La responsabilita' puo' essere collettiva, nel caso di doping

I genitori di una mia paziente, giovane ma già maggiorenne, mi piombano in studio per riferirmi qualcosa di grave. A casa loro è arrivato un pacco postale indirizzato alla figlia, ma da consegnare in realtà al suo fidanzato. I genitori, insospettiti per lo strano confezionamento del pacco, per la sua provenienza olandese, e per il fatto di aver dovuto pagare circa 400.000 £, hanno deciso di aprirlo all’insaputa della figlia. Il contenuto rappresenta una specie di summa del doping : numerose di confezioni di Eritropoietina, ormone della crescita, steroidi anabolizzanti, beta stimolanti, vitamine varie, perfino qualche scatola di Viagra.

Nonostante le reticenze della mia paziente, riesco a ricostruire facilmente tutta la storia : con la scusa di non avere la portineria, il fidanzato fa in modo che i farmaci vengano inviati alla fidanzata, in modo tale che il suo nome resti in ogni caso " pulito ". Più tardi i vari prodotti verranno smerciati all’interno della palestra, dove entrambi lavorano come istruttori, a vari clienti che chiedono in maniera eufemistica qualche " integratore " per migliorare le proprie performances fisiche.

Francamente non so che fare . E’ evidente che si tratta di un reato, ma devo denunciarlo o salvaguardare la mia paziente ?

L’accaduto riferito dal collega, comporta una serie di problemi medico-legali di rilevante complessita’ e difficolta’.

Innanzitutto occorre osservare come esista una distinzione fondamentale tra "doping" e "stupefacenti" (o "farmaci da abuso"). Infatti, benche’ il parlar comune confonda spesso queste diverse fattispecie in realta’, dal punto di vista legale, si tratta di questioni del tutto diverse: benche’ alcuni farmaci possano appartenere ad entrambi i gruppi (ad esempio alcuni anfetaminici) non e’ detto che cio’ avvenga nella maggioranza dei casi.

I farmaci stupefacenti sono regolati dal D.L. 539 del 30/12/92 e successive modificazioni (fondamentalmente dalla legge 8/2/2001, n. 12, G. U. n. 41 del 19/2/01).

Tali leggi stabiliscono e limitano in modo inequivocabile le indicazioni, la prescrizione, la distribuzione e l’ uso di tali farmaci per tutti i soggetti, con alcune facilitazioni per i soli soggetti neoplastici o comunque affetti da dolore cronico. Le sostanze stupefacenti vengono divise in classi diverse (le famose Tabelle) che dettagliano analiticamente l’ uso e la prescrivibilita’ di tali farmaci

L’ uso di tali farmaci al di fuori delle indicazioni autorizzate costituisce di per se’ reato penale.

Le sostanze "dopanti" sono invece sostanze o farmaci di uso comune, liberamente prescrivibili per una serie svariata di patologie piu’ o meno gravi, di uso molto diffuso. Alcune di queste non sono neppure veri e propri farmaci. Il loro uso non costituisce di per se’ reato: lo puo’ divenire solo allorche’ la cessione o l’ uso avvengano in concomitanza con attivita’ sportive e siano finalizzate all’ alterazione dei risultati.

Vediamo in dettaglio: le sostanze dopanti sono disciplinate dal Decreto 31/10/2001 n. 440, e dalla Legge 14 Dicembre 2000 n. 376; questa Legge stabilisce che "costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive ... idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ... sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci e l’adozione di pratiche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i controlli sull’uso dei farmaci delle sostanze… ".

Deriva dalla lettura della Legge quindi che il concetto di sostanza dopante e’ strettamente connesso a quello di "attivita’ sportive" e di "atletica". Acquistano quindi valore di doping, qualora assunti a questo scopo, tutta una serie di sostanze che, usati in circostanze diverse, sarebbero da considerare farmaci utili o addirittura salvavita.

Non e’ la sostanza in se’ che fa il doping, ma e’ l’uso che se ne fa: il tentativo di alterare, mediante tali sostanze, le performance degli atleti.

Allo scopo di controllare meglio il fenomeno doping, il Ministero della Sanita’ ha istituito con Decreto 12 Marzo 2001 la Commissione per la Vigilanza e il controllo sul Doping, e ha anche costituito, aggiornandolo periodicamente, l’elenco delle sostanze dopanti.

In questo elenco sono compresi farmaci di importante effetto clinico come i beta bloccanti, i corticosteroidi, gli anestetici locali, i diuretici, senza contare i tristemente famosi anabolizzanti, e le emotrasfusioni.

Il fatto che si tratti di farmaci di uso comune non evita pero’ che il loro uso a fini dopanti sia disciplinato da norme legali specifiche, di rilievo addirittura penale:

La giovane figlia del paziente, che incautamente si e’ prestata a fare da "passamano" per la fornitura di tali sostanze, ignora certamente, ad esempio, che, l’art. 9 della Legge 14/12/2000 n. 376, pubblicata sulla G.U. del 18/12/2000 n. 294 stabilisce che "salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni, chiunque procura ad altri, somministra, o assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive ricomprese nelle classi previste dall’art. 2 comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e che siano idonee a modificare le condizioni psicofiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti .... . La pena e’ aumentata se dal fatto deriva un danno per la salute, se il fatto e’ commesso nei confronti di un minorenne, se il fatto e’ commesso da un componente o da un dipendente del CONI, se il fatto e’ commesso da chi esercita una professione sanitaria, in questo caso consegue l’interdizione temporanea all’esercizio della professione".

Il comma 7 poi stabilisce che "chiunque commercia i farmaci .... attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere e da altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati all’utilizzazione sul paziente, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni".

