LO STRESS COME FATTORE DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE. RUOLO DELLE TECNICHE DI RILASSAMENTO E DELL' IPNOSI.
Di Daniele Zamperini: tesi conclusiva del Corso di Ipnosi Clinica e Sperimentale, Roma, 199

RIASSUNTO Vengono esaminati i fattori di rischio di malattia cardiovascolare. Viene messo l'accento sullo stress, condizione molto diffusa nei moderni paesi industrializzati, riassumento le odierne conoscenze circa le strutture anatomiche che soprassiedono alla reazione di lotta-o-fuga, esaminando le alterazioni biochimiche e fisiopatologiche che derivano da tale condiazione, e gli effetti negativi, diretti ed indiretti, che si ripercuotono sull'apparato cardiovascolare. Le moderne acquisizioni concludono concordemente che le condizioni croniche o ripetitive di stress costituiscono, per un complesso di meccanismi esaminati in dettaglio, un primario fattore di rischio cardiovascolare. La rimozione di questo fattore puo' essere utile sia per la profilassi che per la terapia di diverse affezioni cardiache. Vengono esaminati diversi indirizzi terapeutici, sia farmacologici che psicologici; si esaminano brevemente diverse tecniche di rilassamento neuro-muscolare e si conclude che l'ipnosi, per selettivita', efficacia, rapidita' e versatilita', cosituisce il piu' valido e completo strumento in tal senso.
 
 

FATTORI PSICOSOCIALI NELLE CARDIOPATIE

Da molti anni diversi studi epidemiologici e clinici hanno identificato i cosiddetti "fattori di rischio coronarico": ipercolesterolemia, obesita', fumo di sigarette, ipertensione arteriosa, diabete mellito, sedentarieta', familiarita'. Tuttavia questi fattori non riescono a spiegare completamente l'incidenza e la distribuzione della cardiopatia ischemica in una certa popolazione. Nell'individuazione di elementi addizionali in grado di chiarire l'ineguale distribuzione della malattia in popolazioni o gruppi che presentano identici fattori tradizionali di rischio, una considerevole importanza viene attribuita ad elementi ambientali e in particolare ai cosiddetti fattori psico-sociali. E' probabile che i fattori psico-sociali eslichino la loro azione potenziando ed esaltando l'effetto negativo dei comuni fattori di rischio sopra citati; alcuni Autori (Christian, 1968) sostengono che le componenti psico-sociali siano determinanti nello sviluppo della cardiopatia coronarica. Tali componenti sono da identificare essenzialmente nei seguenti fattori: mobilita' sociale, disadattamento sociale, problemi socio-familiari, atteggiamento comportamentale, stato occupazionale. Altri Autori, sulla scorta di accurate indagini epidemiologiche hanno confermato, in epoca piu' recente come tali fattori psico-sociali incidano nella genesi della cardiopatia coronarica in misura addirittura maggiore di altri ben piu' noti fattori di rischio ( obesita', sedentarieta', fumo di sigaretta, ereditarieta'). E' stato evidenziato in modo particolare l'importanza rivestita dall'attitudine comportamentale individuale agli stimoli ambientali: Friedman e Rosenman hanno definito un modello comportamentale di tipo "A" caratterizzato da intensa competitivita', impazienza esagerata, iniziativa esuberante, ambizione smodata, attivismo esasperato, eccesso di ostilita' e di aggressivita'. In tali soggetti sono state documentate alterazioni bioumorali favorenti in misura notevole la cardiopatia ischemica. Numerosi studi sono stati effettuati anche sull'incidenza dello stato occupazionale, con risultati talora contrastanti. In linea generale il rischio coronarico risulta diverso nelle varie fasce sociali e nelle varie fasi di evoluzione sociale: basso nella fase rurale, aumenta nella fase industriale (inizialmente a carico delle fasce sociali piu' elevate, in seguito con adeguamento anche delle fasce di livello inferiore). Tutti questi studi hanno quindi evidenziato un potente fattore aggiuntivo di rischio coronarico, presente in tutte le condizioni sopracitate e che permette di formulare un modello di studio unificato al fine di una possibile azione terapeutica e profilattica: la condizione di stress.

