Da questo
mese eDott offre un nuovo servizio a tutti i suoi
utenti: "La Guida di Normativa Sanitaria" Una guida
sintetica sulle normative di maggiore interesse per il settore
sanitario. | |
INDICE GENERALE
PILLOLE
APPROFONDIMENTI
MEDICINA LEGALE
E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita da
D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università
Cattolica
PILLOLE
Asma: l'"Hygiene hypotesis" guadagna
terreno
L'"Hygiene
ipotesis" delle malattie allergiche, e quindi anche dell'asma allergico,
sostiene che l'esposizione precoce nella vita ad antigeni batterici
infettivi diminuisce la tendenza del sistema immunitario alla reazione
contro allergeni. Per confermare questa ipotesi sono state misurati i
livelli di endotossine batteriche nella polvere di materasso di 812
bambini, di età media di 9.5 anni. Si è trovato che i livelli di
endotossine erano inversamente proporzionali alla probabilità di essere
affetti da febbre da fieno e asma atopico, ma non erano correlati
significativamente all'asma non atopica. In particolare, il gruppo di
bambini esposti ai maggiori livelli di endotossine manifestavano una
riduzione maggiore dell'80% nel tasso di malattie allergiche rispetto ai
bambini esposti a livelli minori. L'esposizione ad endotossine inoltre
era inversamente correlata alla produzione di citochine di vario tipo,
indicando una retroregolazione del sistema immunitario.
N. E. J. M. 2002
Sep 19; 347: 869-77
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Birra e coronarie
Una birra al giorno
potrebbe levare gli infarti di torno, secondo i risultati ottenuti da un
gruppo di ricercatori della Hebrew University di Gerusalemme. In uno
studio preliminare di un gruppo di uomini affetti da problemi coronarici,
i ricercatori hanno mostrato che bere una birra al giorno per un mese
produce nella chimica del sangue cambiamenti che sono associati a una
riduzione del rischio di infarto. Si tratta di uno degli ormai numerosi
studi che sembrano confermare gli effetti benefici di un moderato consumo
di alcool. I risultati sono stato pubblicati sul "Journal of Agricultural
and Food Chemistry". I cambiamenti osservati nei pazienti partecipanti
al test comprendono la riduzione dei livelli di colesterolo e l'aumento di
quelli degli antiossidanti, oltre alla riduzione dei livelli di
fibrinogeno, una proteina che contribuisce all'ostruzione delle arterie.
Lo studio ha anche mostrato, per la prima volta, che il consumo di alcool
produce un cambiamento strutturale del fibrinogeno che ne riduce
l'attività. I 48 partecipanti allo studio sono stati divisi in due
gruppi. Gli appartenenti al primo gruppo hanno ricevuto una lattina di
birra al giorno, mentre i pazienti del secondo gruppo hanno ricevuto solo
acqua minerale. La dieta, ricca di frutta e verdura, è però stata uguale
per tutti. In 21 dei 24 appartenenti al primo gruppo i ricercatori,
guidati da Shela Gorinstein, hanno trovato cambiamenti della chimica del
sangue che sono associati, secondo studi precedenti, a una diminuzione del
rischio di subire un infarto. Secondo i ricercatori, questo effetto è
dovuto all'alto contenuto di polifenoli della birra.
www.lescienze.it
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Celecoxib versus FANS: una revisione della
letteratura
In questa revisione
sistematica dei lavori presenti in letteratura, sono stati estratti dati
da 9 trials randomizzati e controllati sulla efficacia del celecoxib,
somministrato per un periodo di almenno 12 settimane nel trattamento della
osteoartrosi e artrite reumatoide. Sia il celcoxib che i FANS presi in
considerazione si rivelarono ugualmente efficaci in tutti i parametri
presi in considerazione. L'incidenza di sospensione della terapia a
causa di effetti avversi del farmaco fu del 46% inferiore nel gruppo
trattato con celecoxib. L'incidenza di ulcere rilevate con endoscopia fu
del 71% inferiore tra i pazienti trattati con celecoxib.
BMJ 2002 Sep 21;
325: 619-23
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
I COX2 sono più
tollerati; il celecoxib più degli altri
In questo studio gli
autori hanno paragonato retroattivamente l'incidenza di ricovero per
sanguinamento del tratto gastrointestinale superiore in anziani che
avevano impiegato per la prima volta FANS, rofecoxib, celecoxib o
diclofenac + misoprostolo. Venne incluso nello studio anche un gruppo di
controllo che non aveva impiegato FANS. Tutti i farmaci indicati, ad
eccezione del celecoxib, erano correlati ad una incidenza
significativamente superiore di ricovero per sanguinamento
gastrointestinale superiore rispetto ai controlli. I ricoveri per
sanguinamento gastrointestinale risultarono significativamente meno
numerosi per il gruppo trattato con celecoxib rispetto a tutti gli altri
farmaci e significativamente meno numerodi nel gruppo trattato con
rofecoxib rispetto al gruppo trattato con FANS.
BMJ 2002 Sep
21<325>624/7
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Chronic
Prostatitis Cohort Study (SPCS): primi dati
Nel 1998 il National
Institute of Health varò lo studio CPCS in cui vennero arruolati 488
uomini di età media di 43 anni affetti da prostatite cronica o da sindrome
dolorosa cronica della pelvi. Lo studio aveva le caratteristiche di
studio prospettico. Vengono ora pubblicati i primi dati che descrivono
le caratteristiche di base della coorte. Tutti gli uomini accusavano
sintomi dolorosi o di fastidio nella regione pelvica per almeno 3 dei 6
mesi precedenti. I sintomi erano localizzati nel 68% dei casi nell'area
tra il retto ed i testicoli, nel 60% dei casi sotto la cintura nell'area
pubica corrispondente alla vescica, e nel 48% nei testicoli. Durante o
dopo un rapporto sessuale nel 52% dei casi veniva accusato dolore o
fastidio e nel 40% dei casi durante la minzione. Alla palpazione della
prostata, nel 38% dei casi si evocò dolore. La maggior parte dei pazienti
aveva sperimentato trattamenti diversi con poco beneficio. Di ogni
paziente vennero esaminati campioni di urina, di secrezione prostatica e
liquido seminale. Vennero raccolti campioni di urina e nel 50% dei
campioni di mitto iniziale, nel 43% dei campioni dal mitto intermedio e
nel 77% dei campioni post massaggio prostatico venne rilevato uno o più
leucociti per campo. Impiegando un cutoff di 5 leucociti per campo, un
numero elevato di leucociti venne rilevato nel 49% di campioni di
secrezione prostatica e nel 16% di campioni di liquido seminale. tuttavia
non venne evidenziata correlazione tra gravità della sintomatologia e
conta leucocitaria in questi campioni. Inoltre, nell'8% di questi
campioni le colture per germi risultarono positive, ma senza alcuna
correlazione con la sintomatologia.
