IL NESSO CAUSALE E LA MEDICINA LEGALE: UN
CHIARIMENTO INDIFFERIBILE
1. La pubblicazione dellimportante opera
monografica - la cui lettura è da considerare indispensabile anche per i medici legali
dedicata dal penalista Federico Stella al tema della Giustizia e Modernità
offre unoccasione, da non perdere, per un indispensabile e addirittura urgente
chiarimento sul tema della causalità in medicina legale.
La severa critica che Stella rivolge alla Medicina Legale cui egli imputa due peccati
capitali che sarebbero la conseguenza di una tara di origine risalente agli
inizi del ventesimo secolo è forse in parte eccessiva e frutto di
alcuni equivoci, ma tuttavia adduce anche motivi che impongono una seria riflessione, ed
un tentativo di fare chiarezza. Invero in questi ultimi anni dei tentativi in tal senso
sono stati compiuti, alcuni anche recentemente. Anche in questo ambito, tuttavia, come per
altri cruciali temi della Medicina Legale, non si è soddisfatta lesigenza di dar
seguito ad isolati interventi e convegni ad hoc, con una conclusiva Conferenza di
Consenso che elabori un documento chiaro ed univoco da sottoporre agli studiosi ed
operatori della materia, nonché a giuristi, magistrati ed avvocati.
La tara di origine, secondo Stella, consisterebbe in un antico articolo di Antonio
Cazzaniga che, nel lontano 1919, ha rivendicato lautonomia del concetto di causa
nellambito della medicina legale negando che essa possa accogliere la concezione
condizionalistica e proponendo una criteriologia per laccertamento del nesso causale
rimasta in vita nel corso del secolo, sia pure con modificazioni di qualche concetto, e
della terminologia, apportate da alcuni autori.
Da questa lontana impostazione dottrinale sarebbero derivati i due peccati capitali della
medicina legale.
Il primo "peccato capitale" è così individuato da Stella:
"laver ripudiato e il continuare a ripudiare il concetto di condizione
necessaria, cioè il concetto pacificamente utilizzato nel nostro ordinamento".
Il secondo "peccato capitale" è "laver elaborato dei criteri
di accertamento del rapporto causale, la c.d. criteriologia, che nulla hanno a che
vedere con laccertamento del nesso di condizionamento".
Questo breve passaggio critico dellanalisi compiuta nellopera di Stella
che dedica lintero suo quinto capitolo a "La mancanza di certezze della
scienza" è inserito nellampia trattazione comparatistica, che, con un
linguaggio accessibile anche per chi non sia giurista, affronta il problema cruciale della
giustizia penale europea. LAutore ritiene, con il conforto di molti altri studiosi
italiani e stranieri, che essa sia tuttora profondamente influenzata dal retaggio
autoritario che deriva dalla storia dellEuropa. Mentre nei paesi di common law si
esigono in sede penale prove "oltre il ragionevole dubbio" - sia in
ordine alla colpevolezza che alla causalità - in Europa domina ancora il
pericoloso ed opinabile principio del "libero convincimento" del giudice
che si riflette molto negativamente sul principio democratico fondamentale della "presunzione
di innocenza".
Nel corso della sua approfondita analisi, che prende spunto soprattutto dai problemi
giudiziari connessi allo sviluppo tecnologico - come i processi per danni da prodotti
industriali, da inquinamento, da vendita di taluni farmaci come il talidomide; per il
disastro del Vajont ed altri noti eventi giudiziari italiani e stranieri - Stella denuncia
lo slittamento del diritto penale di evento e della causalità verso la
sostituzione della condicio sine qua non con la causalità generale: si tende
sempre più ad interpretare la condicio sine qua non come condizione necessaria non
già dellevento, bensì dellaumento del rischio.
E un pericolo incombente che si è manifestato proprio nei settori che maggiormente
connotano la "modernità" cioè lattività medica, le
alterazioni ambientali, i danni da prodotto. In questi settori una parte della
giurisprudenza italiana del merito e di legittimità, in sintonia con parte della
dottrina, ha compiuto negli ultimi ventanni passi che allontanano sempre di più il
diritto di evento e di causalità condizionalistica. Questa evoluzione, che è da molti
giudicata negativa, è stata autorevolmente richiamata con chiarezza dalla Commissione
ministeriale istituita con D.M. 1 ottobre 1998 che ha elaborato un nuovo Progetto
preliminare di riforma del codice penale. Nella relazione al Progetto, la Commissione ha
espresso analoghe preoccupazioni specie al riguardo di quel minimo indispensabile
per imputare a chiunque un reato: cioè che sussista il nesso causale tra la sua
azione, od omissione, e levento.