STRESS: COSA E'? Il termine di stress e' stato usato per la prima volta nel XV secolo come forma contratta di "distress", cioe' sensazione di angoscia. Nel 1628 William Harvey, nel Trattato "Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis" scriveva: "Qualsiasi sollecitazione della mente sperimentata come dolore o piacere, come attesa o paura, e' causa di squilibrio psicosomatico, la cui influenza si stende al cuore". Diveri importanti Autori hanno successivamente ripreso ed approfondito tale concetto (Darwin, 1872). Nel 1929 Cannon ha iniziato lo studio del sistema adrenosimpatico e quindi delle fasi biochimiche intermedie della risposta organica alle situazioni di stress. La prima vera definizione scientifica fu pero' solo quella di Hans Selye, grade studioso canadese, che nel 1970 lo defini' come "reazione aspecifica dell'organismo a qualsiasi stimolo interno o esterno di tale intensita' e durata da evocare meccanismi di adattamento o di riadattamento atti a ristabilire l'omeostasi". Nel 1935 lo stesso Selye aveva evidenziato il fatto che, sottoponendo animali da esperimento a stress di vario tipo e di diversa intensita', si provocavano diversi danni anatomici, quali necrosi miocardica, ulcere peptiche, ipertrofie surrenali ecc. Tali lesioni si accompagnavano ad iperincrezione di sostanze endogene quali adrenalina e cortisolo. Tale anomala increzione di ormoni e' conseguente al tentativo dell'organismo di prepararsi ad una attivita' di "aggessione o fuga" che pero' non viene portata a termine e di ripristinare cio' che Clade Bernard defini' "ambiente interno"; il protrarsi pero' della situazione di stress finisce per diventare causa diretta di malattia, con la mediazione di un' inappropriata reazione di alcuni sistemi (gastroenterico e cardiocircolatorio in primo piano), con produzione di lesioni organiche anche irreversibili. Nel 1976 Rees, restringendo lievemente la definizione di Selye ha definito stress " Qualsiasi stimolo o modificazione dell'ambiente interno o esterno di tale intensita' o durata da raggiungere i limiti della capacita' di adattamento dell'organismo e che in determinate circostanze puo' condurre a disorganizzazione comportamentale e a disfunzione somatica che sfocia nel patologico". Le malattie da stress sono essenzialmente psicosomatiche, senza intervento di fattori patogeni ben definiti, come batteri o virus (Howard J. H., 1980), tuttavia l'alterazione dei sistemi omeostatici puo' costituire un importante fattore di debolezza dell'organismo e di facilitazione all'azione di questi fattori. E' ormai assolutamente dimostrata la stretta correlazione tra lo stress e alcune malattie organiche: benche' generalmente lo stress non costituisca l'unico fattore causale di una determinata malattia, e' tuttavia accertato il fatto che si stia rivelando, in termini scientificamente controllabili, come uno dei fattori che maggiormente attentano alla salute globale dell'uomo. In ogni caso, la soluzione ai problemi della terapia dello stress e' di tipo interdisciplinare in quanto le componenti che innescano il processo patologico, e le successive tappe intermedie, sono di natura sia biologica che extrabiologica: occorre percio' considerare sia i fattori chimici, ormonali, immunologici e farmacologici, che quelli di ordine psicologico, sociale, comportamentale ecc.

ANATOMIA DELLO STRESS Si e' cercato di localizzare sperimentalmente le aree cerebrali attivate dagli stimoli emozionale e comportamentali: Sono state identificate tali aree essenzialmente nell'ipotalamo, nel sistema limbico , nel complesso amigdaloide e nella corteccia frontale, con formazione di tre sistemi diversi, strutturalmente e funzionalmente distinti, ciascuno dei quali modula una particolare risposta comportamentale: - Sistema fascio-mediale telencefalico, che comprende l'ipotalamo laterale e l'area settale, collegata con l'ipotalamo mediale. Tale sistema controlla la fase eccitatoria della risposta emozionale. - Sistema setto-ippocampale, costituito da: ippocampo, area settale mediale e corteccia orbito-frontale in connessione funzionale con l'ipotalamo mediale. Tale sistema e' deputato alla fase inibitoria del comportamento post-emozionale. - Sistema amigdaloide che comprende l'amigdala, alcune strutture dell'ipotalamo mediale , in connessione con il sistema reticolare ascendente, nonche' la sostanza grigia del mesencefalo. Tale sistema e' deputato alla reazione di "lotta o fuga" con reazioni quindi di aggressivita' o di paura. Tali sistemi sono correlati tra loro dall'ipotalamo mediale, che costituisce una sorta di "centro di smistamento" degli stimoli e delle rispettive risposte. E' proprio la perfetta integrazione tra i centri ipotalamici (che presiedono alle emozioni) e i centri corticali (responsabili del pensiero) il presupposto necessario per un equilibrato funzionamento dell'organismo. Tale integrazione anatomica costituisce inoltre il fondamento razionale dell'influenza reciproca tra le funzioni intellettive "superiori" e quelle emozionali "profonde".

