Corte costituzionale: illegittimo il divieto di conseguire più specializzazioni.

SENTENZA N. 219 ANNO 2002

I FATTI:

Un medico, specialista in radioterapia, chiamava in causa l' Università degli studi di Perugia e il Ministero della ricerca scientifica e tecnologica chiedendo l'annullamento del bando di concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione in Chirurgia generale di quell'ateneo per l'anno accademico 2000-2001, nonché del provvedimento che la escludeva dal concorso in quanto gia' in possesso di specializzazione (in applicazione dell'art. 34, comma 4, del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 368: Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE).

Il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con ordinanza emessa l'11 luglio e pervenuta l'8 ottobre 2001 (reg. ord. n. 880 del 2001) ha poi sollevato questione di legittimità costituzionale del detto art. 34,

La Corte Costituzionale esaminava le eccezioni della ricorrente, ed esprimeva una serie di considerazioni:

L'oggetto ed i relativi criteri della delega, contenuta nella legge 24 aprile 1998, n. 128, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee, sono infatti precisati dal legislatore mediante il riferimento alla direttiva 93/16 e successive modificazioni: ma né la direttiva, né la stessa legge di delega toccano il tema dell'eventuale cumulo di specializzazioni. Escluso che possa trattarsi di semplice esplicitazione di un principio comunque insito nel sistema delle direttive comunitarie, o che si tratti di norma "tecnica" di dettaglio necessaria per assicurare l'integrità e la funzionalità dell'ordinamento, l'art. 34, comma 4, del decreto legislativo sarebbe evidentemente frutto di una scelta pienamente autonoma del legislatore delegato.

E' pur vero che tanto il diritto allo studio che quello al lavoro non sono garantiti in modo assoluto e incondizionato, come è stato affermato nella sentenza di questa Corte n. 383 del 1998, in tema di limitazione degli accessi a determinate facoltà universitarie e scuole di specializzazione; tali limitazioni debbono però essere ragionevoli. E mentre, nella materia in esame, è ragionevole una selezione basata su idoneità e merito, non altrettanto potrebbe dirsi della discriminazione dei candidati esclusivamente a motivo del possesso di una diversa specializzazione, titolo che dovrebbe semmai essere valutato come merito.

E' infatti interesse della Repubblica garantire l' "elevazione professionale dei lavoratori" (art. 35 Cost.). Le limitazioni al diritto allo studio così introdotte non risponderebbero al criterio della ragionevolezza.

Gravemente discriminatoria, poi, ad avviso della parte, apparirebbe la disposizione del comma 4 del successivo art. 35 del d.lgs. n. 368 del 1999, che, in deroga al divieto introdotto, consentirebbe ai medici specializzati dipendenti del servizio sanitario nazionale ed ai sanitari provenienti da altri paesi dell'Unione europea di conseguire, nella misura del 10% dei posti disponibili nelle scuole, altro titolo di specializzazione.

Ciò dimostrerebbe che l'unica finalità perseguita dalla disposizione impugnata è di non permettere allo stesso soggetto di usufruire surrettiziamente di un trattamento economico destinato a sostituire un trattamento stipendiale proprio del rapporto di lavoro dipendente: esigenza questa comprensibile, ma che potrebbe essere ben salvaguardata indipendentemente da un siffatto divieto assoluto.

La limitazione posta dalla norma impugnata incide direttamente sul diritto di iniziativa economica, tutelato dall'art. 41 Cost., collegato alla libertà riconosciuta dagli artt. 2 e 4 Cost. ad ogni cittadino di scegliere la professione da svolgere quale strumento per lo sviluppo della propria personalità.