Shaeffer AJ et
al Demographic and clinical characteristics of men with chronic
prostatitis : The National Institutes of Health Chronic Prostatitis Cohort
Study. J Urol 2002 Aug: 168: 593-8
Schaeffer AJ et
al Leukocyte and baxcterial counts do not correlate with severity of
symptoms in men with chronic prostatitis : The National Institutes of
Health Chronic Prostatitis Cohort Study J Urol 2002 Sep:168:
1048-53
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Da cellule staminali a reni
Un gruppo di
ricercatori guidato da Yair Reisner, del Weizmann Institute of Science, ha
indotto cellule staminali umane e di maiale a crescere e svilupparsi in
reni funzionanti in topi di laboratorio. Il metodo, descritto sulla
rivista "Nature", potrebbe portare a una soluzione del problema della
perenne scarsità di reni per il trapianto. Le scoperte suggeriscono
che il tessuto fetale umano, o di maiale, potrebbe prendere la forma e la
funzionalità di un rene sano, anche se trapiantato negli esseri umani. Il
tessuto dei maiali, a differenza degli organi interi, non dovrebbe causare
forti reazioni di rigetto, come è stato dimostrato dal recente trapianto
di cellule produttrici di insulina prelevare da un feto di maiale. I
ricercatori sperano quindi che le cellule staminali di maiale possano
fornire una fonte inesauribile per i pazienti che attendono un rene.
Reisner ha trapiantato cellule umane e di maiali precursori di reni in
topi. Entrambi i tessuti hanno dato luogo alla formazione di reni delle
stesse dimensioni di quelli di topo e funzionali. In un esperimento
successivo, i ricercatori hanno iniettato linfociti umani in topi effetti
da immunodeficienza, per avere un'idea della possibile risposta
immunitaria umana, con risultati incoraggianti. La procedura è ora in fase
di studio preclinico, ma se tutto va bene potrebbe diventare utilizzabile
entro pochi anni.
www. lescienze. it
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Dai pipistrelli una nuova arma contro
l'ictus
Una potente sostanza
anticoagulante estratta dalla saliva di una specie di pipistrelli vampiri
può essere usata per un periodo di tempo almeno tre volte più lungo delle
attuali terapie trombolitiche. La sostanza, il cui nome è desmoteplase,
contiene un potente fattore che individua e distrugge la fibrina che
costituisce lo scheletro del trombo. L'unico trombolitico approvato dalla
FDA negli USA per il trattamento dell'ictus è un ricombinante
dell'attivatore tissutale del plasminogeno (rt-PA) che deve essere
somministrato entro 3 ore dall'insorgenza dei sintomi di ictus. Il
desmoteplase, che tra l'altro non presente alcun effetto sfavorevole sulle
cellule cerebrali, può essere somministrato anche fino a 9 ore dopo
l'insorgenza dell'ictus come si sta verificando in un vasto trial di fase
III in Europa, Asia e Australia
Lancet 2003;
361:149
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Dopo l'infarto è utile prescrivere l'ACE
inibitore
Dopo un infarto
miocardico, il paziente facilmente può andare incontro a scompenso o
disfunzione ventricolare sinistra. Gli ACE inibitori riducono la mortalità
e la morbilità riferibili a queste problematiche. Oltre a questo vi
sono ipotesi teoriche che sostengono l'impiego degli antagonisti
dell'angiotensina II a livello recettoriale. In questo trial
multinazionale doppio cieco, 5477 pazienti (età 50 o più) con infarto
miocardico e scompenso cardiaco acuto o infarto anteriore acuto o recidiva
di infarto furono randomizzati per ricevere losartan (fino a 50 mg/die) o
captopril (fino a 50 mg x 3/die). Durante un follow-up medio di 2. 7
anni, l'incidenza di mortalità per tutte le cause fu leggermente, ma non
in modo significativo, più alta nel gruppo trattato con losartan (18%
contro 16%, P= 0. 07). Fu rilevato inoltre un trend verso una maggiore
incidenza di morte cardiaca improvvisa o arresto cardiaco acuto recuperato
con rianimazione nel gruppo trattato con losartan (9% contro 7%, P=0.
007). L'incidenza di infarto fatale e non fatale fu la stessa nei due
gruppi (14%). Un numero significativamente minore di pazienti trattati
con losartan interruppe il trattamento (17% contro 23%).
Lancet 2002 sep 7;
360: 752-60
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
L'endoscopia con la
capsula!
È stata messa a punto
una capsula da inghiottire che contiene una telecamera che nel transito
attraverso il tratto gastrointestinale fotografa i vari segmenti di
intestino, inviando le immagini ad un ricevitore esterno che il paziente
porta con sè. Attualmente questo dispositivo è stato approvato dalla
FDA per l'esame dell'intestino tenue. In questo studio sono stati
valutati 20 pazienti in cui vi era il sospetto di alteraziioni patologiche
a carico dell'intestino tenue. 13 di essi presentavano sanguinamento
di origine ignota e in 3 vi era il sospetto di malattia di Crohn. Ogni
paziente fu anche studiato con la radiologia convenzionale. In 3
pazienti di dimostrarono anomalie del transito della colonna baritata.
Invece, mediante la telecamera incapsulata fu possibile rilevare
angiodisplasie in 8 pazienti. In 1 di essi si evidenziò un sanguinamento
in atto. In 3 pazienti si evidenziarono ulcerazioni tipo malattia di
Crohn e in 4 pazienti si videro polipi intestinali. Le caratteristiche
osservate in 9 pazienti risultarono diagnostiche, ovvero le immagini
permisero di rendere conto totalmente della patologia e di fare diagnosi.
Gastroenterology
2002 Oct; 123: 999-1005
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Epatite C: consensus Conference
dell'NIH
Pubblicate nel
novembre 2002 le conclusioni della Consensus Conference sull'epatite C
organizzada dal NIH nel giugno dello stesso anno. I Medici di Medicina
Generale in particolare devono prestare attenzione ai seguenti
punti:
- Nella maggior parte
dei casi, ad un test positivo per la presenza di anticorpi contro l'HCV
deve seguire la conferma mediante saggio qualitativo su RNA di HCV.
- Il trattamento di
scelta è composto da interferone pegilato e ribavirina: la risposta
sostenuta a questa terapia risulta del 40-50% per i pazienti con
genotipo HCV tipo I e del 75-80% per i pazienti con genotipi virali tipo
2 e 3.
- La maggior parte
dei pazienti con livelli di ALT persistenti normali hanno biopsie che
mostrano la presenza di malattia a bassa attività. Non vi è consenso se
praticare biopsie epatiche e trattare pazienti di questo tipo.
Alcuni pazienti con ALT persistenti elevate mostano alla biopsia
minime caratteristiche infiammatorie e assenza di fibrosi. Questi
pazienti possono non essere trattati. Le preferenze dei pazienti possono
giocare un ruolo nella strategia terapeutica di questi casi a basso
rischio. Se il trattamento è rimandato si deve attuare un follow-up
periodico.
- Dalla parte opposta
dello spettro vi sono pazienti con fibrosi e cirrosi. Questi pazienti
mostrano un basso tasso di risposta alla terapia antivirale, ma alcuni
dati suggeriscono come la malattia possa avere un andamento più lento se
trattata.
- Nelle coppie
eterosessuali in cui un partner sia HCV positivo, il rischio di
trasmissione è molto basso. Non viene raccomandato l'uso di
anticoncezionali di barriera, anche se si ricorda che, pur essendo il
rischio basso, esso non è uguale a zero.
National Institutes
of Health consensus Development conference Management of Hepatitis C:
2002 Hepatology 2002 Nov; 36: syuppl 1: S1-S252
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Infarto miocardico acuto (IMA):
trombolisi preospedaliera o angioplastica primaria?