BIOCHIMICA DELLO STRESS Una condizione emotiva stressante provoca inizialmente, tramite le vie efferenti provenienti dalla corteccia, una secrezione di CRF (Corticotropin Releasing Factor), neurormone sintetizzato nell'eminenza mediana del "tuber cinereum". Il CRF viene convogliato nell'adenoipofisi tramite il sistema portale ipotalamo-ipofisario, ove provoca secrezione di ACTH. Quest'ultimo ormone, immesso nella circolazione sistemica, stimola la produzione, nella ghiandola surrenalica, di glicocorticoidi (cortisolo, cortisone, corticosterone). La liberazione di CRF, ACTH e degli ormoni surrenalici citati e' estremamente rapida e intensa, costituendo percio' un meccanismo di "intervento rapido" dell'organismo in risposta a certi stimoli esogeni o endogeni. La sezione sperimentale del peduncolo ipofisario abolisce la risposta endocrina; e' stata inoltre dimostrata una esaltazione dellattivita' bioelettrica ipotalamica a seguito di eventi emotivi o stressanti. Cio' dimostra la costante partecipazione del SNC all'attivazione endocrina surrenale da stress. La steroidogenesi surrenale puo' essere attivata anche indipendentemente dall'ACTH, con la mediazione di altri fattori umorali (vasopressina, adrenalina, acetilcolina, istamina, serotonina, prostaglandina, prolattina) liberati in diversa misura in seguito a stimolo stressante. In definitiva e' accertato che certi fattori di natura psichica rappresentano validi stimoli naturali che esaltano l'attivita' surrenale sia direttamente che (in misura maggiore) indirettamente attraverso il sitema ipotalamo-ipofisi-surrene. E' stato altresi' osservato che la risposta corticosurrenale agli stimoli stressanti e' molto variabile tra i diversi individui, essendo legata fortemente a fattori costituzionali e psicosociali per cui, mentre alcuni soggetti appaiono maggiormente muniti di meccanismi psichici di difesa, altri invece subiscono lo stress in condizioni di eccessiva carica ansiosa, con aumenti abnormi, sia dal punto di vista quantitativo che della continuita' cronologica. In tali soggetti l'effetto sfavorevole degli ormoni cortico-surrenalici si esplica particolarmente sull'apparato cardiovascolare con duplice meccanismo: a) aumentando la pressione arteriosa sistemica b) favorendo lesioni cardiache di tipo necrotico. Tali effetti derivano da un'azione sinergica delle catecolamine (adrenalina e, in misura minore, noradrenalina) con i glicocorticoidi, segnatamente il cortisolo. E' da specificare che le aree ipotalamiche che promuovono la liberazione di catecolamine sono diverse da quelle deputate alla secrezione di ACTH, per cui puo' aversi talora stimolazione separata e indipendente dei due sistemi.

