima, dalla quale si
distingue unicamente per la possibilità di limitare la partecipazione alle
attività mediche a una durata corrispondente quanto meno alla metà di
quella prevista per il tempo pieno. E infatti, l'art. 20 della direttiva
82/76/CEE, che sostituisce l'art. 3 della direttiva 75/363/CEE, afferma il
principio della formazione a tempo pieno con possibilità che le autorità
nazionali competenti "per singoli casi giustificati" autorizzino una
formazione a tempo ridotto quando non sia realizzabile una formazione a
tempo pieno. Di conseguenza, la frequenza ai corsi può non estendersi
"per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la
durata dell'anno" purché, con i tempi di recupero, la "durata totale" sia
perfettamente identica, sì da formare specialisti di identica "qualità".
L'occasione offerta ai medici di specializzarsi frequentando corsi di
formazione a tempo ridotto, in maniera compatibile con la possibilità di
esercitare a titolo privato una attività professionale rimunerata (cfr.:
art. 10 direttiva 82/76/CEE innanzi citato), giustifica la determinazione
di una "rimunerazione adeguata", cioè proporzionalmente ridotta. In via
del tutto transitoria e in deroga al citato art. 10 della direttiva
82/76/CEE (art. 3 direttiva 75/363/CEE) è consentito agli Stati-membri
(art. 12 direttiva 82/76/CEE, che sostituisce l'art. 7 della direttiva
75/363/CEE) applicare il vecchio ordinamento dei corsi a tempo ridotto non
retribuiti (comprensivo delle relative disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative) ai candidati che abbiano iniziato la loro
formazione entro e non oltre il 31 dicembre 1983 come una ipotesi
eccezionale, ammissibile solo su richiesta e nell'esclusivo interesse del
singolo medico (sebbene non per "singoli casi giustificati", come ammesso
a règime dall'art. 10 della direttiva 82/76/CEE) il quale si trovi nelle
condizioni, obbiettivamente accertate, di non potere seguire il règime
generale dei corsi, che è quello del tempo pieno retribuito. Il rigore
comunitario, che in generale non ammette deroghe alla completezza della
formazione (tanto da richiedere il recupero anche nella formazione a tempo
pieno nei casi di legittima interruzione per motivi quali: il servizio
militare, missioni scientifiche, gravidanza, malattia), persegue
l'obiettivo di assicurare una formazione seria, omogenea ed effettiva per
le specializzazioni mediche che si conseguono presso i diversi ordinamenti
a tutela degli utenti di tutta la Comunità. D'altra parte, per il
reciproco riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli
di medico specialista, nonché per mettere tutti i professionisti cittadini
degli Stati - membri su una base di parità all'interno della Comunità, era
necessario dettare disposizioni che coordinassero (sia per le
specializzazioni comuni a tutti gli Stati dell'Unione, che per quelle
comuni quanto meno a due o più Stati - membri) le condizioni di formazione
del medico specialista, fissando in particolare criteri minimi concernenti
l'accesso alla formazione specializzata, la sua durata più breve, il modo
e il luogo in cui quest'ultima debba essere effettuata, nonché il
controllo di cui debba formare oggetto e da parte di quali organismi.
La direttiva in esame si chiude (articoli 16 e 17) con la prescrizione
rivolta agli Stati - membri "destinatari della presente direttiva" di
adottare le misure "necessarie per conformarsi alla presente direttiva
entro e non oltre il 31 dicembre 1982". Lo Stato italiano rimaneva
inadempiente ed era, pertanto, condannato dalla Corte di giustizia delle
Comunità europee che, con sentenza del 7 luglio 1987 (causa 49/86),
accertava che la Repubblica italiana non aveva adottato nel termine
prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva
82/76/CEE ed era venuta meno agli obblighi che su di essa incombono in
forza del Trattato istitutivo della Comunità europea. A questo stato di
cose poneva (tardivamente) rimedio il legislatore con decreto legislativo
8 agosto 1991 n. 257, adottato su delega conferita con legge 29 dicembre
1990 n. 428 (c. d. legge comunitaria del 1990). Era, difatti, istituita
una borsa di studio a favore dei medici specializzandi determinata per
l'anno 1991 in lire 21. 500. 000 da corrispondersi per tutta la durata del
corso di formazione. L'importo sarebbe stato incrementato annualmente (a
decorrere dal 1° gennaio 1992) in misura corrispondente al tasso
programmato di inflazione sulla base di un decreto del Ministero della
sanità da emanarsi ogni tre anni. L'art. 8, comma secondo, del decreto
legislativo 257 del 1991 fissava la decorrenza del beneficio dall'anno
accademico 1991-92, escludendovi pertanto sia i medici che avevano
cominciato il corso di specializzazione dal 1° gennaio 1983 in poi e
conseguito il titolo prima del 1991, sia i medici che nel 1991 ancora
frequentavano il corso cominciato in anni precedenti. In altri termini, il
legislatore escludeva dal nuovo ordinamento (fondato sulla retribuibilità
dei corsi e sul valore autonomo del titolo conseguito) i medici ammessi
alle scuole negli anni precedenti al notificazione o l'attuazione delle
direttive (nel caso di specie, dal 29 gennaio 1982: data di entrata in
vigore delle direttiva 82/76/CEE, coincidente con la data della sua
notificazione), senza ovviamente neppure considerare i medici che avessero
già conseguito il titolo in data anteriore, e riservava l'applicazione
dell'ordinamento comunitario ai soli medici ammessi alle scuole di
specializzazione dall'anno accademico 1991/1992. Le direttive
"riconoscimento" (75/362/CEE) e "coordinamento" (75/363/CEE), nonché la
direttiva 82/76/CEE, che le riassume, sono state successivamente abrogate
e sostituite dalla direttiva del Consiglio 93/16/CEE del 5 aprile 1993,
intesa a codificare e a riunire in un testo unico per motivi di
razionalità e per maggiore chiarezza le disposizioni delle direttive sopra
ricordate, che erano state nel tempo modificate ripetutamente in modo
sostanziale. Con l'occasione era apparso opportuno incorporare nel detto
testo unico anche la direttiva 86/457/CEE del Consiglio del 15 settembre
1986 relativa alla formazione specifica in medicina generale. Nella
direttiva in esame è ribadita la necessità di "rimunerazione adeguata" per
la formazione sia a tempo pieno, sia a tempo ridotto dei medici
specializzandi. Successivamente la disposizione recata dall'art. 8, comma
secondo, del decreto legislativo 257 del 1991 era ritenuta in contrasto
con la direttiva 82/76/CEE e, in sede di annullamento dei decreti
ministeriali che davano attuazione a quanto disposto dall'art. 2 del
decreto legislativo 257 del 1991, disapplicata dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con una serie di sentenze (tra le quali