Lo scivolamento verso limpiego progressivo del criterio di probabilità in luogo
di quello di certezza del nesso causale - che sembra abbia avuto una battuta di
arresto in più recenti sentenze della Corte di Cassazione - ha indotto la Commissione a
progettare due articoli che, se davvero faranno parte dellannunciato nuovo codice
penale, non consentiranno equivoci, perlomeno in linea di principio. Lart.13 prevede
infatti che "Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato
se la sua azione od omissione non è condizione necessaria dellevento da cui
dipende lesistenza del reato". A sua volta il progettato art. 14 prevede, circa
i reati omissivi, che "non impedire un evento che si ha lobbligo giuridico di
impedire equivale a cagionarlo, se il compimento dellattività omessa avrebbe
impedito con certezza levento".
Il progetto di riforma pone dunque basi precise e chiare non solo al principio della condizione
necessaria, essenza della dottrina condizionalistica, ma anche a quello della certezza
del nesso causale anche nel caso di condotte omissive.
La civiltà giuridica delle democrazie avanzate si misura, in sede penale, nelle regole
che devono garantire da un lato la protezione dellinnocente dallaltro
quella della vittima attraverso un sistema rigoroso di prove raggiunte "oltre
il ragionevole dubbio" quale richiesto nei paesi di common law. E
questo il tema di fondo della monografia di Federico Stella.
2. A sostegno della sua critica rivolta al primo peccato capitale della medicina
legale, Stella cita dei passi di alcuni autorevoli medici legali nei quali la teoria della
causalità adeguata (di von Kries) sembra presentata come preferibile o, addirittura, come
quella accettata dal vigente ordinamento italiano che invece, come già ricordato, si
basa, indiscutibilmente, sulla teoria della condicio sine qua non (di von Buri),
cioè della condizione necessaria o dellequivalenza delle cause. Così
risulta dagli art. 40 e 41 del vigente codice penale benché in essi lespressione
"condizione necessaria" non figuri.
Non può negarsi, riandando alla lettura di alcuni tra i più noti testi di Medicina
Legale, che la giusta esigenza didattica di presentare ai lettori le due principali teorie
della causalità nel diritto che si sono contese il campo a partire dalla seconda metà
dellottocento, non è sempre accompagnata dalla chiara informazione conclusiva:
cioè che i paesi europei seguono la teoria condizionalistica e non quella della
causalità adeguata. Ne consegue il rischio di equivoci, purtroppo spesso realizzato,
e della conseguente diffusione di concetti giuridicamente impropri, e di applicazioni
medico-forensi altrettanto improprie ed erronee.
Questo è il nodo sul quale non sono ammessi equivoci ed incertezze per cui il richiamo,
allarmato e severo, di Federico Stella, è da ritenere in linea di massima motivato. E lo
è ancor più dopo la citata presa di posizione della Commissione ministeriale per la
riforma del codice penale.
Unattenuante si deve invero riconoscere agli autorevoli medici legali che hanno dato
luogo a quello che riteniamo sia più che altro un equivoco. Essa consiste senza dubbio
nel frequente intrecciarsi del loro duplice ruolo di studiosi e di operatori nella pratica
forense.
Il compito dello studioso di Medicina Legale è particolarmente difficile, talora arduo,
quando rivolge le proprie analisi e valutazioni a quegli aspetti dottrinali della
disciplina che appartengono allarea denominata Medicina Giuridica per distinguerla
dalla Medicina Forense.
La prima riguarda lo studio dei problemi giuridici che richiedono lintervento della
Medicina Legale e se è ben vero che essa si occupa prioritariamente del diritto
condendo proponendo ai giuristi ed al legislatore suggerimenti nella fase di
elaborazione di nuove norme è altrettanto vero che anche i grandi problemi del diritto
vigente richiedono continuamente analisi e proposte, si tratti di norme vigenti da
tempo ovvero, a fortiori, di norme di recente emanazione. E anche evidente
che la Medicina Giuridica del diritto vigente è in più stretta connessione con la
Medicina Forense, intesa come quella parte della disciplina che si esprime nella
professione giudiziaria ed extragiudiziale.
La Medicina Giuridica che si occupa del diritto condendo autorizzata a farlo
in forza dellesperienza pratica medico-forense che può suggerire modifiche
legislative gode senza dubbio di una maggiore libertà nel formulare analisi e
proposte. Ma anche queste devono ovviamente rimanere entro i binari della scienza
giuridica, che daltro canto sono in genere insufficientemente noti a gran parte di
coloro che abbiano un curriculum scolastico medico, a differenza dei pochi medici che sono
in possesso anche di una laurea in giurisprudenza.
Nellambito del diritto vigente, invece, il compito dello studioso di medicina
legale è più ristretto, condizionato comè, e deve rigorosamente essere, dalle
norme esistenti, ed anche dalle interpretazioni di esse elaborate dai giuristi. A
queste inderogabili esigenze deve dunque tassativamente adeguarsi la metodologia
medico-legale.
Non può sussistere dunque alcun dubbio, nellambito della Medicina Forense, sul
fatto, di cui il medico legale deve prendere atto operando in conseguenza, che la teoria
condizionalistica della causalità - non già quella della causalità adeguata - è quella
che sta alla base del nostro attuale ordinamento: e lo sarà probabilmente anche, e forse
con ancor maggiore evidenza, nel futuro codice penale.