Abbiamo molti studi
che dimostrano che l'angiopalstica primaria è più efficace della
trombolisi intraospedaliera per il trattamento di pazienti con IMA. In
questo studio si cerca di verificare se la trombolisi precoce
extraospedaliera seguita da ricovero in un centro attrezzato per
cardiologia interventistica possa migliorare i risultati. 840 pazienti
con IMA vennero randomizzati per un trattamento con angioplastica primaria
contro trombolisi preospedaliera seguita da eventuale angioplastica (di
salvataggio) quando necessario. 106 pazienti nel gruppo fibrinolisi
vennero trattati con angioplastica di salvataggio. A 30 giorni,
l'incidenza dell'endpoint composito composto da decesso, reinfarto non
fatale, e ictus invalidante non fatale non differì in modo significativo
tra i due gruppi (6.2% angioplastica e 8.2% trombolisi, rispettivamente).
fu rilevato un trend verso una aumentata incidenza di emorragia grave nel
gruppo trattato con angioplastica (2% contro 0.5%). Si ebbero due episodi
di ictus emorragico nel gruppo trattato con trombolisi. questo studio
aveva preventivato il reclutamento di 1200 pazienti. si ha quindi una
perdita parziale dell'efficacia dei dati secondo quanto preventivato
all'inizio. attualmente la strategia di scelta per il trattamento
dell'IMA è l'angioplastica. Se fosse confermato il risultato di questo
studio, effettuando prima la trombolisi al letto del paziente e in seguito
una eventuale angioplastica si otterrebbero diversi vantaggi: un minore
numero di interventi e un grosso risparmio in risorse, e un intervento
precoce che, se anche non ottenesse il risultato sperato farebbe comunque
guadagnare tempo e metterebbe il cardiologo interventista in condizioni di
lavorare in modo più semplice.
Lancet 2002 Sep 14;
360: 825-9
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Losartan
contro Atenololo nell'ipertensione sistolica isolata
Lo studio LIFE ha
riportato una minore incidenza di ictus in pazienti ipertesi trattati con
losartan rispetto al trattamento con atenololo, a parità di effettto
sull'abbassamento ella rpesseione. Lo stesso gruppo di ricercatori ha
ora estrapolato i dati relativi a apzienti afferenti allo studio che
mostravano una ipertensione sistolica isolata. I pazienti erano 1326,
di età media di 70 anni con pressione sistolica variabile da 160 a 200 mm
Hg e diatolica < 90 mm Hg. I pazienti erano trattati con losartan
oppure atenololo. Se necessario venivano aggiunti idroclorotiazide e altri
farmaci. Durante un follow-up medio di 4. 7 anni la pressione si
abbassò in misura uguale nei due gruppi. L'incidenza dell'endpoit
primario composito (mortalità cardiovascolare, ictus e infarto miocardico)
fu più bassa nel gruppo trattato con losartan rispetto a quello trattato
con atenololo /11. 4% contro 115. 6% P=0.06). La differenza era
attribuibile principalmente alle differenze nella mortalità
cardiovascolare e per ictus, ma non per infarto miocardico. Nel gruppo
di treattaemtno con losartan si osservarono anche altre differenze in
endpoint secondari: una minore mortalità totale (10% cpontro 14% p=0.046)
e minore insorgenza di nuovi caqsi di diabete (5. 8% contro9. 0% P=0. 04).
Un numero significativamente minore di pazienti in trattamento con
losartan uscì dallo studio a causa di effetti collaterali del farmaco
assunto (7.1 contro 13.5).
JAMA 2002 Sep 25;
288: 1491-8
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Nanotecnologie e
diabete
Sono state presentate
alcune ipotesi per la realizzazione di sensori per la determinazione della
glicemia costruiti con nanotecnologie. Questi minuscoli sensori potrebbero
essere applicati sulla pelle dei pazienti ed indicare con precisione la
glicemia. Al momento si tratta solo di descrizioni per un uso potenziale
nel futuro di questa tecnologia. Due tipi di sensori potrebbero essere
studiati per una futura applicazione pratica: il primo è costituito da
nanoparticelle solide rivestite da enzimi in film sottile; il secondo è
costituito da micro/nanocapsule cave contenenti indicatori fluorescenti,
enzimi o proteine leganti il glucosio. La possibilità di un uso umano di
questi sensori deve tener conto dell'eventuale tossicità, degradabilità e
usura di questi materiali.
Diabetes Technol
Ther 2002;4(4):533-8
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Nicotina
e cancro
Sebbene la nicotina
contenuta nel tabacco non avesse dimostrato effetti cancerogeni diretti, i
ricercatori hanno sospettato per molti anni che essa avesse un ruolo nel
promuovere la crescita tumorale. Recentemente uno studio Statunitense ha
aggiunto nuove prove a questa teoria. Questi nuovi dati richiamano
l'attenzione sull'uso a lungo termine della nicotina come terapia
sostitutiva nella disassuefazione dal tabacco. I ricercatori del National
Cancer Institute di Bethesda e del Lovelace Respiratory Research Institute
di Albuquerque hanno studiato gli effetti della nicotina e del NNK, una
sostanza cancerogena specifica del tabacco, su colture di cellule
epiteliali bronchiali umane normali. Basandosi su precedenti studi che
avevano dimostrato l'attività del sistema enzimatico Akt nelle cellule di
cancro del polmone prelevate da fumatori i ricercatori hanno ipotizzato
che composti come la Nicotina e NNK potessero avere effetto sul sistema
enzimatico Akt anche nelle cellule normali del polmone. Il sistema
enzimatico serina/treonina kinasi Akt regola diverse attività cellulari
come la crescita cellulare e l'apoptosi. L'ipotesi formulata dai
ricercatori è che le cellule con danni al DNA in presenza di Akt attivata
possono più facilmente sopravvivere e crescere e quindi possono accumulare
altri danni al DNA promuovendo la trasformazione da cellule precancerose a
cellule cancerose. I risultati dello studio hanno dimostrato che le
concentrazioni di nicotina e di NNK pari a quelle che si raggiungono nel
sangue dei fumatori attivano la cascata enzimatica dell'Akt. L'attivazione
dell'Akt avviene in pochi minuti e rende le cellule epiteliali normali
dell'epitelio bronchiale più simili alle cellule cancerose. L'apoptosi
viene inibita e viene stimolata la crescita delle cellule malate. Lo
studio dimostra che lo sviluppo del cancro del polmone è più complesso di
quanto si pensasse prima e che l'attivazione dei segnali di trasduzione a
livello cellulare contribuisce alla cancerogenesi tabacco correlata. Lo
studio potrebbe aprire, inoltre, un nuovo filone di ricerca per farmaci
antitumorali. Alcuni hanno suggerito per la nicotina un nuovo meccanismo
d'azione nella cancerogenesi che implicherebbe la promozione dello
sviluppo dei vasi tumorali. La scoperta che la nicotina possa promuovere
la crescita tumorale ha implicazione per i consumatori dei sistemi di
rilascio della nicotina? Questi prodotti sono sicuri? Per quanto emerge
dagli studi attuali non ci sono ancora motivi per controindicare l'uso dei
dispositivi di rilascio della nicotina per le 10 o 12 settimane previste
per la terapia sostitutiva in corso di sospensione del fumo di tabacco e i
vantaggi della cessazione del fumo sono senz'altro maggiori dei rischi
associati nel breve periodo all'assunzione della nicotina. Oltre tale
periodo non possiamo affermare che l'uso della nicotina sia sicuro.
