Febbraio
2001

"PILLOLE"
DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate
da
- SIMG-Roma
 
-A.S.M.L.U.C.
- eDott. it

  Mensile di recensioni, aggiornamento e varie attualita' a cura di: 
Daniele Zamperini dzamperini@bigfoot.com , Amedeo Schipani mc4730@mclink.it,
Bollettino inviato gratuitamente su richiesta. Archivio consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm (Visitate anche le altre pagine, sono ricche di informazioni!). Il materiale qui pubblicato e' liberamente utilizzabile per uso privato, purche' se ne citi la fonte. Riproduzione e pubblicazione riservata.


INDICE GENERALE

  PILLOLE

MINIPILLOLE

  NEWS  

APPROFONDIMENTI

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica


Pillole di buonumore (oggi: gli animali)
Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano, mentre le piccole ci restano impigliate.... (Honore' de Balzac)


PILLOLE

Colesterolo e depressione
Da lungo tempo si discute se una dieta drastica e in particolare un abbassamento del colesterolo nel sangue siano fattori idonei a provocare fenomeni depressivi. La cosa riveste una certa importanza in quanto, in diversi studi in cui si esaminavano gli effetti positivi sull’ apparato cardiovascolare della riduzione del colesterolo, si osservava un aumento piu’ o meno significativo dei casi di depressione o addirittura di suicidio. In uno studio tedesco effettuato presso il "Centro Medico Universitario" di Utrecht avrebbe confermato che l’ipocolesterolemia comporta un maggior rischio di sviluppare alcuni sintomi depressivi come ostilita’, rabbia e pensieri di suicidio. I ricercatori spiegano questo legame con il fatto che il colesterolo sia coinvolto nel meccanismo metabolico della serotonina, sostanza capace di regolare anche il tono dell’umore; una scarsita’ di colesterolo ridurrebbe i livelli di serotonina e pertanto altererebbe in senso negativo anche l’umore. Tuttavia il beneficio arrecato dalla riduzione dei livelli di colesterolo appare quantitativamente assai maggiore del rischio di sviluppare depressione, per cui non si ritiene che queste osservazione debbano costituire un ostacolo alla strategia ipolipemizzante portata avanti dalla medicina. Potra’ essere utile pero’ una sorveglianza piu’ attenta per i soggetti che presentino gia’ delle note depressive che potrebbero aggravarsi inaspettatamente. (D. Grobbee, Psycosomatic Medicine 2000; 62).

Un’altra ricerca sullo stesso tema e’ stata effettuata a New York presso il "Centro Ricerca sull’obesita’". Sono stati intervistati 40.000 americani adulti sottoponendoli a domande sulla depressione e sul loro desiderio di suicidio. E’ emerso che i pensieri negativi di stampo depressivo sono piu’ diffusi nelle donne obese (55%) e negli uomini eccessivamente magri (77%) rispetto ai soggetti normopeso. Gli autori sostengono che tale risultato non sia dovuto al peso in se stesso bensi’ alla pressione psicologica effettuata dalla societa’ odierna che tende a discriminare le persone diverse dall’ideale sociale. Molto spesso infatti i problemi legati al peso corporeo nascondono danni psicologici che a loro volta possono influenzare il peso mediante disturbi alimentari e un alternarsi di bulimia, anoressia, di diete forzate, innescando un pericoloso circolo vizioso che puo’ portare al suicidio. (America Journal of Pubblic Health, 2000;90:251-257).
(rielaborati da DZ)

 

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


La determinazione del sesso: genetica o ambientale?
E’ stato riportato su "Sessuologia news" un caso molto particolare, di notevole interesse sia scientifico che umano, che ha fatto scalpore negli anni passati ma che e’ poco conosciuto al di fuori del ristretto ambito degli addetti al settore sessuologico.
Viene riferito il caso di Brenda Reimer, una ragazza sedicenne di Winipeg (USA) che decise di cambiare sesso e di farsi ragazzo, assumendo il nome di David.
La cosa di per sé non rivestirebbe interesse particolare, se non per un fatto: David-Brenda aveva un gemello monovulare (e quindi identico) se non per il fatto che si trattava di un gemello maschio.
Tale particolare urta chiaramente contro tutti i principi della genetica conosciuti finora: e’ ben noto come due gemelli monovulari debbano essere assolutamente identici per tutte le caratteristiche trasmesse geneticamente, quindi anche nel sesso.
Il problema in effetti aveva avuto origini iatrogene: Brenda, alla nascita, era in realta’ un maschietto ed era stato battezzato col nome di Bruce. Nel realizzare, poco dopo la nascita, la circoncisione, si era verificato un incidente chirurgico che aveva privato il neonato del pene. Il chirurgo aveva allora ritenuto che la soluzione piu’ opportuna fosse la riassegnazione coatta del sesso, secondo il principio che e’ meglio una femmina costruita in sala chirurgica che un maschio castrato.
Questa vicenda venne descritta in un libro nel 1972 da Money che lo dipinse come un grande successo della medicina: un triplice accordo realizzato tra chirurghi, psicologi e i genitori dei bambini, che avevano acconsentito ad attribuire il nuovo sesso anatomico al piccolo.
Furono programmate una serie di correzioni chirurgiche, mentre i genitori sarebbero stati istruiti ed aiutati a condurre per Bruce-Brenda un’educazione al femminile: quando Brenda aveva gia’ 5 anni, pur essendo evidente che si trattava di una bambina con tratti da maschiaccio, le veniva insegnato ad essere gentile, calma e composta come una signorina, e ad assumere atteggiamenti di tipo femminile in ogni occasione.
E’ ben evidente che una situazione del genere, data la delicatezza dei risvolti psicologici ed emotivi, sarebbe dovuta rimanere assolutamente in ambito molto ristretto, anche per non turbare la crescita di Brenda, che ne era del tutto ignara; l’ interesse per l’ eccezionalita’ del fatto, nonche’ alcuni interessi economici speculativi, lo trasformarono in un evento pubblico. Questo poi non venne limitato alle sole comunicazioni scientifiche ma messo a disposizione del grande pubblico addirittura attraverso la televisione. Brenda venne cosi’ a sapere la verita’ sulla sua vicenda e dopo pochi anni pretese di riavere il sesso maschile e un compenso per i danni subiti.
Sull’evento e’ stato scritto un secondo libro ad opera di un giornalista (John Colapinto) che ha messo soprattutto in evidenza la contrapposizione ideologica tra coloro che ritengono che l’attribuzione del sesso sia un evento tipicamente e costituzionale e genetico e coloro che invece ritengono che sia fondamentale in questo l’influsso educativo.
Il caso di Bruce-Brenda-David sembrerebbe dare ragione agli "innatisti" in quanto l’ educazione, pur organizzata con ogni possibile appoggio e con la consulenza di numerosi specialisti, non e’ riuscita a trasformare psicologicamente il soggetto in un membro del sesso opposto.
Un caso del genere, pero’, e’ evidentemente molto raro a verificarsi e potrebbe essere preso come paradigma ma, proprio per la sua unicita’ non permette di giungere ad una conclusione univoca. Le scuole moderne ritengono che siano indispensabili entrambi i fattori: l’identita’ di genere si costruisce su una base genetica e probabilmente ha bisogno sia di un corpo idoneo a sopportare quell’ identita’, sia di una educazione che possa attribuirgli un reale significato.
Il problema, tuttavia, rimane ancora aperto, e probabilmente il caso di Bruce-Brenda-David fara’ discutere ancora a lungo.

Daniele Zamperini; fonte: G. Rifelli "Sessuologia News" Gennaio-Febbraio 2000 – anno VIII n. 1

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Efficacia dell'organizzazione di gruppo
L’ assistenza sanitaria si indirizza sempre piu’ a forme di gestione e organizzazione di gruppo. Questo tipo di attivita’ sta diffondendosi anche in settori, come quello della medicina di famiglia, dove l’ individualismo sembrava ineliminabile.
Il lavoro di equipe costituisce, da sempre, la norma nel settore ospedaliero, ma esistono pochi studi che ne abbiano valutato la reale efficacia o che ne abbiano studiato le diverse modalita’ organizzative al fine di ottimizzarne la resa.
Uno di questi e’ stato effettuato da West e Anderson (1996), i quali hanno inteso valutare l’ efficienza del lavoro di equipe negli opedali inglesi. Gli Autori hanno studiato le innovazioni e le decisioni assunte dai vari gruppi di decisione in 27 ospedali; hanno studiato in particolare, servendosi di un gruppo di esperti indipendenti, la radicalita’, la grandezza, la novita’ e l’efficacia delle innovazioni prodotte da questi gruppi.
Le innovazioni introdotte non si limitavano al solo settore assistenziale, ma interessavano anche altri settori: venivano analizzati gli interventi riguardanti i miglioramenti della gestioni delle risorse, gli aumenti degli introiti, la riduzione dei costi, l’ espansione o il miglioramento dei servizi e cosi’ via. I risultati hanno evidenziato cio’ che anche il buon senso suggerisce: che i gruppi non sono tutti uguali. Cio’ che distingue i gruppi piu’ efficaci da quelli meno efficaci, secondo gli Autori, non e’ la capacita’ dei singoli bensi’ il "clima interno" del gruppo, che ne condiziona enormemente la resa. Nei gruppi efficaci, infatti, i membri erano capaci di costruire un contesto e un clima in cui l’ iniziativa e l’ innovazione venivano valorizzate e sostenute piuttosto che punite o osteggiate. La presenza di membri con particolari capacita’ innovative non era correlata con il numero di innovazioni introdotte ma solo la loro radicalita’.
Non e’ stata rilevata relazione tra anzianita’ di servizio e capacita’ innovativa.
Un dato particolarmente interessante riguarda l’ influsso della disponibilita’ finanziaria sulla capacita’ innovativa: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la maggior disponibilita’ di risorse finanziarie non solo non influenzava il numero o il livello delle innovazioni introdotte, ma addirittura diminuiva la soddisfazione del benessere del gruppo.