Non è immaginabile che i medici legali abbiano in proposito idee divergenti nel corso
della loro attività pratica, in quanto la loro funzione "ancillare" rispetto
alle esigenze della giustizia richiede anzitutto, e primariamente, che essi conoscano la
realtà dellordinamento vigente e ad essa adeguino sia le proprie elaborazioni
dottrinali de jure condito, sia, ancor più, le loro prestazioni professionali.
Ne consegue che non solo i principi seguiti, ed insegnati a studenti e specialisti, devono
essere inderogabilmente quelli provenienti dallordinamento, ma che anche la
terminologia impiegata deve essere quella "ufficiale", proveniente dalle norme
giuridiche e non deve consentire divagazioni neologistiche. E questa la ragione per
cui si è già in passato raccomandato, in tema di nesso causale, labbandono di
espressioni come "causa occasionale" "momento sciogliente"
"momento rivelatore": concetti ed espressioni assenti dallordinamento e
fonti non infrequenti di equivoci e di errori in un settore già per proprio conto gravato
da grandi difficoltà concettuali e, soprattutto, applicative.
Una cosa è tuttavia la teoria della causalità adeguata (che, fra laltro, restringe
e non amplia la responsabilità dellimputato) ed altra cosa è il concetto
scientifico di idoneità od adeguatezza, il quale è imprescindibile premessa qualunque
sia la dottrina causale che un determinato ordinamento adotta.
3. Il secondo "peccato capitale" che Federico Stella addebita alla
Medicina legale è, come abbiamo più sopra riferito, è laver elaborato dei criteri
di accertamento del rapporto causale, la cosiddetta "criteriologia",
"che nulla hanno a che vedere con laccertamento del nesso di
condizionamento".
Questa forte affermazione contiene anchessa, come spesso succede, delle motivazioni
che in parte la giustificano ma nel contempo deve essere contestata in linea di principio:
con le correlativa conseguenza di riaffermare lassoluta necessità di avvalersi
di un metodo, comunque lo si voglia chiamare.
Corrisponde indubbiamente al vero la constatazione, purtroppo assai frequente,
delluso improprio, in sede peritale, della "criteriologia" per
laccertamento del nesso causale. Si leggono elaborati peritali nei quali si afferma
la sussistenza di un nesso causale senza adeguate analisi, discussioni e coerenti
motivazioni conclusive: sostituite dalla mera dichiarazione di aver utilizzato i criteri
cronologico, topografico, di idoneità lesiva, di continuità fenomenologica, di
esclusione di altre cause, ed altri. Questo penoso espediente vorrebbe far credere al
lettore dellelaborato tecnico, in genere ignaro benché magistrato od avvocato, che
il perito possiede magiche formule di analisi dei dati, troppo lunghe da spiegare: ma che
garantiscono, solo dichiarando di avervi fatto ricorso, la "bontà del
prodotto".
Questa realtà, che non si esita a definire dolorosa per chiunque abbia a cuore la
giustizia, prima ancora che la medicina legale, fa comprendere lindignata reazione
di Mauro Barni che giudica i criteri un metodo "antiscientifico" e ne propone
labbandono, trovando consenso, come si è detto, nellaffermazione di Stella.
Detto questo per amore di verità, non si può e, ad avviso di chi scrive, tanto meno
si deve, rinunciare ad avvalersi di un metodo medico-legale di elaborazione
scientifica dei dati al fine di esprimere un parere tecnico motivato sullesistenza o
meno di un nesso causale tra unazione od omissione, ed un evento.
Non è questa la sede, né lautore delleditoriale ha competenza adeguata, per
affrontare il problema generale del metodo, cui Federico Stella dedica il già
citato capitolo quinto della sua opera. E certo comunque che non esiste attività
umana, anche la più elementare, che non esiga limpiego di un metodo inteso come
"linsieme di prescrizioni relative allo svolgimento di unattività in
modo ottimale" o, secondo altre correnti definizioni come "modo di
procedere razionale per raggiungere determinati risultati"" od ancora "procedimento
atto a garantire, sul piano teorico o pratico, la funzionalità e la costanza di un lavoro
o di un comportamento".
Si designa notoriamente con il termine metodologia la dottrina del metodo cioè lo
studio o il complesso dei principi di metodo su cui è fondata o dai quali risulta
legittimata una scienza o una disciplina.
Nella storia del pensiero occidentale i problemi filosofici del metodo hanno avuto una
complessa ed alternante evoluzione, che qui non rileva ricordare, fino alle posizioni di
P. Feyerabend (1970) che negano interesse alla ricerca metodologica. Non abbiamo veste per
inserirci in un così alto dibattito. Ma, sul piano pratico, non riteniamo tuttavia
ragionevole attestarsi su posizioni agnostiche e rinunciatarie, memori da un lato del
proverbio che considera "il meglio nemico del bene", dallaltro che la
medicina forense si pratica quotidianamente in un numero elevatissimo di casi, per cui
sarebbe irrazionale ed ingiustificato lasciarla priva di linee-guida metodologiche.