EFFETTI DELLO STRESS A LIVELLO ENZIMATICO Benche' i meccanismi con cui lo stress agisce a livello cardiovascolare siano soggetti a continue revisioni, si puo' considerare accertato che l'iperproduzione di adrenalina e noradrenalina, conseguente a tali stimoli stressanti, sia provocata da una maggior disponibilita' degli enzimi deputati al metabolismo delle stesse, particolarmente della tirosina-idrossilasi, della dopamina-beta-idrossilasi e della fenil-etanol- amina-N- metiltrasferasi. Le catecolamine sono poi metabolizzate da due sistemi enzimatici: le MAO (monoaminossidasi) e le COMT (catecol- O-metil-tranferasi). Entrambi questi sistemi conducono a prodotti di degradazione comuni, quali l'acido idrossi-metossi- mandelico e l' idrossi- metossifenil- glicole. Tali prodotti sono rinvenibili e dosabili nelle urine, potendo costituire un indice indiretto di attivita' adrenosimpatica. L'attivita' biologica delle catecolamine si esplica tramite azione su recettori specifici, detti alfa e beta (beta1 e beta2). I recettori alfa sono dislocati soprattutto nei vasi periferici, soprattutto a livello cutaneo e renale; la loro azione determina vasocostrizione in questi distretti. I recettori beta1 sono situati nel cuore e nell'intestino, i beta2 nei bronchi e nei vasi periferici; la loro stimolazione provoca dilatazione vascolare nel distretto muscolare, una stimolazione cardiaca con aumento di frequenza, di gittata sistolica, di sincronismo contrattile e di altri parametri. Altri effetti metabolici provocati a diverso livello dalle catecolamine, importanti per comprendere quanto si dira' successivamente ma che qui accenniamo solo brevemente, sono: azione glicogenolitica, con liberazione di glucosio dai depositi; azione lipolitica, con esaltata liberazione di acidi grassi liberi circolanti. Tali acidi grassi liberi aumentano, insieme alla noradrenalina, l'adesivita' e l'aggregazione piastrinica. L'iperaggregabilita' piastrinica puo' a sua volta indurre la formazione di trombi a livello della microcircolazione coronarica, con ischemia e necrosi. Sperimentalmente e' stato rilevato che vari tipi di stress sono in grado di produrre simili lesioni. L'attivita' del sistema nervoso simpatico sembra inoltre essere implicata anche nella regolazione della liberazione della renina, con diretta influenza (in senso peggiorativo) sulla pressione arteriosa. Sulla base di quanto detto si puo' concludere affermando che l'organismo tenta di adattarsi allo stress attraverso l'attivazione di varie funzioni endocrine e l'induzione di profonde modificazioni metaboliche ed emodinamiche. Tali modificazioni, se ripetute e persistenti, sfociano nel patologico, con lesioni organiche anche gravi e irreversibili.

STRESS E MALATTIE CARDIOVASCOLARI

ARTERIOSCLEROSI Le alterazioni bioumorali descritte in precedenza sfociano, in determinate condizioni di ripetitivita' o di cronicita', in franca condizione di malattia: osservazioni sperimentali dimostrano concordemente cche l'arteriosclerosi puo' svilupparsi anche in seguito a stress reiterati, senza concorso di dieta iperlipidica o di sedentarieta'. Nei topi e' stato rilevato che, in caso di condizioni artificialmente stressanti, si evidenzia dapprima una iperattivita' del sistema simpatico, in un secondo momento alterazioni bioumorali come quelle gia' descritte, accompagnate da placche ateromatose, ipertensione e sclerosi miocardica. La sospensione dell'esperimento rendeva il fenomeno reversibile, mentre las sua continuazione provocava l'irreversibilita' delle lesioni. Recenti studi confermerebbero tale processo anche nell'uomo. L'arteriosclerosi avrebbe il suo punto di inizio dalle lesioni dell'endotelio arterioso e successiva infiltrazione lipidica. Importanti fattori lesivi dell'endotelio sono (tra gli altri) le amine vasoattive, l'iperlipidemia, le prostaglandine. E' stata esaltata nache l'azione delle piastrine che aderiscono all'endotelio in corrispondenza dei punti lesionati, costituendo il possibile punto di partenza del trombo vascolare. Si e' visto pero' che gli aggregati piastrinici possono essi stessi essere causa di lesione endoteliale, modificando la permeabilita' vasale mediante sintesi e liberazione locale di prostaglandine. Come abbiamo gia' detto la condizione di stress, attraverso i suoi meccanismi bio-umorali, e' in grado di provocare ed esaltare tali fenomeni di iperaggregazione.