Lancet 2003;361:146
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Nuovo farmaco per l'ipertrofia prostatica
benigna
La Dutasteride
(AVODART) ha ricevuto l'approvazione dei maggiori stati europei per
l'indicazione al trattamento della Ipertrofia Prostatica Benigna con
sintomi moderato - severi e per la riduzione del rischio di ritenzione
urinaria acuta e del trattamento chirurgico. Il farmaco è prodotto dalla
GSK che prevede di lanciarlo sul mercato europeo nella prima metà del
2003. La Dutasteride è, finora, il primo e unico inibitore della 5 alfa
redattasi che agisce su entrambe gli isoenzimi della 5 alfa redattasi,
enzima responsabile della conversione del Testosterone a DHT nella
prostata e negli altri tessuti. La dutasteride riduce del 90% il livello
di DHT e mantiene questo risultato dopo 2 anni di terapia. Avodart
sembrerebbe essere una nuova opportunità terapeutica a lungo termine per i
pazienti affetti da IPB, afferma il Professor Roger Kirby Urologo del St.
George's Hospital di Londra. I trial clinici, condotti su 4. 300 paziernti
con ipertrofia prostatica benigna, hanno dimostrato una riduzione del 57 %
del rischio di ritenzione urinaria acuta, e del 48 % di trattamenti
chirurgici correlati. Gli effetti collaterali più comuni riportati sulle
caratteristiche del prodotto sono: impotenza 6%, alterazioni della libido
3,7 %, alterazioni della eiaculazione 1,8%, ginecomastia 1,3%.
www.docguide.com
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Osteoporosi: U. S. Preventive Services Task Force Issues New
Guidelines
L'USPSTF ha impostato,
sulla base delle evidenze disponibili, nuove linee guida per sollo
screening dell'osteoporosi nella donna in postmenopausa. La conclusione è
che vi sono evidenze importanti che la misurazione della densità ossea
possa predire il rischio di frattura e che il trattamento di donne
asintomatiche con osteopenia e osteoporosi possa ridurre il rischio di
frattura. L'USPSTF raccomanda di iniziare lo screening all'età di 65
anni per tutte le donne e all'età di 60 anni per quelle a rischio
aumentato. La raccomandazione è di tipo B (Intervento raccomandato).
L'USPSTF rileva che la misurazione della densità ossea al collo del
femore mediante metodica DEXA (Dual Energy X-ray Absorbiometry) è quella
che meglio predice il rischio di fratture dell'anca. L'intervallo tra una
misurazione e l'altra non è chiaramente indicato, ma viene specificato che
occorrono 2 anni almeno per mettere in rilievo variazioni. Per donne a
rischio basso è ipotizzabile un intervallo maggiore. Vi sono pochi studi
sul trattamento dell'osteoporosi in donne di età maggiore di 85 anni.
l'USPSTF non ha trovato studi sull'efficacia dello screening. Le sue
conclusioni, quindi, si basano su dati ottenuti da studi sulla
determinazione del rischio o sulla misurazione della densità ossea.
Sono stati identificati parecchi fattori di rischio associati con un
rischio di frattura aumentato, ma le linee guida non indicano quali
fattori di rischio impiegare per decidere se una donne debba iniziare lo
screening a 60 o a 65 anni.
Ann Intern Med 2002
Sep 17; 137: 526-8
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Prevenzione ca della mammella con autopalpazione:
serve?
La BSE (Breast self
Examination) è stata propagandata per anni come misura di prevenzione del
carcinoma della mammella senza che adeguate evidenze ne sostenessero la
validità. Adesso abbiamo a dsiposizione irisultati di un trial
supportato dal NIH che ci permettono di arrivare a conclusioni più sicure.
Sono state incluse nel trial donne lavoratrici in 519 fattorie cinesi.
Circa 133,000 donne ricevettero un accurato training nella
autopalpazione del seno. Un gruppo di controllo della stessa consistenza
non ricevette alcuna istruzione. La mammografia non era disponibile e
la maggior parte delle donne non si sottoponeva a palpazione del seno da
parte del proprio medico. Tutti gli esami istologici furono
riesaminati negli Stati Uniti. In 10 anni di follow-up, il numero di
morti per tumore della mammella risultò virtulamente identico nei due
gruppi: (135 - gruppo BSE e 131 - gruppo di controllo). La
sopravvivenza totale però, per motivi non chiari, risultò leggermente
superiore nel gruppo BSE (95.2% contro 94.9%, risultato significativo).
Nel gruppo BSE vennero praticate 3600 biopsie contro 2400 del gruppo di
controllo) Gli autori concludono che sarebbe opportuno avvertire le
pazienti che l'efficacia della BSE non è dimostrata.
J Nat. Cancer Inst
2002 Oct 2; 94: 1445-57
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Primi successi dei linfociti T contro il
cancro dopo 20 anni di delusioni
Nell'ambito delle
masse tumorali sono presenti linfociti T (tumor-infiltrating
lymphocytes-TILs) dotati di capacità citotossiche nei confronti delle
cellule neoplastiche. Il loro piccolo numero tuttavia ben poco può
fare contro la intensa proliferazione cellulare maligna. I ricercatori
hanno quindi avuto l'idea di prelevare campioni di tessuto neoplastico,
isolare i linfociti T e moltiplicarli in vitro per poi reinfonderli nel
paziente. Questo accadeva 20 anni fa. 20 anni di delusioni ma che
hanno visto un progressivo affinamento della tecnica e una ricerca
continua di nuove e più efficaci soluzioni. In questo ultimo lavoro, i
ricercatori hanno fatto proliferare in vitro solo i linfociti T che
rispondevano ad un ben specifico antigene del melanoma. Inoltre mediante
chemioterapia hanno impoverito il patrimonio linfocitario dei pazienti
prima di reinfondere i linfociti T clonati. Su 13 pazienti affetti da
melanoma in fase terminale si sono avute risposte significative, tra cui
la regressione delle lesioni primarie e delle masse metastatiche. In
due pazienti si è assistito alla regressione del 95% e del 98% delle
lesioni primarie. I linfociti TIL sono rimasti attivi anche per 10
mesi, cosa mai successa in precedenza. Forse è possibile cominciare a
sperare in una effettiva applicazione pratica della metodica.
Science 2002 Sep
19
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Screening del carcinoma della prostata
con il PSA: ancora una prova di non efficacia
In alcuna zone degli
Stati Uniti vi è un atteggiamento aggressivo nei confronti dello screenng
del carcinoma ella prostata mediante PSA. Altre zone mantengono un
atteggiamento più astensionista. Gli autori di questo studio hanno
pensato di utilizzare la disparità di comportamento tra zona e zona per
una sorta di "esperimento naturale". Sono quindi stati confrontati i
dati riguardanti lo screening, il trattamento e la mortalità riferiti a ca
della prostata in 94,900 uomini abitanti nell'area di Seattle - Puget
Sound con i dati di 120,621 uomini abitanti nel Connecticut. alla data del
1 gennaio 1987, la popolazione era di età compresa tra 65 e 79 anni e non
vi erano casi di da tumore della prostata. Dopo 10 anni si sono
esaminati i risultati. Dal 19887 al 1990, il numero di PSA effettuato
a Seattle fu 5.39 volte superiore di quelli effettuati in Connecticut e il
numero di biopsie prostatiche a Seattle fu di 2.2 volte superiore di
quelle effettuate in Connecticut. Durante il follow-up di 10 anni, il
tasso cumulativo di prostatectomia e radioterapia a Seattle furono del
2.7% e 3.9% rispettivamente contro 0.5% e 3.1% del Connecticut. La
mortalità cumulativa per carcinoma della prostata nelle due aree rimase la
stessa, per cui sembrerebbe del tutto inutile la differente impostazione
diagnostica delle due regioni. Questo studio, sebbene
intelligentemente impostato e diligentemento condotto, presenta però due
limitazioni parziali. In primo luogo si tratta di uno studio di tipo
retrospettivo e inoltre, benchè in percentuale diversa tra i due Stati,
solo una bassa percentuale di soggetti inclusi nello studio, anche a
Seattle, è stata sottoposta al test del PSA. È comunque in corso negli
USA un trial randomizzato che si spera chiarirà definitivamente
l'argomento.