La Medicina Legale, come tutte le scienze, pure ed applicate, ha dunque un assoluto
bisogno di avvalersi di un metodo per ciascuno dei settori che impegnano la sua attività.
Anche la conoscenza critica dei limiti del metodo fa parte integrante di esso, ed
anzi ne costituisce forse la parte più importante perché aiuta ad evitare gli errori:
che in sede giudiziaria sono di particolare gravità e, purtroppo, gravano spesso proprio
sulle spalle dei periti la cui opera, trasmessa ai giudici, costituisce di frequente una
base decisiva nella formazione del loro "libero convincimento".
La dottrina della condicio sine qua non, nella sua aggiornata versione che la
giurisprudenza, anche della Cassazione, sta progressivamente adottando, richiede la
"copertura" di leggi scientifiche. Si
ricordano i principi enunciati in proposito da Engisch (1931) secondo cui "il
concetto di causa penalmente rilevante coincide con il concetto di causa proprio delle
scienze naturali" e "il rapporto causale può essere accertato solo
impiegando il criterio dell'assunzione sotto leggi naturali". Alla teoria
condizionalistica, nella sua forma originaria, era stata formulata la critica di non
soddisfare ai casi in cui mancano conoscenze sicure e probanti circa il valore eziologico
di un determinato evento. Il ricorso alle leggi scientifiche può (talora) superare gli
ostacoli: ma a questo proposito Stella ritiene non si possa seguire Engisch quando
sostiene che la condizione sine qua non deve essere sostituita con il
concetto di causa proprio delle scienze naturali.
E comunque indispensabile avvalersi in primo luogo del metodo generalizzante di
spiegazione causale anziché del metodo individualizzante.
Il metodo individualizzante si basa sul principio di accertamento del rapporto
causale in eventi singoli e concreti, essendo privo di importanza il fatto che essi
siano eventualmente unici e non riproducibili in futuro. La prova del rapporto causale
sarebbe fornita dallo stesso svolgersi dei fatti nella loro storia e dalla successione
temporale che collega il secondo accadimento al primo. In pratica questo metodo si fonda
largamente sul principio del "post hoc ergo propter hoc" e, in sede giudiziale,
finisce per non obbligare il giudice a ricercare leggi causali idonee a spiegare
scientificamente perché e come l'evento sia conseguenza dell'azione criminosa. Seguendo
questa linea, applicata ai casi in cui la spiegazione scientifica possa risultare
oggettivamente difficile, si lascia in realtà al giudice di decidere in base al proprio
convincimento sulla realtà del rapporto causale ed indipendentemente dalla possibilità
di conoscere la precisa natura della relazione causale. Di fatto questo "metodo"
si applica in numerosi casi, con il contributo rilevante dei periti che raggiungono
dapprima un proprio convincimento cui cercano di dare una veste tecnica pur su basi
incerte ed opinabili, ed in tale veste lo trasmettono al giudice che finisce spesso col
ritenerlo un parere scientificamente fondato e su di esso basa la propria decisione.
Il metodo generalizzante comporta invece il ricorso a leggi generali che
individuano rapporti di successione regolare tra l'azione e l'evento, considerati non come
accadimenti singoli e unici, bensì come accadimenti ripetibili. Anche questo
metodo richiede, ovviamente, che si faccia riferimento all'evento concreto. Ma
questo viene ridescritto in modo tale da inserirvi quegli aspetti causali ripetibili
mancando i quali l'evento non si sarebbe verificato in quel determinato luogo ed in quel
momento. La teoria che si basa sul "metodo generalizzante" obbedisce
principalmente alle esigenze di garanzia richieste dal fatto che il nesso
causale è un requisito fondamentale nei reati di evento, per cui la sua determinazione
non può essere lasciata alla discrezione del giudice ma deve essere affidata a metodi il
più possibile verificabili e controllabili.
Poiché il giudizio sul rapporto causale deve essere motivato, la motivazione non
può dunque essere basata se non sul modello della sussunzione sotto leggi scientifiche:
un antecedente può essere considerato come condizione necessaria (condicio sine qua
non) solo se rientra nell'ambito degli antecedenti che, sulla base di una successione
regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica (cosiddetta legge
generale di copertura), producono eventi del tipo di quello verificatosi in concreto.
E un metodo, quello "generalizzante", da adottare con piena convinzione,
specie da parte dei medici legali che, professando una disciplina biomedica scientifica,
hanno l'esigenza culturale ed etica di utilizzare i dati della scienza per dare contenuto
tecnico adeguato al loro lavoro al servizio della giustizia.
