PILLOLE DI MEDICINA TELEMATICA Maggio 1998
Suggerimenti per il Medico di Medicina Generale
a cura di Daniele Zamperini md8708@mclink.it
e Amedeo Schipani mc4730@mclink.it
SIMG – Roma

ESERCIZIO FISICO E DIABETE
Le abituali raccomandazioni per il diabetico che pratichi attività sportiva prevedono il divieto di iniziare la seduta atletica se la glicemia è maggiore di 250/300 mg/dl. Tali raccomandazioni derivano da un piccolo numero di studi non conclusivi effettuati negli anni 80. Recentemente Bob Hanisch ha studiato la risposta glicemica nel diabetico che effettui esercizi fisici con glicemia elevata. Ha controllato 1010 sessioni sportive di diabetici di tipo I e II in trattamento insulinico misurando la glicemia prima e dopo la sessione. Il tipo di esercizio (di intensità leggera-moderata) era scelto autonomamente dal paziente. L'Autore ha osservato un incremento della glicemia nel 1,3% dei casi, una diminuzione nel 98,7% . In conclusione nel 98,7% dei casi la proibizione dell'esercizio nel timore di un peggioramento metabolico non sarebbe stata corretta. Andrebbero riconsiderati i criteri sul livello accettabile di glicemia pre-esercizio. È richiesta sempre l'assenza di chetonuria.
(Riportato da "Sport e Diabete" Periodico dell'Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, anno 2 n. 6).

È PROPRIO AUSPICABILE ESSERE MAGRI, PER I DIABETICI?
Negli anni '70, sono stati esaminati 4.483 adulti, dei quali 373 risultarono diabetici presentando un tasso glicemico superiore a 7,77 mmol/l. Vennero divisi in 4 categorie di peso, suddivise per sesso. Dopo 14 anni si riesaminarono i
dati del 99,9% dei pazienti studiati. RISULTATI: gli uomini e le donne di peso medio presentavano la mortalità più bassa. La curva di rischio presentava un tasso di sopravvivenza peggiore per i soggetti magri, per quelli in sovrappeso e per gli obesi. CONCLUSIONI: il basso peso corporeo non offre vantaggi in termine di mortalità per le donne e gli uomini diabetici. Un peso medio sembra essere la condizione migliore.
(Ross C. e al.: Diabetes-Care 1997 Apr, VOL:20(4), P:650-652)

PRECISAZIONI SUI REQUISITI PER LA DONAZIONE DI SANGUE
I requisiti pubblicati precedentemente si basavano su una comunicazione di un Centro Trasfusionale della Croce Rossa di Roma. In realtà, grazie a quanto segnalato da Alberto Porta e da Enzo Brizio si è constatato come i criteri, in Italia, non siano omogenei.

Scrive Enzo Brizio (Cuneo):
Noi ci atteniamo al DM 15/1/91 che dice, a proposito delle sospensioni temporanee:
- soggetti che hanno avuto contatti con epatitici: un anno
- soggetti affetti da malaria o sottoposti a profilassi antimalarica: tre anni
- soggetti che hanno soggiornato in zona malarica: sei mesi dal rientro
- soggetti affetti da brucellosi: almeno 2 anni dalla guarigione
- soggetti vaccinati per rabbia in seguito a morsicatura di animale rabido: un anno dal morso
- soggetti inoculati con virus-vaccini vivi attenuati (polio, morbillo, parotite e febbre gialla): 2 settimane; rosolia: 4 settimane; trattamento con Ig contro epatite B: un anno
- soggetti che hanno avuto una o più trasfusioni di sangue: 5 anni