CARDIOPATIA CORONARICA La cardipoatia coronarica e' tra le principali cause di mortalita' e di morbilita' nel mondo industrializzato. E' noto come l'accidente cardiovascolare acuto sia causato generalmente da lesioni arteriosclerotiche coronariche e susseguente formazione di un trombo occlusivo, come descritto brevemente sopra. E' pero' sempre piu' diffusa l'opinione che la trombosi coronarica sia sovente la conseguenza e non la causa dell'infarto cardiaco, che puo' instaurarsi anche con coronarie integre, in seguito al cosiddetto "spasmo coronarico". I due fattori (trombotico e spastico) possono tuttavia facilmente convivere e compartecipare alla genesi di numerosi episodi infartuali altrimenti di difficile spiegazione. E' ormai largamente accettato che lo stress puo' essere causa predisponente o scatenante dell'infarto miocardico, in quanto ne puo' preparare le condizioni, contribuendo nel contempo a sviluppare ed accelerare l'aterosclerosi coronarica mediante meccanismibiochimici gia' descritti. Alternativamente lo stress, specie se intenso o prolungato, puo' essere l'elemento che precipita l'infarto miocardico mediante l'iperaggregabilita' piastrinica. Lo stress e' inoltre in grado di indurre infarto mediante uno spasmo coronarico intenso e prolungato, come e' stato documentato con angiografia selettiva. Anche nei casi meno gravi, lo stress e' capace di provocare crisi di angina pectoris, sempre mediante spasmo di un'arteria coronarica. Una forma clinica particolarmente grave di tale fenomeno e' l' angina variante di Prinzmetal, patogeneticamente caratterizzata da severo spasmo coronarico che recede sotto l'azione della trinitrina, talora associato (ma non obbligatoriamente) a lesioni aterosclerotiche coronariche. D'altra parte sono ben noti, a chi frequenta gli ammalati di angina pectoris, gli episodi di acuzie collegati ad intense emozioni, sia positive che, piu' spesso, negative. Il comune denominatore causale di tali episodi e' rappresentato da un'aumento delle catecolamine circolanti, particolarmente di adrenalina. Cio' differisce dall' angina da sforzo, ove si rileva invece un maggior aumento di noradrenalina.

ARITMIE DA STRESS Da quando nel 1957 la "Holter Foundation Laboratory of Helena, Montana (U.S.A.)" sviluppo' il nuovo sistema di registrazione dinamica elettrocardiografica, e' stato possibile evidenziare scientificamente come effettivamente, (come era gia' stato empiricamente documentato), le condizioni di stress nei diversi momenti della giornata e nelle diverse condizioni psicosociali, siano in grado di innescare episodi di aritmie sopraventricolari e, cosa piu' grave, anche aritmie di tipo ventricolare. La morte improvvisa in corso di emozioni rilevanti presenta spesso una genesi cardioaritmica. Le aritmie da stress sono causate da un duplice meccanismo: aumento di catecolamine circolanti, fornite di proprieta' cardiostmolanti ed eccitomotorie; ischemia miocardica (da spasmo o da aumentato consumo di ossigeno) con secondari focolai di eccitazione ectopica.

IPERTENSIONE ARTERIOSA L'ipertensione arteriosa (definita secondo il criterio dell'O.M.S. per valori di 160 mm. Hg. (o piu') per la sistolica e 95 mm. Hg. (o piu') per la diastolica in individui oltre i 30 anni di eta') e malattia ad elevata incidenza in molti paesi industrializzati. Numerosi studi epidemiologici hanno mostrato inequivocabilmente una elevata dipendenza di tale stato morboso dalle condizioni ambientali. Si e' osservato, ad esempio, che nei negri africani tale malattia e' scarsamente rappresentata, mentre e' invece molto diffusa e grave nei negri americani, generalmente di origine africana. Studi effettuati presso tribu' indiane nordamericane ha mostrato come tale condizione patologica, assente o quasi negli anni 1930-1940, sia salita in maniera assai sensibile. Le esperienze epidemiologiche effettuate in condizioni belliche hanno definitivamente evidenziato l'importanza dei fattori stressanti ambientali nell'omeostasi pressoria. Non e' ancora del tutto chiarito l'intimo meccanismo,biochimico: e' ben nota l' importanza dell'ipertono simpatico; e' stata talora riscontrato un elevato livello di catecolamine circolanti e di renina plasmatica. I due sistemi sono probabilmente strettamente correlati fra di loro. L'ipertensione arteriosa e' poi, a sua volta, fattore di rischio cardiovascolare di primaria importanza essendo ampiamente dimostrato il ruolo patogenetico nel determinare l'ipertrofia ventricolare sinistra con successiva ischemia relativa o assoluta. Gli studi effettuati finora sembrano dimostrare che l'ipertensione sia particolarmente sensibile, in senso positivo, ai miglioramenti delle condizioni psicosociali stressanti e alle terapie psicologiche tendenti al rilassamento psicofisico. E' piuttosto difficile agire sul primo dei fattori sopracitati, in quanto raramente si riesce a modificare opportunamente, ad esempio, l'organizzazione lavorativa specie in certe categorie di lavoratori (agenti di borsa, bancari ecc.). E' possibile invece agire positivamente, con risultati documentabili, agendo sul sistema reattivo personale, alzando la soglia di tolleranza allo stress ed innescando degli opportuni meccanismi di difesa.