la sentenza 25 febbraio 1994 n. 279) nella parte in cui la norma escludeva
dal doppio beneficio i medici ammessi alle scuole di specializzazione
negli anni accademici anteriori al 1991/92 (retribuzione per la
partecipazione al corso di formazione e autonoma valutazione del titolo
conseguito con assegnazione di specifico punteggio da valere nelle
procedure concorsuali). La anzidetta pronuncia era fondata sul
carattere di immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie, che
attribuiscono capacità generale al nuovo ordinamento delle
specializzazioni mediche siccome normativa del tutto "incondizionata" tale
da non lasciare allo Stato alcun margine di discrezionalità, come ha
precisato la Corte Costituzionale nella sentenza 168 del 1991, nonché come
normativa "sufficientemente precisa" atteso che il contenuto normativo,
che si assume violato, è enunciato senza margini di incertezza. Nella
sentenza era, inoltre, rilevata la sicura presenza dell'ulteriore
presupposto (logico e implicito, dalla Corte italiana opportunamente
sottolineato) della inadempienza dello Stato dopo essere decorso
inutilmente il termine previsto per dare attuazione alla direttiva. è
appena il caso di aggiungere che non tolgono nulla al carattere di
normativa sufficientemente precisa e del tutto incondizionata i principi
enunciati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza 10
agosto 1996 n. 7410, dove ci si riferisce all'attività organizzativa, alla
programmazione e gestione dei corsi di specializzazione, nonché alla
determinazione del numero e della distribuzione dei corsi stessi e delle
borse di studio da assegnare. Le considerazioni svolte dal Supremo
Consesso, che la Sezione condivide in misura piena, poggiano sull'ampia
discrezionalità della pubblica amministrazione nelle attività anzidette,
l'esistenza della quale attribuisce alla disciplina comunitaria valore di
normativa destinata a essere recepita dagli Stati - membri ("Dalla
direttiva 75/363/CEE, integrata dalla successiva 82/76/CEE discendono
criteri e regole che, trasferiti nell'ordinamento italiano dalla legge 29
dicembre 1990 n. 428 e dal decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257,
richiedono un'attività organizzatoria con largo margine di discrezionalità
dell'amministrazione statale"). I suddetti principi sono nella sostanza
ribaditi in due sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee
(25 febbraio 1999 e 3 ottobre 2000) su procedimenti avviati nel 1997
(rispettivamente C-131/97e C-371/97). La Corte di giustizia ha premesso
che l'obbligo imposto dalla direttiva 82/76/CEE di retribuire i periodi di
formazione relativi alle specializzazioni mediche deve essere inteso come
incondizionato e sufficientemente preciso solo se ci si muove nel preciso
ambito di applicazione della direttiva medesima (punto 34 della sentenza 3
ottobre 2000). La Corte di giustizia ha quindi statuito che l'obbligo
incondizionato e sufficientemente preciso di retribuire in misura adeguata
il medico che segue il corso di formazione riguarda sia i periodi di
formazione a tempo pieno (punto 1 dell'allegato alla direttiva 75/363/CEE,
come modificato dalla direttiva 82/76/CEE), sia i periodi di formazione a
tempo ridotto (punto 2 dell'allegato sopra citato), atteso che dalla
lettera della direttiva "coordinamento" (76/363/CEE) e della direttiva
82/76/CEE si evince che la formazione a tempo ridotto deve anch'essa
essere oggetto di una adeguata (e proporzionata) remunerazione (punto 42
sentenza citata). Inoltre, l'obbligo anzidetto si impone unicamente per le
specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri ovvero a due o
più di essi, le quali siano in ogni caso menzionate negli articoli 5 e 7
della direttiva 75/362/CEE. È compito del giudice nazionale di
accertare la sussistenza del detto presupposto, atteso che le direttive
"riconoscimento" e "coordinamento" elencano chiaramente, per le formazioni
specializzate considerate, tanto le denominazioni in vigore negli Stati -
membri, quanto le autorità o gli enti competenti a rilasciare i diplomi, i
certificati e gli altri titoli corrispondenti alle specializzazioni
considerate (punto 28 della sentenza 3 ottobre 2000). Infine, l'obbligo
incondizionato e sufficientemente preciso di retribuire in modo adeguato
il medico che partecipa al corso di formazione sussiste solo se le
condizioni di formazione a tempo pieno, ovvero quelle di formazione a
tempo ridotto prescritte dalla direttiva 82/76/CEE siano rigorosamente
"rispettate dai medici specialisti in formazione". All'opposto, le
disposizioni della normativa comunitaria non sono incondizionate, né
sufficientemente precise nella parte in cui non contengono alcuna
indicazione riguardo all'identità dell'istituzione sulla quale incombe
l'obbligo di pagamento dell'adeguata remunerazione, né riguardo a ciò che
debba essere inteso come corrispondente a un'adeguata remunerazione oppure
riguardo al metodo di determinazione di tale remunerazione (punto 47 della
sentenza 25 febbraio 1999). Aggiunge peraltro il giudice comunitario che
il giudice nazionale è tenuto, quando applica disposizioni di diritto
nazionale precedenti o successive a una direttiva, a interpretarle quanto
più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva
stessa. In ultimo, la Corte di giustizia ha precisato che, nel caso in
cui il risultato prescritto dalla direttiva "coordinamento" come
modificata dalla direttiva 82/76/CEE, non potesse essere conseguito
mediante l'interpretazione del giudice nazionale, il diritto comunitario
impone alla Repubblica italiana di risarcire i danni cagionati ai singoli
purché siano soddisfatte tre condizioni: che la norma violata abbia lo
scopo di attribuire diritti soggettivi a favore dei singoli, il cui
contenuto possa essere agevolmente identificato; che la violazione sia
"sufficientemente grave" e che esista un nesso di causalità diretta tra la
violazione dell'obbligo imposto allo Stato e il danno subito dai soggetti
lesi (punti 52 della sentenza 25 febbraio 1999). A tale proposito la
stessa Corte di giustizia suggerisce di dare applicazione retroattiva e
completa alle misure di attuazione della direttiva 82/76/CEE: questa
soluzione consentirebbe di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli
della tardiva attuazione di tale direttiva da parte della Repubblica
italiana e costituirebbe essa stessa misura di adeguato risarcimento del
danno (a meno che i beneficiari non dimostrino l'esistenza di danni
ulteriori da essi eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo
tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero
quindi essere anch'essi risarciti) subordinatamente alla imprescindibile