BMJ 2002 Oct 5;
325: 740-3
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Nuove conferme all'efficacia della
Talidomide nel trattamento del Mieloma Multiplo
Uno studio recente
condotto presso a University of Texas ha dimostrato che i pazienti affetti
da Mieloma multiplo possono essere efficacemente trattati con la
Talidomide (un farmaco ritirato in precedenza dal commercio a causa dei
suoi effetti teratogeni). Il 70% dei 40 pazienti trattati con una
terapia combinata di Talidomide e Desametasone hanno risposto rapidamente
al trattamento, in genere entro 1 mese dall'inizio della terapia, e tra
questi il 16% ha raggiunto la completa remissione della terapia. Questi
risultati sono stati superiori a quelli di un secondo braccio dello studio
condotto con l'uso della sola Talidomide, in questo secondo gruppo di
pazienti solo un terzo ha ottenuto una remissione parziale e nessuno ha
avuto remissioni complete. Nello studio è stato notato che anche le forme
resistenti della malattia dove i farmaci in monoterapia non hanno alcun
effetto l'associazione Talidomide/ desametasone è efficace per una forte
sinergia trai farmaci. I ricercatori non conoscono ancora bene i
meccanismi d'azione della talidomide come antitumorale, ma ritengono che
essa possa arrestare la crescita tumorale riducendo l'apporto di ossigeno
e fattori nutritivi al tumore interferendo con la formazione dei vasi
sanguigni neoformati. Dato che sono tristemente noti gli effetti
teratogeni della Talidomide le donne in età fertile sottoposte al
trattamento debbono usare assolutamente un metodo contraccettivo sicuro.
I risultati della terapia combinata per via orale sono paragonabili
per efficacia alla tradizionale chemioterapia iniettiva ma gravati da
minor effetti collaterali (vomito, alopecia, anemia, rischi infettivi...).
Secondo gli Autori questo nuovo schema terapeutico rappresenta il
trattamento di scelta di prima linea per il Mieloma e comporta effetti
collaterali che possono essere facilmente prevenuti. Gli autori hanno
notato che circa il 15% dei pazienti trattati con Talidomide e
desametasone sviluppavano trombi a livello delle gambe o dei polmoni,
trattando i pazienti con anticoagulanti questi effetti collaterali
potrebbero essere del tutto annullati. L'obiettivo principale del
trattamento dei pazienti affetti da Mieloma Multiplo è quello di ridurre
il numero e le dimensioni delle lesioni presenti nel midollo osseo nel più
breve tempo possibile in modo da poter eseguire il prelievo di cellule
staminali normali per un successivo trapianto di midollo dopo un
trattamento intensivo. Questo di tipo di trattamento costituito dalla
sequenza: terapia primaria, trattamento intensivo, trapianto di midollo è
ormai il trattamento standard del Mieloma Multiplo per ottenere la più
alta frequenza di remissioni complete. La American Cancer Society
stima circa 14,600 nuovi casi di Mieloma per il 2002 negli USA e 10,800
morti per Mieloma nello stesso anno. La sopravvivenza media dalla diagnosi
è di soli 3 anni e mezzo, ma questi nuovi schemi terapeutici potrebbero
presto modificare i dati attuali.
www.docguide.com
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
Tamoxifene farmaco per la
sterilità?
Il potente farmaco
anticancro tamoxifene potrebbe trovare un nuovo uso nel risolvere i
problemi di infertilità delle pazienti curate per cancro della mammella.
La chemioterapia causa una insufficienza ovarica in molte pazienti e anche
quelle che rimangono fertili impiegano tra i 2 e i 5 anni a concepire. Una
nuova ricerca pubblicata di recente ha evidenziato che la stimolazione con
tamoxifene delle ovaie delle pazienti sopravvissute al cancro della
mammella permette di aumentare il numero di ovociti che possono essere
prelevati per la fertilizzazione in vitro. Fino ad oggi tutte e 12 le
pazienti trattate hanno ottenuto uno o più embrioni per il congelamento,
una paziente ha avuto 2 gemelli ed 1 paziente è riuscita a concepire al
secondo tentativo.
Lancet 2003;
361:149
Torna
alle Pillole Torna
all'inizio
APPROFONDIMENTI
La
responsabilità può essere collettiva, nel caso di
doping
I
genitori di una mia paziente, giovane ma già maggiorenne, mi piombano in
studio per riferirmi qualcosa di grave. A casa loro è arrivato un pacco
postale indirizzato alla figlia, ma da consegnare in realtà al suo
fidanzato. I genitori, insospettiti per lo strano confezionamento del
pacco, per la sua provenienza olandese, e per il fatto di aver dovuto
pagare circa 400.000 L., hanno deciso di aprirlo all'insaputa della
figlia. Il contenuto rappresenta una specie di summa del doping: numerose
di confezioni di Eritropoietina, ormone della crescita, steroidi
anabolizzanti, beta stimolanti, vitamine varie, perfino qualche scatola di
Viagra.
Nonostante le reticenze della mia paziente, riesco a ricostruire
facilmente tutta la storia: con la scusa di non avere la portineria, il
fidanzato fa in modo che i farmaci vengano inviati alla fidanzata, in modo
tale che il suo nome resti in ogni caso "pulito". Più tardi i vari
prodotti verranno smerciati all'interno della palestra, dove entrambi
lavorano come istruttori, a vari clienti che chiedono in maniera
eufemistica qualche "integratore" per migliorare le proprie performances
fisiche.
Francamente non so che fare. È evidente che si tratta di un
reato, ma devo denunciarlo o salvaguardare la mia paziente
?
L'accaduto riferito dal collega, comporta una serie di problemi
medico-legali di rilevante complessità e difficoltà.
Innanzitutto occorre osservare come esista una distinzione
fondamentale tra "doping" e "stupefacenti" (o "farmaci da abuso").
Infatti, benchè il parlar comune confonda spesso queste diverse
fattispecie in realtà, dal punto di vista legale, si tratta di questioni
del tutto diverse: benchè alcuni farmaci possano appartenere ad entrambi i
gruppi (ad esempio alcuni anfetaminici) non è detto che ciò avvenga nella
maggioranza dei casi.
I
farmaci stupefacenti sono regolati dal D. L. 539 del 30/12/92 e
successive modificazioni (fondamentalmente dalla legge 8/2/2001, n. 12, G.
U. n. 41 del 19/2/01).
Tali
leggi stabiliscono e limitano in modo inequivocabile le indicazioni, la
prescrizione, la distribuzione e l'uso di tali farmaci per tutti i
soggetti, con alcune facilitazioni per i soli soggetti neoplastici o
comunque affetti da dolore cronico. Le sostanze stupefacenti vengono
divise in classi diverse (le famose Tabelle) che dettagliano
analiticamente l'uso e la prescrivibilità di tali farmaci.
