Dicembre
2000

"PILLOLE"
DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate
da
- SIMG-Roma
 
-A.S.M.L.U.C.

  Periodico di aggiornamento e varie attualita' a cura di: 
Daniele Zamperini md8708@mclink.it, Amedeo Schipani mc4730@mclink.it,
Bollettino inviato gratuitamente su richiesta. L' archivio dei numeri precedenti e' consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm (Visitate anche le altre pagine, sono ricche di informazioni!)

BUON NATALE E BUON ANNO A TUTTI !!!
(Attenzione: per la lettura corretta di questo file, corredato di illustrazioni, occorre salvare sia il testo che le illustrazioni nella stessa directory dell' Hard-Disk!)


INDICE GENERALE

  PILLOLE

MINIPILLOLE

  NEWS  

 

APPROFONDIMENTI

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

La responsabilità giuridica del medico (Avv. Bruno Sechi, Cagliari)


Pillole di buonumore
(Oggi: I numeri della Salute; da Pagine Utili)

-1.000.000 di italiani vanno giornalmente a visita dal medico di base
-20 minuti e' la durata media della visita
-177 sono i cittadini per ogni medico abilitato in Italia
-307 sono i cittadini per ogni medico abilitato in Francia
-568 sono i cittadini per ogni medico abilitato in Svizzera


PILLOLE

Possibilità di grave impatto ecologico da alcune piante transgeniche

E’ ben noto come in questi ultimi anni esista un vivace dibattito circa l’utilita’ e il rischio dell’agricoltura cosiddetta "transgenica". Mentre le persone favorevoli ne esaltano i vantaggi in termini di produzione, resa, resistenza agli agenti patogeni, i soggetti contrari invece infatizzano il rischio ecologico e della salute pubblica. La cronaca si arricchisce continuamente di episodi favorevoli all’una o all’altra ipotesi. Si e’ cercato di conciliare i diversi concetti di agricoltura transgenica, assai differenti tra le concezioni statunitensi e europee. Infatti mentre gli Stati Uniti si basano sul concetto di "rischio accettabile" l’Europa pretende invece l’applicazione del concetto di "massima sicurezza". Nel frattempo mancando, una regolamentazione precisa, gli esperimenti procedono in modo abbastanza incoordinato con rischi talvolta eccessivi. Infatti bisogna considerare come i vegetali transgenici non vengano coltivati nel chiuso del laboratorio ma nell’ambiente aperto che, sebbene isolato non consente di garantire la non diffusibilita’ dei pollini attraverso l’atmosfera nonche’ lo sconfinamento di insetti e altri vettori dal territorio sperimentale all’ambiente circostante. Una delle piante maggiormente studiate dal punto di vista genetico e’ il mais in quanto numerose sue varieta’ hanno presentato vantaggi in termine di resa indubbiamente elevati. E’ stato rilevato tuttavia in un articolo non recentissimo come sia esistito un potenziale rischio non immediatamente identificato. Si trattava di una varieta’ di mais trasformato mediante materiale genetico del batterio "Bacillus Thuringiensis": la maggior parte dei ceppi di mais ibridati con tale materiale genetico produce la tossina batterica nel proprio polline. Quando il polline viene liberato dalla pianta e disperso nell’atmosfera, puo’ essere ingerito da animali che si trovino coinvolti nel ciclo naturale di queste sostanze. Questo e’ stato il caso delle larve della "Farfalla Gregaria Americana" o "Danaus Plexibus": si tratta di una farfalla appartenente alle danaidi, diffusa largamente nella parte centrale degli Stati Uniti e protetta da particolari leggi americane che la proteggono sia dalla caccia che dalle molestie, dotata di grandi ali aranciate solcate da nervature e a margini neri. Questa farfalla migra in numero impressionante, con un’immagine veramente spettacolare dal Golfo del Messico alla baia di Hudson e si nutre di un’erba perenne (Asclepias Curassavica) che vive nelle stesse aree delle colture del mais. Se le foglie di Asclepias si trovano abbastanza vicine alle colture di mais transgenico (sembra che sia sufficiente un raggio di circa 60 metri) sono raggiunte dal polline modificato e vengono ingerite accidentalmente dalle farfalle per cui le larve presentano un aumento di mortalita’ superiore del 50% rispetto a quelle che vivono in ambiente dove non esiste il mais transgenico. Questo esempio indica chiaramente come sia necessario ricorrere a maggiori precauzioni e a un maggiore isolamento delle colture transgeniche rispetto all’ambiente circostante almeno fino a quando non ne sia stata dimostrata l’innocuita’ per l’ambiente.

Daniele Zamperini. Rielaborato da varie fonti, tra cui G.J.E. Losei e al., Nature, Maggio, 20, 1999

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Malattie infettive: un pericolo che si credeva dimenticato