CONTROLLO E TERAPIA DELLO STRESS E' possibile agire a diversi livelli:

- Cardiocircolatorio diretto: alcuni farmaci (i cosiddetti beta-bloccanti ) sono in grado di antagonizzare gli effetti delle catecolamine sull'apparato cardiocircolatorio bloccando i recettori deputati all' "aggancio" delle catecolamine stesse sulle cellule. In tal caso la reazione bio-umorale conseguente alla situazione di stress si sviluppa normalmente ma i suoi effetti piu' appariscenti e piu' pericolosi a carico del cuore e dei vasi sono appunto "bloccati". Questo blocco non riguarda pero' le reazioni umorali collegate a sistemi diversi: non vengono influenzate ne' l'iperincrezione di glicocorticoidi, ne' l'iperaggregabilita' piastrinica, ne' lo squilibrio lipidico.

- Metabolico : adatti farmaci possono agire sui parametri citati sopra e lasciati scoperti dai beta- bloccanti: esistono farmaci antiaggreganti piastrinici, antidislipidemici, antiipertensivi. Ciascuno di tali farmaci e' generalmente in grado di controllare un solo parametro per cui si rende spesso necessario l'abbinamento di diverse e complesse terapie. E' percio' di primaria importanza poter agire a monte, cioe' al livello centrale, dove ha origine la cascata di eventi che poi conduce alla sindrome da stress con tutti i suoi danni a livello cardiaco.

- Terapie farmacologica dello stress: esistono numerosi farmaci aventi azione sedativa, ipnotica, ansiolitica, antidepressiva, antipanico. Tali farmaci, altamente efficaci, non agiscono pero' sulla "recezione psichica" dell'evento esterno, che mantiene pienamente la sua carica stressante, ma si limitano generalmente ad agire sul sistema nervoso centrale inibendo il circuito limbico-ipotalamo-adrenosimpatico ed in parte i meccanismi endocrini ipotalamo-ipofisari. Con questa azione farmacologica viene interrotto il relais tra sistema nervoso centrale e fibre pregangliari deputate al controllo dei vari apparati, compreso quello cardiovascolare. Viene quindi attenuata, con alcuni limiti, diversi a seconda della classe di farmaci usata, e con alcuni effetti secondari non disprezzabili, l'intensita' della risposta organica allo stress.

-Terapia psicologica dello stress: Sarebbe ovviamente auspicabile una terapia dello stress che si situi all'origine della cascata di alterazioni biochimiche e che non si limiti percio' a formare una barriera intorno agli organi maggiormente a rischio. E' da rilevare poi che ad ogni farmaco, come ben sanno i medici, sono legati particolari controindicazioni ed effetti collaterali. Una promettente soluzione ai problemi legati allo stress e' di ordine psicologico: fu il Premio Nobel Walter R. Hess che individuo' nel gatto una zona ipotalamica la cui stimolazione da una risposta opposta a quella di lotta-o-fuga. La stimolazione di tale zona determina variazioni fisiologiche simili a quelle misurate nell'uomo durante la meditazione (riduzione del consumo di ossigeno, della frequenza respiratoria, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa ecc.)per cui si affermo' il concetto che tale reazione, detta "trofotropica" costituisse un meccanismo di protezione contro l'eccesso di stress. Cio' significa che a livello dell'ipotalamo vengono modulate due opposte reazioni, bilanciantesi e limitantesi a vicenda. La reazione trofotropica (o di rilassamento) e' ottenibile con diverse tecniche non farmacologiche:

-YOGA e ZEN: Le tecniche di meditazione dello zen e dello yoga rappresentano l'espressione piu' elevata degli sforzi compiuti dall'induismo al fine di offrire all'uomo la massima possibilita' di controllare la propria mente ed alcuni processi fisiologici involontari. Mediante tali tecniche e' possibile controllare il metabolismo basale, il ritmo cardiaco e respiratorio, la pressione arteriosa, tanto da essere indicate da alcuni autori come validi presidi antipertensivi scevri da effetti collaterali. Tali tecniche sono state indicate anche per la riabilitazione dell'infartuato. L'inconveniente maggiore e' rappresentato dalla lunghezza del training necessario per apprendere compiutamente tali tecniche meditative, nonche' dalla predisposizione e dalla necessaria partecipazione emotiva, non facile in soggetti di temperamento iperreattivo.