L'uso
di tali farmaci al di fuori delle indicazioni autorizzate costituisce di
per sè reato penale.
Le
sostanze "dopanti" sono invece sostanze o farmaci di uso comune,
liberamente prescrivibili per una serie svariata di patologie più o meno
gravi, di uso molto diffuso. Alcune di queste non sono neppure veri e
propri farmaci. Il loro uso non costituisce di per sè reato: lo può
divenire solo allorchè la cessione o l'uso avvengano in concomitanza con
attività sportive e siano finalizzate all'alterazione dei risultati.
Vediamo
in dettaglio: le sostanze dopanti sono disciplinate dal Decreto 31/10/2001
n. 440, e dalla Legge 14 Dicembre 2000 n. 376; questa Legge stabilisce che
"costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o
di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive... idonee a
modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine
di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti... sono equiparate al
doping la somministrazione di farmaci e l'adozione di pratiche non
giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a
modificare i controlli sull'uso dei farmaci delle sostanze...".
Deriva
dalla lettura della Legge quindi che il concetto di sostanza dopante è
strettamente connesso a quello di "attività sportive" e di "atletica".
Acquistano quindi valore di doping, qualora assunti a questo scopo, tutta
una serie di sostanze che, usati in circostanze diverse, sarebbero da
considerare farmaci utili o addirittura salvavita.
Non è
la sostanza in sè che fa il doping, ma è l'uso che se ne fa: il
tentativo di alterare, mediante tali sostanze, le performance degli
atleti.
Allo
scopo di controllare meglio il fenomeno doping, il Ministero della Sanità
ha istituito con Decreto 12 Marzo 2001 la Commissione per la Vigilanza
e il controllo sul Doping, e ha anche costituito, aggiornandolo
periodicamente, l'elenco delle sostanze dopanti.
In
questo elenco sono compresi farmaci di importante effetto clinico come i
beta bloccanti, i corticosteroidi, gli anestetici locali, i diuretici,
senza contare i tristemente famosi anabolizzanti, e le emotrasfusioni.
Il fatto
che si tratti di farmaci di uso comune non evita però che il loro uso a
fini dopanti sia disciplinato da norme legali specifiche, di rilievo
addirittura penale:
La
giovane figlia del paziente, che incautamente si è prestata a fare da
"passamano" per la fornitura di tali sostanze, ignora certamente, ad
esempio, che, l'art. 9 della Legge 14/12/2000 n. 376, pubblicata sulla G.
U. del 18/12/2000 n. 294 stabilisce che "salvo che il fatto costituisca
più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e
con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni, chiunque procura ad
altri, somministra, o assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o
di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive ricomprese nelle
classi previste dall'art. 2 comma 1, che non siano giustificati da
condizioni patologiche e che siano idonee a modificare le condizioni
psicofiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni
agonistiche degli atleti ... . La pena è aumentata se dal fatto deriva un
danno per la salute, se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne,
se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI, se il
fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, in questo caso
consegue l'interdizione temporanea all'esercizio della professione".
Il comma
7 poi stabilisce che "chiunque commercia i farmaci ... attraverso
canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie
ospedaliere e da altre strutture che detengono farmaci direttamente,
destinati all'utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da
due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni".
Per
evitare l'aggiramento delle norme mediante la distribuzione dei farmaci
dopanti sotto forma di galenici (preparati dal farmacista e quindi non
risultanti tra le comuni prescrizioni del SSN) la legge prevede appunto
che le preparazioni galeniche, officinali o magistrali che contengono i
principi attivi appartenenti alle classi farmacologiche vietate, sono
prescrivibili solo dietro presentazione di ricetta medica non
ripetibile; il farmacista è tenuto a conservare l'originale della
ricetta per sei mesi.
È chiaro
che alcune sostanze tra quelle numerate sono indubbiamente comprese
nell'elenco delle sostanze dopanti: Eritropoietina, ormone della crescita,
steroidi anabolizzanti, beta stimolanti.
È utile
ricordare come tra le sostanze "dopanti" siano stati inclusi (in base alla
normativa del Comitato Olimpico Internazionale) principi attivi
solitamente considerati innocui o usati per patologie del tutto diverse.
Qualche esempio:
-
Alcool
-
Cortisonici
-
Betabloccanti
-
Anestetici locali.
Le
responsabilità penali
È
evidente come diversi soggetti possano venire implicati nel compimento di
tali reati: il medico che incautamente avesse prescritto tali farmaci (o
il farmacista che li distribuisse irregolarmente) incorrerebbe, oltre alle
pene detentive e pecuniarie, anche nell'interdizione all'esercizio
professionale; alle "sole" pene detentive e pecuniarie incorrerebbero
invece il procacciatore, il custode, il distributore, l'eventuale
importatore.
La
ragazza si è perciò prestata, certo inconsapevolmente e credendo di fare
solo un favore al fidanzato, a un gioco molto pericoloso, che per certi
aspetti è assimilabile a coloro che detengono e spacciano stupefacenti.
Astuto
(dal suo punto di vista) appare il comportamento del fidanzato, abilissimo
nello scaricare i rischi sulle spalle della ragazza.
Cosa
deve fare il medico?
Occorre
per prima cosa valutare se il collega che ci ha scritto sia un libero
professionista o un medico convenzionato con il SSN.
È noto
infatti come il medico convenzionato possa trovarsi, nello svolgimento
delle sue mansioni, a svolgere il ruolo di Pubblico Ufficiale, per cui può
soggiacere a norme particolarmente severe.
Il
medico (qualsiasi medico, anche libero-professionista) che in occasione
della sua attività professionale venga a conoscenza di un reato
perseguibile d'ufficio, ha obbligo di presentare referto
all'Autorità Giudiziaria.
Il nuovo
Codice di Procedura Penale art. 334 stabilisce, a questo proposito:
"Chi ha l'obbligo di referto deve farlo pervenire entro 48 ore o, se vi
è pericolo di ritardo, immediatamente al Pubblico Ministero o a qualsiasi
Ufficiale di Polizia Giudiziaria nel luogo in cui ha prestato la propria
opera o assistenza, ovvero, in loro mancanza, all'Ufficiale di Polizia
Giudiziaria più vicino. Il referto indica la persona alla quale è stata
prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si
trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonchè il luogo, il
tempo e le altre circostanze dell'intervento; dà inoltre le notizie che
servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato
commesso e gli effetti che ha causato o può causare...".
L'art. 365 c. p. stabilisce poi che "Chiunque avendo
nell'esercizio di una professione sanitaria prestata la propria assistenza
od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per i
quali si debba procedere d'ufficio omette o ritarda di riferire alle
Autorità indicata nell'art. 361, è punito con la multa fino a un milione.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona
assistita a procedimento penale".
Come si
può osservare, perchè scatti l'obbligo di referto occorre che:
-
Il medico abbia
prestato assistenza o opera professionale (sono esclusi i pettegolezzi o
le notizie apprese in occasioni diverse).
-
Che i fatto possano
presentare i caratteri di delitto perseguibile d'ufficio (non è
necessario che ciò sia certo, è sufficiente che sia
possibile).
-
Il fatto non esponga
il proprio assistito a procedimento penale (per assistito si intende la
persona a cui si è prestata assistenza o opera).
Nel
caso in oggetto non sembra che siano presenti le caratteristiche che
obblighino al referto.
Diverso
è il caso del Medico Convenzionato: in quanto Pubblico
Ufficiale egli può essere tenuto all'obbligo di denuncia.