A questo punto, però, bisogna distinguere per evitare ulteriori equivoci
concettuali e semantici tra "causalità generale" intesa come
idoneità o probabilità statistica ex ante, che coincide con il concetto di aumento
del rischio, e la "causalità individuale", la cosiddetta causa bur
for degli anglosassoni "che deve essere provata da esperti, attraverso tests e
pareri che sono espressione di una conoscenza e di un metodo scientifico affidabile".
Tuttavia, come spesso avviene, le enunciazioni di principi incontrano non solo difficoltà
applicative a causa delle insufficienze di molti di coloro che devono attuarli in pratica,
ma anche per reali difficoltà che si possono talora ma non sempre - superare
solo avvalendosi, appunto, del metodo scientifico. Il quale poggia senza dubbio su
pilastri comuni a tutte le scienze, ma deve possedere anche strumenti specifici per
singoli settori. Di tali strumenti specifici ha assoluto bisogno la medicina legale per la
sua natura di interfaccia tra la biomedicina ed il diritto, la quale richiede modulazioni
particolari.
Rinunciare all'elaborazione di un metodo significa dunque abbandonare ulteriormente
l'attività peritale medico-legale nelle mani di improvvisatori privi di bussola, non di
rado dotati di conoscenze mediche insufficienti, accoppiate a sostanziale ignoranza delle
norme giuridiche e della loro interpretazione alle cui esigenze devono conformarsi i
pareri tecnici.
4. La Metodologia medico-legale può schematicamente dividersi in due parti
interconnesse: la parte medico-biologica e la parte medico-forense.
La parte medico-biologica riguarda tutti gli accertamenti, diretti o indiretti, che il
medico legale esegue avvalendosi delle conoscenze, degli strumenti e dei metodi propri
della medicina e della biologia: con lobiettivo di formulare una diagnosi clinica,
anatomo-patologica o anche soltanto di laboratorio; e, nel vivente, una prognosi
circa levoluzione futura delle patologie accertate. In questo settore il rigore
nella obiettivazione deve essere almeno pari, ma se possibile ancor maggiore, di quello
che qualsiasi medico deve imporsi nella pratica clinica.
Anche la diagnosi eziologica, quando è possibile, può essere formulata già in
questa "fase medica" delloperatività professionale. Ma proprio in questo
ambito emergono differenze sostanziali che implicano il trasferimento dei problemi causali
nella parte medico-forense del metodo, caratterizzandone specificamente la metodologia.
E comune conoscenza che di molte malattie non si conosce la vera causa e che anche
in casi di malattie ad eziologia più nota, non sempre la causa è individuabile con
certezza. In molte malattie, inoltre, la causa ha già esaurito la propria azione dannosa
per cui al medico non resta che la terapia delle conseguenze che, a maggior
ragione, viene attuata nei casi in cui leziologia della malattia è ignota. In altri
termini il clinico può anche prescindere dalla diagnosi eziologica, avendo come obiettivo
principale la terapia: eziologica quando è possibile, sintomatica negli altri
casi, che sono la grande maggioranza.
Non è così in medicina legale dove nella maggior parte delle prestazioni
professionali lobiettivo centrale è laccertamento
delleziologia. Tale accertamento è ineludibile e, quantomeno in linea di
principio, risponde alla legge del tutto o del niente.
Nella realtà pratica un certo numero di casi, che attengono alla classica patologia
medico-legale (lesioni o morte da armi, da cause asfittiche, da elettricità ecc.)
consente l'accertamento del nesso causale in modo relativamente facile e quasi immediato.
In altri casi, invece,, è necessaria una valutazione complessa che, pur avvalendosi
ovviamente di motivazioni provenienti dalle scienze, deve incanalarsi sui binari dettati
dalle esigenze del diritto ed è pertanto procedimento che appartiene più specificamente
alla parte medico-forense della metodologia medico-legale. E' quella parte che,
sulla base dei dati accertati direttamente, o comunque acquisiti agli atti, elabora
valutazioni in risposta a quesiti siano essi proposti in sede giudiziale o
stragiudiziale i quali vengono formulati in rapporto alle peculiari esigenze
giuridiche del caso.
E evidente che questa parte medico-forense della metodologia medico-legale implica,
per il perito, la conoscenza delle finalità giuridiche dei quesiti e quindi anche la sua
consapevolezza della rilevanza probatoria delle valutazioni che egli deve esprimere con
adeguate motivazioni.
Queste valutazioni collocate a ponte tra la biomedicina ed il diritto
devono avvalersi di un metodo, modulato a seconda dei vari settori medico-forensi.
Tale metodo implica il possesso di criteri cioè di regole di massima per la
formulazione di un giudizio e la verifica della sua validità.
La cosiddetta criteriologia, dunque, altro non è che luso di criteri resi
necessari dal metodo. In sede medico-legale si impiega tradizionalmente il termine
"criteriologia" con riferimento ai problemi dell'accertamento del nesso causale.
Ma è ovvio che si può legittimamente parlare di "criteriologia" anche per
altri tipi di valutazione che si effettuano nella fase medico-forense dellattività
del medico legale.
