PILLOLE DI MEDICINA TELEMATICA Aprile 1999
Suggerimenti per il Medico di Medicina Generale
a cura di Daniele Zamperini md8708@mclink.it
e Amedeo Schipani mc4730@mclink.it
SIMG-Roma

SI FA PRESSANTE IL PROBLEMA TBC
Una serie di indicatori segnalano concordemente che il problema della TBC in Italia si sta facendo sempre più importante.
In Lombardia è stato segnalato un lento ma costante aumento dei casi denunciati che, si fa presente, sono certamente sottostimati. Particolarmente colpiti i giovani tra i 20 e i 39 anni. Imputato numero uno, a detta del dirigente del settore Igiene, è l'immigrazione irregolare da paesi con alta endemia; contribuiscono l'infezione da HIV e la socializzazione da discoteca. Il 50% dei casi attualmente riscontrati riguarderebbe infatti, in tale ambito territoriale, immigrati extracomunitari. L'immigrazione è posta sul banco degli imputati anche dall'Istituto Superiore di Sanità: in un recente convegno (Giornata Mondiale contro la TBC) è stato rilevato come il trend di morbilità in Italia sia in continuo aumento. Pur risultando ancora (con 13 casi ogni 100.000 abitanti) ancora “area a bassa prevalenza”, l'Italia è destinata, nei prossimi anni, a vedere diffondere la malattia soprattutto nelle face di popolazione più a rischio. Per fare un paragone, il tasso di morbilità è di 8/100.000 negli USA, 6/100.000 in Australia. A Singapore invece (paese “ricco” ma particolarmente colpito) , il tasso è stato di 58/100.000, con 125 decessi e 1.800 nuovi malati nel 1998. Una delle cause favorenti la diffusione della malattia in Italia, a detta del responsabile del Progetto Nazionale TBC, è l'impreparazione dei medici, che hanno “dimenticato” come si diagnostica tempestivamente l'infezione tubercolare.
(ADNkronos Salute, condensato da diverse news da D.Z.)

NUOVO VIRUS SCOPERTO IN MALESIA
Il Governo Malese ha annunciato la scoperta di un nuovo virus in una regione di allevamenti, già sede di focolaio di encefalite giapponese. Si tratta di un paramyxovirus, che non ha legami col virus dell'encefalite giapponese ma sarebbe imparentato invece con un virus identificato per la prima volta nel 1994 in Australia. Si trattava di un morbillivirus, circolante nel sangue dei piccoli roditori ma mortale se trasmesso ai grandi animali e all'uomo. Tale virus, chiamato Hendra, venne classificato nel 1996 nella categoria degli agenti infettivi che necessitano di misure di alta sicurezza per l'alta patogenicità e le modalità di trasmissione.
(ADNkronos Salute)

INNOCENTE LA CHLAMYDIA PNEUMONIAE NELL'INFARTO?
Uno studio effettuato dai ricercatori dell'Harvard Medical School sembra demolire quella che stava diventando una certezza ma che, secondo gli stessi ricercatori, è invece una osservazione basata solo su pochi dati epidemiologici: il ruolo causale dell'infezione da Chlamydia Pneumoniae nell'infarto e il ruolo dello stesso batterio nell'aterosclerosi. Lo studio è stato condotto su 343 casi di infarto e altrettanti controlli. Si trattava di persone tutte incluse nel Physicians' Health Study che ha avuto un follow-up di 12 anni. La ricerca degli anticorpi ematici contro la Chlamydia Pneumoniae ha verificato che non esisteva correlazione tra tale infezione ed il rischio di infarto.
(Qualità della vita: n. 12/1999)