La
denuncia è la segnalazione all'autorità Giudiziaria di un reato,
obbligatoria da parte di un Pubblico Ufficiale o da un Incaricato di
Pubblico Servizio che siano venuti a conoscenza di un reato
perseguibile d'ufficio (art. 333, 361, 363, 331, 332, 362 C. P. ).
Per
quanto riguarda la denuncia l'art. 331 stabilisce che "I Pubblici
Ufficiali o gli Incaricati di un pubblico servizio che nell'esercizio o a
causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizie di un reato
perseguibile d'ufficio, devono farne denuncia per iscritto anche quando
non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La
denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al Pubblico Ministero o a
un ufficiale di Polizia Giudiziaria. Quando più persone sono obbligate
alla denuncia per il medesimo fatto esse possono anche redigere e
sottoscrivere un unico atto ...".
L' art.
332 precisa: "La denuncia contiene l'esposizione degli elementi
essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della notizia
nonchè le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile,
le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione
della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di
coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti la
ricostruzione dei fatti".
Come si
può osservare, perchè scatti l'obbligo di denuncia occorre essenzialmente
che il collega abbia avuto notizia di reato "nell'esercizio e a causa
delle sue funzioni", sia stato cioè interpellato nella sua specifica
qualità di medico curante. Egli solo può valutare se così sia stato o se
invece il colloquio avuto con i genitori, indipendentemente dal luogo ove
si sia svolto, sia stato solo uno sfogo o una richiesta di consiglio
rivolta ad un amico, e, sostanzialmente, extraprofessionale.
Certo,
in ogni caso, l'imprudente ragazza va assolutamente informata e fermamente
ammonita a non farsi docilmente strumentalizzare da chi, evidentemente,
abusa del suo sentimento e della sua buona fede.
Un'
ultima annotazione: l'art. 76 del Codice Deontologico vieta espressamente
al medico di consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti
dopanti. Queste regole forse non sono abbastanza rispettate, ma le
conseguenze di un incauto comportamento possono essere gravi.
Daniele Zamperini (pubblicato con qualche modifica su "Occhio
Clinico" Giugno 2002)
Torna ad Approfondimenti Torna
all'inizio
MEDICINA LEGALE E NORMATIVA
SANITARIA
Rubrica
gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in
Medicina Legale Università Cattolica (a cura
di D. Z. )
Va
riconosciuto il danno morale anche alla moglie separata della vittima di
un sinistro
Cassazione III civ. n. 10393 del 17 luglio 2002
N. G.
vedova B., in proprio e nel nome dei figlio, chiedeva in giudizio innanzi
al tribunale di Prato il risarcimento dei danni per un sinistro nel quale
era morto B. C., rispettivo marito (da cui era separata) e padre. In
seguito ad un complesso iter processuale, si adiva alla Corte di
Cassazione perchè valutasse la legittimità della richiesta di danno morale
avanzato dalla N. G. la quale sosteneva che tale risarcimento sarebbe
stato a lei spettante, tenuto conto dell'estremo disagio materiale e
morale in cui ella versava in seguito alla morte del marito. Lo stato di
separazione non valeva infatti ad escludere che la N. avesse provato
sofferenza morale e patema d'animo, onde non le si poteva negare il
"pretium doloris". La Corte approvò questa tesi, ricordando che il
danno morale, tradizionalmente definito come "pretium doloris", viene
generalmente ravvisato nell'"ingiusto turbamento dello stato d'animo
del danneggiato in conseguenza dell'illecito", o anche nel "patema
d'animo o stato d'angoscia transeunte" generato dall'illecito; il
Tribunale aveva negato il risarcimento a questo titolo alla N. col
semplice rilievo "che non può rientrare in tali concetti l'aggravio di
responsabilità che deriva alla madre per la crescita e l'educazione del
figlio a seguito della morte del padre; aggravio che, nella normalità,
deve ritenersi non si concreti in un danno risarcibile". Questo
ragionamento, afferma la Corte, per le sue evidenti lacune logiche e
giuridiche, non può essere condiviso. Occorre sottolineare che lo
stato di separazione personale non è incompatibile, di per sé solo, col
risarcimento del danno morale a favore di un coniuge per la morte
dell'altro coniuge, dovendo aversi riguardo alla sua almeno tendenziale
temporaneità e alla possibilità, giammai esclusa "a priori", di una
riconciliazione che ristabilisca la comunione materiale e spirituale tra i
coniugi, nonchè alle ragioni che l'hanno determinato e a ogni altra utile
circostanza idonea a manifestare se e in qual misura l'evento luttuoso,
dovuto all'altrui fatto illecito, abbia provocato, nel coniuge superstite,
quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano
alla morte di una persona più o meno cara. La Corte, non condividendo
quindi la motivazione adottata dal Tribunale (che aveva identificato il
danno morale solo col peso, venuto a gravare unicamente sulla madre, della
responsabilità del mantenimento, dell'educazione e dell'istruzione del
figlio), sottolinea che questi non poteva fermare qui la sua indagine, ma
avrebbe dovuto accertare altresì se quell'importo potesse essere
accordato, secondo la sua naturale finalità, quale "pecunia doloris",
ossia a ristoro e compensazione di un ingiusto turbamento dello stato
d'animo patito per la morte del marito. La Cassazione cassava quindi,
con rinvio, la sentenza impugnata.
Torna
a Medicina Legale Torna
all'inizio
Il certificato del medico convenzionato ha la
stessa validità di quello del medico dipendente ASL
T. A. R.
Lazio - Roma - Sezione Prima Decisione 8 maggio 2002 n.
8701/2002
I
"medici di base" convenzionati con le Unità Sanitarie Locali sono medici
del Servizio Sanitario Nazionale a tutti gli effetti. Pertanto la
certificazione prodotta da un medico di base che attesti la malattia di
una candidata a concorso, deve essere considerato alla stregua di un
certificato rilasciato dal S. S. N. e, nella specie, dalla U. S. L.
territorialmente competente. È nulla quindi l'esclusione dal concorso dei
candidati che avessero prodotto certificazioni giustificative rilasciate
dal medico di base, non potendo queste essere considerate irregolari.
I
fatti La ricorrente, contrattista presso il Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale, aveva partecipato ad un concorso superando la
prova scritta. Prima di presentarsi alla prova orale, chiedeva che il
suo esame venisse spostato in data successiva (già fissata per le prove di
recupero) presentando un certificato medico rilasciato dal suo medico di
base del Servizio Sanitario Nazionale.
L'Amministrazione la ammetteva alle prove orali, con riserva di
verifica della documentazione sanitaria prodotta a giustificazione della
richiesta di rinvio, ma, successivamente, apprendeva di essere stata
esclusa dalla graduatoria in quanto l'Amministrazione aveva ritenuto
inefficace il certificato medico perché rilasciato da un medico
convenzionato anzicchè da un medico della USL, come richiesto da bando di
concorso.