Una criteriologia è dunque indispensabile per ragioni metodologiche e lo è
particolarmente per accertare medicolegalmente i nessi causali. Pertanto non solo
l'impiego di criteri di giudizio non deve essere abbandonato, bensì se ne deve ribadire
con convinzione la necessità. Nel contempo, tuttavia, si deve anche affermare
lesigenza che si abbandonino le pratiche applicative improprie del passato e, in
sede dottrinale, luso disordinato, non sequenziale e disarticolato, di criteri usati
"alla rinfusa".
Alle pur autorevoli proposte abrogative di Barni e di Stella riteniamo dunque si possa
opporre motivatamente la tesi che afferma lutilità della rilettura migliorativa
dellantica criteriologia, che è da ritenere allo stato attuale priva di
alternative: se non quella di lasciare ciascun perito alla mercé di procedimenti
arbitrari ed occasionali, fonte di difficoltà ancor maggiori di quelle che i casi
presentano per proprio conto.
Deve essere peraltro chiaro che nessuno, ed anche chi scrive, può pensare seriamente che
la pur aggiornata criteriologia medico-legale sia la chiave che risolve sistematicamente i
problemi scientifici dei singoli casi che la teoria condizionalistica implica, specie
nella sua avanzata variante della sussunzione sotto leggi scientifiche di Engisch,
importata in Italia da Federico Stella e richiamata in non poche recenti sentenze della
Corte di Cassazione. Tuttavia decretarne la fine a causa di trattazioni dottrinali
non concordi, ed un uso peritale improprio, rappresenterebbe senza dubbio una rinuncia
ingiustificata e non contribuirebbe di certo ad un migliore dialogo con i giuristi e,
soprattutto, a fornire motivati pareri in sede giudiziaria.
Ma è ovvio che riconfermare lutilità della classica criteriologia è possibile se
si chiariscono il significato ed il valore, e nel contempo i limiti di ciascun criterio, e
si adotta la necessaria gerarchia ed articolazione coordinata nella loro applicazione
sequenziale. Si tratta, a ben guardare di avvalersi di un metodo che metta in ordine
logico-scientifico i dati che il caso offre alla nostra analisi e valutazione diagnostica
eziologica: per evitare che in assenza di criteri coordinati la valutazione medico-legale
sia priva di un binario sul quale incanalare le risultanze del caso.
E questa la linea che da tempo abbiamo proposto e che sinteticamente riproponiamo
per brevi cenni in questa occasione ai fini di un chiarimento che appare doveroso ed
urgente, stimolato dalle critiche di Federico Stella.
5. Per accertare che un determinato fattore sia stato, da solo o con il concorso di altri
fattori (con-cause) la condizione necessaria alla produzione di un evento di danno,
è indispensabile stabilire preliminarmente se tale fattore è potenzialmente idoneo a
produrre quel danno, nelle specifiche condizioni del singolo caso.
Questo accertamento sostanzia il criterio di possibilità scientifica - terminologia
proposta a suo tempo da Rinaldo Pellegrini - da ritenere fondamentale e preliminare
ad ogni ulteriore analisi, non certo esaustivo. Tale
criterio costituisce il momento essenziale, il primo e fondamentale passo del "ragionamento
controfattuale" su cui si basa la teoria della condicio sine qua non.
Infatti quando ci si chiede se in assenza di una determinata azione od omissione,
ipotizzata o provata nella sua sussistenza, l'evento si sarebbe o meno prodotto, la
risposta al quesito deve basarsi anzitutto su di una prima dirimente
controdomanda: se sia o meno scientificamente possibile che l'azione od omissione
ipotizzata sia in grado di produrre, da sola o con il concorso di altri fattori, quel
determinato evento.
Se alla domanda circa la sussistenza o meno di una possibilità scientifica di nesso
causale segue una risposta negativa cioè si può scientificamente escludere
anche la mera possibilità di un ruolo causale del fattore lesivo considerato -
lanalisi del nesso causale si interrompe proprio in ragione del principio di
sussunzione sotto leggi scientifiche. Infatti se una ipotesi è ritenuta, perlomeno
allo stato attuale delle conoscenze, scientificamente impossibile, è evidente che il
procedimento analitico deve interrompersi in radice e concludersi con la negazione del
nesso causale: in altri termini si deve escludere
che quel fattore sia stato "condizione contingentemente necessaria" a produrre
l'evento.
Tuttavia accertare la possibilità scientifica che un fattore considerato produca
uno specifico danno (cioè sia dotato di potenziale idoneità lesiva), significa
soltanto constatare una potenzialità scientificamente riconoscibile e riconosciuta:
ma è privo di valore conclusivo, in ambito condizionalistico se, dopo aver accertato la mera
possibilità, non si è in grado di accertare, con lapplicazione di altri
criteri, la certezza del nesso causale o quantomeno la sua elevatissima
probabilità. Non vi è alcuna ragione, a questo proposito, di mettere in discussione
il principio della possibilità-idoneità scientifica, quasi si ponesse in
contrasto con il principio della "condizione necessaria". Questultima non
è accertabile come tale, nella cosiddetta "causalità individuale" (cioè nel
caso concreto), se non si prestabilisce che appartiene al novero dei fattori causali
riconosciuti dalla scienza medico-biologica capaci di produrre un determinato evento di
danno.