D.Z.: fonte: S. Zappala’ "Psicologia contemporanea", Luglio-Agosto 1999

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Costo economico e sociale della sclerosi multipla
Com’e’ noto la sclerosi multipla e’ una condizione morbosa emergente, di cui si osserva un continuo aumento di nuovi casi. Si tratta di malattia progressiva ed altamente invalidante, che richiede strategie di assistenza di costo molto elevato e, attualmente, di durata indefinita.
Sono state effettuate diverse indagini finalizzate a chiarire meglio gli aspetti sociali della malattia: l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla "AISM" ha evidenziato come in un’indagine condotta dal ‘97 al 2000, siano stati rilevati i seguenti dati:
il 64% dei malati di sclerosi multipla ha dovuto modificare l’attivita’ lavorativa (il 46% l’ha abbandonata, il 25% l’ha ridotta, gli altri l’ hanno cambiata o sono dovuti ricorrere al pensionamento anticipato, oppure sono stati addirittura licenziato.
I fattori che hanno indotto maggiori problemi sono stati soprattutto l’astenia e la difficolta’ di movimento.
Il 95% dei malati vive in famiglia e risultano strettamente dipendenti dal rapporto che hanno con il partner o con il resto della famiglia.
Il 38% dei soggetti lamenta una modifica della vita sociale e di relazione.
Il 43% dei malati che prima andavano in vacanza ha dovuto affrontare cambiamenti anche per questo aspetto, pur se in presenza di disabilita’ minima.
Il 76% dei malati con punteggio EDSS = o > di 4 dichiara la necessita’ di assistenza domiciliare. Di questi il 73% assistiti da famigliari e il 13% da personale a pagamento.
L’assistenza e’ caratterizzata per almeno il 40% da aiuto generico alle mansioni usuali della vita, il restante per l’assistenza infermieristica domestica ecc.
Le voci di spesa per questa patologia sono state invece calcolate dalla FISM- ISS. La spesa sociale annua calcolata per il soggetto malato di sclerosi multipla con disabilita’ medio-grave e’ complessivamente di oltre 84 milioni l’anno per ciascun malato. Le voci maggiori sono costituite da:

E’ da tener presente che in questi calcoli sono state incluse delle voci di "costi presunti", vale a dire il costo di interventi che non sono monetizzati direttamente ne’ dall’assistito ne’ dal SSN ma che comportano una perdita di tempo, di lavoro, di impegno da parte di terze persone che sono costrette a dedicarsi all’assistenza del malato. Non sono invece incluse le spese farmaceutiche che, per i pazienti trattati con interferone o con altri farmaci simili, vengono a essere piuttosto elevate.
D.Z.: fonte: Giornale del Medico 20 Novembre 2000

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Effetti a lungo termine della glucosamina solfato sulla progressione dell’artrosi
L’artrosi è una delle cause principali di invalidità. La terapia farmacologica dell’artrosi è sintomatica, ossia tende a controllare il dolore e la limitazione funzionale, tradizionalmente mediante l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Farmaci più efficaci dovrebbero essere in grado di modificare favorevolmente la struttura articolare, interferendo con la progressione della malattia.
La glucosamina solfato (farmaco sintetizzato dal Rotta Research Group, Monza, Italia), è il solfo-derivato della glucosamina, un aminomonosaccaride naturale che è un normale costituente dei glucosaminoglicani della cartilagine articolare e del liquido sinoviale, ed è stato approvato in molte nazioni europee e extraeuropee per il trattamento dell’artrosi.
Scopo di questo lavoro, in doppio cieco, randomizzato e controllato versus placebo, è controllare se la glucosamina solfato può interferire con la progressione dei sintomi e con le variazioni strutturali articolari.
Metodi.
Sono stati reclutati 212 pazienti affetti da artrosi del ginocchio, e sono stati assegnati in modo casuale a ricevere per tre anni una volta al giorno una dose di 1500 mg di glucosamina solfato o di placebo. Sono state fatte radiografie di entrambe le ginocchia in antero-posteriore sotto carico al momento dell’arruolamento, dopo un anno e dopo tre anni. Sono state misurate l’ampiezza media dello spazio articolare del compartimento mediale dell’articolazione femoro-tibiale e l’ampiezza minima, ossia il punto più stretto. Inoltre sono stati valutati i sintomi mediante una scala di punteggio idonea.
Risultati. Dopo tre anni, nei 106 pazienti del gruppo placebo si è avuta una progressiva riduzione dello spazio articolare medio, con una riduzione media di 0.31 mm. Nei 106 pazienti in trattamento con glucosamina solfato il restringimento non è stato significativo (0.06 mm). Risultati sovrapponibili si sono avuti per l’ampiezza minima. Per quanto riguarda i sintomi, c’è stato un lieve peggioramento nel gruppo placebo rispetto al gruppo in trattamento attivo. Non ci sono state differenze nei due gruppi per quanto riguarda gli effetti collaterali.
Conclusioni. La glucosamina solfato, modificando sia i sintomi che la struttura articolare, può essere considerata un farmaco in grado di modificare il decorso dell’artrosi.
A.S. : fonte Lancet, 27 gennaio 2001

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Aspirina sottoutilizzata nei pazienti diabetici
Il rischio di malattie cardiovascolari è aumentato da due a quattro volte nei soggetti diabetici rispetto alla popolazione non diabetica. Una causa importante di ciò è che i pazienti diabetici presentano una iperaggrebilità piastrinica, dovuta ad un aumentata sintesi di trombossano da parte delle piastrine. L’aspirina riduce la sintesi del trombossano fin quasi ad annullarla, a dosi comprese tra 81 e 325 mg/die. Numerosi trials hanno dimostrato l’efficacia dell’aspirina in prevenzione cardiovascolare sia secondaria che primaria. L’aspirina è inoltre un farmaco a basso costo e con scarsi effetti collaterali ai livelli raccomandati, per cui l’ADA (American Diabetes Association) già nel 1997 e poi nel 2000 ha raccomandato l’utilizzo dell’aspirina a basso dosaggio nei pazienti diabetici di età >/= 30 anni, sia in prevenzione secondaria (soggetti con storia di infarto cardiaco, angina pectoris, ictus cerebrale, attacchi ischemici transitori, claudicatio intermittens), che in prevenzione primaria (soggetti che presentano uno o più fattori di rischio quali familiarità per malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, fumo, obesità, alterazioni del quadro lipidico, micro- o macro-albuminuria).
Questo studio è stato fatto per valutare quanti soggetti diabetici potrebbero giovarsi dell’uso di aspirina e quanti effettivamente l’utilizzano.
Metodi. Sono stati rivalutati i dati del terzo National Health and Nutrition Examination Study (NHANES III), studio condotto tra il 1988 e il 1984, e sono stati presi in considerazione 1503 adulti diabetici, di età >/= 21 anni. E’ stato ritenuto consumo regolare di aspirina l’assunzione per >/= 15 giorni al mese, tenendo presente che anche l’assunzione a giorni alterni ha dimostrato un’efficacia antitrombotica.
Risultati.
Il 27% dei pazienti aveva un’anamnesi positiva per malattie cardiovascolari e un ulteriore 71% aveva almeno un fattore di rischio per malattie cardiovascolari. Il 37% dei pazienti con storia di malattie cardiovascolari assumeva regolarmente aspirina, contro soltanto il 13% dei pazienti che avevano uno o più fattori di rischio.
Conclusioni. Quasi ogni paziente diabetico adulto americano, secondo le linee guida dell’ADA, è candidato alla terapia con aspirina. Ciononostante, nel periodo tra il 1988 e il 1994, solo il 20% di questi pazienti assumeva con regolarità aspirina. Sono necessari maggiori sforzi per incrementare l’uso dell’aspirina nei pazienti diabetici.
A.S. fonte: Diabetes Care, febbraio 2001

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Radiografia della colonna lombare in pazienti con lombalgia
La lombalgia è un disturbo molto comune in medicina generale, e la radiografia della colonna lombare è l’esame più richiesto per questa condizione. Al contrario, le linee guida più diffuse sono piuttosto restrittive riguardo l’indicazione all’esame radiografico per la lombalgia. Le linee guida della Agency for Health Care Policy and Research suggeriscono l’esecuzione di una radiografia se il paziente non migliora dopo quattro settimane; il Clinical Standards Advisory Group consiglia di aspettare sei settimane; il Royal College of General Practitioners ritiene che la radiografia non sia indicata nella lombalgia acuta in assenza di indicatori di patologia seria della colonna vertebrale.
Alla luce di queste indicazioni conflittuali, gli autori hanno voluto testare l’ipotesi che la radiografia della colonna lombare in pazienti con lombalgia da almeno sei settimane non si associ ad un miglioramento dei risultati clinici o della soddisfazione dei pazienti per le cure ricevute.
Sono stati arruolati 421 pazienti affetti da lombalgia da almeno sei settimane (durata media dieci settimane), che sono stati assegnati in modo casuale ad effettuare o non effettuare una radiografia della colonna lombare, in aggiunta alle terapie prescritte dai medici curanti di ogni paziente. Sono stati quindi fatti dei controlli a tre e nove mesi, valutando la presenza della lombalgia, lo stato di salute dei pazienti, la soddisfazione dei pazienti per le cure ricevute, il ricorso alle strutture di medicina primaria e secondaria.
Risultati. Dopo tre mesi, i pazienti che avevano praticato la radiografia riferivano con più frequenza dell’altro gruppo la persistenza del dolore lombare (rischio relativo 1.26, IC 95% = 1.00 – 1.60) ed avevano un punteggio più basso per lo stato di salute generale e più alto per il dolore; inoltre avevano consultato con più frequenza il loro medico nei tre mesi successivi alla radiografia (rischio relativo 1.62, 1.33 – 1.97). La soddisfazione per le cure ricevute era maggiore nei pazienti che avevano eseguito la radiografia a distanza di nove mesi, ma non a distanza di tre mesi. In generale, l’80% dei pazienti in entrambi i gruppi avrebbe voluto eseguire la radiografia, se avesse potuto scegliere. Un riscontro patologico alla radiografia non faceva alcuna differenza in rapporto  agli esiti.
Conclusioni. L’esecuzione di una radiografia della colonna lombare in pazienti di medicina primaria con lombalgia da almeno sei settimane non è associata ad un miglioramento della fisiologia dei pazienti, della severità del dolore, o dello stato generale di salute; è invece associato ad un aumento del lavoro per il medico. I pazienti che effettuano una radiografia sono più soddisfatti. La sfida per la medicina primaria è di riuscire a soddisfare i pazienti senza ricorrere alla radiografia.
A.S. fonte: British Medical Journal, 17 febbraio 2001

Torna alle Pillole
Torna all'inizio


Pillole di buonumore

Quando il grande naturalista Linneo dissezionava un insetto, nell'aula non volava una mosca. Erano morte tutte di crepacuore.


MINIPILLOLE

Chissà se sarà femmina...
Da sempre la cultura popolare si e’ sbizzarrita nella ricerca di sistemi per prevedere il sesso dei bambini a partire dai cambiamenti che si verificano nella madre durante la gravidanza: la dimensione della pancia, la sua conformazione, altri cambiamenti fisiologici nella madre, cambiamenti caratteriali ecc. Lo stesso Ippocrate affermo’ che, se la pelle della futura mamma diventa piu’ pallida, il neonato sara’ femmina. In realta’ finora non era stato possibile trovare un sintomo o un cambiamento evidente nel corpo della madre associabile al sesso del nascituro, per cui l’unico sistema effettivamente attendibile e’ risultato essere quello dell’esame ecografico.
Un gruppo di ricercatori svedesi ha collegato invece l’iperemesi della gravidanza con il sesso del nascituro. L’ iperemesi e’ una patologia caratterizzata da nausea e vomito molto intensi che talvolta impongono il ricovero della paziente nei primi mesi di gestazione. Secondo questi ricercatori chi soffre di questa malattia probabilmente dara’ alla luce una femmina in quanto, l’iperemesi gravidica e’ associata ad un aumento di gonadotropina corionica e i livelli di questo ormone si alzano soprattutto quando il feto e’ di sesso femminile. Lo studio non e' certo recentissimo: siamo in ansiosa attesa di conferme.
D.Z. The Lancet 1999;354 (16 Dicembre 1999)

