PILLOLE DI MEDICINA TELEMATICA Marzo 1999
Suggerimenti per il Medico di Medicina Generale
a cura di Daniele Zamperini md8708@mclink.it
e Amedeo Schipani mc4730@mclink.it
SIMG-Roma

DIABETE E INCIDENTI AUTOMOBILISTICI NEGLI ANZIANI
Il diabete è una delle poche condizioni per le quali esistono limitazioni o divieti alla possibilità di guidare, specie in riferimento alla guida di autoveicoli commerciali [In Italia il Ministero dei Trasporti con decreto del 16 ottobre 1998 ha stabilito che “la patente di guida può essere rilasciata o rinnovata al candidato o conducente colpito da diabete mellito, con parere di un medico autorizzato e regolare controllo medico specifico per ogni caso” con l'esclusione dei diabetici insulino-dipendenti. Infatti “La patente di guida non deve essere né rilasciata né rinnovata al candidato o conducente di questo gruppo colpito da diabete mellito che necessiti di un trattamento con insulina, salvo casi eccezionali debitamente giustificati dal parere di un medico autorizzato e con controllo medico regolare”. Una circolare del 22 gennaio 1999 ha poi precisato che quest'ultima disposizione “si applica esclusivamente alle patenti di guida del gruppo 2, ossia alle categorie superiori (C, C1, D, D1,E)” quindi non alla categoria B. (N.d.A.)]
L'obiettivo dello studio è stato valutare l'associazione tra il diabete e le sue complicanze e gli incidenti automobilistici “per colpa” nei guidatori anziani. Si tratta di uno studio di popolazione di tipo caso-controllo. Tra tutti i soggetti residenti a Mobile County, Alabama (U.S.A.) di età ³ 65 anni (39.687 persone) sono stati considerati 1906 soggetti che nel corso del 1996 hanno avuto un incidente automobilistico. Di questi, 560 sono stati selezionati in modo casuale per essere intervistati telefonicamente. 447 (79.7%) hanno partecipato, 84 (15%) hanno rifiutato di partecipare, 24 (4.2%) non hanno potuto continuare l'intervista a causa di impedimenti vari, e 6 (1%) erano deceduti al momento della tentata intervista. I partecipanti non differivano per età e sesso dai non partecipanti. 249 dei 447 soggetti (56%) che avevano avuto un incidente erano almeno parzialmente colpevoli (secondo i dati tratti dai files del Dipartimento di Pubblica Sicurezza). I rimanenti, ossia i non colpevoli, sono stati presi come primo gruppo di controllo. Un secondo gruppo di controllo è stato composto selezionando in modo casuale 613 guidatori non coinvolti in incidenti automobilistici. Le interviste telefoniche sono state effettuate da intervistatori esperti che erano “ciechi” in relazione allo status del caso. Oltre ad informazioni demografiche standard (età, sesso, razza, stato civile, scolarità) sono state raccolte informazioni sul diabete, altre condizioni mediche, terapie, abitudini di guida e funzione visiva. I soggetti che riferivano diabete venivano interrogati anche sulla durata della malattia, la severità (per esempio, frequenza di episodi di iperglicemia/ipoglicemia), la terapia (ipoglicemizzanti orali, insulina), e sui sintomi (per es. vertigini, pollachiuria). A questi soggetti veniva anche chiesto se un medico, o infermiere o altro operatore sanitario avesse loro detto che avevano una neuropatia o una retinopatia. In generale non c'è stata associazione tra diabete e incidenti colposi. L'Odds Ratio per diabete è stata di 1.1 (C.I. 0.7-1.9) quando i soggetti del caso sono stati confrontati con entrambi i gruppi di controllo. Tuttavia, l'Odds Ratio per diabete è stata di 2.5 (C.I. 0.9-7.2) tra soggetti che erano stati coinvolti in un incidente nei quattro anni precedenti il 1996, mentre è stata di solo 0.9 (C.I. 0.5-1.7) tra quelli che non lo erano stati. Non c'è stata evidenza di associazione tra tipo di terapia e coinvolgimento colposo in un incidente. Nei soggetti in esame c'era una frequenza maggiore di neuropatia (Odds Ratio 2.4), comunque non significativa (P = 0.25), in confronto con entrambi i gruppi di controllo, mentre la retinopatia non era associata ad un aumento del rischio di incidenti. In conclusione, questo studio non fornisce prove che i guidatori anziani affetti da diabete siano a maggior rischio di incidenti automobilistici. Rimane la possibilità che i diabetici con malattia più severa o che abbiano avuto incidenti multipli siano a maggior rischio.
(Diabetes Care, 02/99)