Fa presente Alberto Porta:
Il problema è che la legge che regola tutto ciò dice molto poco (Decreto del Ministero della Sanità 27/12/90 "Caratteristiche e modalità per la donazione del sangue ed emoderivati"; Decreto 15/01/91 "Protocolli per l'accertamento della idoneità del donatore di sangue ed emoderivati", entrambi pubblicati sulla GU del 24/1/91 n° 20), per cui alcune regioni hanno supplito con linee guida regionali, e per il resto ogni AVIS fa quel che vuole.
Il risultato è, ad esempio, che:
- la tabella finale della legge elenca tra i criteri di esclusione dalle donazioni "trasfusioni di sangue, anche in un lontano passato", mentre il testo della legge (art. 20) dice che chi ha ricevuto trasfusioni è sospeso per 5 anni.
- sui farmaci assunti la legge non dice niente (a parte che il donatore deve essere in buona salute); ogni Centro Trasfusionale va ad occhio.
- la legge elenca tra i criteri di esclusione (nella già citata tabella finale) "(storia di) epatite od ittero" senza però specificare nulla sulla natura di tale ittero (e l'ittero colestatico?). Ad esempio, ad Asti una pregressa epatite A viene tranquillamente ignorata; i soggetti anti-HBc positivi sono ammessi a donare se il titolo anti-HBs è superiore a 100 mU/ml, solo da pochi mesi. A Bologna lo fanno almeno dal '92; dove lavora Enzo Brizio non lo fanno ancora);
- Chi è sospeso dalle donazioni di sangue intero per malaria (profilassi: 3 anni - semplice soggiorno in area endemica: 6 mesi) può comunque donare il plasma in aferesi;
- Transaminasi: un riscontro di transaminasi alte può essere il primo segno di un'epatite acuta non ancora rilevabile dai markers; perciò la sacca viene bloccata e il donatore sospeso; ma: a Torino, per risparmiare, è il primo esame che fanno; se ALT maggiore di 54 per gli uomini e 38 per le donne, buttano via la sacca e ricontrollano il donatore dopo sei mesi;
ad Asti il limite è 50 per uomini e donne (quindi una donna con ALT a 40 può donare ad Asti ma non a Torino; un uomo con ALT a 52 può donare a Torino ma non ad Asti...).
Ad Asti prima si respingevano i donatori che assumevano antistaminici, il nuovo primario del Centro Trasfusionale li accetta.
Grazie ad Alberto e ad Enzo: è stata un'occasione per imparare qualcosa che altrimenti non avremmo mai saputo: che neppure in un campo così delicato vengano seguiti, in Italia, criteri omogenei.

INCIDENZA DELLE REAZIONI AVVERSE DA FARMACI NEI PAZIENTI OSPEDALIZZATI
Lo studio è una metanalisi di 39 studi prospettici di ospedali U.S.A. sulle reazioni avverse da farmaci (per brevità ADRs, da Adverse Drug Reactions).
L'incidenza complessiva di ADRs è stata calcolata sommando quelle verificatesi durante la degenza in ospedale a quelle che sono state causa del ricovero in ospedale. Sono state prese in considerazione solo le ADRs a farmaci assunti correttamente. Sono state definite gravi le ADRs che hanno provocato un ricovero, o invalidità permanenti, o la morte.
L'incidenza complessiva di ADRs gravi è stata del 6,7% dei pazienti ricoverati, quella di ADRs fatali è stata dello 0,32%. Ciò fa delle ADRs una delle principali cause di morte (più di 100.000 ogni anno negli U.S.A.), ponendole al quarto o al sesto posto a seconda dell'incidenza nei vari studi esaminati (le principali cause di morte sono, in ordine di importanza: 1. Cardiopatie 2. Tumori 3. Ictus 4. Malattie polmonari 5. Incidenti).
Secondo gli autori le ADRs sono state finora sottostimate.
(JAMA, 15.4.98)

