Responsabilita' del medico per la morte del paziente - il nesso di causalita' deve essere stabilito con alto grado di probabilita'

Cassazione, sez. Unite n. 30328 dell'11 settembre 2002

Il Pretore di Napoli con sentenza del 28.4.1999 dichiarava il dott. S. F. colpevole del reato di omicidio colposo in qualità di responsabile della XVI divisione di chirurgia dell'ospedale dove era stato ricoverato dal 9 al 17 aprile 1993 P. C., deceduto dopo avere subito il 5 aprile un intervento chirurgico d'urgenza per perforazione ileale a cui era seguita una sepsi addominale da 'clostridium septicum'.

Il giudice di primo grado riteneva fondata l'ipotesi accusatoria, secondo cui l'imputato non aveva compiuto durante il periodo di ricovero del paziente una corretta diagnosi né praticato appropriate cure, omettendo per negligenza e imperizia di valutare i risultati degli esami ematologici, che avevano evidenziato una marcata neutropenia ed un grave stato di immunodeficienza, e di curare l'allarmante granulocitopenia con terapie mirate alla copertura degli anaerobi a livello intestinale, autorizzando anzi l'ingiustificata dimissione del paziente giudicato 'in via di guarigione chirurgica'. Diagnosi e cura che, se doverosamente realizzate, sarebbero invece state, secondo i consulenti medico-legali e gli autorevoli pareri della letteratura scientifica in materia, idonee ad evitare la progressiva evoluzione della patologia infettiva letale 'con alto grado di probabilità logica o credibilità razionale'.

La Corte di appello di Napoli con sentenza del 14.6.2000 confermava quella di primo grado, ribadendo che il dott. F., in base ai dati scientifici acquisiti, si era reso responsabile di omissioni che "... sicuramente contribuirono a portare a morte il C. ...", sottolineando che "... se si fosse indagato sulle cause della neutropenia e provveduto a prescrivere adeguata terapia per far risalire i valori dei neutrofili, le probabilità di sopravvivenza del C. sarebbero certamente aumentate ..." ed aggiungendo che era comunque addebitabile allo stesso la decisione di dimettere un paziente che "... per le sue condizioni versava invece in quel momento in una situazione di notevole pericolo ...".

L' imputato proponeva ricorso in Cassazione; con successiva memoria difensiva deduceva altresì la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.

Malgrado la sopravvenuta prescrizione, la Cassazione riteneva di doversi ugualmente investire del problema.

Le S.U. Penali della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 30328 dell’11 settembre 2002, venivano quindi chiamate a risolvere dei contrasti giurisprudenziali sorti soprattutto all’interno della IV sezione penale in ordine all’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri, con particolare riferimento alle ipotesi di responsabilità medica.
L’orientamento tradizionale, al fine di affermare la responsabilità medica, ritiene "sufficienti 'serie ed apprezzabili probabilità di successo' per l'azione impeditiva dell'evento, anche se limitate e con ridotti coefficienti di probabilità, talora indicati in misura addirittura inferiore al 50%" .
Un più recente orientamento, invece, mitiga il rigore di questa interpretazione, richiedendo "la prova che il comportamento alternativo dell'agente avrebbe impedito l'evento lesivo con un elevato grado di probabilità 'prossimo alla certezza', e cioè in una percentuale di casi 'quasi prossima a cento'".
Le S.U. della Cassazione con la sentenza in esame hanno aderito a quest’ultima interpretazione, ritenendo che, secondo l’impostazione tradizionale, "si finisce per esprimere coefficienti di 'probabilità' indeterminati, mutevoli, manipolabili dall'interprete, talora attestati su standard davvero esigui".
A detta dei Giudici della Suprema Corte, anche nel caso di reati omissivi, occorre verificare in concreto, ossia con riferimento al singolo caso preso in considerazione, la sussistenza del nesso causale che deve ritenersi sussistente tutte le volte che "tenendosi l'azione doverosa omessa, il singolo evento lesivo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe inevitabilmente verificato, ma (nel quando) in epoca significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva".
In altri termini, i giudici hanno voluto evitare che si pervenga all’accertamento del nesso di causalità e, quindi, della responsabilità sulla base di dati statistici astratti richiedendo, al contrario, un’indagine specifica riferita al caso concreto che tenga conto "delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica'.

" Il nesso causale, dice la Suprema Corte, può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta a doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Non é consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica'.

L'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio".

Si dava poi atto che il delitto di omicidio colposo per il quale si procedeva fosse estinto per prescrizione.