Da alcuni anni e’ stata portata all’attenzione del grande pubblico il problema della encefalopatia spongiforme bovina (BSE) che, malattia fino a pochi anni fa sconosciuta, si e’ enormemente diffusa nel Regno Unito con centinaia di migliaia di bovini colpiti e un contemporaneo preoccupante incremento dei casi di una variante della Malattia di Creutzfeld-Jacob umana.
La segnalazione del primo caso risale al ’94; tale varieta’ della MCJ e’ stata ampiamente studiata ed esistono evidenze sempre piu’ stringenti che tale forma sia la derivazione umana dell’encefalopatia bovina spongiforme pur non essendo stata documentata la relazione diretta tra lo sviluppo di questa forma morbosa e il consumo della carne bovina.
L’apparire di questa malattia si accompagna a una serie di altri morbi di cui fino a pochi anni fa non si era mai sentito parlare: il virus Ebola, manifestatosi con recenti epidemie in Congo e in Gabon, e’ probabilmente trasmesso da alcune specie animali che fungono da serbatoio e quindi trasmettitori verso l’uomo. L’HIV e’ stata anch' essa una malattia sconosciuta fino a una ventina di anni fa, ed e' attualmente diventata una delle maggiori preoccupazioni sanitarie mondiali.
Ma queste malattie, molto note perche' ampiamente pubblicizzate, costituiscono pero' solo la punta dell’iceberg. Si osserva infatti un generalizzato incremento della diffusione di malattie infettive che si credevano scomparse oppure addirittura di nuove malattie infettive trasmesse da virus o da batteri finora poco rappresentati nella patologia umana. Si era creduto che, grazie alle terapie antibiotiche, l' epoca delle patologie infettive fosse destinata col tempo a chiudersi, ma l’andamento appare esattamente opposto.
Il colera ha segnalato delle nuove diffusioni nel mondo con un riaccendersi di milioni di casi; la tubercolosi e’ riemersa alla grande con oltre 3 milioni di morti l’anno; la malaria rimane tuttora uno dei flagelli per i paesi del terzo mondo. Ma neanche i paesi industrializzati sono immuni da queste malattie vecchie e nuove: la salmonella typhimurium resistente agli antibiotici e’ stata individuata nel 1988 in Inghilterra e successivamente e’ stato riscontrata in molti animali domestici, diffusa e selezionata probabilmente dall’usanza in molti paesi di somministrare agli animali di allevamento degli antibiotici a scopo profilattico. Se ne sono verificate diverse epidemie, soprattutto in Inghilterra, mentre in altri paesi ne sono segnalati casi sporadici. Sempre in Inghilterra sono stati segnalati anche negli anni scorsi casi di rabbia trasmessi da pipistrelli insettivori. Tale malattia e’ comune in altri paesi (Danimarca, Olanda, Germania) ma finora, nel Regnio Unito, era limitata e poco frequente. La Cryptosporidiosi era sconosciuta fino a una ventina di anni; da allora sono stati descritti casi in piu’ di 60 paesi, con focolai epidemici come quello osservato nel ’93 negli Stati Uniti e causato dalla contaminazione dell’acqua potabile con conseguente epidemia di gastroenteriti (oltre 400.000 soggetti) e oltre 4000 ospedalizzazioni. Il principale agente infettivo di questa malattia e’ il Cryptosporidium Parvum, ma sono stati segnalati altri ceppi che usualmente infettano altri animali e, finora, non colpivano l’uomo. Negli Stati Uniti sono stati osservati diversi casi di Malattia di Lyme e di Ehrlichiosi, secondarie a punture di zecche (molto aumentate soprattutto a causa dei cambiamenti ecologici legati alla riforestazione). Le Ehrlichiosi sono causate da batteri intracellulari obbligati che parassitano le cellule del sangue, in particolare i monociti o i granulociti. Le due forme diverse sono dovute a batteri diversi; il loro serbatoio naturale sembra essere in alcuni animali, soprattutto cavalli e pecore. Nel Mediterraneo si e’ osservato un aumento progressivo dei casi di Brucellosi. Tale batterio e’ diviso in varie sottospecie il cui serbatoio naturale e‘ costituito da animali domestici. La sua incidenza reale e’ sconosciuta ma anche in Italia sono frequenti i casi dovuti a Brucella Abortus e a Brucella Melitensis. In Giappone e’ stata descritta nel ‘96 causata da Escherichia Coli Enteroemorragica: tale epidemia fu la conseguenza di cibo contaminato distribuito da un unico centro ai bambini che frequentavano le scuole elementari. Tale malattia si e’ manifestata anche in Inghilterra con quasi 500 casi e 18 morti. In molti altri paesi del mondo si sono riscontrate epidemie caratterizzate da diarrea emorragica e/o da sindrome emolitico-uremica associata a questo ceppo in molte parti del mondo e specialmente negli Stati Uniti.
In Venezuela e in Colombia fu riscontrata una epidemia di encefalite equina con oltre 450 casi di malattia.
In Nicaragua nel ‘95 sono stati segnalati centinaia di casi di Leptospirosi atipica con 16 morti.
La Leishmaniosi rappresenta un rischio di primo piano verso cui anche l’OMS si e’ attivato infatti, secondo stime, sembra che oltre 350milioni di individui in 88 paesi del mondo siano a rischio di questa infezione e oltre mezzo milione di casi vengono riportati ogni anno.
La recrudescenza dei casi di Leishmaniosi appare legata, soprattutto nell’Europa e in Italia, a concomitanza di infezione con virus HIV.
L’Italia appare particolarmente a rischio per diffusione di Arbovirus trasmessi da zecche, zanzare o flebotomi. Tra tali virus il piu’ importante patogeno per l’uomo e’ quello della Tick-Borne Encephalitis (TBE). Tale malattia e’ stata segnalata anche in quasi tutti i paesi d’Europa, con poche eccezioni ma in casi sporadici. In Italia invece appare piuttosto frequente, con presenza di focolai epidemici in Veneto e in Trentino. Si presenta clinicamente con meningite, meningoencefalite, meningoencefalomielite, o meningoencefaloradicolite.
E’ evidente quindi come il medico dovra’ nuovamente dedicarsi allo studio delle malattie infettive abbandonando la tranquillizzante illusione che con l’avvento degli antibiotici tali patologie siano state ormai da considerare scomparse.

(Daniele Zamperini. Fonte:  G. Rizzardini, "Aggiornamento medico", vol. 23, n. 8 - Ottobre ’99)

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Diabete e menopausa

Spesso le pazienti chiedono al medico se debbano modificare il proprio stile di vita o le proprie terapie durante il periodo menopausale. La cosa e’ ancora piu’ rilevante se le pazienti siano affette da diabete. La menopausa e’ uno stadio naturale della vita della donna e di solito inizia un anno dopo la cessazione delle mestruazioni. I sintomi della menopausa possono iniziare invece intorno ai 40 anni e continuare per molti anni anche se la menopausa di per sè inizia in epoca successiva (48-54 anni). Alcune donne hanno una esperienza prematura alla fine dei 30 anni e altre invece dichiarano di avere flussi fino alla fine dei 50. I sintomi piu’ comuni della menopausa sono le "vampate di calore" che iniziano quando si riduce il livello estrogenico e possono modificare la temperatura corporea, a volte accompagnate a sensazione di sudore notturno. Alcune donne continuano ad avere vampate di calore fino ai 70 anni.
CAMBIAMENTI DELLA LIBIDO: alcune donne avvertono un diminuito interesse nell’attivita’ sessuale mentre altre invece rilevano una accentuazione soprattutto motivata dalla possibilita’ di lasciarsi trasportare senza preoccupazione del rischio di concepimento.
Altri effetti possono essere vertigini, astenia, disturbi del sonno, flussi irregolari spesso con metrorragia, modifiche improvvise dell’umore, dolori muscolari, palpitazioni.
Circa il 15% delle donne hanno bisogno assolutamente necessita’ di terapia sostitutiva perche’ i sintomi sono di gravita’ intollerabile; un 15% al contrario non avverte alcun sintomo fastidioso. Il restante 70% va valutato caso per caso.
EFFETTI DELLA MENOPAUSA SUL DIABETE: il rischio cardiovascolare e’ 2-3 volte piu’ elevato nelle donne con diabete in epoca post-menopausale. E’ percio’ necessario che le donne si sottopongano a visita medica per una valutazione dei fattori di rischio con possibilita’ di modifiche del programma alimentare. In menopausa puo’ accadere di osservare una riduzione del fabbisogno di insulina a causa del ridotto livello di estrogeni e progesterone, anche se al fabbisogno non corrisponde spesso una riduzione di glicemia basale sia per le fluttuazioni ormonali che per un aumentato rischio bulimico. Nel diabete di tipo 1 si osserva spesso un periodo di maggior rischio ipoglicemico seguito da una riduzione di quasi il 20% del fabbisogno insulinico, una volta stabilizzatasi la menopausa. Questa riduzione del fabbisogno si esplica normalmente nella diminuzione del dosaggio dell’insulina lenta serale mentre si tende a lasciare invariate le insuline pronte preprandiali. Nel diabete di tipo 2 si assiste frequentemente a un incremento ponderale spesso peggiorato dalla contemporanea insorgenza di un fallimento secondario alla terapia con ipoglicemizzanti orali e a una necessita’ di iniziare una terapia insulinica. Dato che si osserva una riduzione del metabolismo basale e’ utile implementare l’attivita’ fisica o ridurre del 20% l’apporto calorico per evitare un incremento ponderale.
Il diabete non ben controllato e’ considerato inoltre fattore di rischio aggiuntivo per l’osteoporosi; cosi’ come l’apporto inadeguato di calcio e la non cessazione del fumo, poiche’ e’ dimostrato che il fumo di sigaretta puo’ interferire con la residua minima capacita’ estrogenica di prevenire la fragilita’ ossea.
Non e’ stata mai dimostrata definitivamente una relazione diretta tra menopausa e depressione negli anni postmenopausali.
Nelle diabetiche in realta’ si osserva solitamente un tratto depressivo insorgente precocemente e probabilmente e’ collegato alla consapevolezza di esser portatrici di una malattia cronica con cui si dovra’ convivere per tutto il resto della vita. Alcune ricerche avrebbero dimostrato che molte donne che hanno completato la menopausa hanno in realta’ un’attitudine molto piu’ positiva verso la vita di coloro che sono agli inizi dell’esperienza menopausale.