condizione che la "direttiva stessa, per questa parte, sia stata
regolarmente recepita" (punto 53 della sentenza 25 febbraio 1999). Da
queste avvertenze discendono due conseguenze: la prima riguarda il
deferimento al legislatore nazionale del compito di indicare l'ente
debitore e, soprattutto, di adottare i criteri per la determinazione della
"remunerazione adeguata" tanto in riferimento all'attività di formazione a
tempo pieno, quanto all'attività di formazione a tempo ridotto; la seconda
è relativa all'affidamento al prudente apprezzamento del giudice nazionale
della soluzione di applicare la normativa comunitaria anche nel periodo in
cui è mancata l'emanazione di norme specifiche da parte dello Stato
italiano. Questo è possibile col disapplicare la nuova normativa nazionale
(decreto legislativo 257 del 1991), che ha come destinatari i soli medici
iscritti successivamente all'anno accademico 1991/92. A favore della tesi
della non applicabilità della nuova normativa al periodo anteriore (fino
alla emanazione della direttiva comunitaria 82/76/CEE) è la considerazione
che ai medici in via di specializzazione iscritti prima dell'anno
accademico 1991/92 non erano affatto richiesti l'impegno a tempo pieno e
la correlativa promessa di non svolgere alcuna attività professionale
retributiva. Nel frattempo entra in vigore la nuova disciplina in materia
di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro
diplomi, certificati e altri titoli su delega conferita con legge
"comunitaria" 24 aprile 1998 n. 128 (relativa agli anni 1995-97). Con
l'anzidetto provvedimento è anche data attuazione alla direttiva del
Consiglio 93/16/CEE e alle sue modificazioni introdotte con le direttive
97/50/CE, 98/21/CE, 98/63CE e 99/46/CE. Il decreto legislativo in
argomento, che abroga tutto il decreto legislativo 256 del 1991 e il
decreto legislativo 257 del 1991 (con salvezza del solo art. 3, comma
secondo), introduce una nuova regolamentazione della materia dei corsi di
formazione (sia per i medici generici, che per i medici specialisti) e
trasforma il rapporto dello specializzando da fruitore di borsa di studio
a quello di medico in formazione, legato alle amministrazioni
universitarie e regionali da uno specifico rapporto esclusivo che ha
origine in un contratto di "formazione lavoro". Lo stesso titolo di
specializzazione, da "attestato di formazione", diventa un vero e proprio
"diploma di specializzazione". Per definire i rapporti scaturiti dalle
sentenze, passate in giudicato, del Tribunale amministrativo del Lazio
interviene la legge 19 ottobre 1999 n. 370 che, all'art. 11, dispone la
corresponsione per tutta la durata del corso di una borsa di studio annua
onnicomprensiva di lire 13. 000. 000 (senza interessi e rivalutazione
monetaria) a favore dei medici ammessi presso le università alle scuole di
specializzazione in medicina dall'anno accademico 1983-84 all'anno
accademico1990-91, che siano destinatari delle sentenze passate in
giudicato del Tribunale amministrativo regionale del Lazio numero 601 del
1993 e numeri 279, 280, 281, 282 e 283 del 1994, subordinatamente
all'accertamento da parte del Ministero dell'Università di determinate
condizioni, tra le quali la circostanza che i beneficiari avessero seguito
il corso con impegno a tempo pieno e che, per tutta la sua durata, non
avessero svolto alcuna attività libero-professionale retribuita. Le
modalità concrete di attuazione della anzidetta disposizione sono state
impartite con decreto ministeriale del 14 febbraio 2000, che subordina il
soddisfacimento degli eventi diritto (destinatari delle sentenze del
Tribunale amministrativo regionale) alla presentazione, a pena di
decadenza, di una apposita domanda nella quale sia indicato il possesso
dei requisiti prescritti dall'art. 11 della legge 370 del 1999.
2. è in questo quadro
normativo e giurisprudenziale che si colloca la controversia ora in esame.
I ricorrenti sono medici che hanno partecipato ai corsi di formazione
conformi alla normativa recata dal d. P. R. 10 marzo 1982 n. 162 e hanno
conseguito il titolo nelle relative specializzazioni nell'arco di tempo
tra l'anno accademico 1983-84 e l'anno accademico 1990-91. In
particolare, essi assumono di avere gli stessi requisiti posseduti dai
destinatari delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio sopra ricordate (numero 601 del 1993 e numeri 279, 280, 281, 282 e
283 del 1994). Con una serie articolata di motivi di gravame e l'uso dei
più varii strumenti processuali essi reclamano l'applicazione nei loro
confronti della nuova disciplina dettata alla normativa comunitaria per i
corsi di specializzazione, con retribuzione per l'intera durata legale del
corso e con assegnazione ai titoli di specializzazione conseguiti di uno
specifico punteggio da spendere nelle procedure concorsuali. La normativa
anzidetta, in quanto contenente disposizioni incondizionate e
sufficientemente precise, sarebbe immediatamente applicabile e
comporterebbe il superamento della normativa nazionale (legge 29 dicembre
1990 n. 428 e decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257), che prevede
invece il doppio beneficio (assegnazione di borsa di studio e
riconoscimento di autonomo punteggio al titolo di specializzazione) solo a
decorrere dall'anno accademico 1991-92, con esclusione dei medici ammessi
alla frequenza dei corsi negli anni accademici precedenti o che erano in
via di svolgimento al momento di operatività della normativa comunitaria.
Alcuni ricorrenti prospettano, infine, la incostituzionalità del decreto
legislativo 8 agosto 1991 n. 257 nella parte in cui esclude il diritto a
una adeguata remunerazione dei medici che abbiano frequentato i corsi di
specializzazione negli anni precedenti l'anno accademico 1991-92 per
violazione degli articoli 3, 10 comma primo, 36 e 91 della Costituzione.
3. Sono evidentemente
da sciogliere prima le questioni in rito. Con riferimento ai ricorrenti
che hanno dapprima diffidato le amministrazioni intimate a corrispondere
loro la remunerazione prescritta dalla normativa comunitaria in
corrispettivo delle attività svolte nell'ambito della formazione
professionale e successivamente impugnato il silenzio-rifiuto che si
sarebbe formato sulle loro istanze il Collegio osserva quanto scritto qui
di seguito. Il Collegio può prescindere dall'accertamento della ritualità
del procedimento seguito dai ricorrenti per la formazione del
silenzio-rifiuto impugnabile in sede giurisdizionale: questo
indipendentemente dalla tesi preferita se dopo la legge 7 agosto 1990 n.
241 persista ancora o meno l'onere di proporre un atto stragiudiziale di
diffida e messa in mora ai sensi dell'art. 25 del T. U. 10 gennaio 1957 n.