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Disturbi alimentari da problemi estetici
Un lavoro curioso ma che puo' aprire interessanti prospettive sull’argomento "alimentazione e psiche"  e’ stato effettuato in Canada e recentemente pubblicato. Era ben noto come i soggetti affetti da disturbi alimentari gravi attribuissero il loro comportamento al fatto di avere un corpo troppo magro o troppo grasso. La psichiatria si e' percio' orientata a considerare tali disturbi come derivanti da un' alterata percezione del proprio schema corporeo in riferimento, appunto, al peso.
Gli autori hanno invece dimostrato che, diversamente da quanto si riteneva finora, i disturbi alimentari gravi quali la bulimia e l’anoressia siano piu’ diffusi non solo, come si riteneva finora,  nei soggetti che avessero un’alterata percezione del proprio corpo in relazione al peso, bensi’ anche in soggetti che trovavano sgradevoli e inaccettabili alcune singole parti del proprio corpo. Questi fenomeni si verificavano anche in relazione a parti del corpo non direttamente legate alla struttura e al peso corporeo quali il naso, le orecchie, gli occhi o la statura. Si trattava percio’ di percezioni legate alla mancanza di accettazione di una parte di se stessi, indipendentemente dal peso, e ad una reazione avversativa invece sulla globalita’ del fisico.
A quanto sembra quindi la cosa piu’ importante e’ l’accettazione globale della propria fisicita’. Anche la non accettazione di parti del proprio corpo che poco entrano con la questione di peso viene a essere quindi, secondo gli autori, una delle tante componenti di disturbi cosi’ complessi quale l’anoressia e la bulimia
D.Z "International Journal of Eating Disorders" 2000;27:304-309

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Disturbi del sonno e dell'appetito
Un gruppo di ricercatori americani ha indagato recentemente differenti abitudini alimentari in soggetti che lamentavano disturbi del sonno. E’ stato riscontrato come nei soggetti che soffrono d’insonnia appare molto piu’ accentuata la tendenza a comportamenti alimentari scorretti: in particolare, coloro che si svegliano improvvisamente durante la notte, usano tradizionalmente colmare la loro insonnia mangiando. Questi pasti aggiuntivi si assommano a quelli del giorno portando il totale calorico a livelli superiori a quelli effettivamente necessari per le loro esigenze energetiche e favorendo quindi condizioni di sovrappeso o di franca obesita’. Alcuni soggetti invece mostrano disturbi dell’ alimentazione consistenti nell’ erronea distribuzione delle quote caloriche durante la giornata, e consumano spesso colazioni modeste e cene pesanti. Sono state approfondite le relazioni esistenti tra i neurormoni che controllano il sonno e quelli che controllano i centri della fame e della sazieta’. E’ possibile che questi controlli siano affidati per il sonno alla melatonina e per la fame e la sazieta’ alla leptina, e che i livelli dei due neuroormoni siano in correlazione tra loro. La possibile correzione dei livelli di questi due neurormoni promette soluzioni corrette sia per l’insonnia che per i disturbi del comportamento alimentare.
D.Z. JAMA 1999 Aug. 18; 282 (7):689-90 (20 Gennaio 2000

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


I FANS possono far precipitare lo scompenso cardiaco
E’ stato condotto uno studio in due ospedali australiani per verificare la possibile associazione tra uso di FANS e episodi di scompenso cardiaco. A tale scopo sono stati considerati 365 pazienti ricoverati per scompenso in due ospedali australiani. L’eta’ media era di 76 anni; era stato inserito anche un gruppo di controllo di 650 pazienti ricoverati negli stessi ospedali ma senza segni di scompenso con eta’ media di 75 anni. Venivano sottoposti a un questionario che indagava l’uso recente di FANS o ASA nell’ultima settimana prima del ricovero. E’ risultato che i pazienti ricoverati per scompenso cardiaco avevano fatto un uso di FANS piu’ frequente rispetto al gruppo di controllo con un indice di rischio dello sviluppo di scompenso di 2,1 rispetto al controllo. I pazienti che poi presentassero un anamnesi positiva per cardiopatia ed erano ricoverati per un primo episodio di scompenso, avevano un indice di rischio ancora piu’ elevato (10,5).
Gli autori ritengono percio’ che siano necessarie ulteriori ricerche in quanto le loro osservazioni suggerirebbero un possibile ruolo dei FANS come causa precipitante nello scompenso cardiaco; i medici dovrebbero essere molto attenti nell’uso di questi farmaci nei pazienti cardiopatici a rischio di scompenso.
(Page D.J. e al. Arch. Int. Med. 2000;160:777)
D.Z. ("Bollettino di farmacosorveglianza" Ottobre 2000)

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Le noci abbassano il colesterolo
Le noci sono frutti secchi che vengono considerati spesso con sospetto allorche’ venga stilata una dieta, sia per l’alto contenuto calorico che per l’alto contenuto in sostanze grasse. Una recente ricerca spagnola, tuttavia, sembra rivalutare gli effetti benefici delle noci e invitare addrittura a introdurre le noci nella dieta ipolipemizzante.
Secondo gli autori infatti questo tipo di frutta secca si serebbe dimostrato in grado di abbassare i livelli di colesterolo nel sangue. Le sostanze grasse contenute nelle noci, infatti, sono per la maggior parte grassi polinsaturi le cui virtu’ (a differenza dei grassi saturi) sono note da tempo. Le premesse teoriche non erano pero’ mai state esaminate sul campo ne’ era mai stato provato in modo diretto l’effetto dell’assunzione di noci sui livelli di colesterolo nel sangue.
Nello studio spagnolo si e’ sottoposto un gruppo di ipercolesterolemici a una dieta di tipo mediterraneo, integrata con undici noci al giorno. E’ stato preso a confronto un gruppo di controllo analogo, trattato con la stessa dieta ma senza noci.
Il gruppo che comprendeva le noci nella dieta ha mostrato una significativa riduzione media del livello di colesterolo LDL; l’entita’ di questa riduzione, rispetto a coloro che non includevano le noci nella propria dieta e che seguivano semplicemente una dieta mediterranea, era di oltre il doppio. Le noci promettono percio’ di tornare presto, a pieno diritto, sulle tavole anche degli ipercolesterolemici
D.Z. Annals of Internal Medicine 2000;132:538-54

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Avere il cane fa bene alla salute
Il "British Medical Journal", da buona rivista anglosassone, spezza una lancia in favore dei proprietari di cani. Infatti e’ stata pubblicata su questa rivista la ricerca di un gruppo di ricercatori britannici che hanno esaminato le condizioni di salute dei proprietari dei cani rispetto a soggetti che non possiedono questo animale. Avrebbero riscontrato uno stato di salute globalmente migliore; il fatto e’ stato giustificato dalla maggiore possibilita’ di contatti sociali e dal migliore tasso di integrazione sociale che il cane fornisce al suo proprietario. E' stato infatti provato che chi passeggia con un cane ha maggiore probabilita’ di chiacchierare con qualche sconosciuto rispetto a chi cammina da solo. Questo fenomeno si verifica anche se l’animale e’ addestrato a non dare confidenza agli estranei; probabilmente la causa di cio' e’ da ricercare nell’aspetto affidabile e amichevole che una persona che porta a spasso un cane riveste nell’immaginario collettivo. Tutto cio’ sara’ pure vero ma, tutto sommato ci sembra abbastanza intuibile, e non certo una scoperta da premio Nobel.
D.Z. (B.M.J. 2000; 320:443).

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Consumo di bevande dolci e obesità nell’infanzia
Tra il 1980 e il 1994 negli USA la prevalenza dell’obesità nei ragazzi è aumentata del 100%. Stime nazionali recenti indicano che il 24% e l’11% dei ragazzi si trovano rispettivamente sopra l’85° e il 95° percentile del BMI (Body Mass Index = Indice di Massa Corporea) di riferimento per età e sesso. Tra i vari fattori ambientali e sociali che potrebbero contribuire all’aumentata prevalenza dell’obesità, il consumo delle bevande dolci è stato poco indagato. Negli ultimi 50 anni il consumo di bevande dolci è aumentato del 500%. La metà degli americani e la maggioranza degli adolescenti (65% delle ragazze e 74% dei ragazzi) consuma bevande dolci; queste rappresentano la principale sorgente di zuccheri della dieta, ammontando in media a 36.2 g di zucchero al giorno per le ragazze e a 57.7 g per i ragazzi.
Metodi. Sono stati arruolati 548 ragazzi di etnie diverse, età media 11.7 anni, provenienti da scuole pubbliche nell’area metropolitana di Boston, Massachusetts, che sono stati studiati prospetticamente per 19 mesi. E’ stato valutato il consumo di bevande zuccherate iniziale e le sue variazioni nel tempo, in associazione con le variazioni del peso corporeo.
Risultati. Dopo aggiustamento per variabili antropometriche, demografiche, dietetiche e di stile di vita, sia il BMI che la frequenza dell’obesità aumentavano in rapporto al consumo di bevande dolci: per ogni bicchiere di bevanda zuccherata il BMI aumentava di 0.24 kg/m2 (IC 95% = 0.10 – 0.39; P = 0.03), l’odds ratio per la frequenza dell’obesità era di 1.60 (IC 95% = 1.14 – 2.24; P = 0.02).
Interpretazione. Il consumo di bevande zuccherate nei ragazzi è una variabile indipendente associata con l’obesità.
A.S.: Lancet, 17 febbraio 2001

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Tossina botulinica per l’iperidrosi ascellare
Il trattamento dell’iperidrosi focale è spesso insoddisfacente. E’ già stato dimostrato che la tossina botulinica A blocca la sudorazione eccessiva bloccando il rilascio di acetilcolina, che è il mediatore della neurotrasmissione simpatica nelle ghiandole sudoripare. Questo studio multicentrico valuta l’efficacia della tossina botulinica di gruppo A nell’iperidrosi ascellare.
Metodi. Sono stati arruolati 145 pazienti affetti da iperidrosi ascellare primaria, che non rispondeva alla terapia topica con cloruro di alluminio per più di un anno, con produzione di sudore superiore a 50 mg al minuto. Ad ogni paziente in un’ascella sono state iniettate 200 U. di tossina botulinica A e nell’altra placebo, in modo randomizzato e in doppio cieco. Dopo due settimane, quando la terapia aveva rivelato il suo effetto, si iniettavano 100 U. di tossina botulinica A nell’ascella già trattata con placebo.
Risultati. All’inizio dello studio, il sudore prodotto era in media di 192±136 mg al minuto. Due settimane dopo la prima iniezione, il tasso medio di sudore prodotto dall’ascella che aveva ricevuto l’iniezione di tossina botulinica A era di 24±27 mg al minuto, contro 144±113 mg al minuto nell’ascella dove era stato iniettato il placebo (P < 0.001). Successivamente, l’iniezione di 100 U. di tossina botulinica A nell’ascella che aveva ricevuto il placebo provocava la riduzione della produzione di sudore a 32±39 mg al minuto (P < 0.001). In 136 pazienti è stato fatto un ulteriore controllo a distanza di 24 settimane dall’iniezione di 100 U. di tossina. Nell’ascella in cui erano state iniettate 200 U. di tossina botulinica la produzione di sudore era in media di 67±66 mg al minuto, mentre nell’altra ascella (che era stata iniettata prima con placebo e poi con 100 U. di tossina) era di 65±64 mg al minuto, ossia i valori erano ancora inferiori ai livelli basali. Il trattamento è stato ben tollerato.
Conclusioni. L’iniezione intradermica di tossina botulinica A rappresenta una terapia efficace e sicura per l’iperidrosi ascellare severa.
A.S.: New England Journal of Medicine, 15 febbraio 2001