Daniele Zamperini. Fonte: V. Miselli, "Medico e metabolismo" anno 3 n. 2, 1999)

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Confronto tra posizione tradizionale e posizione “sportiva” dello stetoscopio quando non è utilizzato (*)

Gli autori hanno preso spunto dall’osservazione che nell’ultimo decennio o poco più i medici, soprattutto quelli giovani, quando sono in servizio non tengono più lo stetoscopio nella posizione tradizionale, ossia pendente sul davanti del camice e con i due “bracci” appesi al collo; bensì lo tengono in posizione alquanto “sportiva”, attorno al collo, a mo’ di sciarpa. Vedi figura.

 

Posizione “tradizionale” (a sinistra) e “sportiva” (a destra) dello stetoscopio quando non in uso.

Sebbene qualcuno abbia criticato le capacità auscultatorie delle generazioni più giovani, gli autori si sono chiesti se la nuova posizione non presenti qualche ancora non svelato vantaggio rispetto alla vecchia. Un controllo accurato di 623 pubblicazioni trovate su MEDLINE sotto la voce “stetoscopio” non ha scoperto alcun risultato su questo specifico argomento. A prima vista sembrerebbe che per portare lo stetoscopio in posizione operativa si dovrebbe impiegare più tempo partendo dalla posizione “sportiva” che dalla posizione “tradizionale”. Per la prima sono richieste due mani, mentre la seconda posizione può essere gestita con una mano sola (lasciando l’altra mano libera per difendersi dai o trattenere giù i pazienti recalcitranti). Gli autori hanno pertanto fatto uno studio per stabilire se il passaggio alla posizione “sportiva” modifichi l’efficienza e il rapporto costo/beneficio dell’uso dello stetoscopio.
Sono stati arruolati cento utilizzatori di stetoscopio per ognuno dei due “campi”. Non è stato possibile rendere i due campi equivalenti per età e sesso: in realtà, non è stato affatto facile arruolare cento persone per la posizione tradizionale, ma alla fine, dopo ricerche in case di riposo, case protette, corsi di golf e condominii in Florida, il numero è stato raggiunto. Sono stati inclusi medici, infermiere, terapisti della respirazione, fisioterapisti e studenti di medicina. Non è stato incluso nessun chirurgo, in quanto la maggior parte di questi era incapace di ritrovare il vecchio stetoscopio di quando studiavano medicina. L’età media dei soggetti nel gruppo “tradizionale” era di 67.4 anni (range 45-97), mentre nel gruppo “sportivo” era di 38.7 anni (24-50).
La posizione operativa dello stetoscopio è stata così definita: avere gli auricolari dello stetoscopio posti nei canali uditivi esterni e il pezzo anteriore posto sul torace dei pazienti volontari. Il tempo di trasferimento dello stetoscopio dalla posizione di riposo alla posizione operativa è stato misurato in secondi mediante un cronometro. Ogni soggetto ha eseguito la manovra 10 volte e per ognuno è stato calcolato il tempo medio.
Risultati. Il tempo medio per il trasferimento dalla posizione di riposo alla posizione funzionale dello stetoscopio per il gruppo “sportivo” è stato di 3.2 secondi (range 0.9-5.4, DS 1.1), mentre per il gruppo “tradizionale” è stato di 1.9 secondi (range 0.5-3.7, DS 0.9). La differenza tra i due gruppi è statisticamente significativa (P < 0.001).
Conclusioni. Il gruppo cosiddetto sportivo è stato molto più lento del gruppo “tradizionale”, a dispetto della più giovane età. Il tempo sprecato potrebbe tradursi in un onere finanziario sostanzioso per il sistema sanitario del Canada.

Canadian Medical Association Journal, 12 dicembre 2000

(*) Anche in Canada i colleghi si divertono a fare lavori semiseri: d’altra parte essi stessi confessano di aver ideato questa ricerca una domenica sera, dopo aver abbondantemente libato con birra e whisky. I partecipanti allo studio sono stati retribuiti con un bicchiere (90 ml) di Cardhu (un whisky scozzese di puro malto invecchiato 12 anni) oppure una pinta (568 ml) di birra (una Sleeman Honey Brown Lager). (A. Schipani)


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Ma quanto possiamo vivere?
Molto si e’ detto sul Progetto Genoma, e molte speranze si sono accentrate sul suo sviluppo. E’ stato previsto che i progressi che saranno resi possibili dal Progetto Genoma Umano e dalle nuove tecnologie possono certamente allungare ulteriormente la durata della vita umana. 
Le maggiori riserve riguardano il fatto che, prima di poter cominciare a godere dei vantaggi di questo enorme progetto, sarà necessario svilupparne ulteriori aspetti: occorrerà determinare le funzioni di tutti i geni umani, documentare la conoscenza delle variazioni genetiche individuali, stabilire le interazioni tra i geni e tra ogni gene e l’ambiente, e quanto contribuiscono questi fattori allo sviluppo e alle malattie dell’uomo. Per tutto ciò potrà volerci una buona parte del secolo che sta per iniziare. Intanto stanno già venendo fuori quantità rilevanti di informazioni di grande importanza per la salute e il benessere. In Australia l’aspettativa di vita è aumentata nel 20° secolo di oltre 20 anni, ed incrementi simili si sono avuti nella maggior parte delle nazioni in cui la medicina occidentale è stata abbastanza prontamente accessibile. Tutto ciò non é dipeso dal Progetto Genoma Umano ma ha implicato fattori di miglioramento dell’ambiente (per esempio le misure igieniche, le cinture di sicurezza) così come fattori di carattere medico quali i vaccini e gli antibiotici. Eppure sono prevedibili ulteriori progressi.
Suscettibilità genetica alle comuni malattie.
E’ stato calcolato che almeno 100 malattie siano in relazione a geni di suscettibilità nella popolazione, che possono  avere, singolarmente, solo un effetto limitato, ma cumulandosi tra loro e con fattori ambientali spesso ignoti portano alla malattia. In tale settore si é concentrata la ricerca.
Alcuni geni di suscettibilità sono abbastanza facili da trovare utilizzando tecniche genetiche standard (il BRCA1 e il BRCA2 per il cancro della mammella e dell’ovaio, e i geni riparatori del disaccoppiamento del DNA che portano al carcinoma colorettale senza poliposi). Altri, capaci soltanto di  aumentare o diminuire un rischio basale di malattia di una piccola percentuale, sono veramente difficili da identificare mediante le tecniche attuali.
Ciò potrebbe cambiare per l’adozione di nuove tecniche: la tipizzazione dello SNP (Single Nucleotide Polymorphism) e i microaggregati di DNA. Durante i prossimi decenni questi due approcci, e possibilmente nuovi altri, dovrebbero permettere di identificare la maggior parte dei geni di suscettibilità per la maggior parte delle malattie umane comuni, dopodiché sarà possibile intervenire.
Verranno sviluppati farmaci che agiranno sulle proteine prodotte da tali geni; sarà possibile individuare, prima di iniziare un trattamento, quale sia la terapia più appropriata da usare.  L’ambiente è certamente un fattore chiave in molte malattie comuni, anche se spesso gli intimi meccanismi per ogni particolare malattia spesso non siano compresi; una migliore comprensione sarà resa possibile dalla precisa identificazione dei fattori ambientali che interagiscono con i geni di suscettibilità. Potrà essere organizzata una politica di educazione sanitaria indirizzata alle persone geneticamente suscettibili, e può essere verosimilmente più seguita che non se rivolta a tutta la popolazione. Allora la combinazione di terapia farmacologica, modificazioni ambientali (ossia dello stile di vita) ed eventualmente anche terapia genetica, saranno in grado di ritardare l’inizio della malattia e fornire un trattamento efficace una volta che la malattia si manifesta.
Cancro. Il cancro, a livello cellulare, è una malattia genetica. La comprensione dei meccanismi cellulari del cancro (perseguita dallo US National Cancer Institute) migliorerà sicuramente la classificazione, la prognosi, e la terapia. Il cancro potrebbe diventare non più pericoloso per la vita del raffreddore comune.
Malattie infettive. L’ adozione di vaccini basati sul DNA presenta enormi potenzialità; l’approccio genetico all’infezione porterà a tests per l’identificazione rapida degli organismi infettanti, permettendo l’inizio precoce di una terapia specifica. Inoltre, la tecnica dei microaggregati di DNA applicata all’espressione genetica nei macrofagi umani consentirà verosimilmente di identificare organismi infettanti non identificabili in altro modo. I genomi dei patogeni umani più comuni (virus, batteri e parassiti) sono stati già sequenziali, e si stanno gia’ studiando nuovi antibiotici, antivirali e antiparassitari, capaci di debellare numerose malattie, con qualche limite verso i virus altamente mutanti.
Geni dell’invecchiamento. I geni coinvolti nei processi dell’invecchiamento negli organismi semplici sono stati identificati; tuttavia, nei mammiferi, l’unico intervento che ha dimostrato di ritardare l’invecchiamento è la restrizione calorica, e i meccanismi molecolari mediante i quali ciò avviene cominciano appena ad essere identificati. Sebbene non appaia probabile, e’ possibile che, identificati i geni dell’invecchiamento, si possa sviluppare dei farmaci antiinvecchiamento.
Una vita più lunga?
E’ documentato che rari individui vivono per circa 120 anni. E’ questa la durata massima di vita programmata geneticamente? In tal caso sarebbe possibile, escludendo gli incidenti o il suicidio, dominare molti dei patogeni che conducono a morte. Con le strategie per trattare o ritardare l’inizio delle comuni malattie (compreso il cancro), è probabile quindi che il 21° secolo vedrà un aumento dell’aspettativa di vita simile a quello osservato nel 20° secolo, portando la maggior parte di noi fino a od oltre 120 anni di età. Sfortunatamente, nessuno dei lettori di questo articolo conoscerà mai l’esito di queste speculazioni e non e’ detto che ci sia da stare allegri, in quanto potrebbero esserci solo posti in piedi su un pianeta massicciamente sovrappopolato.
A. Schipani. Fonte: Medical Journal of Australia, 4-18 dicembre 2000