3. Il ricorso è, difatti, manifestamente inammissibile. è il caso di
ricordare che l'apprezzamento in termini giuridici del comportamento
omissivo tenuto dalla pubblica amministrazione in presenza di una istanza
del privato intesa a ottenere, allo scopo di soddisfare un interesse
"pretensivo" giuridicamente protetto, l'emanazione di un provvedimento
discrezionale a proprio favore (provvedimento discrezionale nel contenuto,
ma vincolato da una norma positiva quanto alla sua adozione) ha origine
(inizialmente pretoria) dalla esigenza di risolvere non tanto i (pochi)
casi di consapevole scelta della pubblica amministrazione ("neppure ti
rispondo tanto è infondata la tua richiesta"), quanto i (predominanti)
casi di disinteresse della pubblica amministrazione alle istanze del
cittadino, indipendentemente dalla loro infondatezza. Tale era il
livello di scorrettezza amministrativa che il legislatore è dovuto
intervenire con la legge 241 del 1990 per canonizzare gli obblighi di
comportamento della amministrazione pubblica dinnanzi alle richieste del
cittadino, al cui servizio è istituzionalmente preposta l'amministrazione
medesima (e non viceversa). Peraltro numerose perplessità erano sorte,
specie in giurisprudenza, relativamente ai poteri che il giudice
amministrativo dispone di fronte a impugnative di siffatto genere. Ed
invero, alla tesi che, in sede di accertamento del silenzio serbato
dall'amministrazione, il giudice adito deve limitare il proprio sindacato
al controllo della legittimità o meno dell'inerzia opposta alla richiesta
del privato, se ne contrappone l'altra che riconosce al giudice il dovere
di spingersi ad apprezzare la fondatezza della pretesa sostanziale fatta
valere in via di azione e, quindi, indicare puntualmente, nel caso di
accoglimento del ricorso, i contenuti vincolanti della successiva attività
dell'amministrazione medesima. La situazione ha di recente indotto la
Sezione VI del Consiglio di Stato, con ordinanza 10 luglio 2001 n. 3803, a
definire la questione in via preventiva all'Adunanza plenaria, "onde
evitare possibili contrasti giurisprudenziali e in relazione
all'importanza della questione di carattere generale" (questa è la
rilevante originalità della pronuncia). L'ordinanza anzidetta ha
fondamento sulla considerazione che la ristrettezza dei termini previsti
dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205 per siffatto procedimento
speciale (termine abbreviato di impugnazione; fissazione in tempi brevi
della camera di consiglio nella quale il ricorso andrà deciso con
"sentenza succintamente motivata"; stesse regole per l'appello) verrebbe a
ledere i diritti della difesa, l'integrità del contraddittorio e la
completezza dell'istruttoria laddove, in luogo di limitare il giudizio
all'accertamento dell'obbligo di provvedere, si chiede al giudice adito di
estendere la cognizione all'accertamento della pretesa sostanziale. In
tali casi, infatti, si chiede di affrontare questioni anche
particolarmente complesse o relative ad attività amministrativa
caratterizzata da rilevanti profili di discrezionalità in tempi
estremamente ridotti e in un procedimento che si definisce nella sede
camerale con una impostazione che si avvicina alquanto al rito speciale
introdotto dall'art. 9 della legge 205 del 2000. Questa disposizione, che
sostituisce l'ultimo comma dell'art. 26 della legge 6 dicembre 1971 n.
1034 è fondata, come è noto, sulla percezione immediata da parte del
giudice della manifesta infondatezza ovvero della manifesta fondatezza del
ricorso: circostanze, queste, che potrebbero bene non esserci
nell'accertamento della pretesa sostanziale fatta valere nel ricorso
avverso il silenzio-rifiuto. Con la decisione 9 gennaio 2002 n. 1
l'Adunanza Plenaria si è espressa a favore della prima tesi osservando che
il giudizio sul silenzio-rifiuto non deve consentire al Giudice
amministrativo di spingersi a stabilire il contenuto concreto del
provvedimento che l'Amministrazione avrebbe dovuto emanare a seguito
dell'istanza del privato. Il tenore dell'art. 2 della L. n. 205 del 2000
avvalora la tesi che l'organo competente in via ordinaria conservi, pur
dopo la sentenza e fino all'insediamento del commissario, il potere di
provvedere in senso pieno. Il processo sul silenzio-rifiuto è, pertanto,
diretto solo a indurre l'Amministrazione a esprimersi sollecitamente
sull'istanza del privato. Solo attraverso il proprio commissario, in caso
di perdurante inerzia, il giudice amministrativo si sostituisce
all'Amministrazione inadempiente con l'esercizio sostitutivo, e però
completo delle potestà amministrative. Per tornare al tema sul quale verte
la controversia è da osservare che, nel caso di specie, non viene in
rilievo l'utilità del procedimento sul silenzio-rifiuto, introdotto
dall'art. 2 della legge 205 del 2000, al quale i ricorrenti hanno
indubbiamente fatto ricorso (tanto da ottenere la sollecita fissazione
della camera di consiglio per la trattazione del merito del gravame),
bensì l'utilizzabilità del procedimento. Ed invero, i ricorrenti chiedono
con lo strumento del silenzio-rifiuto l'accertamento del loro preteso
diritto patrimoniale perfetto a percepire una adeguata remunerazione come
corrispettivo per l'attività (già) svolta nell'ambito della loro
formazione professionale. Essi superano l'ostacolo costituito
dall'art. 11 della legge 19 ottobre 1999 n. 370 e del conseguente decreto
ministeriale 14 febbraio 2000 di attuazione chiedendo, da un lato la
disapplicazione della prima e l'annullamento del secondo, dall'altro
l'estensione nei loro confronti delle pronunce del Tribunale
amministrativo del Lazio del 1993 e del 1994. La prima richiesta si fonda
sul preteso contrasto con la disciplina comunitaria, che ha forza propria
di imporsi nell'ordinamento interno in quanto recherebbe disposizioni del
tutto incondizionate e sufficientemente precise: pertanto, immediatamente
e direttamente precettive. La seconda richiesta è per evitare che si
determini una disparità di trattamento tra medici specializzandi a motivo
della ingiustificata limitazione temporale ai benefici economici delle
borse di studio e a quelli giuridici del valore autonomo della
specializzazione conseguita, con l'attribuzione di uno specifico punteggio
da spendere nelle procedure di concorso. I ricorrenti superano pure
l'ostacolo rappresentato da quella parte della normativa comunitaria
(direttiva 82/76/CEE) priva dei caratteri della incondizionatezza e
precisione: cioè la parte che deferisce alla autorità nazionale la
individuazione della istituzione sulla quale incombe l'obbligo di
pagamento della "adeguata remunerazione" e il criterio della sua
determinazione. L'ostacolo è superato con ricorso allo stesso art. 11
della legge 19 ottobre 1999 n. 370, che ha posto il pagamento a carico
della amministrazione intimata in questo giudizio (l'attuale Ministero
dell'istruzione, dell'Università e della ricerca) e riconosciuto nella
misura onnicomprensiva di lire 13. 000. 000 annui (ora euro 6. 713,94
annui), per tutta la durata legale del corso seguito, la somma da
corrispondere ai medici ammessi alla frequenza delle scuole di
specializzazione in medicina a partire dall'anno accademico 1983/84 fino a
quello del 1990/91. Solo in via subordinata i ricorrenti chiedono la
determinazione della entità della somma nel corso del giudizio ovvero, in
via ancora subordinata, la liquidazione equitativa dei danni da loro
subiti per il ritardo con il quale lo Stato italiano nel 1991 ha recepito
la direttiva 82/76/CEE, che aveva avuto effetto dal 1983. Altri ricorrenti
chiedono, invece, la somma all'epoca determinata dall'art. 6 del decreto
legislativo 8 agosto 1991 n. 257 (in attuazione della direttiva 82/76/CEE)
in lire 21. 500. 000 (ora euro 11. 103,82), incrementata annualmente dal
tasso programmato di inflazione determinato dai decreti ministeriali ogni
triennio. 4. Osserva il Collegio che i ricorrenti, nella sostanza delle
cose, promuovono una azione che ha per oggetto una pretesa patrimoniale
diretta, già predeterminata in tutti i suoi elementi o, quanto meno,
facilmente determinabile nel corso del giudizio in via diretta ovvero per
equivalente. L'azione è, pertanto, incontestabilmente prospettata come
rivolta all'accertamento di un comportamento di inadempimento a un obbligo
patrimoniale imposto dall'ordinamento ed è diretta a ottenere una
pronuncia di condanna dell'amministrazione intimata al pagamento di una
somma di denaro determinata (ovvero determinabile in via diretta o per
equivalente). A siffatto risultato non può condurre il procedimento
speciale di annullamento del silenzio-rifiuto ai sensi dell'art. 2 della
legge 205 del 2000 (più correttamente: la intrapresa azione di
accertamento dell'inadempimento all'obbligo di pronuncia esplicita sulla
istanza del privato diretta al soddisfacimento di un interesse pretensivo
a opera di una attività discrezionale della pubblica amministrazione). Nel
detto procedimento il giudice amministrativo esercita, difatti i poteri
propri della giurisdizione di legittimità. Invece, nei casi di
giurisdizione esclusiva, per giungere alla condanna dell'Amministrazione,
le pretese patrimoniali che hanno fondamento in una precisa disposizione
normativa, senza necessità di intermediazione di ulteriori provvedimenti
dell'amministrazione, devono passare attraverso un giudizio ordinario
diretto ad accertare, prima di tutto, la reale consistenza della posizione
giuridica vantata, la titolarità della stessa e, in ultimo, la sussistenza
dell'inadempimento dell'amministrazione, tenuta a soddisfare in via
diretta e immediata la pretesa. D'altra parte, che nel caso di specie si
tratti di giurisdizione esclusiva è confermato dall'art. 7 della legge 205
del 2000, che modifica l'art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n.