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Strategie prescrittive per l’otite media acuta nell’infanzia
L’obiettivo di questo studio è confrontare gli effetti della prescrizione immediata di antibiotici per l’otite media acuta con quelli di una prescrizione ritardata.
Hanno partecipato allo studio 315 bambini di età compresa fra sei mesi e dieci anni, affetti da otite media acuta. Su questi bambini sono state sperimentate due strategie: uso immediato di antibiotici e uso ritardato (ossia utilizzo di antibiotici a discrezione dei genitori dopo 72 ore dall’inizio dell’otite, se i sintomi non migliorano). Parametri di valutazione principali sono stati la risoluzione dei sintomi, il numero di giorni di assenza da scuola o dal nido, il consumo di paracetamolo.
Risultati. Mediamente il quadro clinico si è risolto in tre giorni. I bambini ai quali è stato prescritto immediatamente l’antibiotico hanno avuto una durata della malattia più breve (- 1.1 giorni), meno notti disturbate (- 0.72), e un consumo di paracetamolo lievemente inferiore (– 0.52 cucchiai al giorno). Non ci sono state differenze per le assenze da scuola o riguardo al dolore e alla preoccupazione, in quanto gli effetti benefici dell’antibiotico si manifestava principalmente dopo le prime 24 ore, quando la preoccupazione era meno forte. I genitori di 36 su 150 bambini ai quali era stata fatta la prescrizione ritardata hanno utilizzato l’antibiotico, e il 77% di questi sono stati molto soddisfatti. Meno bambini nel gruppo con prescrizione ritardata hanno avuto diarrea: 14/150 (9%) contro 25/135 (19%), P = 0.02. Meno genitori nel gruppo con prescrizione ritardata credevano nell’efficacia degli antibiotici e nella necessità di consultare il medico per futuri episodi.
Conclusioni. La prescrizione immediata di antibiotici ha prodotto benefici sintomatici soprattutto dopo 24 ore, quando la sintomatologia si stava già risolvendo. Per i bambini che non stanno veramente male sistematicamente, un approccio del tipo “aspetta e osserva” sembra fattibile e accettabile per i genitori, e dovrebbe ridurre consistentemente l’uso degli antibiotici per l’otite media acuta.
A.S.: British Medical Journal, 10 febbraio 2001

Torna alle Minipillole
Torna all'inizio


Pillole di buonumore

La Polizia di Stato sta valutando la possibilità di addestrare, oltre ai cani, anche dei "Gatti Poliziotto". E' stato dichiarato che serviranno per acciuffare i topi d'appartamento.


NEWS
Scovate sul Web da Amedeo Schipani

Dove l'uomo è diverso dagli animali
Anche funzioni altamente specializzate e astratte possono essere associate a una particolare area del cervello
Le Scienze 01.02.2001.
L' intelligenza e' stata sempre considerata la caratteristica fondamentale che ci rende umani e ci differenza dalle bestie; un settore delle nostre capacita' intellettive e' costituito dalla nostra capacità di capire i processi mentali degli altri. Su questa capacita' si basano i sentimenti come l'antipatia e la simpatia, e ci e' possibile capire le battute di spirito o accorgerci se ci stanno ingannando. Molti scienziati hanno sostenuto in passato che queste abilità fossero associate a una zona del cervello nei lobi frontali, ma cio' non e' mai stato specicatamente dimostrato. Uno studio guidato da Donald Stuss, di un istituto di ricerca affiliato all'Università di Toronto, ha finalmente dimostrato che questi compiti sono svolti da un'area del cervello grande come una palla da biliardo, localizzata nella corteccia prefrontale destra. L'aspetto più interessante di questa ricerca è il fatto che anche funzioni altamente specializzate e astratte come queste possano essere associate a una particolare area del cervello.
Sono state studiate le reazioni di 32 adulti affetti da lesioni cerebrali (indifferentementnte se la lesione fosse localizzata ai lobi frontali o in altre zone), e 14 adulti sani di controllo. Nel corso degli esperimenti, che assomigliano al gioco delle "tre carte", i soggetti sedevano a un tavolo di fronte a uno sperimentatore che nascondeva una pallina sotto una di due tazze. Il tutto era coperto da una tenda, e due aiutanti sedevano uno al fianco dello sperimentatore (e quindi vedeva tutto) e l'altro a fianco del soggetto (e quindi non poteva vedere nulla). Una volta nascosta la pallina, la tenda veniva rimossa ed entrambi gli assistenti indicavano una tazza diversa. Ovviamente, il soggetto doveva capire che l'assistente che era stato seduto al suo fianco non poteva sapere dove si trovasse la pallina, perché anche lui aveva la vista coperta dalla tenda. Nell'esperimento, le persone con lesioni frontali hanno mostrato una percentuale di errore molto più elevata e i risultati hanno indicato che il lobo destro sembra essere più importante. Lo stesso risultato è stato ottenuto in un secondo esperimento, in cui l'assistente sedeva con lo sperimentatore e indicava sempre la tazza sbagliata. Ovviamente, in questo caso i soggetti dovevano capire di essere ingannati.
È noto da tempo che le persone con danni cerebrali ai lobi frontali presentano dei grandi cambiamenti di personalità. Questo studio è importante proprio perché permette ai familiari e agli amici di questi pazienti di capire perché questo avvenga.

Torna alle news
Torna all'inizio


Uccidere le cellule leucemiche con le loro stesse armi
La speranza era quella di attivare il programma di suicidio cellulare e non è stata disattesa
Le Scienze,
03.02.2001 - I risultati di una interessante ricerca sono stati pubblicati su «Nature Medicine»: usando una combinazione di due sostanze, dei ricercatori sono stati in grado di distruggere cellule cancerogene, facendo sì che iniziassero un programma di suicidio, che le ha completamente distrutte entro pochi giorni. Cio' era dovuto al fatto che una molecola nota come Bcr-Abl si spostasse dal citoplasma fin dentro al nucleo di cellule leucemiche.
La molecola Bcr-Abl è una proteina anormale, che si forma quando i cromosomi contenenti i geni Bcl e Abl vengono spezzati, per l'esposizione a radiazioni o per altri fattori, e poi rimessi insieme per sbaglio dai meccanismi di riparazione del DNA attivi nelle cellule. È questo oncogene da solo il responsabile della leucemia mielogenosa (CML), una malattia mortale che corrisponde al 15 o 20 per cento delle leucemie e uccide annualmente nel mondo 50.000 persone.
E' stata identificata una sostanza, STI571, che può inibire il funzionamento della molecola Bcr-Abl. Il nuovo medicinale ha mostrato una enorme potenzialita'  in trattamenti clinici sperimentali  di pazienti affetti da CML nelle prime fasi della malattia. Tuttavia, STI571 da solo non è efficace nel trattare i pazienti in cui la malattia è già progredita. Negli esperimenti si è visto però che la Bcr-Abl non è solo inibita dalla medicina, ma anche «mobilitata». Gli scienziati hanno infatti osservato che la nuova medicina costringe la molecola a entrare nel nucleo, da dove le cellule leucemiche la rimandano rapidamente nel citoplasma. Essi hanno quindi utilizzato un secondo farmaco, la Leptomicina B, per sigillare la porta per l'esportazione dal nucleo, in cui la Bcr-Abl è rimasta così intrappolata. In base ad altri studi, la speranza era quella di attivare in questo modo il programma di suicidio cellulare e non è stata disattesa. In questo modo si è infatti raggiunta la completa distruzione delle cellule leucemiche dalle culture entro tre giorni. Ora, ovviamente, il prossimo passo sarà quello di estendere le prove cliniche alla combinazione dei due medicinali, e vedere se questo cocktail sarà efficace in ogni stadio della malattia.

Torna alle news
Torna all'inizio


Cancro: scoperto come cellule malate trasmettono immortalità
Roma, 20 febbraio (Adnkronos) - Forse il sogno di Faust si nasconde nell' infinitamente piccolo: alcuni studiosi italiani hanno scoperto il sistema usato dalle cellule del cancro per trasmettere la loro immortalita'. Ricercatori dell'Istituto di neurochirurgia dell'Universita' Cattolica di Roma, in collaborazione con l'Istituto di neurobiologia molecolare del Cnr, hanno documentato che la trasmissione della capacita' del tumore di vivere per sempre avviene grazie ad un enzima, detto telomerasi, presente nelle cellule maligne ma assente in quelle sane adulte.
''Questo enzima -spiegano i ricercatori in una nota- viene trasferito dalle cellule di un tumore cerebrale maligno -che colpisce piu' di 8.000 italiani l'anno- il glioblastoma, alle cellule dei vasi circostanti, che iniziano cosi' a proliferare per nutrire il cancro''. La scoperta, che apre la strada ad una specifica terapia genica (in fase di attuazione alla Cattolica), e' in corso di pubblicazione sul 'Journal of Neurosurgery'. Precedenti studi dell'ateneo romano avevano individuato la telomerasi nei tumori cerebrali maligni e localizzato, attraverso una 'sonda a Rna', l'enzima all'interno delle cellule.

Torna alle news
Torna all'inizio


Fobie: stare con gli altri terrorizza 15 italiani su 100
Roma, 21 febbraio (Adnkronos) - Sudori freddi, tachicardia, tensione muscolare, nervosismo, ansia. Si sentono cosi' 15 italiani su 100, afflitti dalla paura di stare con gli altri, di parlare in pubblico, ma anche di uscire e viaggiare da soli, di svenire. ''Le fobie sociali sono una realta' che sta emergendo adesso -spiega all'Adnkronos Salute Paolo Pancheri della III Clinica Psichiatrica della Sapienza di Roma, presidente del Congresso nazionale della Societa' italiana di psicopatologia, al via oggi nella capitale- fino a pochi anni fa non se ne parlava nemmeno, e le persone soffrivano in silenzio''.
Oggi, invece, aumentano quelli che chiedono un aiuto. ''Se si sommano tutti i disturbi d'ansia -dice l'esperto- scopriamo che a lamentarli e' il 15% della popolazione, che reagisce con paura, a volte terrore, in presenza di situazioni scatenanti''. Dal grande congresso all'assemblea di condominio scatta l'ansia, le persone si bloccano e poi cercheranno di evitare queste situazioni. A chiedere aiuto e' chi non puo' evitarlo: caso tipico, quello dei professori universitari.