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Antibiotici, lattobacilli e diarrea
Questo studio, randomizzato, controllato versus placebo, è stato fatto per valutare se la contemporanea somministrazione di Lactobacillus GG a bambini che assumono antibiotici è in grado di prevenire la diarrea.
Sono stati arruolati 202 bambini di età compresa tra 6 mesi e 10 anni con infezione acuta delle vie respiratorie superiori, delle vie urinarie, dei tessuti molli o della cute, ai quali era stato prescritto un ciclo di antibioticoterapia di 10 giorni. Criteri di esclusione sono stati le malattie croniche, le infezioni acute serie, o la presenza di diarrea all’inizio della terapia antibiotica. Hanno terminato lo studio 188 bambini (93%).
I bambini sono stati divisi in due gruppi: al primo gruppo, composto da 93 bambini, è stato somministrato Lactobacillus GG, al secondo gruppo, composto da 95 bambini, è stato somministrato placebo. I bambini con peso inferiore a 12 kg hanno ricevuto una capsula contenente 1010 colonie di Lactobacillus GG, mentre quelli di peso superiore hanno ricevuto due capsule. Sono state valutate l’incidenza di diarrea (intesa come emissione di feci liquide per  2 o più volte al giorno per 2 o più giorni), la frequenza delle evacuazioni e la consistenza delle feci.
Risultati. Nei bambini a cui sono stati somministrati i lattobacilli l’incidenza di diarrea è stata inferiore rispetto al gruppo placebo (P <0.001), la durata media della diarrea è stata più breve (4.7 versus 5.9 giorni, P = 0.05), in 10a giornata la frequenza delle evacuazioni è stata minore (media giornaliera 1.2 versus 2, P <0.02), al 7° giorno la consistenza delle feci era maggiore.
Conclusioni. La somministrazione contemporanea di Lactobacillus GG a bambini trattati con antibiotici può ridurre l’incidenza e la durata della diarrea e la frequenza delle evacuazioni, e migliorare la consistenza delle feci.

A. Schipani. Fonte: Western Journal of Medicine, dicembre 2000

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Pillole di buonumore

- 112 e' la durata di vita della donna piu' longeva d'Italia (Chelidonia Lollobrigida, 1883-1995, prozia di Gina)
- 78,3 e' la speranza di vita di un neonato in Italia
- 37,5 e' la speranza di vita di un neonato nella Sierra Leone
- 7,7 e' la percentuale del PIL destinato alla salute, in Italia
- 0,3 e' la percentuale del Pil destinato alla salute in Sudan


MINIPILLOLE

Circoncisione: ancora pareri discordi
Nel 1999 l' Accademia dei Pediatri Americani effettuo' una clamorosa marcia indietro su quella che pareva un' usanza ormai consolidata: la circoncisione, a detta dei rappresentanti di tale Associazione, arrecava effettivamente dei benefici in termine di riduzione di infezioni urinarie e di cancro del pene, ma tali benefici apparivano piuttosto marginali, e controbilanciati da aspetti negativi non indifferenti.
In definitiva, percio', si era deciso che  la circoncisione non e' indispensabile per la salute del neonato, e che le infezioni del tratto urinario o il cancro del pene siano cosi' rari da non giustificare interventi di massa.
In opposizione a queste affermazioni e' stato recentemente pubblicato su Pediatrics uno studio ospedaliero multicentrico statunitense su oltre 15.000 lattanti maschi, nati in ospedale e di cui il 63% era stato circonciso durante l' ospedalizzazione o in occasione di una visita di controllo.
Durante lo stesso anno (1996) venivano diagnosticate, negli stessi ospedali, 154 casi di infezione urinaria in bambini maschi di età inferiore ad un anno, di cui 132 (86%) non circoncisi. 
Venivano riesaminate le storie cliniche di 52 dei 154 lattanti di sesso maschile con infezione urinaria, e questi venivano sottoposti ad ulteriori approfondimenti diagnostici: si rilevava che 45 di questi (87%) non erano stati circoncisi e mentre solo 7 (13%) erano stati circoncisi. Il numero di visite pediatriche di controllo nel corso dell' anno non variava nei due gruppi.
I ricercatori individuavano, come sorgente di infezione, una frequente infezione del glande nei bambini non circoncisi rispetto all' altro gruppo.
Le conclusioni di questi Autori indicavano entusiasticamente l' indicazione alla circoncisione, ma non sono pochi gli aspetti che destano perplessita': il basso numero di pazienti "approfonditi" rispetto al numero generale, la mancanza di informazioni su provenienza di questi soggetti (regione geografica, ceto sociale), la necessita' di un gruppo di controllo che valutasse eventualmente la percentuale di infezioni urinarie sul territorio, a confronto con quelle ospedalizzate. Insomma bisognera' aspettare ulteriori studi che certamente non mancheranno.
Daniele Zamperini: Fonte: Schoen EJ, Colby CJ, Ray GT, Pediatrics, 2000 Apr;105(4 Pt 1):789-93
 