Dalla preclusione in esame, poi, discenderebbe un' ulteriore disparità di trattamento con riferimento a quanto stabilito dalle direttive comunitarie n. 98/21 e n. 93/16 aventi ad oggetto la libera circolazione dei medici ed il reciproco riconoscimento in ambito comunitario dei loro diplomi , dal momento che ai soli medici italiani in possesso di una specializzazione è inibita la possibilità di essere ammessi ad un nuovo corso di studi attraverso il quale perfezionare ed approfondire le necessarie conoscenze per meglio inserirsi nel mercato del lavoro. Nel caso di specie, infatti, la ricorrente (specializzata in radiologia) aspira a conseguire una specializzazione costituente la prosecuzione logica, sul piano delle tecniche operatorie alle quali si sta già dedicando presso una struttura specializzata in oncologia, di studi già compiuti in precedenza, allo scopo di acquisire una professionalità nuova, a carattere interdisciplinare, richiesta per lo svolgimento dell'attività chirurgica in materia oncologica.

Il mantenimento del divieto censurato, in conclusione, oltre che comprimere la situazione soggettiva della ricorrente, comporterebbe un impoverimento delle stesse strutture sanitarie, le quali potrebbero contare su professionisti che hanno conseguito una sola specializzazione, con dispendio di risorse laddove si rende necessario l'impiego di professionalità a carattere interdisciplinare.

La questione, conclude la Corte, è fondata, sotto il profilo della violazione del diritto di accedere ad un corso di studi e conseguentemente di intraprendere un'attività professionale di propria scelta.

Non viene in questione qui la legittimità della limitazione numerica degli accessi alle scuole di specializzazione medica (risultante dagli artt. 25 e 35 del decreto legislativo in esame), bensi' si discute unicamente della legittimità costituzionale del divieto imposto, a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere alla formazione in vista del conseguimento di una ulteriore specializzazione.

In sostanza il legislatore delegato, nel dettare la nuova disciplina delle scuole di specializzazione medica nonché dei corsi di formazione specifica in medicina generale, ha inteso stabilire un rigido criterio di non cumulabilità in capo allo stesso medico di due o più di tali curricula formativi. Il medico in possesso di un diploma di specializzazione non può accedere ad altra specialità, né ai corsi di formazione specifica in medicina generale (in tal senso è da intendersi la non felice formula, sopra citata, dell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 1999); a sua volta il medico in possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale non può accedere alle specializzazioni.

Il divieto appare dettato nell'intento di evitare che lo stesso medico possa, cumulando più diplomi di specializzazione (e, forse, usufruendo del vantaggio che gli proviene dal possedere già una specializzazione), accaparrarsi più di uno spazio di formazione nell'ambito e a spese delle strutture a ciò deputate, a danno di altri aspiranti, il cui diritto a perseguire, a loro volta, una chance di inserimento professionale potrebbe esserne pregiudicato.

Tale intento non è privo di una sua ragionevolezza, in quanto miri a tutelare gli interessi di chi non abbia ancora avuto accesso ad una formazione medica specialistica, e a rendere razionale l'impiego delle risorse pubbliche. Da questo punto di vista, non apparirebbe in sé irragionevole che il legislatore, ad esempio, riservasse quote dei posti disponibili ai medici non ancora in possesso di specializzazione, o prevedesse quote di posti cui ammettere in soprannumero candidati che siano già in possesso di altra specializzazione.

Tuttavia un divieto di tale assolutezza e rigidità non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali.

Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello, in un sistema in cui "la scuola è aperta a tutti" (art. 34, primo comma, della Costituzione), di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai "gradi più alti degli studi" (art. 34, terzo comma).

Il legislatore, se può regolare l'accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che, come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali, non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito.

L'accertamento della illegittimità del divieto, per chi sia già in possesso di altro diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere ad una nuova specializzazione, comporta altresì come conseguenza l'estensione della dichiarazione di incostituzionalità alla norma che, parallelamente, dispone il divieto di accedere al corso di formazione specifica in medicina generale per chi sia in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca (art. 24, comma 1, dello stesso decreto legislativo n. 368 del 1999).

La Corte percio' dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE);

b) dichiara, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 368 del 1999, nella parte in cui esclude dall'accesso al corso di formazione specifica in medicina generale i possessori di diploma di specializzazione di cui all'articolo 20 del medesimo decreto, o di dottorato di ricerca.

(Riassunta ed evidenziata da Daniele Zamperini)