Il TAR
accoglieva il ricorso in base alle seguenti considerazioni:
"
L'Amministrazione ha ritenuto che il certificato medico prodotto dalla
ricorrente al fine di ottenere il rinvio della prova orale d'esame non
fosse valido perché era stato rilasciato da un medico "convenzionato" con
il S. S. N. anzichè da un medico "dipendente" dalla USL. ... La
tesi dell'Amministrazione non può essere però condivisa. La L.
n. 833 del 1978 qualifica come personale del Servizio Sanitario Nazionale
sia i medici dipendenti dalle Unità Sanitarie Locali (oggi Aziende), sia
quelli "a rapporto convenzionale". I "medici di base" convenzionati
con le Unità Sanitarie Locali sono, dunque, medici del Servizio Sanitario
Nazionale a tutti gli effetti. Ne consegue che il certificato che la
ricorrente ha prodotto alla Commissione esaminatrice al fine di ottenere
il rinvio (per ragioni di salute) della prova orale, non poteva non essere
considerato alla stregua di un certificato rilasciato dal S. S. N. e,
nella specie, dalla U. S. L. territorialmente competente. Né
può essere condivisa l'eccezione dell'Avvocatura Generale, secondo cui
l'art. 10 del Bando prescriveva che il certificato dovesse essere
rilasciato da un Medico di una Unità Sanitaria Locale, sicchè quello
prodotto dalla ricorrente, mancando di tale "requisito soggettivo",
sarebbe da considerare inefficace. Posto, infatti, che il rapporto di
convenzionamento di cui all'art. 48 della L. n. 833/1978 si instaura fra
un medico ed una USL, e che tanto quest'ultima quanto il medico
convenzionato costituiscono articolazioni del S. S. N. , non v'è
alcuna ragione per ritenere che il certificato medico rilasciato da un
medico convenzionato costituisca atto funzionalmente differente dal
certificato rilasciato da una USL e che i due documenti non siano
equipollenti, quanto ad efficacia certatoria, siccome comunque provenienti
da una struttura pubblica. "
Tutt'al
più, aggiunge il TAR, pur ribadendo come tale certificazione mantenga
comunque un suo ambito di validità nell'Ordinamento, " accertata
l'autenticità del certificato (e dunque la sua sostanziale generale
validità di "pubblico atto di certazione"), l'Amministrazione ben
avrebbe potuto chiedere alla ricorrente di farlo, per così dire,
"ratificare" ("avallare" o "convalidare") dalla competente USL con la
quale risultava convenzionato il medico che lo aveva rilasciato; con il
che si sarebbe comunque realizzato l'effetto di regolarizzazione
giustamente invocato dalla ricorrente."
(La
sentenza del TAR ribalta alcune prassi ormai consolidate, restituendo
piena validità alla certificazione del medico di famiglia, in molte
occasioni considerato certificato di "secondo ordine", pressochè privo di
autorevolezza certificatoria. Tale certificato può invece, nella
generalità dei casi, sostituire la certificazione ASL quanto meno sotto
l'aspetto di efficacia certatoria. Questo aspetto, pur molto
soddisfacente per i Medici convenzionati, sottolinea però la
responsabilità che deriva al medico dalla certificazione prodotta in
ambito convenzionato, che è sempre equiparata ad atto pubblico, con tutte
le conseguenze che ne derivino. Daniele Zamperini)
Torna
a Medicina Legale Torna
all'inizio
Non c'è incompatibilità tra invalidità
civile e causa di servizio
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Sezione terza ter)
n. 7779/2002
Alla sig.
ra C. B. , dipendente della Croce Rossa Italiana, era riconosciuta la
dipendenza da causa di servizio dell'infermità "Rachialgia persistente -
Scoliosi vertebrale a doppia curva - Diffusa spondilo - discoartrosi",
valutando la sua menomazione nella percentuale dell'11%.
In epoca
succesiva la ricorrente aveva iniziato un nuovo procedimento per il
riconoscimento dell'equo indennizzo connesso ad altra infermità anch'essa
riconosciuta da causa di servizio, presentando nella documentazione
sanitaria un certificato di invalidità civile rilasciato dalla Commissione
Sanitaria Provinciale Invalidi Civili di Napoli per la stessa infermità.
Per tale motivo la Giunta Esecutiva della C. R. I., ravvisando una
incompatibilità, e considerato che il riconoscimento di invalidità civile
era precedente al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e,
"pertanto, incompatibile con quest'ultimo (art. 1 della legge 118/71)",
annullava i benefici connessi al riconoscimento della causa di servizio.
La C. B.
ricorreva al TAR il quale accoglieva il ricorso.
La delibera
della Croce Rossa, secondo il TAR, non trova plausibile giustificazione
nella disposizione alla quale ha inteso fare riferimento. Infatti
andava premesso che la ricorrente aveva prodotto dichiarazione con la
quale asseverava di essere stata riconosciuta invalida civile senza però
fruire dei benefici previsti dalla legge 118/1971. Il richiamo
all'art. 1 della legge 118/1971 si rivelava erroneo, in quanto tale
articolo reca soltanto la conversione in legge del D. L. 30. 1. 1971;
inoltre, sottolinea il TAR, "mette conto rilevare che, nella legge
118/1971, non si rinviene alcuna disposizione che renda incompatibile il
riconoscimento di invalidità civile (che non abbia dato luogo a benefici
economici) col riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di
infermità. Nei termini in cui è stata motivata, la deliberazione impugnata
dee ritenersi, quindi illegittima."
(È prassi
costante escludere dal riconoscimento di causa di servizio le infermità
che siano state riconosciute in ambito di invalidità civile. La ratio di
tale regola consiste nell'evitare che un invalido riceva più provvidenze
per una stessa condizione morbosa. Benchè la decisione del TAR riguardi un
caso piuttosto specifico, andrà valutato opportunamente se esistano altre
norme esplicite che istituiscano espressamente tale incompatibilità; in
mancanza, non può non sottolinearsi l'inciso del tribunale amministrativo,
che distingue espressamente, per la concessione del beneficio, le
invalidità che non abbiano dato luogo a benefici economici. Daniele
Zamperini)
PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA
UFFICIALE: nel mese di gennaio 2003 (a cura di Marco
Venuti)
La consultazione dei documenti citati, come pubblicati
in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco
Venuti: essa è libera fino al giorno 22. 02. 2003. Per consultarli,
cliccare qui
|
DATA GU |
N° |
TIPO DI DOCUMENTO |
TITOLO |
DI CHE TRATTA? |
02. 01. 03 |
1 |
Conferenza Permanente per
i Rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome, Accordo
30 maggio 2002 |
Accordo tra il Governo,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sul
protocollo operativo dell'indagine sulle condizioni sanitarie dei
cittadini italiani che hanno operato nei territori della
Bosnia-Herzegovina e del Kosovo |
........ |
07. 01. 03 |
4 |
Decreto del Ministero
della Salute |
Elenco dei medicinali
rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale ai sensi del decreto
del Ministero della salute 27 settembre 2002 recante la
riclassificazione dei medicinali ai sensi dell'art. 9, commi 2 e 3,
del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito dalla legge 8
agosto 2002, n. 178, pubblicato nel supplemento ordinario n. 200
alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 249 del 23 otttobre
2002, e successive modificazioni |
Oltre a riportare
l'elenco dei medicinali rimborsabili dal SSN, sono ulteriormente
riscritte la nota 66 e quella sui cortisonici per uso topico
(allegato 3) |
20. 01. 03 |
15 |
Decreto del Ministero
della Salute |
Aggiornamento delle
tabelle contenenti l'elenco delle sostanze stupefacenti e psicotrope
di cui al decreto del Ministro della sanità 27 luglio 1992 ed
aggiornamento degli elenchi delle specialità medicinali di cui al
decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro di
grazia e giustizia 4 dicembre 1996 |
....... |
Torna
a Medicina Legale Torna
all'inizio |