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Prognosi del cancro della mammella allo stato iniziale
E’ noto che il cancro della mammella e’ stato uno dei tumori che piu’ ha risposto alle terapie, consentendo una sopravvivenza generalmente a lungo termine nonche’ una buona prognosi per le pazienti che ne sono affette. Questo e’ dovuto in massima parte alla diagnosi precoce e alla possibilita’ di precoce intervento. Tuttavia esiste un sottogruppo di pazienti in cui il tumore rappresenta la causa finale di morte pur essendo stato diagnosticato in stadio molto precoce (T1A e T1B < 10mm). Sono state seguite 343 paziente alle quali erano stati diagnosticati carcinomi di dimensioni comprese tra 1 e 14 mm. Di tali pazienti si e’ verificato che la sopravvivenza a 20 anni e’ stata pari a circa il 55%. Il 73% di tutti i decessi osservati durante il follow-up era rappresentata da un sottogruppo di pazienti che avevano lesioni comprese tra 1 e 9mm con calcificazioni nell’ambito della massa tumorale. Questo sottogruppo rappresentava il 14% di tutta la casistica esaminata. La sopravvivenza invece delle pazienti che non presentavano lesioni calcifiche e’ stata pari al 95%.
Gli autori concludono percio’ che le lesioni T1A e T1B, qualora siano in presenza di calcificazioni intraneoplastiche, hanno una prognosi peggiore delle equivalenti forme prive di calcificazioni ed equivalgono, biologicamente a tumori di dimensioni maggiori.

Daniele Zamperini. Fonte: L. Tabar e al., Lancet 2000; 355:429-33

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Alcuni antiipertensivi possono essere dannosi nel diabete di tipo 2
Precedenti studi hanno avanzato la possibilita’ che alcuni farmaci antiipertensivi (diuretici diazitici, ace-inibitori, calcio-antagonisti, beta-bloccanti) possono avere un ruolo nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 2. E’ stato effettuato uno studio prospettico su oltre 12 mila adulti non diabetici seguiti per sei anni. Sono stati corretti i fattori associati confondenti (eta’, peso corporeo, etnia) ed e’ stata studiata l’incidenza del diabete associata alle varie terapie antiipertensive. E’ stato rilevato che ne’ i calcio-antagonisti ne’ gli ace-inibitori ne’ i diuretici tiazidici apparivano collegati a un aumento di incidenza del diabete. Al contrario l’ assunzione di beta-bloccanti era associata ad un aumento di rischio di insorgenza di ridotta tolleranza al glucosio del 28% nei sei anni successivi all’inizio della terapia. Questo dato impone una attenta verifica della scelta dell’antiipertensivo ideale in soggetti a rischio di diabete, pur tenendo conto che i beta-bloccanti, per la loro azione favorevole su certi aspetti cardiovascolari, possono ugualmente costituire farmaci di prima scelta in svariate condizioni cliniche. E’ necessaria pero’ una attenta sorveglianza dal punto di vista diabetologico di questi pazienti.

Daniele Zamperini. Fonte: T.V. Gres N.E.J.M. 2000;342:905-12

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La vaccinazione per via aerosolica è più efficace di quella tradizionale nel morbillo
A causa di importanti complicazioni che possono insorgere in pazienti affetti da morbillo, in molte Nazioni tale vaccinazione e’ ormai obbligatoria. Alcuni studi preliminari hanno evidenziato l’utilita’ della somministrazione per via aerosolica di tale vaccino che apparirebbe efficace forse addirittura piu’ di quella tradizionale per via parenterale. E’ stato effettuato uno studio randomizzato su oltre 4mila bambini in eta’ scolare vaccinati mediante somministrazione aerosolica o mediante somministrazione sottocutanea. Controllati a distanza di un anno, si e’ visto che i pazienti trattati per via aerosolica avevano una percentuale inferiore (3,6%) di risposte insufficienti rispetto all’8,6 e al 13,9 dei gruppi trattati con due varianti diverse del vaccino per via sottocutanea. La somministrazione per via aerosolica non ha segnalato effetti collaterali importanti a parte un rash cutaneo due giorni dopo la vaccinazione nel 5% dei soggetti.
Gli autori concludono che il sistema di vaccinazione per via aerosolica e’ sicura ed efficace quanto o piu’ quella convenzionale per la vaccinazione antimorbillosa su vasta scala.

Daniele Zamperini. Fonte: A.Dilraj e al. Lancet 2000; 798-803)

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L'ipotiroidismo aumenta il rischio coronarico anche se non è sintomatico
Benche’ l’ipotiroidismo conclamato sia considerato comunemente fattore di rischio cardiovascolare, non e’ noto se le forme subcliniche rivestano importanza clinica in questo tipo di patologie. E’ stata percio’ studiata la funzione tiroidea in un campione di oltre 1100 donne di eta’ media di 69 anni. E’ stata studiata l’attivita’ tiroidea con il grado di avanzamento della malattia aterosclerotica e eventuali altre patologie ischemiche cardiache. E’ stato osservato come in quasi l’11% dei soggetti esaminati esistesse una forma di ipotiroidismo subclinico. Questa patologia e’ risultata associata ad una maggiore incidenza di lesioni aterosclerotiche e di cardiopatia ischemica. Anche la presenza di anticorpi antitiroidei costituiva fattore di aggravamento del rischio pur non essendo un fattore dipendente. Si concludeva percio’ che l’ipoparatiroidismo, anche nella forma subclinica, aumenta la probabilita’ di eventi avversi cardioascolari.

Daniele Zamperini. Fonte: A.E. Hak, An. Intern. Med. 2000; 132:270-8

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Il caffè riduce il rischio di calcolosi biliare
E’ ben noto come il caffe’ possa svolgere diversi effetti metabolici, parte dei quali secondari ad elementi non ancora identificati presenti nella sua composizione. E’ stata ipotizzata in passato la possibile riduzione di rischio di formazione di calcoli colecistici nei consumatori di caffe’. E’ stato percio’ eseguito uno studio prospettico su oltre 46mila uomini di eta’ compresa tra i 40 e i 75 anni, della durata di dieci anni per verificare l’esistenza di tale associazione. Durante il periodo di follow-up oltre 1000 soggetti sono stati riconosciuti portatori di calcolosi colecistica sintomatica. Di questi 880 hanno necessitato di colecistectomia. Gli autori hanno considerato tutti i fattori di rischi noti. Da tale analisi e’ risultato che, per tutti i pazienti che bevevano dalle due alle tre tazze di caffe’ al giorno, il rischio relativo di formazione di calcoli era pari allo 0,6%. L’assunzione di quantitativi maggiori di caffe’ non modificavano tale parametro. Gli autori non hanno riscontrato differenze tra i vari tipi di caffe’ bevuti dai soggetti per quanto riguardava le qualita’ e i tipi di tostatura; il caffe’ decaffeinato invece non ha mostrato alcuna azione biologica a questo livello, per cui sembra molto probabile che il fattore attivo contro la colelitiasi sia proprio la caffeina.