Torna alle news
Torna all'inizio


L'orecchio assoluto
Le Scienze, 21.02.2001 - L'orecchio assoluto ( la capacità di riconoscere le note musicali anche isolate, senza la necessità di confrontarle con altre) è una rarità anche fra i musicisti di professione, ma uno studio mostra che probabilmente nasciamo tutti con questa straordinaria capacità, che però perdiamo perché diventa «ingombrante».
Infatti la psicologa Jenny Saffran, dell'università del Wisconsin, ha descritto sulla rivista «Developmental Psychology» un suo studio, che ha indagato l'  apprendimento della musica nei bambini. La dottoressa ha inventato un metodo per misurare se i soggetti dei suoi esperimenti, per riconoscere le musiche,  utilizzino un metodo assoluto o uno relativo. In tutte le prove, gli adulti se la sono cavata molto bene nel misurare le variazioni relative, ma non altrettanto quando si trattava di valutare le note assolute. I bambini hanno invece mostrato esattamente il comportamento opposto.
Le musiche usate dalla dottoressa Saffran erano dei flussi di tre minuti di suoni simili a rintocchi di campanelle. Queste sequenze sonore  non avevano nessuna relazione con delle canzoni reali,  che potessero essere gia' note all'ascoltatore. Dopo che i bambini hanno ascoltato la canzoncina, essa viene ripetuta, cambiando il valore assoluto delle note, ma mantenendo intatto quello relativo. Il tempo che gli infanti dedicano all'ascolto indica se il soggetto sta ancora prestando attenzione alla musica oppure no. In pratica, l'esperimento si basa sul fatto che se il bambino riconosce la stessa canzone nelle due musiche, la seconda volta la sua attenzione calerà in fretta, perché mancherà l'interesse rappresentato dalla novità.
Ma perché nasciamo tutti con l'orecchio assoluto, per poi perderlo quando cresciamo? Secondo Saffran, questo potrebbe dipendere dal fatto che l'orecchio assoluto permette di ricavare delle informazioni estremamente dettagliate su quello che si sente, informazioni che sono probabilmente inutili per la vita di tutti i giorni. L'orecchio assoluto è però molto frequente fra i ciechi, poiché il tono dei rumori può fornire delle informazioni spaziali molto utili.

Torna alle news
Torna all'inizio


Infertilità: nel 18% dei maschi la causa è genetica
Abano Terme, 23 febbraio (Adnkronos) - Nel 18% dei casi di infertilita' maschile la causa e' genetica, ed e' la piu' frequente nei soggetti che si sottopongono a tecniche di fecondazione assistita. L'alterazione genetica non solo viene ereditata dal figlio maschio, ma nelle figlie puo' provocare la sindrome di Turner. E' quanto emerge da uno studio su 1.280 uomini infertili condotto dal professor Carlo Foresta della Clinica medica terza dell'Universita' di Padova e presentato nell'ambito della Consensus Conference in programma oggi e domani ad Abano Terme, in provincia di Padova. ''Il 18% dei maschi che si sottopongono a tecniche di fecondazione in vitro - spiega all'Adnkronos Salute il professor Foresta - hanno un'alterazione della spermatogenesi di origine genetica. Le altre cause quali il criptorchidismo, le infezioni e i traumi sono tutte meno frequenti. Va inoltre sottolineato che nel 40% dei pazienti la causa e' sconosciuta e quindi - sottolinea - e' probabile che in questo 40% ci sia ancora una grossa fetta di patologia genetica''.

Torna alle news
Torna all'inizio


Le origini del melanoma
I ricercatori avevano sempre pensato che questo fosse un effetto del tumore, e non una possibile causa
Le Scienze,
26.02.2001 - Una mutazione che impedisce alle cellule della pelle di comunicare tra di loro gioca un ruolo estremamente importante nello sviluppo dei tumori della pelle. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori dell'Università di Chicago, che ha pubblicato i risultati sulla rivista «Cell».
I ricercatori, guidati da Elaine Fuchs e Howard Hughes, hanno sperimentato sui topi gli effetti della rimozione del gene che codifica la catenina alfa da particolari cellule della pelle che si chiamano cheratinociti. Questa proteina è importante nell'organizzazione dei vari strati che costituiscono l'epidermide, che avviene mediante due tipi diversi di strutture intercellulari, le giunzioni aderenti e i desmosomi. La catenina alfa è importante perché unisce le giunzioni aderenti al telaio strutturale delle cellule, il citoscheletro.
L'effetto della rimozione di questa proteina è stato molto più evidente di quanto i ricercatori non si aspettassero. Dopo i primi 14 giorni di gestazione, la pelle degli embrioni ha cominciato a mostrare segni di ispessimento e disorganizzazione. In particolare, i quattro strati dell'epidermide apparivano molto distorti e non erano neppure sempre individuabili i confini. Questa è la più comune forma di tumore della pelle, chiamata melanoma squamoso, che colpisce in media un milione di persone all'anno nei soli Stati Uniti. Molti dei cheratinociti mostravano poi anomalie come un doppio nucleo, segno che la mancanza della proteina ha avuto effetti anche sui meccanismi di divisione cellulare.
Sebbene la mutazione di questa molecola è stata trovata in passato in molti tipi di tumori, i ricercatori avevano sempre pensato che questo fosse un effetto del tumore, e non una possibile causa.

Torna alle news
Torna all'inizio


APPROFONDIMENTI

I prodotti transgenici: panorama sul problema
Da qualche tempo e' esplosa una feroce polemica sull' uso e la diffusione nell' alimentazione umana dei prodotti cosiddetti "transgenici", piu' propriamente chiamati Organismi Geneticamente Modificati (o OGM). Tali polemiche pero' hanno per lo piu' confuso le idee dei lettori, che spesso non hanno ben chiara la sostanza del problema e le reali implicazioni.
Il problema si e' fatto d'altra parte molto rilevante, come si vede dalla tabella 1

Tab 1: AREE COLTIVATE CON OGM NEL MONDO (MILIONI DI ETTARI APPROX.)

1996

4

1997

10

1998

26

1999

40

Cosa sono: Gli Organismi Geneticamente Modificati o OGM sono organismi viventi (vegetali o animali) ai quali sono stati incorporati mediante procedure biotecnologiche uno o piu' geni estranei alla specie. I geni inseriti artificialmente possono essere indifferentemente di provenienza animale che vegetale: nella soia viene inserito un gene proveniente dai pesci grassi (salmoni, merluzzi) per ridurre il contenuto di grassi; nel mais BT viene trasferito un gene del Bacillusu Thuringiensis che induce la produzione di una sostanza che lo protegge dall' azione di alcuni erbicidi usati per disinfestare.
Come nascono: circa trenta anni fa, negli anni settanta, i biologi molecolari sono riusciti a trasferire da un batterio ad un altro la capacità di sintetizzare sostanze utili, quali antibiotici, insulina ecc, dando origine alla biotecnologia. Queste tecniche, usando appropriati enzimi e vettori (plasmidi) consentirono di trasferire sequenze specifiche di DNA di cellule donatrici nel genoma di un altro essere vivente, con applicazioni in campo medico, agroalimentare e ambientale. Negli ultimi anni tale tecnologia e' stata sviluppata in piu' direzioni: sono stati prodotti più di 100 tipi di farmaci e vaccini più sicuri; sono stati "creati" animali che sintetizzano farmaci e li secernono nel latte, piante transgeniche che producono sostanze animali, quali anticorpi, albumina ecc. Gli intereesi della ricerca si sono concentrati, fino ad ora, soprattutto su alcuni vegetali (tab. 2)

Tab. 2: OGM VENDUTI NEL MONDO ( IN PERCENTUALE SUL TOTALE)

Soia

54%

Mais

28%

Cotone

9%

Altre

9%

Malgrado l' enorme sviluppo e le gigantesche potenzialita', gli OGM stanno suscitando violente discussioni e polemiche, iniziate in Inghilterra, e poi riprese nel resto del mondo.
I problemi discussi sono essenzialmente divisibili in due gruppi : biologici ed etici.

ASPETTI BIOLOGICI:

  1. I Rischi:
  2. I rischi reali e potenziali degli OGM possono riguardare sia gli esseri umani direttamente, sia l'ambiente.
    Per quanto riguarda l'uomo si possono evidenziare i seguenti punti:
    Allergie: esistono molte certezze sulla potenzialità allergenica di alcune proteine originate dall' inserimento di geni in prodotti alimentari. Un esempio tipico e' quello della soia transgenica della Pioneer Hi Bred International in cui era stato inserito un gene della noce Brasiliana per aumentare il contenuto degli aminoacidi Metionina e Cisteina. L'inserimento ha portato però con se' anche il gene codificante per l'albumina 2S, principale allergene della noce Brasiliana. La società produttrice aveva garantito l'innocuità del prodotto ma le prove effettuate da alcuni ricercatori evidenziarono un forte rischio e il prodotto venne ritirato.
    Un altro esempio e' quello, ancora in discussione, della sperimentazione di patate transgeniche (in Austria) contenenti cecoprina, fattore battericida di elevato potere allergizzante.
    Qualcuno si e' chiesto se l' enorme aumento delle allergie alimentari nel mondo non possa essere attribuito all' assunzione cronica, inconsapevole, di alimenti transgenici.
    Va considerato inoltre che gli studi preliminari sull'innocuità di questi prodotti vengono effettuati di regola dalle stesse Case Produttrici, che effettuani quindi una sorta di "autocertificazione" che serve di base per il brevetto.
    Non è prevedibile la quota di soggetti che possono sviluppare fenomeni allergici in quanto alcune delle sostanze che vengono prodotte non sono mai prima entrate in contatto con l'organismo umano treamite l'alimentazione.
    Sugli effetti tossici propriamente detti degli alimenti OGM vi è un solo studio scientifico che documentava disfunzioni intestinali di vario genere su topi alimentati con patate transgeniche contenenti un gene del Bucaneve destinato alla produzione di un' agglutinina che riduce la suscettibilita' agli insett (Arpad Pusztai ,Lancet, vol.354.October 16,1999). Mancano pero' ancora studi a lungo termine.
    Sono stati pero' drammaticamente evidenziati effetti tossici di derivati alimentari prodotti da OGM: negli USA si e' verificato il decesso di 37 persone (oltre a 1500 intossicati) a seguito dell'assunzione di un integratore contenente L-triptofano di origine ogm. Tale modificazione aveva causato la comparsa di metaboliti secondari tossici sconosciuti ed imprevisti e una Sindrome Mialgica Eosinofila (Eosinophilia-myalgia syndrome and tryptophan production: a caution tale. Tibtec 12,346-352,1994).
    E' molto difficile poter prevedere questi effetti secondari: infatti l' inserimento di un gene nel DNA non avviene in modo preciso: se questi va a posizionarsi in un punto critico, puo' interferire in modo del tutto imprevedibile con altri geni della catena originale promuovendo, ad esempio, la produzione di metaboliti secondari tossici o addirittura l' attivazione di un oncogeno silente.
    Un aumento delle resistenze agli antibiotici da parte dei batteri è stato osservato anche in natura indipendentemente dagli Ogm; si ritiene pero' che gli OGM possano aumentare enormemente tale rischio in quanto si verificherebbe, come in natura, una trasmissione della resistenza dai geni introdotti negli ogm come marcatori ai batteri patogeni esistenti in natura o a quelli saprofiti del nostro organismo (flora batterica intestinale) con inattivazione di molti chemioterapici.
    Per quanto riguarda i rischi sull' ambiente naturale o agricolo si possono fare le seguenti considerazioni:
    La diffusione di specie dotate di peculiarita' aggiuntive e di maggior produttivita' potrebbero progressivamente soppiantare le specie naturali riducendone la variabilita' genetica a soli pochi ceppi. Tale processo e' gia' in corso e facilmente verificabile: il riso, inizialmente coltivato in oltre 200 ceppi, e' attualmente ridotto ad una decina. Un fenomeno simile si sta osservando per il grano. Tale fenomeno era in effetti gia' in corso anche precedentemente all' inserimento degli OGM , per via delle tecniche di selezione agricola; il timore e' pero' che, trattandosi di specie per certi aspetti completamente nuove e dotate di proprietà biologiche assenti in natura e appositamente studiate per una maggiore sopravvivenza, possano prendere totalmente il sopravvento sui ceppi naturali.
    Occorre considerare infatti come le culture transgeniche sperimentali non vengano studiate solo negli ambienti sigillati di un laboratorio ma anche in campi coltivati che, pur isolati, non garantiscono dalla diffusione dei pollini mediante il vento o insetti vettori.
    Per evitare la diffusione incontrollata e il "contagio" dei pollini modificati sulle specie "brade" si sta studiando un diverso meccanismo di inserimento dei geni: questi, anziche' trasferiti sul DNA nucleare, verrebbero inseriti nel patrimonio genetico dei cloroplasti, che non viene trasmesso nel processo di riproduzione e impollinazione. Gli studi sono tuttora in corso.
    Anche per l'agricoltura esistono alti rischi che riguardano l'acquisizione di resistenza agli erbicidi (in particolare glifosato, considerato dapprima innocuo ma ora potenzialmente cancerogeno). Tale resistenza induce gli agricoltori ad usi sempre più massicci di queste sostanze contro i vegetali infestanti, con conseguente inquinamento chimico del suolo e degli stessi alimenti.
    Considerando come l'80% dell'alimentazione umana dipenda oggi da solo nove piante si intuisce come la riduzione della biodiversita' possa in qualche modo riflettersi sulla qualita' dell' alimentazione stessa.
    E' stata infatti confermata la carenza di alcuni principi nutrizionali essenziali nelle varietà di cereali ad alta risposta (rapporto dell' Internazional Food Policy Research Institute di Washington, aprile 1996).
    E' anche stato osservato che la produzione da parte degli OGM di sostanze usualmente assenti, potrebbe causare problemi di intolleranza ai soggetti che inconsapevolmente li assumano.