80. Ed infatti, la formazione del medico europeo è da qualificare come
servizio pubblico in quanto consiste in attività di istruzione svolta
dalla pubblica amministrazione per fornire ai partecipanti una utilità di
carattere strumentale, da spendere nell'esercizio della professione in
qualunque luogo dell'Unione. Il nuovo e accelerato strumento di tutela
offerto dal procedimento speciale introdotto per i ricorsi avverso il
silenzio della amministrazione, attraverso il quale, con i tempi tecnici
propri di una misura cautelare, si giunge alla sola declaratoria
dell'obbligo di provvedere (secondo la tesi che anche la Sezione ha
costantemente mostrato di prediligere), non può valere per ottenere in
modo anticipato una delibazione del merito della controversia, che appare
invece riservato al normale giudizio di cognizione. D'altra parte, se
questo fosse in ipotesi consentito, l'azione del privato finirebbe per
essere diretta a ottenere dalla amministrazione una pronuncia espressa su
un suo inadempimento relativo a una prestazione patrimoniale che è a suo
carico per obbligo di legge: con questo si imporrebbe all'amministrazione,
in ultimo attraverso un commissario del giudice, di riconoscere un proprio
debito saltando tutta la fase cognitoria di accertamento.
5. Per mera
completezza del discorso è utile ricordare che, al di fuori dei casi in
cui le direttive comunitarie rimaste inattuale dopo la scadenza del
termine assegnato allo Stato-membro e che contengono disposizioni
incondizionate e sufficientemente precise si trasfondono immediatamente
nell'ordinamento interno e non consentono l'applicazione delle norme
interne confliggenti (Cass. Civ., Sez. lavoro, 18 maggio 1999 n. 4817;
Corte di giustizia delle Comunità europee, Sez. V. 29 maggio 1997 n. 389;
Cons. Stato,. Sez. III, 18 novembre 1997 n. 1472), le direttive
comunitarie prive dei requisiti sopra descritti hanno carattere vincolante
per le finalità perseguite, ma lasciano liberi gli Stati nella scelta
delle modalità di realizzazione di dette finalità, e, per il loro
carattere strumentale, non si trasfondono negli ordinamenti nazionali,
avendo gli Stati come unici destinatari delle loro disposizioni; né i
singoli possono invocarne la immediata applicazione, trattandosi di atti i
cui effetti giuridici sono normalmente subordinati all'emanazione di un
atto di esecuzione interna (T. A. R. Puglia, Sede Sez. II, 15 novembre
1996, n. 735). L'allegato aggiunto alla direttiva 75/363/CEE dall'art. 13
della direttiva 82/76/CEE, ora trasfuse nella direttiva 93/16/CEE, nel
disciplinare le caratteristiche della formazione a tempo pieno e ridotto
dei medici specialisti, ha prescritto che essa, comportando la
partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale
si effettua la formazione, comprese le guardie, implica che le sia
dedicata tutta l'attività professionale per l'intera durata della normale
settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno "secondo le modalità
fissate dalle autorità competenti". Pertanto, solo tale formazione è
considerata suscettibile di una adeguata rimunerazione, dove mancano atti
di esecuzione interna che riconoscano la retribuibilità anche dei corsi
non conformi alla normativa comunitaria. Nel caso di specie risulta
chiaro che le direttive comunitarie in argomento tendono in via principale
e diretta a garantire una formazione specialistica medica uniforme e
adeguata (perseguibile mediante la frequenza, remunerata, di corsi a tempo
pieno) nell'ambito di tutti gli Stati membri della Comunità europea, con
fissazione di requisiti minimi vincolanti detti Stati per quanto riguarda
il detto risultato da raggiungere, ferma restando la competenza degli
organi nazionali con riguardo alla forma ed ai mezzi necessari per
raggiungere il risultato medesimo. Il riconoscimento di emolumenti in
favore dei medici frequentanti i corsi di specializzazione, poiché
sottoposto da dette direttive a determinate condizioni (inerenti alla
esclusività delle prestazioni nel corso degli stessi e che non
necessariamente venivano già rispettate dagli Enti preposti alla loro
organizzazione) volte a garantire principalmente la loro quanto migliore
preparazione, assume quindi carattere incondizionato e sufficientemente
preciso con riguardo alla retribuibilità, in astratto, dei corsi che si
sono svolti nel rispetto delle condizioni previste, ed è invece indiretto
e strumentale, rispetto all'obiettivo principale fissato dalle direttive
in questione (il conseguimento di adeguata e uniforme formazione
professionale), con conseguente libertà (per gli Stati-membri), con
riguardo a tale aspetto, di decidere autonomamente sulla retribuibilità
dei corsi di specializzazione che - pur svolti nel rispetto della
normativa di cui al d. P. R. 10 marzo 1982, n. 162 (che prevede all'art.
11, solo la obbligatorietà della frequenza di detti corsi) e che si sono
conclusi con il rilascio del diploma ai partecipanti - non abbiano
previsto anche il rispetto delle caratteristiche della formazione dei
medici specialisti prescritte dall'allegato aggiunto alla direttiva
75/263/CEE, prima citata. Non può quindi ritenersi che le direttive
comunitarie in argomento (in particolare con riguardo alla retribuibilità
di corsi che i ricorrenti non dimostrano che si siano svolti nel rispetto
di tutte le condizioni poste dalle direttive stesse) contenessero
disposizioni (si ribadisce, solo con riguardo alle posizioni esulanti
dallo standard previsto) incondizionate e sufficientemente precise
immediatamente applicabili nell'ordinamento interno e inibenti
l'applicazione delle norme interne confliggenti. è il caso di ribadire che
esse avevano, quindi, carattere vincolante nella parte riguardante le
finalità perseguite e, nella restante parte, solo alle condizioni
stabilite, lasciando liberi gli Stati nella scelta delle modalità di
realizzazione delle finalità stesse in caso di mancato rispetto delle
condizioni stesse. Ed invero, le direttive, che hanno gli Stati come unici
destinatari delle loro disposizioni, per il loro carattere strumentale non
sono destinate in questa parte a trasfondersi nel nostro ordinamento
nazionale. I singoli non possono, pertanto, invocare la immediata
applicazione della normativa che riconosce la retribuibilità della
frequenza dei corsi in questione, trattandosi di disposizioni i cui
effetti giuridici sono, in assenza di dimostrazione del rispetto, nella
loro organizzazione, delle condizioni prescritte dalle direttive CEE,
subordinati all'emanazione di atti di esecuzione interna (Cons. St., Sez.