- La MEDITAZIONE TRASCENDENTALE: trattasi di una forma di yoga sfrondata da certi elementi non essenziali, introdotta in occidente dal guru Maharishi Mahesh Yogi ed enormemente diffusasi negli ultimi periodi. Essa tende ad educare la mente, mediante esercizi da effettuarsi in genere due volte al giorno, a distaccarsi dalle situazioni e dalle percezioni stressanti della vita di ogni giorno. I fattori indispensabili alla meditazione sono: la presenza di un elemento su cui concentrarsi (una parola, un suono, una frase); un atteggiamento di passivita' che consiste nello sgomberare la mente da ogni pensiero e distrazione; l'assunzione di una posizione comoda in luogo tranquillo. Durante lo stato di meditazione trascendentale si osservano sostanzialmente le stesse variazioni fisiologiche descritte per lo yoga. Tutto cio', come vedremo, presenta una impressionante somiglianza con gli stati di trance indotta da tecniche ipnotiche o autoipnotiche.

- TRAINING AUTOGENO: o "autorilassamento concentrativo" introdotto dal neurologo tedesco Shultz nella pratica medica e' ritenuta essenzialmente una tecnica autoipnotica guidata ed esattamente strutturata sotto il profilo metodologico. La pratica, costituita da una serie di esercizi da ripetere piu' volte durante il giorno, permette di raggiungere volontariamente uno stato piu' equilibrato e meno stressato, con contenuti stabilizzanti ed armonizzanti il proprio stato fisico e psichico. Da un punto di vista fisiologico si osserva un rilassamento dei muscoli scheletrici, una dilatazione dei vasi sanguigni con aumento di flusso ematico, diminuzione del ritmo del respiro e delaa frequenza cardiaca. Sono stati documentati effetti positivi in diversi stati morbosi legati ad iperreattivita' simpatica; tale tecnica viene usata anche in individui sani, a scopo preventivo o di potenziamento.

IPNOSI E STRESS Un capitolo a parte merita il discorso sull'ipnosi clinica. In verita' occorre tener presente in primo luogo che molte delle tecniche di rilassamento sopradescritte sono in realta' delle tecniche di tipo ipnotico, in quanto tendenti, con metodiche diverse, a indurre quel monoidesmo plastico che, secondo Granone e la sua scuola, costituisce il fondamento di ogni stato ipnoidale. In effetti sono riscontrabili sia con il training autogeno che con la meditazione trascendentale le medesime alterazioni fisiologiche che si riscontrano in condizione di trance ipnotica, con alcune differenze molto importanti. E' da considerare ad esempio che lo stato di trance simil-ipnotica indotto con le tecniche sopradescritte e' generalmente piuttosto superficiale e strettamente dipendente dall'allenamento del soggetto. Infatti, per raggiungere una condizione soddisfaciente di rilassamento mediante T.A. o M. T. occorre generalmente un certo numero di sedute opportunamente distanziate nel tempo. La trance cosi' raggiunta poi si presta poco ad essere usata a scopo psicoterapeutico in quanto difficilmente integrabile con altre tecniche psicoterapiche. L'ipnosi clinica, effettuata da specialisti adeguatamente preparati, puo' ottenere condizioni di trance e di rilassamento profonodo sia fisico che psichico con un numero irrisorio di sedute, e puo' essere utilizzata in modo assai piu' completo:

- Come tecnica di rilassamento "tout court". Sono sufficienti le suggestioni di serenita' e di rilassamento per provocare pressoche' immediatamente quelle reazioni fisiologiche positive che costituiscono la reazione trofotropica. La profondita' di questo rilassamento e' generalmente maggiore di quello ottenuto con altre tecniche simil-ipnotiche. E' possibile, mediante suggestione post-ipnotica, la creazione di riflessi condizionati atti ad ottenere lo stato di rilassamento nel corso degli eventi quotidiani della vita, allorche' il soggetto ne avverta la necessita'. Tale procedimento puo' rivestire notevole importanza per la prevenzione e la terapia dello stress "situazionale" in quanto puo' evitare e prevenire l'insorgenza di continue o ripetute crisi adrenosimpatiche, assai dannose , alla lunga, per l'apparato cardiovascolare.