  3. I vantaggi
    Questi sono costituiti essenzialmente da:

ASPETTI ETICI:
I problemi etici riguardano essenzialmente gli interessi economici che sostengono queste ricerche.
Già nel 1980 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva sancito la brevettabilità di esseri viventi geneticamente modificati. Il 12 maggio 1998 l' UE si e' adeguata ed ha stabilito che piante e animali possono essere brevettati, così come frammenti di DNA e singole parti del corpo umano, purchè "isolate o prodotte mediante un procedimento tecnico", e ha approvato la sperimentazione su embrioni umani, a patto di non clonarli né usarli a fini commerciali. Il ritardo legislativo ha fatto si' pero' che la maggioranza degli OGM attualmente in uso provengano da laboratori e aziende statunitensi, con interessi commerciali valutabili in migliaia di miliardi.
Al problema della brevettabilità può essere dovuto il fenomeno del calo verticale di pubblicazioni scientifiche sull'argomento, osservato soprattutto negli USA.
Qui i ricercatori, in omaggio al business preferiscono mantenere segreti i risultati dei loro studi per usufruire dei vantaggi economici derivanti dall'eventuale brevetto. Viene percio' ad essere "tradita" una delle piu' sentite regole della comunita' scientifica, quella cioe' sulla libera circolazione delle idee e delle ricerche.
Una peculiarità del brevetto di un organismo vivente è costituita dal fatto che viene protetta dal brevetto, per un periodo stabilito in 20 anni, tutta la linea riproduttiva di tale organismo. Restano cioè di proprietà del possessore di brevetto le generazioni future ed ogni loro derivato, su cui l'utilizzatore dovrà continuare a versare royalties. Si intuisce come potrebbe sorgere, progressivamente, una sorta di "debito alimentare perpetuo" degli utilizzatori verso i produttori.
I problemi derivati dall' uso degli OGM sono particolarmente acuti nei Paesi del Terzo Mondo e comunque in ambienti diversi dall'occidente, intensamente industrializzato e ricco dal punto di vista alimentare.
A differenza dell' Occidente, ove l' abbondanza e la variabilita' alimentare e' in grado di sopperire alle " carenze nutritive" provocate da alcuni OGM carenti di alcune delle sostanze naturali, in Paesi dove l' alimentazione e' scarsa e basata su pochi alimenti (oppure quantitativamente sufficiente ma di scarsa qualita' e varieta') si possono verificare carenze con fenomeni di " sindrome da fame occulta".
E' stato portato recentemente all' attenzione l' episodio del latte in polvere GM prodotto da una grande multinazionale e inviato ai paesi del tezo mondo (Africa). La diluizione del latte e la mancanza di opportune integrazioni ha causato tra i neonati una diffusa e grave sindrome da iponutrizione.
In paesi di questo tipo le vecchie colture, ormai adattate all'ambiente e complete dal punto di vista nutritivo, fornirebbero una alimentazione più valida e una maggiore autonomia dei coltivatori dalle industrie sementiere, dal momento che gli stessi contadini potrebbero produrre le proprie sementi, cosa impossibile se si tratta di prodotti transgenici artificiali e coperti da brevetti e a volte resi sterili appositamente (Terminator Technology).

Tab. 3: PRO E CONTRO

FRED HASSAN (Pharmacia Corporation)

Negli USA la sua Azienda, consociata con Monsanto, fattura 32.800 Miliardi nel 1999, soprattutto con varianti modificate di Girasole, Mais, Soia. La FDA ha dato via libera dopo tests e pubbliche audizioni (Messaggero 19/7/2000).

CNR
(audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera del 18/7/2000).
"Occorreranno piu' di 10 anni per conoscere esattamente gli effetti sul genoma tenendo conto che molti tumori hanno lunga incubazione e gli effetti sul genoma richiedono tempi lunghi". (Messaggero 19/7/2000)

LA SITUAZIONE ATTUALE

Di questi argomenti sempre più importanti ma carenti di una valida legislazione si occupa l' OMS che sostiene, limitatamente alla sicurezza degli alimenti, il principio della "continuità" e della "sostanziale equivalenza" . Tali concetti, sono tuttora piuttosto ambigui e non ben chiariti nell' effettivo significato: proprio su queste ambiguita' si sono basate le piu' recenti dispute che hanno portato alla sospensione dell' introduzione in Europa di un nutrito gruppo di OGM.
Attualmente gli OGM si dividono in tre gruppi:

  1. Prodotti sostanzialmente equivalenti : L' OGM ( o l' alimento che ne deriva) viene valutato, in base ad una serie di parametri, analogo dal punto di vista nutritivo, allergologico, tossico, all' equivalente naturale. Allorche' un OGM venga incluso in questa classe, se ne da' per scontata l' assoluta innoquita', e non si rendono necessarie ulteriori analisi.
  2. Prodotti sostanzialmente equivalenti con definite differenze rispetto al prodotto naturale: e' necessaria l' identificazione e la valutazione delle differenze riscontrate, al fine di porre rimedio ad eventuali effetti nocivi o carenziali.Esempi di prodotti sostanzialmente equivalenti con differenze definite sono: Lycopersicon esculentum (pomodori FLAVR SAVR, analoghi dal punto di vista nutrizionale ma producenti un enzima "anomalo" che li rende resistenti alla perdita di consistenza); Brassica napus (Ravizzone Laurate Canola) colza con un diverso profilo di acidi grassi (piu' laurico, meno oleico e, soprattutto, meno erucico, potenzialmente tossico).

Anche la FAO si occupa attivamente delle enormi potenzialità e dei rischi degli ogm ed ha attivato vari comitati e commissioni tra cui una Commissione del Codex Alimentarius, in piena attivita' ma le cui conclusioni definitive elaborate da un apposito gruppo di studio sono previste per il 2001.
In Europa l' introduzione degli OGM e' molto osteggiata per una diversa concezione di base: mentre in America vige il principio del "rischio accettabile" (in base al quale, ad esempio, e' ammessa al consumo la carne di bovini trattati con estrogeni), in Europa viene difeso il principio della "massima precauzione", sostanzialmente differente e molto piu' rigido.
Bisogna considerare però che ormai il 60% delle confezioni che si acquistano al supermercato contengono prodotti OGM non segnalati in etichetta e considerati alla stregua dei prodotti naturali.
I grandi produttori si fanno scudo del "principio di equivalenza sostanziale": se un cibo transgenico ha un profilo nutritivo identico a quello naturale non è necessario, sostengono, specificarne l'origine sull' etichetta. Le associazioni di consumatori mettono pero' l' accento sui problemi dell' adeguatezza di tali studi, effettuati per lo piu' dai produttori stessi.
E' stata comunque documentata l' immissione in commercio di tutta una serie di prodotti tuttora "sub iudice" (tab 4)

TAB. 4 : OGM MESSI IN COMMERCIO NEI PAESI EUROPEI SENZA I NECESSARI REQUISITI PREVISTI DAL REGOLAMENTO CE 258/97 (dati del 1999)

MAIS BT11 (Novartis)
MAIS MON810 (Monsanto)
OLIO DI SEMI DI COLZA GT73 (Monsanto)
OLIO DI COLZA RF2MS1 (Plantgenetica System)
MAIS MON809 (Pioneer)
MAIS T25 (Agrevo)

I problemi sopra esposti nascondono in realta', come si e' visto, interessi commerciali da capogiro: le royalties dei brevetti finiscono, per ora, essenzialmente nelle casse delle grandi Multinazionali USA, che ne ricavano cifre enormi. Cio' puo' costituire un' ulteriore chiave di lettura nell' odierna disputa tra USA ed EU sull' uso di tali prodotti. E' infatti noto come anche in Europa gli studi sugli OGM stiano procedendo a grandi tappe (In Italia sono in atto attualmente quasi 600 sperimentazioni autorizzate; esiste pero' contemporaneamente un' aggressiva opposizione ambientalista per cui quasi 50 Comuni si sono gia' dichiarati contrari ad ospitare tali sperimentazioni). E' plausibile comunque che, con lo spostamento in Europa dei benefici economici derivanti dalla loro diffusione, l' attuale opposizione possa essere molto ridimensionata.
In altre parole e' possibile che dietro la bandiera dell' etica e della difesa dell' ambiente si nasconda, almeno in certi casi, solo il problema di una diversa divisione degli utili.
Piante con insetticida incorporato, o che producono sostanze antitumorali, cotone azzurro jeans, mucche che danno latte con antibiotici, piante autofertilizzanti ecc. la biotecnologia sembra la nuova lampada di Aladino ma nessuno può prevedere quanto costerà tutto questo dato che , come dicono gli americani "non ci sono pasti gratis".

Daniele Zamperini - Roberta Floreani (pubblicato, con modifiche, su Doctor n. 12, ottobre 2000).
FONTI: Biologi Italiani - Anno XXX-n.4- Aprile 2000; Biologi Italiani -Anno XXX- n.6-Giugno 2000; Giornale del medico - 21 febbraio 2000; Tempo medico -1 dicembre 1999;Il Messaggero -Luglio 2000.

Torna ad Approfondimenti
Torna all'inizio  


Pillole di buonumore

Cosa si ottiene versando dell'acido nitrico sulla schiena di un cavallo? Un nitrito ed un precipitato di calcio.