DIURETICI E BETABLOCCANTI NON MODIFICANO I LIPIDI PLASMATICI NEGLI UOMINI IPERTESI
La terapia anti-ipertensiva ha ridotto significativamente la mortalità per tutte le cause, gli stroke, gli infarti miocardici e l'insufficienza cardiaca nei trials clinici di morbilità e mortalità. I farmaci usati in questi trials sono stati in gran parte i diuretici e in minor misura i betabloccanti. Nel 1997 il JNC-VI ha raccomandato che diuretici e betabloccanti siano considerati come i farmaci di prima scelta nella terapia dell'ipertensione non complicata. Tuttavia, negli Stati Uniti il numero di prescrizioni annuali di calcioantagonisti e ACE-inibitori attualmente supera quello di diuretici e betabloccanti. Una ragione per preferire queste nuove classi di antiipertensivi è stata la preoccupazione riguardo i potenziali effetti negativi di diuretici e betabloccanti sui lipidi e le lipoproteine plasmatiche. Ci sono parecchi report riguardo gli effetti avversi di questi farmaci sui lipidi nel breve termine, ma non è chiaro se questi effetti permangono a lungo. Un totale di 1292 uomini di età da 21 anni in su, con pressione diastolica compresa tra 95 e 109 mmHg, sono stati randomizzati a ricevere un placebo o uno di sei farmaci antiipertensivi: idroclorotiazide, atenololo, captopril, clonidina, diltiazem o prazosin. Dopo aggiustamento della dose, i pazienti con pressione diastolica inferiore a 90 mmHg sono stati seguiti per un anno. I lipidi e le lipoproteine sono stati dosati all'inizio, dopo l'aggiustamento della dose e dopo un anno. CONCLUSIONI: Nessuno di questi sei antiipertensivi ha, a lungo termine, effetti avversi su lipidi e lipoproteine plasmatiche e possono quindi essere prescritti in tutta sicurezza. Gli effetti avversi a breve termine precedentemente descritti per l'idroclorotiazide sono limitati ai soggetti non responder.
(Archives of Internal Medicine, 22.3.99)

TOSSINA BOTULINICA EFFICACE IN BAMBINI AFFETTI DA PARALISI CEREBRALE SEVERA
Al meeting annuale della American Academy of Neurology tenutosi a Toronto dal 17 al 24 aprile '99 è stato presentato uno studio fatto da Petr Kanovsky, neurologo della Masaryk University in Brno, Repubblica Ceca, che dimostra l'utilità della tossina botulinica in bambini che non possono camminare perché affetti da paralisi cerebrale. In precedenza erano stati trattati bambini affetti da paralisi cerebrale che potevano camminare. I ricercatori hanno iniettato la tossina botulinica nei polpacci di 27 bambini di età dai 2 ai 7 anni, incapaci di camminare o di stare in piedi. Le iniezioni sono state fatte a intervalli di 3-4 mesi per un periodo di 3 anni. Tutti i 27 bambini hanno avuto un miglioramento della funzione muscolare da tre a sei mesi dopo la prima iniezione. Sei di questi sono stati in grado per la prima volta di stare in piedi, con un aiuto. Non ci sono stati effetti collaterali. Il trattamento è più efficace se fatto in combinazione con la fisioterapia.
(Doctor's Guide, 19.4.99)

OSPEDALIZZAZIONE A DOMICILIO
Studi recenti che evidenziano gli effetti avversi associati con il ricovero in ospedale rendono più attraente il trattamento domiciliare, specialmente per i pazienti anziani, che notoriamente in ospedale soffrono un'alta incidenza di complicazioni. Se trattati a domicilio i pazienti non devono modificare il loro ambiente o la loro routine, non sono esposti a infezioni nosocomiali e non si devono adattare alla cultura sociologica dell'ospedale. È stato effettuato uno studio randomizzato e controllato su 100 pazienti (per il 69% di età superiore ai 65 anni) con una varietà di affezioni acute, che erano state ritenute meritevoli di ricovero ospedaliero da parte del dipartimento di emergenza. I pazienti sono stati allocati in modo random ad essere ospedalizzati presso il loro domicilio o ad essere ammessi in ospedale. Sono state valutate le complicazioni geriatriche (confusione, cadute, incontinenza urinaria o ritenzione, incontinenza fecale o costipazione, flebite), la soddisfazione del paziente e del medico, gli eventi avversi e la morte. RISULTATI: tra i pazienti ospedalizzati a domicilio c'è stata una minore incidenza di confusione, di complicanze urinarie o intestinali. Non ci sono state differenze significative nel numero di eventi avversi e di morti fino a 28 giorni dopo la dimissione, nei due gruppi. La soddisfazione dei pazienti e dei medici è stata significativamente più alta nel gruppo degli ospedalizzati a domicilio. CONCLUSIONI: Il trattamento a domicilio sembra offrire una valida alternativa per pazienti selezionati, e può essere preferibile per alcuni pazienti anziani.
(MJA, aprile 1999)

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