Daniele Zamperini. Fonte: N.F. Leitzman, JAMA 1999;281:2106-12

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Contraccezione post-coitale
E’ entrato in commercio, col nome Norlevo, il contraccettivo post-coitale di recente introduzione a base di levonorgestrel.
Indicazioni: contraccettivo d’ emergenza da usare entro 72 ore da un rapporto sessuale non protetto.
Il trattamento e’ tanto piu’ efficace quanto prima viene iniziato.
Posologia: due compresse. La prima compressa va assunta quanto prima, possibilmente entro 12 ore; la seconda 12 ore dopo (o al massimo 24 ore dopo). Puo’ essere assunto in qualunque momento del ciclo mestruale, e non controindica la prosecuzione di una contraccezione ormonale “normale”.
Controindicazioni: Ipersensibilita’ al principio attivo.
Non va somministrato in soggetti a rischio di gravidanza extrauterina in quanto non si puo’ escludere che tale eventualita’ possa verificarsi.
E’ sconsigliato nelle gravi epatopatie. Nelle sindromi da malassorbimento l’ effetto potrebbe essere compromesso. In caso di vomito entro 3 ore dall’ assunzione, questa va ripetuta. La mestruazione successiva si presenta, di solito, nella data prevista, con possibilita’ di anticipo o ritardo di qualche giorno.
Il farmaco non interrompe una gravidanza in atto. Viene secreto nel latte.
L’ efficacia del farmaco puo’ diminuire per interferenza con farmaci induttori degli enzimi epatici.
Effetti collaterali principali: nausea, dolori addominali bassi, astenia, cefalea, capogiro, dolorabilita’ mammaria.

Sui problemi etici della contraccezione post-coitale, pubblicheremo a breve autorevoli pareri.
Daniele Zamperini

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Performance cognitiva in soggetti anziani ipertesi e normotesi
Studi longitudinali suggeriscono che la presenza di ipertensione nell’età media è associata a riduzione delle capacità cognitive nell’età avanzata. Gli autori hanno esaminato la performance cognitiva in soggetti ipertesi e normotesi senza demenza o ictus di età >\=70 anni. Sono stati esaminati 107 ipertesi non in trattamento (55 donne e 52 uomini, età 76±4 anni, pressione arteriosa 164±9/89±7, range 138-179/68-99 mmHg) e 116 normotesi (51 donne e 65 uomini, età 76±4 anni, pressione arteriosa 131±10/74±7, range 108-149/60-89 mmHg). I soggetti anziani ipertesi ipertesi hanno dato risultati significativamente più bassi in tutti i tests: tempi di reazione, memoria, riconoscimento immediato di parole, riconoscimento ritardato di parole, riconoscimento di immagini, memoria spaziale.
Conclusioni. L’ipertensione in soggetti anziani si associa a ridotta performance cognitiva in molti campi in assenza di danno d’organo clinicamente evidente.
A. Schipani. Fonte: Hypertension, dicembre 2000

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Pillole di buonumore

- 291.607 sono i matrimoni celebrati in Italia nel 1994
- 276.570 sono i matrimoni celebrati in Italia nel 1999
- 78,6% sono i matrimoni religiosi in Italia
- 21,4% sono i matrimoni civili in Italia
- 21,6 anni e' l'eta' media di matrimonio per le donne in Bielorussia (record mondiale)
- 24,9 anni e' l'eta' media di matrimonio per le donne in Portogallo (record europeo)
- 27,1 anni e' l'eta' media di matrimonio per le donne in Italia


NEWS
(Scovate e rialaborate da A. Schipani)

Traguardo nella terapia delle malattie metaboliche
La novità anche nel fatto che con un organo non trapiantabile si potrebbe intervenire su più pazienti

Le Scienze - 23.11.2000.
Per trattare malattie metaboliche a carico del fegato, fino a ieri esisteva un’unica terapia: il trapianto d’organo. Oggi, per la prima volta al mondo, grazie al trapianto di cellule epatiche in una giovane donna, a Padova si è inaugurata una nuova tecnica d’intervento per la glicogenosi di tipo IA. «All’origine di una questa malattia metabolica ereditaria - spiega Alberto Burlina della Clinica Pediatriaca - c’è la mancanza di un enzima, la glucosio 6 fosfatasi, che trasforma il glicogeno in glucosio. Non potendo liberare il glucosio immagazzinato, le persone affette da questa malattia possono facilmente andare incontro a ipoglicemia e coma». Per avere una glicemia normale, quindi, devono assolutamente introdurre glucosio ogni due ore. Anche di notte, chiaramente. Per correggere questa anomalia si è pensato di fornire alla paziente, al posto dell’organo, due miliardi di epatociti sani prelevati da un fegato sano non trapiantabile perché danneggiato in seguito a un trauma. La tecnica, è stata messa a punto dall’equipe di Maurizio Muraca, che in seguito a sperimentazione su maiali ha individuato nella vena porta l’ingresso preferenziale per infondere direttamente nel fegato le cellule sane. Bastano infatti dall’1 al 2 per cento di epatociti sani, per correggere questo difetto metabolico. La novità quindi sta anche nel fatto che con un organo, che il chirurgo non può utilizzare per il trapianto, si potrebbe intervenire su più pazienti, purché vi sia compatibilità. Anche in questo caso infatti, esiste il rischio di rigetto. «Ci rendiamo conto - afferma l’equipe medico-chirurgica - di aver abbattuto una barriera e di aver aperto potenzialmente una nuova strada alla terapia delle malattie congenite nel nostro paese». Il primo paziente a beneficiare di questo tipo di terapia nel 1994, negli Stati Uniti, era affetto da ipercolesterolemia familiare. Anche questo traguardo è stato raggiunto grazie alla stretta collaborazione di esperti delle varie discipline: dall’epatologo, al chirurgo, dal rianimatore, al pediatra che da anni segue la paziente. Il futuro è la scommessa di intervenire ad ampio raggio con questa tecnica per curare le molte patologie metaboliche ereditarie a carico del fegato: siamo solo all’inizio, ci vorranno alcuni mesi per valutare il grado di attività degli epatociti trapiantati. Al momento c’è già un dato incoraggiante: da ieri, per la prima notte nella sua vita, la paziente non si è dovuta svegliare per mangiare maltodestrine, cioè glucosio.
Maddalena Guiotto

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I benefici della terapia «a singhiozzo» contro l'HIV
Prima delle applicazioni sull'uomo, però, sono necessari ulteriori studi
Le Scienze - 28.11.2000.
I farmaci antivirali per il trattamento dell'AIDS sono più efficaci se la cura viene sospesa periodicamente. Durante le pause, il sistema immunitario del paziente ha la possibilità di confrontarsi con l'HIV e rafforza la sua capacità di difesa. Lo ha dimostrato uno studio internazionale a cui hanno preso parte ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia.
La Highly Active Anti Retroviral Therapy è la terapia più potente impiegata oggi contro l'AIDS. Da quando è stata introdotta, il numero di decessi dovuti alla malattia è diminuito del 70 per cento. Si tratta, però, di un trattamento molto aggressivo, che a lungo andare sopprime le naturali difese immunitarie dell'organismo.
I ricercatori del Research Institute for Genetic and Human Therapy di Washington e del Policlinico San Matteo di Pavia hanno sottoposto alla terapia un gruppo di scimmie contagiate con il virus HIV. Sei animali hanno ricevuto i farmaci con continuità, altri sei hanno alternato tre settimane di trattamento e tre settimane di pausa. Dopo ventuno settimane, la terapia è stata interrotta definitivamente per entrambi i gruppi. Il virus è tornato a proliferare nell'organismo delle scimmie che erano state sottoposte al trattamento continuo. Gli animali che avevano ricevuto i farmaci «a singhiozzo», invece, sono riusciti a tenere sotto controllo l'HIV con le loro naturali difese immunitarie per altre sei settimane.
«Il risultato del nostro esperimento apre la strada a un approccio innovativo contro l'HIV», spiega Franco Lori, del Research Institute for Genetic and Human Therapy, «che permetterà ai pazienti di assumere meno farmaci e migliorare la loro qualità di vita. Prima di applicare all'uomo questo approccio, però, sono necessari ulteriori studi. Perciò raccomandiamo ai pazienti che stanno seguendo una terapia farmacologica di non interrompere il trattamento contro il parere del loro medico.»
Cristina Valsecchi