E' evidente che se il perito si limitasse ad accertare la "possibilità"
scientifica, e tale conclusione egli trasferisse nelle mani di chi deve giudicare, la
risposta avrebbe caratteristiche tali da renderla utile qualora lordinamento si
basasse sulla dottrina della "causalità adeguata". Ma poiché in Italia, ed in
genere in Europa, la dottrina imperante è invece quella della condizione necessaria è
evidente che il solo criterio di possibilità scientifica non può certo bastare dovendosi
partire dalla risposta positiva a tale criterio, nella direzione del più difficile
obiettivo costituito dalla prova positiva del nesso causale: cioè della
dimostrazione che, in quello specifico caso, il fattore considerato è stato condizione
necessaria a produrre l'evento.
Il criterio di possibilità scientifica non è invero un criterio che si possa
soddisfare con strumenti univoci, data l'eterogeneità della casistica e dei correlativi
quesiti causali che vengono prospettati. Esso si avvale dunque di procedimenti
differenziati a seconda dei casi, i quali tuttavia possono e debbono ricondursi a
principi identificabili, in ultima analisi, nelle "leggi universali" o
nelle "leggi statistiche" o quantomeno in "correlazioni
scientifiche a carattere empirico e logico".
Esistono senza dubbio casi, di comune osservazione in sede medico-legale, in cui il
criterio di possibilità consente, sulla base di leggi universali, una risposta facile ed
immediata che altrettanto rapidamente e conclusivamente consente subito l'applicazione
positiva del criterio di sostanziale ed umana certezza, senza la necessità di
ulteriori elaborazioni criteriologiche intermedie.
In tutti i restanti casi, in cui non è utilizzabile alcuna legge universale, si deve
ricorrere ai dati statistici, purché ne esistano di disponibili per quella
determinata ipotesi. Oppure, in alternativa, si deve ricorrere a correlazioni logiche
fondate su conoscenze scientifiche di base e su informazioni casistiche relative a casi
consimili, peraltro spesso numericamente insufficienti per consentire vere indicazioni
statistiche.
Sono inoltre numerosi i casi in cui la possibilità scientifica non riguarda una idoneità
assoluta del fattore eziologico considerato, a produrre l'evento dannoso, bensì una idoneità
relativa. E' assoluta l'idoneità a produrre la morte di un proiettile che trapassi il
cuore, mentre l'idoneità di un pugno inferto sulla regione toracica anteriore, seguito da
morte, è relativa alla esistenza di fattori concausali, come ad esempio un
aneurisma aortico di cui il trauma contusivo causi la rottura.
La "possibilità scientifica" è dunque soltanto una porta aperta verso
lauspicabile traguardo della certezza, molte volte irraggiungibile, sostituibile molto
cautamente con il criterio di probabilità, che recenti sentenze della Cassazione
penale stanno riconducendo a livelli vicini alla certezza allontanandosi così dal
pericoloso ed inaccettabile criterio adottato in un non lontano periodo della
giurisprudenza di legittimità: che era giunta a riconoscere il nesso causale, perlomeno
nei casi di responsabilità medica, perfino con probabilità pari al 30%, equivalenti ad
una improbabilità del 70%!
La distanza che il perito deve percorrere, nella sua analisi valutativa, tra il criterio
di possibilità scientifica, cui egli abbia potuto dare risposta positiva, ed il
criterio di certezza - che si spera venga urgentemente introdotto, in modo esplicito,
nel nostro codice penale richiedendosi così la prova "oltre il ragionevole
dubbio" richiesta nei paesi di common law - può dunque essere talora
assai breve, altre volte molto rilevante, caratterizzata da percorsi tortuosi e non di
rado insoddisfacenti.
Se un incidente stradale causa ad un individuo gravi lesioni plurime e la morte ne
consegue dopo alcuni giorni di ricovero in un reparto di rianimazione, è quasi immediato
il raccordo tra constatazioni mediche (cliniche ed autoptiche) e conclusione
medico-forense circa il nesso causale con l'incidente. La possibilità scientifica è
ovviamente soddisfatta, il decorso clinico ed i dati autoptici conducono alla certezza del
nesso causale.
Ma se in altro incidente stradale un individuo subisce un trauma cranio-encefalico di
media entità e, un anno dopo l'apparente guarigione presenta una epilessia, il problema
peritale è facile a livello del primo criterio - quello di possibilità scientifica - ma
quanto alla certezza del nesso causale è traguardo arduo, sostituibile solo in taluni
casi da quello di una probabilità elevata da ritenere ragionevolmente vicina alla
certezza. Infatti se le conoscenze mediche statistiche e casistiche danno per assodata da
moltissimo tempo la natura traumatica di talune epilessie, soddisfacendo così il criterio
di possibilità scientifica, esse di per sé non sono in grado di dimostrare che in
quello specifico caso il trauma è stato sicuramente la condizione necessaria dell'epilessia.