VI, 15 dicembre 1999, n. 2090). Il beneficio invocato dai ricorrenti
non può quindi derivare direttamente dalla normativa comunitaria perché
questa, recepita solo dall'anno accademico 1991/1992, lascia, per quanto
in precedenza asserito, sopravvivere disposizioni già vigenti nel periodo
ad esso precedente per corsi di specializzazione già iniziati, con
riguardo alla concreta retribuibilità dei specializzandi che hanno
frequentato i corsi non dimostratamene rispettosi delle condizioni
espressamente previste dalla citata normativa comunitaria. Deve essere,
inoltre, ulteriormente rilevato che l'art. 12 della direttiva 82/76/CEE,
che prevede, in via transitoria, che le disposizioni che stabiliscono una
formazione specializzata a tempo ridotto (non retribuita) possano
continuare ad essere applicate ai candidati che abbiano iniziato la loro
formazione di medici specialistici al più tardi il 31 dicembre 1983, non
può essere interpretato, ad avviso del Collegio, nel senso che (Cons. St.,
Sez. IV, 10 agosto 2000 n. 4442) la disposizione sia dettata
nell'interesse e a richiesta dei candidati; esso, viceversa, deve essere
inteso nel senso che sia posto a diretta tutela della esigenza di
garantire una completa preparazione dei candidati mediante la frequenza a
tempo pieno e solo in via indiretta e mediata a tutela della esigenza di
sopperire, con una sovvenzione adeguata, alle necessità materiali per
l'impegno dei partecipanti a dedicarsi a tempo pieno, nell'interesse
pubblico, all'attività rivolta alla loro specializzazione. Deve
essere, pertanto, riconosciuta alla amministrazione non solo una ampia
potestà discrezionale nella organizzazione dei corsi di formazione, ma
anche nella determinazione di precise condizioni per la loro
retribuibilità con riferimento alla esclusività dell'impegno richiesto ai
partecipanti, nonché nella fissazione di un limite temporale di attuazione
delle direttive in argomento nella parte in cui affermano il principio
della retribuibilità dei corsi, tenuto anche conto dei conseguenti oneri
finanziari. Pertanto, neppure detta norma (art. 12 della direttiva
82/76/CEE) appare incondizionata e tanto precisa da poter essere recepita
nel nostro ordinamento senza necessità di atti applicativi e comportare il
diritto di tutti i medici che hanno frequentato i corsi di
specializzazione in questione prima dell'anno accademico 1991/92 a
conseguire i correlati emolumenti. Se, infatti, l'obbligo di retribuzione
in maniera adeguata è stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia
incondizionato e preciso nella parte riguardante il diritto che la
formazione sia retribuita, tanto non può affermarsi con riguardo alla
retribuzione pretesa da coloro che, come parte ricorrente, abbiano
frequentato i corsi di specializzazione prima dell'anno accademico 1991/92
senza dare prova che essi fossero perfettamente conformi alle disposizioni
contenute nel ridetto allegato. La riconosciuta discrezionalità in materia
della Amministrazione e la insussistenza di un obbligo giuridico, in virtù
del diritto comunitario, di attuazione retroattiva delle direttive in
questione con riguardo alla pretesa fatta valere in giudizio, escludono la
possibilità di estendere il giudicato derivato dalle sentenze alle quali
si riferisce la legge 19 ottobre 19991 n. 370 anche ai non ricorrenti. è
noto, infatti, che in materia di estensione del giudicato la pubblica
amministrazione gode di ampia discrezionalità. Non può essere,
pertanto, condivisa la censura di omessa estensione del giudicato
derivante dalle anzidette sentenze: l'operazione non costituisce un
obbligo per l'amministrazione, al quale corrisponda un diritto del privato
azionabile in sede di giudizio di legittimità (Cons. Stato, Sez. VI, 29
settembre 1998 n. 1317). Le considerazioni in precedenza svolte
impediscono anche di apprezzare positivamente la dedotta illegittimità
della condizione apposta alle impugnate disposizioni che subordinano la
retribuibilità dei corsi al mancato svolgimento di qualsiasi attività
professionale retribuita durante la loro frequenza. Ed invero, la tardiva
attuazione delle direttive comunitarie in materia ha comportato la mancata
imposizione ai medici che hanno frequentato i corsi di specializzazione
prima dell'anno accademico 1991/92 di tutte le limitazioni e le
incompatibilità introdotte con il decreto legislativo 257 del 1991, di
attuazione delle anzidette direttive. Si sono, pertanto, venute a
determinare situazioni non comparabili tra loro perché non è stato
precluso, ai medici non soggetti al regime del decreto legislativo 257 del
1991, di portare a termine i corsi con la possibilità (non importa se in
concreto utilizzata) di esercitare attività libero - professionale ovvero
di avere rapporti di lavoro compatibili con la frequenza dei corsi.
Costoro, pertanto, non possono rivendicare lo stesso trattamento riservato
ai borsisti ammessi sulla base di un differente regime giuridico
introdotto dal decreto legislativo 257 del 1999, ai quali sono stati
riconosciuti emolumenti (allo scopo di consentirne la sopravvivenza)
proprio a seguito del divieto loro imposto di svolgere qualsiasi attività
ulteriore alla frequenza dei corsi di specializzazione (Cons. St., Sez.
VI, 15 dicembre 1999, n. 2090). Né possono essere condivise le censure
mosse contro il decreto ministeriale 14 febbraio 2000, pubblicato sulla G.
U. 27 marzo 2000 n. 72, col quale a seguito dell'art. 11 della legge 370
del 1999, l'amministrazione ha sostanzialmente negato il soddisfacimento
della pretesa in questa sede azionata. L'anzidetto provvedimento non è
stato, difatti, impugnato nei termini di decadenza pur essendo dalla data
della sua pubblicazione direttamente e immediatamente lesivo. Da siffatta
situazione discende l'insussistenza dell'obbligo dell'amministrazione di
pronunciarsi nuovamente sulla richiesta già sostanzialmente negata (Cons.