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Sanità: Padova, scoperto gene morte improvvisa dei giovani
Padova, 5 dicembre - (Adnkronos) - E' stato scoperto a Padova il gene responsabile della 'morte improvvisa dei giovani' o, piu' scientificamente, della patologia del gruppo ARVD (Cardiomiopatie aritmogene del ventricolo destro). La scoperta, annunciata questa mattina nella sede dell'Azienda ospedaliera di Padova, e' la sintesi di dieci anni di ricerca che ha visto impegnati i gruppi del prof. Andrea Nava (cardiologo), del prof. Gaetano Thiene (patologo cardiovascolare) e del prof. Gian Antonio Danieli (genetica molecolare). In Italia l'arresto cardiaco improvviso colpisce decine di migliaia di persone, in prevalenza tra i 15 e i 30 anni. Solo in Veneto le diagnosi accertate sono oltre tremila.
Tre giovani ricercatrici padovane (Natascia Tiso, Alessia Bagattin, Alessandra Rampazzo) hanno dimostrato che a causarla e' l'alterazione del gene 'Ryr2' (codifica il recettore rianodinico miocardico). Lo studio e' stato effettuato sul Dna di persone sia sane sia malate, appartenenti a quattro diverse famiglie. ''L'importanza di questa scoperta -ha sottolineato Thiene- e' nella possibilita' che viene offerta di effettuare una diagnosi gia' alla nascita. Fino a poco tempo fa non eravamo in grado neanche di diagnosticarla se non nelle estreme conseguenze. Non conoscevamo i sintomi, ne' gli strumenti di indagine per la diagnosi. Oggi sappiamo che va cercata nel patrimonio genetico e conosciamo uno dei geni responsabili, probabilmente non l'unico. Ma e' un enorme passo avanti sul quale stanno gia' lavorando anche altri gruppi di ricerca sia in Italia sia in Finlandia''. La ricerca e' stata finanziata da Telethon, ministero della Ricerca scientifica e tecnologica e Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

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Terapia genica per il diabete: il futuro si avvicina
Dalla sperimentazione sui roditori una speranza per una terapia efficace

Le Scienze - 05.12.2000.
Il diabete di tipo I (detto anche «insulino-dipendente») è una malattia tanto studiata quanto ancora misteriosa. Decenni di ricerche non hanno infatti ancora fruttato una terapia risolutiva per questa malattia, dove in sostanza l’opzione obbligatoria rimane il controllo della glicemia attraverso la somministrazione di insulina esogena.
Nuove speranze sono arrivate negli ultimi anni dalla terapia genica, ma nessuna applicazione definitiva è stata finora sviluppata, anche perché, sebbene efficace su alcuni modelli animali, la terapia genica pone concreti problemi di sicurezza e ha in generale un’efficacia variabile e a breve termine. Questa settimana, per la prima volta, un gruppo di ricercatori della Yonsei University di Seul e dell' Università di Calgary riportano su «Nature» un esperimento positivamente concluso sui roditori, nel quale la terapia genica del diabete ha condotto a una remissione permanente della malattia. Il diabete di tipo I consiste nella perdita - da parte del pancreas - della capacità di secernere insulina a causa della progressiva distruzione delle cellule beta responsabili della produzione dell’ormone. Gli ammalati perdono così la possibilità di controllare il livello di glucosio nel sangue, un difetto che, se non trattato, può risultare letale. La distruzione delle cellule beta sembra dovuta a una reazione autoimmunitaria. L'équipe di ricerca, diretta da Ji-Won Yoon, ha utilizzato come modello sperimentale ratti con diabete indotto attraverso una sostanza chimica e topi affetti invece da diabete autoimmunitario. Agli animali è stato «somministrato» un costrutto di DNA recante l’informazione per una sostanza analoga all’insulina particolare, modificata in modo da poter essere attiva senza bisogno del processamento post-secrezione che invece avviene naturalmente per quella fisiologica. Il DNA è stato introdotto nelle cellule utilizzando un vettore costituito da un virus particolarmente diffuso in terapia genica. L’«adenovirus» è stato modificato inserendo nella sequenza l’informazione genetica per la molecola insulino-analoga. Tutti gli animali trattati, sia quelli con diabete chimico che autoimmunitario hanno mostrato una normalizzazione del livello di glucosio nel sangue e il recupero della capacità di controllo della glicemia che è rimasto stabile durante i cinque mesi di test. Si tratta di un significativo passo avanti nella direzione giusta, benché la terapia genica presenti ancora numerosi interrogativi da risolvere e il trasferimento dal laboratorio alla clinica appaia, come al solito, ancora in salita.
Barbara Bernardini

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Terapia genica per il Parkinson
Esperimenti condotti sul cervello di scimmie Rhesus aprono interessanti prospettive per la cura di questa grave malattia neurologica

Le Scienze - 06.12.2000.
È stata sperimentata con successo sui primati una terapia genica per eliminare la sintomatologia e inibire la progressione del Morbo di Parkinson. Un nuovo approccio dagli effetti prolungati nel tempo e privo di tossicità, sperimentato dai ricercatori del Rush – Presbyterian – St. Luke’s Medical Center di Chicago e di Losanna in Svizzera.
Il Morbo di Parkinson è una patologia invalidante a lenta progressione che colpisce una particolare regione del cervello denominata «substantia nigra». In questa sede le cellule nervose subiscono una graduale degenerazione perdendo la loro capacità di produrre dopamina, il neurotrasmettitore responsabile del passaggio degli impulsi nervosi che consentono di compiere movimenti normali. La carenza di dopamina induce nel paziente parkinsoniano la comparsa di tremori incontrollabili, lentezza nei movimenti, rigidità delle articolazioni, difficoltà di deambulazione o di equilibrio.
Studi condotti su scimmie Rhesus che presentavano segni precoci di Parkinson hanno permesso di valutare l’efficacia della nuova terapia genica nell’indurre la remissione del deficit strutturale e funzionale. La terapia si basa sull’iniezione intracerebrale di un lentivirus appositamente modificato e adattato al trasporto di un gene che codifica per un fattore protettivo. Tale fattore, denominato GDNF (fattore neurotrofico di derivazione gliale), è in grado di rinforzare le cellule produttrici di dopamina e incrementare la produzione del neurotrasmettitore.
La ricerca ha coinvolto tre gruppi di primati sottoposti a cicli di iniezioni intracerebrali di «lenti-GDNF». Un gruppo di 8 scimmie di 25 anni nelle quali la patologia, pur non avendo ancora compromesso l’integrità cellulare aveva bloccato o almeno ridotto la produzione di dopamina, dopo un trattamento di tre mesi con iniezioni intracerebrali di lenti-GDNF, ha sviluppato una ripresa molto consistente della produzione del neurotrasmettitore, fino a livelli simili a quelli riscontrabili nel cervello di soggetti giovani. In un secondo gruppo di primati, di giovane età, sottoposto all’induzione chimica di una condizione simil-parkinsoniana e successivamente trattato con la terapia genica, è stata rilevata la remissione della sintomatologia. Il trattamento ha, inoltre, esercitato appieno la sua funzione protettiva sul sistema di produzione della dopamina, consentendo un incremento dei livelli del neurotrasmettitore. Infine, in un gruppo di scimmie sane trattate con il lentivirus per il GDNF sono stati rilevati livelli elevati del fattore protettivo anche a otto mesi di distanza, a testimonianza della capacità della terapia di mantenere i suoi effetti a lungo termine.
I ricercatori auspicano che entro cinque anni possano iniziare le prove di applicazione clinica sull’uomo.
Paola Fossati

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Cervello: bere alcool può rafforzare i poteri della mente
Londra, 11 dic. (Mak/Adnkronos/Dpa) - Bere alcoolici, in quantita' moderate, puo' rendere piu' intelligenti. E' quanto rivela una recente ricerca pubblicata su "New Scientist". Alcuni scienziati giapponesi hanno scoperto che l'acool aumenta il quoziente intellettivo di una persona ma solo se non ne viene assorbito molto. La ricerca e' stata compiuta dal National Institute for Longevity Sciences nella prefettura di Aichi su un campione di 2000 persone di eta' compresa tra i 40 e i 79 anni.

