Dove sono i confini del consenso informato?

Caro direttore,

un fatto recentemente accaduto a un mio assistito mi dà modo di tornare sul tema del consenso informato. Il giovane, di professione agricoltore, lavorando tra detriti terrosi si è procurato una ferita profonda al piede. Al Pronto soccorso ha riferito di non essere vaccinato per il tetano e il medico, dopo averlo informato dell’opportunità di somministrare immunoglubuline umane, gli ha sottoposto un modulo di consenso nel quale lo si informava del possibile rischio di contrarre i virus dell’epatite e dell’AIDS. Di fronte a questa pur remota evenienza, l’uomo ha deciso di rifiutare il trattamento nonostante una chiara indicazione.

Provo a immaginare di trasferire un tale modello di comportamento nell’ambito della medicina di base. La stessa opportunità di trattare con amoxicillina una tonsillite di origine batterica riproduce abbastanza bene i termini della questione, con la contrapposizione di due minacce gravi ma remote: da un lato il rischio di un ascesso peritonsillare o di una malattia reumatica, dall’altro la possibilità di una grave reazione allergica al farmaco. Ancor più suggestivo è il caso di patologie di per sé innocue sottoposte a trattamenti potenzialmente letali: un paziente che assume aspirina per una lombalgia potrebbe andare incontro a shock anafilattico. Malgrado ciò, per ora non ho mai informato nessun lombalgico di questo e degli altri possibili effetti nefasti dell’acido acetilsalicilico, dato che io, come la maggior parte dei miei colleghi ritengo impraticabile sottoporre ad approvazione formale ogni minimo atto terapeutico. Fino dove si estendono i confini del consenso informato?

M. C.

Medicina generale (Milano)

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Le norme riguardanti l' informazione al paziente e l' acquisizione del consenso informato sembrano chiare: secondo la Cassazione (S. 15.1.97 n. 364, ad es.) il sanitario deve informare esaurientemente (in modo non generico, ma specifico in relazione alla tipologia del trattamento) sulla portata del suo intervento, sulle inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi prevedibili, nonche' sui rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative così da concedere al paziente la possibilità di scegliere tra diversi tipi di intervento. Puo' esistere quindi, per gli atti medici quotidiani, il rischio di "eccessi informativi" che finiscano per inibire ogni atto medico.

E' stato pero' anche specificato che l' informazione deve essere limitata ai soli rischi comunemente prevedibili, con l' esclusione di quelli rari, occasionali o "al limite del fortuito" (Cass., sentenza citata).

Si distingue inoltre il comune atto medico (che utilizza mezzi di cura praticamente esenti da pericoli e sufficientemente noti) per il quale il consenso generico si può considerare implicito nella richiesta di prestazioni, dalle prestazioni a maggior rischio (soprattutto gli atti chirurgici) per le quali occorrono invece informazioni sempre più specifiche.

Inoltre (Comitato Italiano di Bioetica) le informazioni " dovranno essere veritiere e complete, ma limitate a quegli elementi che cultura e condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando esasperate precisazioni di dati (percentuali esatte … di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali) che interessano gli aspetti scientifici del trattamento".

Informazione, quindi, il piu' possibile completa ed esauriente, ma senza cadere in un eccesso di sterile burocrazia.
(Daniele Zamperini: "Occhio Clinico" n. 7/2002