Esempi di questo tipo possono ripetersi in numero sempre più elevato e molti di essi
concernono la "modernità": nell'ambito dell'attività medico-chirurgica, nei
danni ambientali e nei danni da prodotto. In queste varie evenienze la scienza riesce
ormai, con elevata frequenza, a soddisfare il criterio di possibilità: ma lascia
spesso insoluto il problema del singolo caso. Il tumore polmonare di un operaio
esposto per anni all'inalazione di sostanze capaci di azione cancerogena può sicuramente
essere stato causato da questa esposizione, eventualmente addebitabile a violazioni di
norme da parte del datore di lavoro. Ma quel tumore potrebbe essere stato prodotto da
altre cause, come ad esempio il fumo di sigarette.
"Che fare", dunque, per colmare le enormi distanze che spesso sussistono
tra possibilità scientifica e certezza del nesso causale come "condizione
necessaria"?
La risposta non è agevole. E d'altro canto, lo ripetiamo, non ci si può neppure
rifugiare nell'agnosticismo e nella fuga dall'impegno professionale.
6. In altra sede si è cercato di indicare una criteriologia di massima per il passaggio
dalla mera possibilità scientifica del nesso causale al suo accertamento in
termini di certezza o di elevata probabilità. A questo tentativo di razionalizzazione
basato su di una rinnovata articolazione dei criteri di giudizio medico-legale rinviamo il
lettore non essendo un editoriale, già troppo esteso, la sede per riproporre un'analisi
già compiuta in precedenti occasioni. Ci limitiamo a ricordare che il metodo proposto
sposta lapplicazione dei noti criteri cronologico, topografico, quantitativo (o di
adeguatezza), di continuità, di sindrome a ponte,
nella seconda fase dellindagine, quella in cui, superato positivamente il criterio
di possibilità si affronta laccertamento in concreto del nesso causale. Il criterio
di "esclusione di altre cause" ha suoi connotati particolari che sono stati già
considerati altrove . Questi criteri, comunque, appartengono primariamente alle
valutazioni realizzate mediante la probabilità logica, che si avvale anche dei
dati provenienti dalla statistica e dalla casistica.
Detto questo in estrema sintesi, si deve tentare una risposta al quesito che ci siamo
proposti nelle ultime righe del paragrafo precedente. La risposta che ci sentiamo di
dovere onestamente dare è che in un'ampia casistica della medicina legale moderna
la quale comprende soprattutto i già menzionati settori della responsabilità medica, dei
danni ambientali e da prodotto - i medici legali, anche se si avvalgono di un metodo
scientifico razionale ed organico nellanalisi dei dati e nel giudizio conclusivo,
non sono in grado, se non in un numero ridotto di casi, di fornire pareri che obbediscano
al criterio di certezza o di elevatissima probabilità vicina alla certezza nei casi di
condotte commissive, e soprattutto omissive, sottoposti alla loro valutazione.
L'obiettivo - auspicato da Stella e da tanti autorevoli giuristi europei - di basare
condanne penali su prove della colpevolezza e, ovviamente, del nesso causale
"oltre il ragionevole dubbio" è dunque raggiungibile solo in taluni casi. Il
più serio e competente dei medici non è spesso in grado di superare gli ostacoli enormi
che si frappongono alla dimostrazione scientifica, nel caso concreto, del nesso
causale cioè della caratteristica di condizione necessaria attribuita ad una
determinata azione od omissione. La criteriologia è indispensabile, lo ripetiamo: ma è
illusorio pensare che possa risolvere i tanti problemi che la pratica medico-forense ci
pone di fronte. Bisogna riconoscere che assai di frequente l'ultimo passo, il passaggio
conclusivo costituito dalla risposta positiva al quesito sul nesso causale, è frutto del convincimento
personale del perito purtroppo spesso non presentato come tale ma come verità
tecnica acquisita il quale in tal modo supera i limiti imposti dal suo ruolo di
consulente tecnico ed alimenta con motivazioni solo apparentemente scientifiche il libero
convincimento del giudice: in una catena di debolezze ed insufficienze probatorie che
intacca gravemente i diritti dell'innocente.
Questa presa d'atto di una realtà difficilmente contestabile, induce a ritenere del tutto
convincente la tesi conclusiva di Federico Stella, secondo cui una vasta area di condotte,
riguardante soprattutto i problemi della "modernità", è auspicabile non sia
più perseguita in sede penale se non si dispone di prove "oltre il
ragionevole dubbio" - ma sia invece trasferita negli ambiti del diritto civile ed
amministrativo, dove il giudizio probabilistico, non necessariamente "vicino alla
certezza", può essere ammesso, sia pure anchesso entro certi limiti.
Angelo Fiori