- Come tecnica di superamento attivo dello stress. Infatti l'ipnosi, lungi dal costituire unicamente una difesa di tipo "passivo", puo' essere invece una valida terapia (da sola o in associazione con altre tecniche) per il superamento "alla base" delle condizioni che hanno indotto la patologia emotiva. Con tecniche di condizionamento o decondizionamento, con la tecnica della rivivificazione ecc. e' possibile agire in modo attivo sul vissuto personale del soggetto attenuando l'effetto stressante di alcune particolari situazioni, aiutando l'elaborazione psichica di un lutto, aiutando la formazione di meccanismi interni di difesa. Granone, nel suo "Trattato di ipnosi" schematizza alcune possibili tecniche : ipnositerapia di sostegno dell' Io; ipnositerapia rilassante; un'ipnositerapia della presa di coscienza; una ipnositerapia con rimozione o sostituzione del sintomo; una ipnositerapia condizionante e decondizionante comportamentale. La duttilita' dell'ipnositerapia permette di adattare facilmente (per le persone esperte, evitando improvvisazioni e pressappochismo) le tecniche alle necessita' del paziente, intervenendo li' ove e' maggiormente necessario e nel modo piu' utile.

APPLICAZIONI DELL' IPNOSI NELLA CARDIOLOGIA Da quanto abbiamo detto, risulta immediatamente evidente l'utilita' dell'ipnosi nella prevenzione e nella terapia della cardiopatie: benche' non ancora convalidate da estesi studi epidemiologici, le modificazioni fisiopatologiche documentate dagli studi sperimentali di Granone, Mastronardi e altri, appaiono valide le prospettive terapeutiche almeno nei seguenti settori:

- Personalita' di tipo A ( eccessivamente competitive e in condizione di continua tensione nervosa). (Tecniche di rilassamento generale).

- Ipertesi essenziali, specie se in fase iniziale, allorche' non si siano instaurati ancora danni di organo o di apparato. (tecniche di rilassamento generale).

- Ipertensione parossistica reattiva a situazione acuta di stress, specie se prevedibile anticipatamente (stress legato al lavoro ecc.). (Tecniche di rilassamento generale associate a condizionamenti e decondizionamenti).

- Tachiaritmie cardiache, extrasistolie, disturbi funzionali da iperincrezione di catecolamine. (Tecniche di rilassamento guidato e di condizionamento al rapido rilassamento; tecniche di rassicurazione).

- Angina pectoris di tipo instabile, non legata solo a fatti di stenosi coronarica aterosclerotica ma a spasmi coronarici. (Tecniche di rilassamento generale e condizionamento al rilassamento rapido.). Una particolare menzione puo' essere fatta per la riabilitazione dell'infartuato: e' ben noto che, in seguito ad infarto del miocardio, si generi in un elevato numero di soggetti un meccanismo ansiogeno fortemente condizionante e limitante le comuni attivita' della vita. Spesso l'ansia generata dal pregresso episodio infartuale (e lo stato "invalidante" che ne deriva) e' assolutamente sproporzionato all'effettiva gravita' dei postumi clinici. E' facile assistere quindi a una inibizione dell'attivita' sessuale, a una cessazione dell'attivita' lavorativa, ad una inibizione anche delle attivita' ludiche, all'ingravescenza di una condizione ansiosa e/o depressa a sua volta fonte di stress e quindi di nuove patologie cardiache. L'ipnositerapia, nelle sue varie forme da adattare volta per volta al caso clinico, puo' contribuire notevolmente a diminuire il livello dell'ansia, a restituire fiducia in se' stessi, ad eliminare eventuali fobie costituitesi in seguito all'evento morboso. Non si pretende certo, con l'ipnosi, di prevenire o curare nella totalita' i malati cardiaci (o potenzialmente tali). Tuttavia l'eliminazione delle condizioni biochimiche legate allo stress (nelle sue varie forme) appare capace di ridurre notevolmente il rischio di malattia cardiovascolare, costituendo un valido presidio profilattico e terapeutico, capace inoltre di migliorare notevolmente la qualita' della vita.
 
 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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