Stato, Sez. II, 17 aprile 1996 n. 772). Deve essere ancora osservato che,
in mancanza di prova sul rispetto di tutte le condizioni prescritte dalla
normativa comunitaria, che avrebbero dovuto avere i corsi di
specializzazione seguiti dai medici ricorrenti in epoca anteriore all'anno
accademico 1991/92 e in assenza di una normativa interna che riconosca la
retribuibilità anche dei corsi non conformi alle disposizioni comunitarie,
appare priva di manifesto fondamento la eccezione di incostituzionalità
del decreto legislativo 257 del 1991 prospettata dai ricorrenti senza
argomenti minimamente convincenti. Sono, inoltre, da considerare due
eccezioni che traggono fondamento dalla prospettazione dei ricorrenti di
avere diritto alla sovvenzione per i corsi seguiti con successo, che si
sono conclusi con l'acquisizione del titolo di specializzazione. La
prima è opposta dalla amministrazione resistente. Ed invero, in difetto di
precedenti atti interruttivi, il diritto a percepire somme sostitutive
dell'adeguata remunerazione prevista dalle direttive comunitarie, così
come quello al risarcimento del danno, si sono prescritti con il decorso
di un quinquennio, trattandosi di somme da corrispondersi ad anno ai sensi
dell'art. 2948 n. 4 c. c. (TAR del Lazio, sentenze 640 del 1999 e 6691 del
2001) a decorrere dall'epoca in cui i diritti in questione avrebbero
dovuto essere fatti valere (Cass. Civ., Sez. lav., 3 giugno 2000, n.
7437), cioè dalla data di assunta maturazione del diritto, coincidente con
la conclusione di ciascun anno accademico in cui la parte ha frequentato
il corso di specializzazione o, al più tardi, dalla data in cui esso
diritto è stato sostanzialmente negato, coincidente con quella di
emanazione del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, di attuazione
della direttiva 82/76CEE con decorrenza solo dall'anno accademico
1991/1992 (vale a dire ottobre 1991). Gli stessi termini possono essere
considerati rilevanti ai fini del richiesto risarcimento dei danni,
peraltro non provati né nella loro sussistenza né nella entità. La
seconda, rilevata d'ufficio, riguarda la prescrizione della stessa azione
promossa in ricorso. Ed invero, il diritto di azione, che è subordinato
all'esercizio entro il termine di 60 giorni dalla notifica o dalla
conoscenza dell'atto autoritativo, è soggetto al termine di prescrizione
quando si tratti di rapporti non connessi all'emanazione di un atto del
carattere anzidetto. Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha
avuto occasione di affermare che la tutela dei diritti soggettivi a
contenuto patrimoniale (quali sono quelli prospettati in ricorso) è
esperibile nell'ambito della giurisdizione esclusiva fino a che tali
diritti non siano estinti per prescrizione, indipendentemente dalla
impugnativa nei termini di legge di atti amministrativi non autoritativi
aventi a oggetto quei diritti. Pertanto, il ricorso può essere proposto
finché non sia scaduto il termine di prescrizione. (Cons. Stato, VI, 10
luglio 1957 n. 511). Dopo quanto detto perdono rilievo le richieste di
investire della questione la Corte Costituzionale sulla pretesa
illegittimità dell'art. 11 della legge 370 del 1999, nonché del decreto
ministeriale 14 febbraio 2000 in relazione agli articoli 3, 10, 11, 35 e
97 della Costituzione. A prescindere dalla circostanza che la questione di
incostituzionalità non potrebbe investire il decreto ministeriale, si
osserva che, al contrario, proprio l'accoglimento della domanda dei
ricorrenti introdurrebbe una insopportabile disparità di trattamento tra
questi ultimi e i medici ammessi al corso col nuovo ordinamento, soggetti
a restrizioni non previste per i medici ammessi col vecchio ordinamento.
Anche con i medici beneficiari delle sentenze del TAR del Lazio si
creerebbe disparità di trattamento in conseguenza del congelamento degli
interessi e rivalutazione monetaria operato dalla legge 370 del 1999, al
quale non sarebbero in ipotesi soggetti i ricorrenti di oggi. Le
considerazioni che precedono comportano, per la prevalenza del profilo, la
declaratoria di inammissibilità del ricorso in esame. Atteso che solo da
ultimo la sezione, con sentenza 25 gennaio 2001 n. 689, ha superato i
precedenti orientamenti che oscillavano tra le opposte tesi, sussistono
giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del
giudizio. P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio
- Sezione III bis -dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.
Spese compensate. Così deciso in Roma, dal Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III bis, nella camera di
consiglio del 20 maggio 2002 con l'intervento dei Signori magistrati
elencati in epigrafe. Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Consigliere Vito CARELLA Estensore - relatore.
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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA
SANITARIA
Rubrica
gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in
Medicina Legale Università Cattolica (a cura
di D. Z.)
Definizione transattiva per i danneggiati da
emotrasfusione
È stato
pubblicato (GU n. 280 del 2-12-2003) il D. M. 3 novembre 2003
"Definizione transattiva delle controversie in atto, promosse da soggetti
danneggiati da sangue o emoderivati infetti" con il quale si attuano
le disposizioni già previste in precedenti normative (legge 20 giugno
2003, n. 141) le quali disponevano che, di concerto tra vari Ministeri si
fissassero i criteri per una definizione transattiva per il risarcimento
di tali categorie, in seguito alle conclusioni del gruppo tecnico
appositamente costituito.
Il Decreto
prevede che, per i danni subiti dai soggetti emofiliaci a seguito di
assunzione di emoderivati infetti si provveda mediante a) stipula di
atto formale di transazione con gli eredi di danneggiati deceduti; b)
stipula di atto formale di transazione con i soggetti danneggiati viventi
che abbiano ottenuto almeno una sentenza favorevole; c) stipula di
atto formale di transazione con i soggetti danneggiati viventi che abbiano
in corso una vertenza giudiziaria anche senza avere ancora ottenuto alcuna
sentenza favorevole.
Il
Ministero è incaricato di predisporre i necessari moduli transattivi; i
pagamenti verranno effettuati appena verificati alcuni parametri
indispensabili (che dovranno essere documentati dai richiedenti): a)
esatta identificazione del soggetto stesso; b) verifica della
patologia contratta; c) accertamento della posizione di erede
(legittimo o testamentario), in caso di sopravvenuto decesso del
danneggiato.
La
documentazione di cui sopra dovrà pervenire entro il termine di trenta
giorni decorrenti dalla pubblicazione del presente decreto; in caso di
vertenza giudiziaria in corso la documentazione sarà acquisita
dall'Amministrazione per il tramite dei legali difensori in giudizio dei
soggetti danneggiati.
Occorre
valutare alcuni aspetti poco chiari:
-
Il
decreto sancisce espressamente il risarcimento per i soggetti emofilici,
non menzionando le altre categorie che pure possono vantare, a norma di
legge, tale diritto (emotrasfusi non emofilici, operatori sanitari
ecc.).
-
Il
termine di trenta giorni dalla pubblicazione del Decreto appare
eccessivamente ristretto, soprattutto considerando che in questo periodo
cadono anche le festività natalizie, con chiusura anche degli uffici
giudiziari; essendoci stata la pubblicazione in data 2/12/2003, i
termini scadrebbero il 2/1/2004, data francamente poco realistica.