NIFEDIPINA E ANGINA PECTORIS
Il lavoro consiste in una metanalisi di 60 trials randomizzati e controllati, allo scopo di confrontare la frequenza di eventi cardiovascolari in pazienti con angina stabile trattati con nifedipina in tutte le formulazioni, in monoterapia o insieme con altri farmaci, e in pazienti con angina stabile trattati con altri farmaci. Su 2.635 pazienti trattati con nifedipina sono stati riportati 30 eventi cardiovascolari (1.19%), contro 19 eventi in 2.655 pazienti trattati con altri farmaci (0.72%). L'Odds Ratio per la nifedipina versus i controlli è stata di 1.40 (95% C.I. = 0.56-3.49) per gli eventi maggiori (morte, infarto miocardico non fatale, stroke, intervento di rivascolarizzazione), di 1.75 (95% C.I. = 0.83-3.67) per l'aumento di angina e di 1.61 (95% C.I. = 0.91-2.87) per tutti gli eventi (eventi maggiori più aumento di angina). Gli episodi di angina aumentata sono stati più frequenti con la nifedipina a rilascio immediato [Odds Ratio 4.19 (95% C.I. = 1.41-12.49)] e con la nifedipina in monoterapia [Odds Ratio 2.61 (95% C.I. = 1.30-5.26)]. L'Odds Ratio per la nifedipina a rilascio immediato è stato significativamente più alto (P = 0.001) che per la nifedipina sustained-release e la nifedipina estended-release (rispettivamente nifedipina ritardo e nifedipina crono), e l'Odds Ratio per la nifedipina in monoterapia è stato più alto che per la nifedipina in terapia combinata con altri farmaci (P = 0.03). L'aumento del rischio di eventi cardiovascolari in pazienti con angina stabile in trattamento con nifedipina è stato dovuto principalmente all'aumento del numero di episodi di angina, limitatamente alla formulazione a rilascio immediato e alla nifedipina in monoterapia. Le formulazioni a lento rilascio e l'uso concomitante con betabloccanti non sembrano essere associati ad aumento di rischio negli studi inclusi in questa metanalisi.
(Hypertension, 01/99)

ANTIBIOTICI E RISCHIO DI INFARTO MIOCARDICO
Dati sempre più numerosi avvalorano l'ipotesi di un'associazione causale tra alcune infezioni batteriche e l'aumento del rischio di sviluppare infarto miocardico acuto. Se tale associazione causale esiste, i soggetti che hanno fatto uso di antibiotici attivi contro i batteri, indipendentemente dall'indicazione, potrebbero essere a minor rischio di sviluppare infarto miocardico acuto rispetto a chi non ne ha fatto uso. Uno studio di popolazione caso-controllo è stato fatto utilizzando un database comprendente 350 ambulatori di medicina generale del Regno Unito. Sono stati confrontati 3.315 pazienti di età £ 75 anni con una diagnosi di primo infarto miocardico tra il 1992 e il 1997, e 13.139 controlli senza infarto miocardico, confrontabili con i primi per età, sesso, ambulatorio frequentato e periodo di tempo. È stato verificato l'uso di antibiotici tra coloro che avevano o no avuto un primo infarto miocardico acuto. L'incidenza di infarti era significativamente inferiore in soggetti che avevano usato tetracicline (Odds Ratio 0.70; 95% C.I. = 0.55-0.90) o chinolonici (Odds Ratio 0.45; 95% C.I. = 0.21-0.95), mentre nessun effetto è stato riscontrato per l'uso precedente di macrolidi (soprattutto eritromicina), sulfamidici, penicilline o cefalosporine. I risultati di questa ampia analisi caso-controllo forniscono ulteriori, sebbene indirette, evidenze per un'associazione tra infezioni batteriche da microrganismi sensibili a tetracicline o chinolonici e il rischio di infarto miocardico acuto. Questi risultati di natura preliminare dovrebbero stimolare ulteriori ricerche per esplorare il ruolo delle infezioni nell'eziologia dell'infarto miocardico acuto.
(JAMA, 3.2.99)

DNA A TRIPLICE CATENA
Già nella seconda metà degli anni '50 si scoprì che, sia in vitro che in vivo, si potevano costituire tratti di DNA in triplice elica. Di tale scoperta sfuggiva però il significato biologico, né se ne vedeva un possibile utilizzo in ambito medico. Nei successivi decenni si sono evidenziati alcuni processi biologici che richiedevano la costituzione di triplici eliche polinucleotidiche, per cui l'interesse per tali strutture rinacque, intuendosi anche una possibile implicazione nelle tecnologie del DNA ricombinante. Ulteriori recenti ricerche hanno dimostrato che, mediante la formazione di tali strutture, fosse possibile controllare in vitro l'espressione genetica.
La genesi di una triplice elica di DNA passa attraverso la somma di un desossi-oligo-nucleotide ad un corrispondente tratto di DNA a doppia elica. La struttura che in questo modo si forma, si regge grazie allo stabilirsi di legami idrogeno che si aggiungono a quelli canonici (i legami di Watson e Crick), con formazione di una struttura stabile. I legami idrogeno coinvolgerebbero l'anello purinico N7 piuttosto che l'N1.
Sequenze di basi capaci di dar luogo a tale particolare tipo di DNA sono state rinvenute essenzialmente nel genoma degli eucarioti (organismi superiori) e molto più raramente negli eubatteri. Sono ancora abbastanza incompleti i dati disponibili sul coinvolgimento di tali strutture nel processo di replicazione del DNA e nella trascrizione e ricombinazione omologa; si intravedono però importanti applicazioni terapeutiche, grazie al fatto che tali triplici eliche potrebbero essere usate per inibire la trascrizione di messaggi genetici patologicamente alterati, regolandone l'espressione genetica e modulandone opportunamente l'attività.
(G.Parisi, “Biologi Italiani” n. 11/1998)