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
  Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

 Il danno biologico (Avv. Bruno Sechi)

 Con il termine "danno biologico" si intende il danno alla salute della persona, la cui tutela giuridica trova il suo fondamento normativo nella Carta Costituzionale ( artt. 2, 3, 32 Cost. ).
Occorre, però, precisare che la dizione " salute " è intesa secondo un’accezione ampia: essa, sganciandosi da un criterio di determinazione puramente medico-legale, va a coincidere con il "valore" della persona nel suo complesso, costituito da un patrimonio di utilità "scarse".
In altri termini, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata del nostro ordinamento giuridico, la persona viene considerata e tutelata nel suo modo di esistere, di essere e, quindi, in tutte le occupazioni (presenti e future ) nelle quali si realizza la propria personalità.
La giurisprudenza di merito e di legittimità è giunta alla definizione di danno biologico come la lesione alla integrità psicofisica dell’individuo, "in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione".
L’intenso lavorìo della dottrina, dapprima accolto dalle Corti di merito, in favore di una collocazione autonoma del danno biologico, ha dato i suoi frutti a partire dagli anni 70, con importanti sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione.
Prima di esporre in sintesi il percorso dell’elaborazione giurisprudenziale (diritto vivente), è opportuno sottolineare che il motivo o, meglio, la ratio di questa crociata in favore della persona, è stata proprio l’assenza di una effettiva tutela giuridica.
Fino a 30 anni fa, circa, venivano risarciti solamente i danni patrimoniali ex art. 2043 c.c. e i danni morali ex art. 2059.
L’individuo, in quanto titolare di un patrimonio, valutabile secondo un criterio economico- contabile, poteva invocare la tutela giuridica, qualora il predetto patrimonio subisse un danno, nella forma della perdita subita o del mancato guadagno (lucro cessante) ex art. 1223.
L’ipotesi tipica era rappresentata dalla diminuzione della capacità di produrre reddito in concreto, a causa di una lesione fisica invalidante e il relativo danno veniva commisurato sulla base del reddito lavorativo.
Inoltre, l’individuo poteva ( e può ) richiedere il risarcimento del danno morale derivante da reato ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p., che si risolvesse in un patema d’animo o dolore psicofisico "transeunte", senza produrre postumi invalidanti sulla persona medesima. In tal caso, il risarcimento del danno viene a compensare, in qualche modo, il dolore subito ( assurgendo alla funzione di " pretium doloris ").
Questo impianto di tutela escludeva quella forma di danno che può riguardare tutti gli individui, compresi coloro che sono privi di un reddito lavorativo.
In sostanza, colui che subiva un danno psicofisico che lo limitava nella sua "attività di tutti i giorni", era un individuo senza tutela, qualora non fosse titolare di un reddito.
Il sistema così descritto, operava un meccanismo di esclusione giuridica nei confronti di chi già ricopriva una posizione fattuale di svantaggio; ciò andava in palese contrasto con i dettami della Carta Costituzionale ( arrt. 2, 3, Cost. ).
Inoltre, l’art. 32 Cost. (tutela della salute) restava completamente inoperante.
Abbiamo accennato alle coraggiose pronunce delle Corti di merito negli anni 70, grazie anche alla costante attenzione della dottrina sul versante della tutela della persona.
Sicuramente la sentenza del Tribunale di Genova, datata 25 maggio 1974, rappresenta il primo tentativo, da parte della giurisprudenza, di ovviare alle mancanze del legislatore.
Infatti, nella sentenza suindicata, in accoglimento delle istanze dottrinarie, si stabilisce che il danno alla persona si riferisce alle attività lavorative ed extralavorative, comprendendo queste ultime le attività per mezzo delle quali si realizza la personalità dell’individuo.
Di già, con la sentenza in questione si sposta l’asse dell’attenzione dal criterio patrimoniale al criterio della "ingiustizia" dello stesso.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n° 88/79, individua nell’art. 32 Cost. la norma che assicura la effettività della tutela della salute quale " diritto fondamentale dell’individuo…….. come diritto primario ed assoluto e pienamente operante nei rapporti tra privati ".
La medesima Corte precisa che il diritto alla salute, in virtù anche del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32 ) e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del collegamento tra l’art. 32 Cost. e l’art. 2059 c.c.
Quest’ultima norma, a detta della medesima Corte, si riferisce a tutti i danni non patrimoniali, relativi alla lesione di interessi non economici.
Al di là della configurazione del danno alla salute quale danno non patrimoniale, la sentenza in questione, costituisce uno dei passaggi piu’ importanti nella creazione del diritto vivente, nel settore della tutela dell’individuo.
Dal punto di vista strettamente normativo, la Corte valorizza la Costituzione e in particolare uno dei principi fondamentali ( la tutela della salute ).
La Carta Costituzionale rischiava di restare " sulla carta ".
Ma la sentenza della Corte Costituzionale, considerata storica, è rappresentata dalla n° 184/86.
La sentenza in esame conferma che la tutela della salute trova il suo fondamento nell’art. 32 Cost., immediatamente applicativo.
La tutela effettiva è garantita dal combinato disposto dell’art. 32 Cost. e dell’art. 2043 c.c., in quanto si tratta di un danno ingiusto.
Il danno alla salute appartiene ad un "tertium genus", differente ed autonomo rispetto al danno strettamente patrimoniale e al danno morale; il danno in esame, denominato biologico, costituisce " l’evento costitutivo" del fatto-lesione.
La fattispecie, in sostanza, è costituita dai seguenti elementi: condotta illecita dell’agente, evento-lesione o evento-danno biologico, nesso causale tra la condotta e l’evento.
La Corte si spinge piu’ avanti, affermando che il danno biologico " è sempre presente" nel caso di lesione e non occorre " alcuna prova del bene giuridico salute".
Il danno biologico è distinto ed autonomo rispetto al danno patrimoniale e al danno morale; questi ultimi sono danni-conseguenza, ulteriori rispetto al danno biologico.
Ora appare piu’ significativo il passaggio della sentenza in cui si afferma che il danno biologico è sempre presente.
La giurisprudenza di legittimità ha sostanzialmente seguito le conclusioni sopraccitate della Corte Costituzionale.
Non possiamo trascurare un’altra sentenza della medesima Corte ( n° 372/94 ) che considera il danno alla salute di natura non patrimoniale e inquadrabile nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per analogia iuris.
In tal modo si assicurerebbe la effettività della tutela della persona e si eviterebbe la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 2043 c.c.
La Corte Costituzionale così sentenzia: " dalla ratio dell’art. 2043 c.c., coordinata con l’esigenza di effettività della tutela dei diritti fondamentali, questa soluzione ermeneutica argomenta un principio di risarcibilità dei danni piu’ generale di quello originariamente tradotto nella regola del codice civile, comprendente non solo i danni patrimoniali, ma pure i danni non patrimoniali causati dalla lesione di un diritto personale costituzionalmente protetto, quale il diritto alla salute ".
La Corte Costituzionale, nella sentenza suindicata, esamina in particolare l’ipotesi del danno biologico da morte del congiunto.
Dalla lettura della sentenza si ricavano i seguenti principi:
nel caso di lesione al bene salute, causante la morte dell’individuo, sorge un diritto di risarcimento in capo al deceduto per i danni subiti " dal momento della lesione a quello della morte ", con esclusione, pertanto, nel caso di morte immediata.
Qualora la morte sopraggiunga dopo un significativo lasso di tempo, subentra, nel patrimonio dell’individuo, il diritto al risarcimento dei danni subiti, dal verificarsi della menomazione psicofisica al decesso.
Per tale motivo, i parenti potranno esercitare, iure hereditatis, il diritto al risarcimento.
Potrà, inoltre, ipotizzarsi, in capo ai congiunti, un danno biologico e la relativa pretesa risarcitoria, iure proprio, qualora dalla morte del parente sia derivata "una lesione fisio-psichica ( infarto da shock o uno stato di prostrazione tale da spegnere il gusto di vivere )".
Esso costituisce non un danno evento ma conseguenza " della lesione di un diritto altrui ".
Come è stato già precisato dalla famosa sentenza n° 184/86 della medesima Corte, si tratta di danni " eventuali", conseguenza,  la cui sussistenza deve essere concretamente provata.
Ab contario, il danno alla salute, essendo evento costitutivo della lesione, è insita nella medesima lesione: la Corte afferma che la prova della lesione è, in re ipsa, prova dell’esistenza del danno.
In ogni caso, ai fini del risarcimento " è sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno": in altri termini, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2056 e 1223 c.c., il soggetto leso deve provare la perdita di quelle utilità "afferenti alla persona", di natura non patrimoniale, suscettibili di valutazione equitativa da parte del giudice.
Secondo la Corte, nella sentenza 372/94, il danno biologico, risarcibile iure proprio, derivante da morte del congiunto, rientra nella disciplina dell’art. 2059 c.c.; non può essere inquadrato nell’ambito dell’art. 2043 c.c., poiché si includerebbe, arbitrariamente, una ipotesi di illecito colposo fittizio, in netto contrasto con lo spirito dell’art. 2043 c.c. ( " Qualunque fatto doloso o colposo……." ).
Infatti, normalmente, il soggetto che cagiona la morte, non può essere considerato autore del danno biologico dei congiunti, poiché non rientra nella sua sfera di previsione.
La Corte, in relazione al danno biologico patito dai congiunti per morte del parente, definisce la responsabilità dell’autore dell’illecito, una "responsabilità oggettiva per pura causalità".
Il danno in questione rientra nella disciplina dell’art. 2059 c.c., poiché deriva da un fatto –reato, a prescindere dalla colpevolezza dell’autore medesimo. In virtu’ di tale principio si garantisce la tutela costituzionale del bene-salute.
Il danno biologico da morte del parente, secondo la Corte, assorbe il danno morale soggettivo, costituito dal patema d’animo o sofferenza "transeunte".
Riporto le parole testuali di questo passaggio, che hanno messo in serio pericolo il principio di autonomia del danno biologico, rispetto alle altre voci di danno: " Il danno alla salute è qui il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico ", costituito dal danno morale soggettivo.
La Corte di Cassazione ha in buona parte recepito i principi espressi nella sentenza n° 184/86, relativamente alla tutelabilità del danno biologico, ex artt. 32 Cost, e 2043 c.c., in quanto danno ingiusto ( Cass. Sez. III 11164/90 ).
I giudici di legittimità hanno consolidato negli ultimi decenni l’accezione ampia del termine salute, comprendente tutte le " funzioni naturali afferenti al soggetto" nel suo ambiente e aventi " rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica" ( Cass. Sez. Lav. 7101/90 ).
La Giurisprudenza e la stessa dottrina, in virtu’ di un lavorìo incessante, hanno enucleato il " genus " del danno biologico, nelle sue piu’ significative sfaccettature.
Rientrano nel concetto di danno biologico le seguenti figure: il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno psichico, il danno alla sfera sessuale, il danno derivante da perdita di chance lavorative, il danno da riduzione della capacità di concorrere, il danno alla capacità di produrre reddito in astratto, il danno esistenziale, il danno edonistico etc…