FANS, PARACETAMOLO E DIVERTICOLI
Uno studio prospettico della durata di 4 anni ha indagato la relazione tra il consumo regolare di FANS e Paracetamolo e il rischio di malattia diverticolare sintomatica. I soggetti, 35.615 maschi professionisti sanitari (dentisti, medici, farmacisti, veterinari ecc.) di età tra i 40 e i 75 anni, sono stati indagati mediante un questionario con cadenza biennale nel 1988, 1990 e 1992. Alla data del 1988 erano tutti esenti da malattia diverticolare, poliposi del colon o del retto, colite ulcerosa e cancro. RISULTATI: durante il periodo di quattro anni sono stati documentati 310 nuovi casi di malattia diverticolare sintomatica. Dopo aggiustamento per età, attività fisica, consumo di fibre e di grassi, l'uso regolare e consistente di FANS e Paracetamolo è stato associato positivamente col rischio complessivo di malattia diverticolare sintomatica: per i FANS, rischio relativo = 2,24 (consumatori vs. non consumatori); per il Paracetamolo, rischio relativo di 1,81. Gran parte di questa associazione positiva era attribuibile a casi con emorragia, particolarmente per il Paracetamolo (per i FANS, rischio relativo = 4,64; per il Paracetamolo, rischio relativo = 13,63). CONCLUSIONI: I risultati suggeriscono che il consumo regolare e consistente di FANS e Paracetamolo è associato con sintomi di malattia diverticolare severa, in particolare l'emorragia.
(Archives of Family Medicine, 05-06/98)

LA FORMAZIONE CONTINUA IN MEDICINA GENERALE
(Tre anni di esperienza di apprendimento a piccoli gruppi)
Le conoscenze in campo medico diventano obsolete e si modificano con sempre maggior rapidità, per cui è sempre più importante per i medici mantenersi aggiornati. Questo principio è presente da tempo nei contratti nazionali per la Medicina Generale di altre nazioni, ed è stato recepito anche in Italia. Infatti nell'Accordo Collettivo per la Medicina Generale sono previste 32 ore l'anno di aggiornamento obbligatorio (purtroppo l'applicazione di questa norma è piuttosto discontinua da regione a regione). La didattica tradizionale si basa sulla lezione magistrale, in cui un docente erudisce un gruppo più o meno numeroso di discenti su un argomento del quale egli è esperto. Un tipo di didattica diverso è quello basato sull'apprendimento attivo a piccoli gruppi, di dieci persone al massimo, in cui il discente è parte attiva nella dinamica dell'apprendimento, impara a lavorare in équipe e confronta in continuazione con gli altri colleghi le proprie conoscenze. É presente un docente, ma la gestione di questo tipo di didattica e' affidata all'Animatore di Formazione, che organizza i corsi sulla base di una preliminare valutazione dei bisogni di salute della popolazione e delle effettive esigenze dei medici. Il corso prevede un pre-test, che valuta le conoscenze dei discenti; un post-test, che valuta i risultati ottenuti; e un questionario finale di valutazione del corso (QVC), utile per migliorare il corso stesso nelle successive repliche. Gli autori analizzano 28 corsi effettuati con questo tipo di didattica in provincia di Varese nel triennio 1993-95, che hanno coinvolto 749 medici (in maggioranza MMG). Il contenuto dei corsi, svolti sulla base di una rilevazione dei bisogni degli stessi medici del territorio, rispondeva ad effettive esigenze professionali. Il livello dei risultati ottenuto è stato statisticamente significativo e il gradimento incoraggiante. I dati emersi suggeriscono di proseguire con questo tipo di aggiornamento continuo.
(MEDIC, 03/98)

AUTOMOBILISTI CARDIOPATICI E RISCHIO DI INCIDENTI
Obiettivo dello studio: controllare se i guidatori maschi di età compresa tra i 45 e i 70 anni affetti da malattie cardiovascolari siano più a rischio per incidenti automobilistici. I dati sull'età dei guidatori e sulle loro condizioni di salute sono stati presi dai files computerizzati della SAAQ (Societé de l'Assurance Automobile du Quebec). Un questionario è stato inviato a tutti i soggetti per raccogliere informazioni aggiuntive sulla distanza percorsa annualmente e sulle varie abitudini di guida. Sono stati esaminati 2504 automobilisti coinvolti in incidenti d'auto in un periodo di sei mesi; i controlli sono stati 2520 automobilisti non coinvolti in incidenti d'auto. È stata valutata la percentuale di automobilisti con malattie cardiovascolari in entrambi i gruppi. Conclusioni: lo studio dimostra che non c'è un maggior rischio di incidenti per gli automobilisti affetti da malattie cardiovascolari. Questi però guidano mediamente meno degli automobilisti non malati (8900 Km l'anno contro 13000 Km l'anno).
(Canadian Family Physician, 04/98)

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