CA MAMMARIO: INTEGRAZIONI NEFASTE TRA AGRUMI E TAMOXIFENE
Secondo alcuni ricercatori Belgi sarebbe necessario vietare o quanto meno limitare il consumo di agrumi da parte di donne trattate con tamoxifene in quanto sarebbe stato messa in evidenza, sull'animale, una interferenza negativa sull'efficacia antineoplastica di tale farmaco. Lo studio dimostrerebbe che un flavonoide (la tangeretina) di per sé ininfluente sulla crescita neoplastica, inibirebbe l'effetto dell'antiestrogeno. Oltretutto sarebbe stata dimostrata un'azione inibitrice sull'azione citolitica dei linfociti NK sulle cellule tumorali. Questi risultati potrebbero spiegare almeno in parte, secondo gli autori, la perdita di efficacia del tamoxifene in alcuni soggetti. Malgrado quanto detto sopra gli autori non arrivano a vietare il consumo di agrumi o spremute nelle donne in trattamento con tamoxifene, in quanto è noto che tali alimenti contengono altre sostanze potenzialmente utili contro le neoplasie; il tasso di tangeretina, inoltre, è molto basso. Raccomandano però attenzione all'eventuale uso di integratori alimentari a base di agrumi e agli additivi concentrati, contenenti elevate concentrazioni di tangeretina.
(ADNkronos: Qualità della vita, n. 8/1999)

MULTITERAPIA CONTRO LE COMPLICAZIONI DEL DIABETE MELLITO
Dallo studio danese “Steno type 2”, condotto dai ricercatori del Centro Diabetologico Steno di Copenaghen, realizzato su 149 pazienti affetti da diabete di tipo II con microalbuminuria sarebbe stato evidenziato come un multitrattamento a base di farmaci, dieta equilibrata ed attività fisica permetta di ridurre in maniera elevata le complicazioni della malattia. Rispetto alla dieta standard, tale multiterapia include:
 ź Un regime alimentare con riduzione dei grassi a non più del 30% delle calorie totali (10% al massimo per i grassi insaturi).
 ź Attività fisica di livello medio per almeno 30' per 3-5 volte la settimana.
 ź Terapia con ACE-inibitori in tutti i pazienti.
 ź Vitamina C, E ed Acido acetilsalicilico in caso di precedenti ischemici.
 ź Ipoglicemizzanti orali (metformina o glicazide in prima scelta) nel caso di HbA1c > di 6,5%, con l'aggiunta di un secondo ipoglicemizzante o di insulina se necessario.
 ź Ulteriori terapie, se necessarie, per l'ipertensione (se > di 140/85) e per le dislipidemie.
L'adozione di questi provvedimenti ha evidenziato, nell'arco di tempo di 3-8 anni, una riduzione del 73% del tasso di progressione verso la nefropatia, del 55% del tempo di progressione verso la retinopatia, una regressione del 68% del tempo di progressione verso la neuropatia.
(ADNkronos, Qualità della vita, n. 8/1999)

STRESS E COLITI
Uno studio condotto in Gran Bretagna presso l'Ospedale Generale di Sheffield e in corso di pubblicazione sulla rivista GUT avrebbe evidenziato che i soggetti più colpiti da sindrome del colon irritabile a seguito di infezione intestinale sono quelli che soffrono di tensioni psicologiche, in particolare depressione, ansia e angoscia.
Lo studio ha analizzato 94 pazienti ricoverati per intossicazioni alimentari, dissenteria e gastroenterite, evidenziando la comparsa di sindrome del colon irritabile in un quarto dei casi nell'arco di tre mesi. In particolare i pazienti più ansiosi e più nervosi nel corso dell'attacco gastroenteritico erano quelli che avevano sviluppato la sindrome del colon irritabile.
(ADNkronos “Qualità della vita” n. 8/1999)
Nota personale: questa notizia non sarebbe assolutamente meritevole di segnalazione se non per il fatto che, sempre più spesso, “autorevoli” studi anglosassoni pubblicati su indubbiamente “autorevoli” riviste ci ripresentano la scoperta dell'acqua calda. Il ruolo dello stress sulle funzioni dell'apparato digerente e, in particolare, sulle colopatie è noto e studiato fino alla nausea. Ora, comunque, ne abbiamo autorevole conferma! (D.Z.)

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