Il danno alla vita di relazione: sulla scorta delle fondamentali sentenze della Corte Costituzionale, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la menomazione della integrità psicofisica incide negativamente sulla realizzazione della personalità dell’individuo, non solo nelle attività strettamente lavorative, economiche, ma anche nelle "attività sociali e ricreative " ( Cass. Sez. III 8287/96 ), che lo pongono in relazione con terzi (Cass. Sez. IV 3564/96).
Il tempo e le ore che l’individuo utilizza per scopi extralavorativi acquistano un loro valore, in termini di rinuncia alle ore lavorative retribuite.
L’individuo deve " programmare "o, meglio, fare una scelta del tempo da utilizzare per condurre quella vita di relazione che lo appaghi.
La dottrina, a tal proposito, in riferimento alla scelta del tempo e delle relative utilità " scarse " a disposizione del soggetto, ritiene che anch’essi abbiano un valore, un prezzo dato dagli stessi individui nel mometo in cui rinunciano alle ore lavorative; il meccanismo in questione può definirsi dei costi-opportunità.
Poiché le attività sociali e ricreative non sono caratterizzate da una funzione economico-retributiva, ma integratrice della personalità, una loro eventuale lesione per fatto illecito, non rientrerebbe nella categoria del danno patrimoniale, ma del danno biologico, nella sua accezione dinamica.
Infatti, nell’ambito del danno biologico, il danno alla vita di relazione si distingue dalle manifestazioni statiche della lesione alla salute.
La menomazione della integrità psicofisica in sé e per sé considerata, costituisce l’aspetto statico del danno alla salute, perché incide direttamente sull’aspetto medico-legale della lesione ( per es. rottura di un arto ).
L’aspetto dinamico, invece, pur conseguendo dalla medesima causa, va ad incidere sulla realizzazione della personalità " in movimento " dell’individuo.
Sulla base di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale n° 372/94, nel primo caso ( aspetto statico ), il danno ( rectius la prova del danno ) alla salute è in re ipsa nella prova della lesione medesima; in tal caso il danno biologico "è presunto".
Il danno, nel suo aspetto dinamico, invece, deve essere provato, senza poter ricorrere a presunzioni, poiché non è così "scontato" che la lesione psicofisica, possa avere arrecato un danno alla sfera sociale e ricreativa del soggetto.
E’ chiaro che ai fini del risarcimento, in ambedue i casi, valgono le regole di cui agli artt. 2056,1223,1226 c.c.
Il danno alla vita di relazione rappresenta una " necessaria componente del danno biologico " ( Cass. Sez. III 4909/96 ), e deve essere risarcito a tale titolo ( Cass. Sez. III 9170/94 ). 

Un’altra manifestazione del danno biologico è il danno estetico.
L’esempio classico è lo sfregio arrecato al viso. Il tipo di lesione in esame dà luogo sicuramente al danno biologico, secondo la comune esperienza.
L’alterazione morfologica del viso viene ad incidere sul modo di essere della persona, sulla sua attività relazionale con il mondo esterno ( Cass. Sez. III 755/95 ).
Può comportare serie e rilevanti limitazioni nella realizzazione della sua personalità ( art. 2 Cost. ).
Un’altra ipotesi affrontata dalla giurisprudenza è la perdita totale della capigliatura che, sulla base degli schemi suindicati, va considerata quale forma di danno estetico.
Dalla lesione possono derivare danni patrimoniali ( diminuzione della capacità reddituale in concreto ), danni morali ( ex art. 2059 c.c. ). 

Non bisogna trascurare un’altra significativa forma di danno biologico, costituito dal danno psichico, che si differenzia dal danno morale, come sopra specificato ( Cass. Sez. III 6607/86 ).
Esso consiste in quelle menomazioni o alterazioni dell’equilibrio psichico del soggetto ( es. ansia depressiva, insonnia, etc… ).
Secondo buona parte della giurisprudenza, il danno psichico, affinché possa essere inquadrato nell’ambito del danno biologico, deve sfociare in una forma patologica, da accertare mediante la consulenza medico-legale.
Nella realtà, pertanto, l’individuazione e l’accertamento del danno psichico presenta maggiori difficoltà, rispetto alla menomazione fisica.
Il quadro probatorio si complica qualora il soggetto danneggiato soffra di pregresse patologie psichiche che lo rendano particolarmente vulnerabile al verificarsi di determinati fatti illeciti. 

Il danno biologico può manifestarsi quale danno alla capacità lavorativa generica, a prescindere, cioè, dalla titolarità di un reddito.
La giurisprudenza ( Cass. Sez. III 1198/96 ) lo definisce una lesione " alla potenziale attitudine del soggetto all’attività lavorativa, indipendentemente dalla produzione di un reddito "
Il danno biologico, limitando o escludendo tale attitudine, incide direttamente sul "valore persona" e sulle sue possibilità di realizzazione.

La giurisprudenza ha approfondito altri aspetti del danno biologico, quali la perdita di chance lavorative, la maggior fatica nel lavoro, la riduzione della capacità di concorrenza ( Cass. Sez. 755/95 ), l’infermità determinata dall’attività lavorativa usurante ( Cass. Sez. Lav. 2455/00 ).

 La valorizzazione del bene-persona nella elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ha incluso anche la tutela della sfera sessuale degli individui.
La tutela giuridica della persona è funzionale alla garanzia dei "diritti primari "inerenti alla persona umana e tra essi " va compreso il diritto di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l’altro, avente quale contenuto un aspetto dello svolgimento della persona di ciascun coniuge nell’ambito della famiglia"( Cass. Sez. III 4671/96 ).
La giurisprudenza afferma che la lesione alla sfera sessuale del coniuge causa una altrettanto lesione del diritto dell’altro coniuge alla medesima sfera.
Il diritto-dovere ai rapporti sessuali, ineriscono al rapporto di coniugio ( Cass. Sez. III 6607/86 ). 

Queste riflessioni ci offrono l’opportunità di introdurre una importante figura del danno biologico denominata danno esistenziale.
La giurisprudenza di legittimità ( da ultima Cass. Sez. I 7713/00 ), in coerenza con i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale ( 184/86 ), riconosce la tutelabilità secondo il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., di tutti i diritti che sostanziano la persona.
Sulla base di una lettura costituzionalmente orientata delle norme giuridiche, l’individuo è tutelato ogni qual volta subisce una " lesione in sé " dei propri diritti fondamentali, a prescindere dalle ricadute in senso economico e/o morale.
La sentenza della Cassazione n° 7713/00 ha stabilito che il ritardato pagamento degli assegni di mantenimento nei confronti del figlio minorenne da parte del padre naturale concretizza una " lesione in sé " dei diritti del minorenne, cioè "inerenti alla qualità di figlio e di minore ". 

La giurisprudenza di merito ha sviluppato negli anni il concetto di danno esistenziale, in riferimento allo status concreto della persona.
La giurisprudenza stabilisce che il decesso di un congiunto per fatto illecito, legittima i parenti, che abbiano avuto uno stretto legame ( convivenza ) con il de cuius, a richiedere e ottenere il risarcimento del danno ( c.d edonistico ), iure proprio ( Trib. Firenze 451/00 ).
La morte per fatto illecito, infatti, causa anche la perdita di quello status di parentela, di coniugio o di filiazione, costituito da una serie di rapporti morali, giuridici, diritti, doveri che afferiscono direttamente alla persona.
La Corte di merito suindicata, parla della privazione " di quella stabilità di situazioni che compongono lo status parentale ".
La giurisprudenza considera il danno edonistico una espressione del danno esistenziale nell’ambito del danno biologico.

In relazione ai meccanismi risarcitori del danno biologico, la giurisprudenza è concorde nell’ammettere il criterio della valutazione equitativa che,di per sé, non esclude l’applicazione di altri criteri, quali il punto tabellare ( v. metodo milanese ).
Il metodo milanese è il piu’ seguito negli Uffici giudiziari, che hanno provveduto a dotarsi, nel proprio ambito, di apposite tabelle, con lo scopo di razionalizzare ed omogeneizzare la fase della liquidazione dei danni.
Tale metodo si base essenzialmente su due principi: il principio progressivo in base al quale il valore monetario del singolo punto di invalidità aumenta con l’aumentare dell’invalidità permanente complessiva; e il principio regressivo, in base al quale, invece, il valore decresce con il crescere dell’età dell’individuo leso.
In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ( Cass. Sez. III 6873/00 ) ammette che non vi è contrasto tra la valutazione equitativa del danno e i "metodi standardizzati", purchè questi ultimi siano criteri flessibili e siano adeguati al caso concreto.
Infatti, il Giudice, nel riferirsi ai metodi tabellari, dovrà successivamente adeguare la somma stabilita al caso concreto, tenedo conto "dell’attività espletata, delle condizioni sociali e familiari del danneggiato.
Qualora il Giudice decidesse di discostarsi dai criteri o modelli tabellari in uso, presso l’Ufficio di appartenenza, dovrà motivare esplicitamente l’adozione dei "criteri e metodi diversi", in forza del potere discrezionale affidatogli dagli artt. 2056 e 1226 c.c.

Senorbì-Cagliari, lì 25/07/00  Avv. Bruno Sechi   avv.brunosechi@tiscalinet.it

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio


Le sanzioni cautelari e disciplinari per il medico vanno considerate contestuali, e non si sommano l’una all’altra (Sentenza 592/2001 Corte di Cassaz. sez III Civ. depositata in cancelleria il 17 gennaio 2001).

 Secondo la Corte di Cassazione, nel caso in cui al medico colpevole di un reato, venga comminata, sia dal giudice penale che dall’organo disciplinare, l’ interdizione all’esercizio della professione per un certo periodo, i due provvedimenti non si sommano tra di loro: qualora il medico abbia gia’ scontato un periodo di sospensione, il periodo scontato va detratto dal provvedimento comminato successivamente.
La sentenza ha dato ragione a un chirurgo romano che, nel 1980, era stato imputato del reato di prescrizione abusiva di stupefacenti. Per questo motivo il Magistrato aveva deciso una sospensione provvisoria dall’esercizio della professione.
La misura penale era stata poi revocata, pur essendo stato il medico giudicato colpevole del reato ascrittogli.

Il Consiglio dell’Ordine dei medici di Roma, a sua volta, dispose l’ulteriore sospensione di un mese dall’ albo. In seguito all’ impugnazione del provvedimento da parte del medico, la Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie stabili’ che il mese di sospensione stabilito dall’Ordine andava conteggiato nel periodo, più lungo, in cui il chirurgo non aveva potuto esercitare la professione a causa del divieto del giudice penale.
La Cassazione ha confermato questa tesi, rigettando il ricorso dell’Ordine dei medici di Roma. Infatti secondo la Corte, a cio’ si giunge mediante l’esame combinato delle norme del regolamento sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie (articoli 40 e 43 del Dpr 221/50). Anche se da tali disposizioni si evince che "l’applicazione della misura cautelativa della sospensione non osta alla successiva erogazione allo stesso medico della sanzione disciplinare della sospensione", è anche vero che dalle stesse norme non può desumersi il principio secondo cui "la misura cautelativa precedentemente applicata non si possa detrarre dalla sanzione disciplinare successivamente inflitta".
Per questi motivi, secondo la Cassazione, "non solo la detrazione della misura cautelativa dalla sanzione disciplinare non risulta vietata dal contesto normativo", ma si tratta di misure omogenee e questo metodo di conteggio della sospensione risponde a un più generale principio di ragionevolezza.
Daniele Zamperini (fonte: Sole24ore 20/1/01)

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio


Pillole di buonumore

A scuola, bocciare non serve, infatti gli asini giovani col tempo diventano asini vecchi, non cavalli. (Eros Drusiani)