Per evitare l’ aggiramento delle norme mediante la distribuzione dei farmaci dopanti sotto forma di galenici (preparati dal farmacista e quindi non risultanti tra le comuni prescrizioni del SSN) la legge prevede appunto che le preparazioni galeniche, officinali o magistrali che contengono i principi attivi appartenenti alle classi farmacologiche vietate, sono prescrivibili solo dietro presentazione di ricetta medica non ripetibile; il farmacista e’ tenuto a conservare l’originale della ricetta per sei mesi.

E’ chiaro che alcune sostanze tra quelle numerate sono indubbiamente comprese nell’elenco delle sostanze dopanti: Eritropoietina, ormone della crescita, steroidi anabolizzanti, beta stimolanti.

E’ utile ricordare come tra le sostanze "dopanti" siano stati inclusi (in base alla normativa del Comitato Olimpico Internazionale) principi attivi solitamente considerati innocui o usati per patologie del tutto diverse. Qualche esempio:

Le responsabilita’ penali

E’ evidente come diversi soggetti possano venire implicati nel compimento di tali reati: il medico che incautamente avesse prescritto tali farmaci (o il farmacista che li distribuisse irregolarmente) incorrerebbe, oltre alle pene detentive e pecuniarie, anche nell’ interdizione all’ esercizio professionale; alle "sole" pene detentive e pecuniarie incorrerebbero invece il procacciatore, il custode, il distributore, l’ eventuale importatore.

La ragazza si e’ percio’ prestata, certo inconsapevolmente e credendo di fare solo un favore al fidanzato, a un gioco molto pericoloso, che per certi aspetti e’ assimilabile a coloro che detengono e spacciano stupefacenti.

Astuto (dal suo punto di vista) appare il comportamento del fidanzato, abilissimo nello scaricare i rischi sulle spalle della ragazza.

Cosa deve fare il medico?

Occorre per prima cosa valutare se il collega che ci ha scritto sia un libero professionista o un medico convenzionato con il SSN.

E’ noto infatti come il medico convenzionato possa trovarsi, nello svolgimento delle sue mansioni, a svolgere il ruolo di Pubblico Ufficiale, per cui puo’ soggiacere a norme particolarmente severe.

Il medico (qualsiasi medico, anche libero-professionista) che in occasione della sua attivita’ professionale venga a conoscenza di un reato perseguibile d’ ufficio, ha obbligo di presentare referto all’ Autorita’ Giudiziaria.

Il nuovo Codice di Procedura Penale art. 334 stabilisce, a questo proposito: "Chi ha l’obbligo di referto deve farlo pervenire entro 48 ore o, se vi e’ pericolo di ritardo, immediatamente al Pubblico Ministero o a qualsiasi Ufficiale di Polizia Giudiziaria nel luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza, ovvero, in loro mancanza, all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria piu’ vicino. Il referto indica la persona alla quale e’ stata prestata assistenza e, se e’ possibile, le sue generalita’, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonche’ il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; da’ inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali e’ stato commesso e gli effetti che ha causato o puo’ causare…".

L’art.365 c.p. stabilisce poi che "Chiunque avendo nell’ esercizio di una professione sanitaria prestata la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per i quali si debba procedere d’ufficio omette o ritarda di riferire alle Autorita’ indicata nell’art.361, e’ punito con la multa fino a un milione. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale".

Come si puo’ osservare, perche’ scatti l’ obbligo di referto occorre che:

Nel caso in oggetto non sembra che siano presenti le caratteristiche che obblighino al referto.

Diverso e’ il caso del Medico Convenzionato: in quanto Pubblico Ufficiale egli puo’ essere tenuto all’ obbligo di denuncia.

La denuncia e’ la segnalazione all’ autorita’ Giudiziaria di un reato, obbligatoria da parte di un Pubblico Ufficiale o da un Incaricato di Pubblico Servizio che siano venuti a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio (art. 333, 361, 363, 331, 332, 362 C.P.).

Per quanto riguarda la denuncia l’art.331 stabilisce che "I Pubblici Ufficiali o gli Incaricati di un pubblico servizio che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizie di un reato perseguibile d’ufficio, devono farne denuncia per iscritto anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato e’ attribuito. La denuncia e’ presentata o trasmessa senza ritardo al Pubblico Ministero o a un ufficiale di Polizia Giudiziaria. Quando piu’ persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto ….. ".

L’ art.332 precisa: "La denuncia contiene l’ esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizia nonche’ le fonti di prova gia’ note. Contiene inoltre, quando e’ possibile, le generalita’, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto e’ attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti la ricostruzione dei fatti".

Come si puo’ osservare, perche’ scatti l’ obbligo di denuncia occorre essenzialmente che il collega abbia avuto notizia di reato "nell’ esercizio e a causa delle sue funzioni", sia stato cioe’ interpellato nella sua specifica qualita’ di medico curante. Egli solo puo’ valutare se cosi’ sia stato o se invece il colloquio avuto con i genitori, indipendentemente dal luogo ove si sia svolto, sia stato solo uno sfogo o una richiesta di consiglio rivolta ad un amico, e, sostanzialmente, extraprofessionale.

Certo, in ogni caso, l’ imprudente ragazza va assolutamente informata e fermamente ammonita a non farsi docilmente strumentalizzare da chi, evidentemente, abusa del suo sentimento e della sua buona fede.

Un’ ultima annotazione: l’ art. 76 del Codice Deontologico vieta espressamente al medico di consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti dopanti. Queste regole forse non sono abbastanza rispettate, ma le conseguenze di un incauto comportamento possono essere gravi.

Daniele Zamperini (pubblicato con qualche modifica su "Occhio Clinico" Giugno 2002)