Tre diversi ricettari per stupefacenti: un po' di confusione
per il medico
I cambiamenti che si
sono verificati a proposito della prescrizione dei farmaci stupefacenti,
ha portato non poca confusione tra i medici, che spesso non sono stati
messi in grado di capire e coordinare le diverse norme che si sono
succedute e sovrapposte. È utile, perciò, esporre un sintetico
riepilogo della situazione. È da tener presente
innanzitutto che tra poco tempo saranno in circolazione contemporaneamente
TRE diversi ricettari per la prescrizione degli stupefacenti. Questo
ha creato difficoltà in quanto i termini "vecchio" e "nuovo ricettario"
indicavano di volta in volta un oggetto diverso.
I ricettari in vigore
sono:
- Ricettario
"antico": (D. L. 539 del 30/12/92) Il "classico"
ricettario giallo diviso in tre parti e distribuito dagli Ordini dei
Medici. Questo ricettario è tuttora in vigore (e quindi non va distrutto
né accantonato) per certi casi particolari: essenzialmente per la
prescrizione in caso di patologie acute, per le prescrizioni ai
tossicodipendenti in terapia di disassuefazione, per le prescrizioni di
principi attivi NON compresi nell'allegato IIIbis della legge.
- Ricettario
"vecchio" (L. 8/2/2001, N. 12., quello che i medici chiamano
erroneamente "nuovo" perché attualmente in distribuzione presso le
ASL). è il ricettario previsto dalla successiva normativa: tre fogli
autocopianti, con diciture in italiano, contenenti diciture che indicano
la necessità di riportare le confezioni e la posologia in tutte lettere.
Permettono la prescrizione fino a 30 giorni, limitatamente alle
patologie dolorose croniche e per i principi attivi elencati
nell'allegato III bis.
- Ricettario
"nuovo" non ancora in distribuzione (D. M. 4/4/2003 GU
n. 122 del 28-5-2003), simile al ricettario n. 2 ma con alcune
modifiche (le scritte sono in diverse lingue per le Regioni e Provincie
ove vige il bilinguismo; non ci sono più le diciture che chiedono la
prescrizione in tutte lettere).
Le norme attuali
prevedono dunque:
- Il ricettario n.
1 (antico) resta valido per i casi citati sopra, con le modalità
"classiche" (prescrizione per otto giorni, tutte lettere ecc.).
Inizialmente, in attesa della stampa e distribuzione del ricettario n.
2, è stato consentito ai medici l'uso del ricettario n. 1 con le
modalità prescrittive del ricettario n. 2. Ciò non è più possibile, in
quanto è ormai distribuito il ricettario n. 2.
- Il ricettario n.
2 ("vecchio") è in distribuzione ad esaurimento, e verrà sostituito dal
n. 3. Ad esso (n. 2) si riferiscono le norme quando stabiliscono che
il vecchio ricettario possa essere usato ad esaurimento (NON ci si
riferisce al ricettario 1, quello "antico"!). Il ricettario n. 2 va
usato con i criteri stabiliti per il ricettario n. 3.
- Il ricettario 3
("nuovo") è tuttora in fase di stampa, ed è temporaneamente sostituito,
ad esaurimento, dal ricettario n. 2; per un certo periodo, quindi,
il ricettario 2 ed il 3 circoleranno contemporaneamente.
- I criteri
stabiliti per il ricettario n. 3 (e quindi validi anche per il 2)
sono, essenzialmente:
a) sono consentite le comuni siglature e
abbreviazioni, b) la posologia, modo e tempo di somministrazione,
numero di confezioni, possono essere indicati in numeri e non in tutte
lettere, c) non ci sono limiti al numero delle confezioni (il
farmacista, in mancanza di spazio, può attaccare le fustelle sul retro
della ricetta), d) è eliminato l'obbligo di indicare l'indirizzo del
paziente.
Il medico, quindi, può
prescrivere con il nuovo ricettario in modo molto simile alle comuni
ricette del SSN: "Sig. YYY XXX (nome commerciale) cpr da 20
mg., 12 scatole - 2 cpr 3 volte al dì. ZZZ (altro nome commerciale)
cps da 10 mg., 6 scatole- 1 cps mattina e sera". Restano
obbligatori la firma per esteso e il timbro del medico.
Altri punti
importanti per le prescrizioni su ricettari 2 e 3:
- Il medico può
variare la terapia in corso ed effettuare nuove prescrizioni anche
se non è trascorso il periodo coperto dalla ricetta precedente.
- Il ricettario
deve essere usato anche per la ricettazione di buprenorfina nelle
terapie croniche.
- Lo stesso per i
prodotti con associazione di più principi attivi, se per terapie
croniche e almeno uno è incluso nell'allegato III bis.
- Il ricettario è
personale, e non può essere utilizzato dal sostituto.
- La ricetta per
stupefacenti (riferendoci sempre ai ricettari 2 e 3) è valida su
tutto il territorio nazionale, e non solo nella regione di
emissione.
- La ricetta
rilasciata da medico non convenzionato è valida per il ritiro del
farmaco in regime privato (a pagamento); il medico rilascerà al paziente
solo la ricetta originale. Per la dispensazione a carico del SSN la
ricetta deve essere rilasciata dal medico convenzionato, che rilascia
invece originale e una copia.
- Per
approvvigionamento da parte del medico per uso professionale urgente
il medico effettua un'autoricettazione, appone sulla ricetta la
dicitura "Autoprescrizione", senza rispettare i limiti quantitativi
richiesti al paziente; il farmaco deve essere acquistato in regime
privato (a pagamento).
Per maggiori
chiarimenti è disponibile sul sito del Ministero della Salute (http://www.ministerosalute.it/) una esauriente pagina di
spiegazioni, comprensiva di un filmato esplicativo.
Daniele Zamperini
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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di
novembre-dicembre 2003 (a cura di Marco Venuti)
La consultazione dei documenti
citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico
& Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 22. 11.
2003. Per consultarli, cliccare qui |
DATA GU |
N° |
TIPO DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI CHE TRATTA? |
24.11.03 |
273 Suppl. Ord. 180 |
Decreto del Ministero dell'istruzione
dell'università e della ricerca 07.10.03 |
Determinazione del numero dei medici da
ammettere alle scuole di specializzazione per l'anno accademico
2002/2003 |
... |
25.11.03 |
274 |
Decreto del Ministero della salute
21.11.03 |
Istituzione dell'elenco di farmaci da
sottoporre a monitoraggio intensivo ai sensi del decreto legislativo
n. 95/2003 |
Importante per tutti i medici |
25.11.03 |
274 Suppl. Ord. 181/L |
Legge 326 |
Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei conti pubblici |
Da segnalare gli articoli 48, 49 e 50 che
apportano rilevanti novità in ambito sanitario |
02.12.03 |
280 |
Decreto del Ministero della salute
03.11.03 |
Definizione transattiva delle controversie in
atto, promosse da soggetti danneggiati da sangue o emoderivati
infetti |
... |
10.12.03 |
286 |
Decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 28.11.03 |
Modifica del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, recante "Definizione dei
livelli essenziali di assistenza", in materia di
certificazioni |
... |
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