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Una cura per la malaria?
Incoraggianti i risultati su colture di globuli rossi

Le Scienze - 13.12.2000.
Nel mondo, la malaria affligge 500 milioni di persone e uccide due milioni di bambini ogni anno.
Una cura potrebbe venire dalle terapie a base di farmaci inibitori della proteasi, secondo quanto sostenuto dai ricercatori dello Howard Hughes Medical Institute e della University School of Medicine di Washington sulla rivista «Proceedings of the National Academy of Sciences».
Gli esperimenti dei ricercatori statunitensi hanno infatti portato a una maggiore conoscenza di alcuni importanti ma finora poco compresi meccanismi di infezione basati proprio sulla proteasi.
«Si sa ancora molto poco sul processo tramite il quale i parassiti della malaria in forma di merozoiti escono dai globuli rossi, che sono i siti iniziali dell’infezione» ha spiegato Daniel Goldberg. «Sapevamo che essi, quando infettano un globulo rosso, occupano una porzione della membrana cellulare, formando un sacco protettivo chiamato membrana vacuolare parassitofora (Pvm). Tuttavia non era noto quale ruolo abbia la Pvm una volta che il parassita della malaria si è riprodotto per formare i merozoiti infettivi che escono dalla cellula.»
Negli esperimenti sono state utilizzate colture di globuli rossi infettati da parassiti della malaria e trattate con E64, un farmaco che blocca l’attività di alcune proteasi. Lo studio delle colture ha poi rivelato che, in seguito al trattamento con E64, cluster di merozoiti sono incapsulati in membrane trasparenti: i merozoiti possono ancora uscire dai globuli rossi ma non dalle membrane. Ciò indica che il processo avviene in due fasi e che una di esse necessita di una proteasi.
«In questo modo – ha concluso Goldberg – abbiamo concluso che questo trattamento basato su inibitori della proteasi sembra bloccare i parassiti in un particolare stadio del processo. Questo risultato offre un’eccellente opportunità per sviluppare inibitori specifici che blocchino il processo di uscita e moltiplicazione dei merozoiti.»

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Cuore: ha una memoria, svelati i suoi segreti
Roma, 18 dicembre - (Adnkronos) - Svelati i segreti della memoria del cuore. Come il cervello, infatti, anche il muscolo cardiaco ricorda alcuni eventi. A scoprire il meccanismo di azione della memoria cardiaca e' stato il professor Michael Rosen, della Columbia University di New York. La scoperta, che verra' pubblicata sulla prestigiosa rivista Usa ''Circulation Research'', e' stata annunciata durante il 61.mo Congresso della Societa' italiana di Cardiologia (Sic), in corso fino a mercoledi' a Roma.
''Cosi' come il cervello e' in grado di imparare una serie di nozioni, anche il cuore ha una memoria. E' una novita' assoluta, di grande rilievo scientifico'', commenta il professor Peter Schwartz, presidente della Sic.

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Ingegneria genetica sui moscerini della frutta
Modificati i meccanismi di metabolismo del cibo da parte dell’organismo

Le Scienze - 18.12.2000.
Mutando un solo gene è possibile raddoppiare la durata della vita di un moscerino della frutta, da 37 giorni a una media compresa tra 69 e 71 giorni, mantenendo al contempo alti livelli di funzionalità e di fertilità. Lo ha annunciato sull’ultimo numero di «Science» Stephen Helfand, che ha diretto una ricerca finanziata dal National Institute on Aging (NIA), un ente statunitense affiliato ai National Institutes of Health.
Il complesso genico modificato è stato chiamato scherzosamente Indy, in riferimento a una famosa frase pronunciata in un film dei Monty Python: «non sono ancora morto». Si tratta della terza mutazione del genoma del moscerino della frutta che ha come risultato un allungamento della vita media. Secondo i ricercatori il gene Indy è implicato nei meccanismi fisiologici che regolano l’immagazzinamento e il consumo di energia. La mutazione interviene – secondo le ipotesi – sul metabolismo del cibo da parte dell’organismo.
Il legame tra l’alterazione del metabolismo e la durata di vita è divenuto l’oggetto degli studi di Helfand quando altri laboratori hanno mostrato che gli animali che ricevono cibo in abbondanza ma con un contento calorico ridotto vivono più a lungo.
I moscerini Indy differiscono da altri moscerini che vivono a lungo per l’azione diretta, invece che indiretta, del gene alterato sul metabolismo e sull’utilizzo dell’energia.
«Ciò che è interessante in questa linea di ricerca – ha commentato David Finkelstein, direttore della ricerca sulla regolazione metabolica presso il National Institute on Aging – è la ricorrenza del legame tra metabolismo, restrizione delle calorie e longevità. Lo studio di questo legame punta alla possibilità alterare il metabolismo con un’alterazione genetica. Sebbene ci sia una somiglianza tra il genoma del moscerino della frutta e quello umano, rimangono ancora molti passi da compiere per comprendere come la restrizione dell’apporto calorico possa riflettersi nell’incremento dell’aspettativa di vita nell’uomo».

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APPROFONDIMENTI

Celiachia: saper prescrivere una corretta alimentazione

La malattia celiaca, in diversi gradi di gravita', e' assai comune in Italia. E' stato calcolato (www.celiac.org ) che ne sia affetto 1 soggetto ogni 250. Più del 50% dei pazienti non presentano la tipica patologia o sintomatologia gastroenterica ma sintomatologia riferita ad altri organi: l’anemia è il sintomo extraintestinale di più frequente riscontro, ma non sono infrequenti l’osteoporosi giovanile, l' atassia idiopatica (secondaria a danno cerebellare), l' epilessia (presente nel 5% dei pazienti, accompagnata da lesioni calcifiche cerebrali), la sintomatologia psichiatrica (depressione, disturbi del comportamento, ansieta'), disturbi cutanei (alopecia areata, iperpigmentazione, lichen, psoriasi) patologia riproduttiva: (amenorrea, sterilita', aborti ricorrenti, oligo-azoospermia). Associate sono pure : le patologie tiroidee autoimmuni, il diabete mellito di tipo I, la cirrosi biliare primitiva e la dermatite erpetiforme, le alterazioni criptogenetiche delle transaminasi. La malattia celiaca può essere considerata un’anomala risposta immunologica all’ingestione di glutine in soggetti geneticamente suscettibili.
Il rispetto della dieta priva di glutine resta il trattamento fondamentale.
Abbiamo percio' raccolto le informazioni utili da fornire al paziente in campo alimentare, tenendo presente che i procedimenti industriali di conservazione o di preparazione degli alimenti possono contaminare prodotti che originariamente ne erano privi, offrendo cosi' la spiegazione di certe incomprensibili resistenze alla terapia.
Note: si discute, senza conclusioni definitive, sulla tossicita' dell' avena. L' avena contiene "avenina", sostanza diversa ,ma apparentata con la gliadina, per cui e' stata finora inclusa tra le sostanze vietate, Alcuni recenti studi "in vivo" avrebbero invece evidenziato come la somministrazione di avena non impedisca la guarigione di celiaci trattati con dieta priva di gliadina. L' avena tuttavia sembra essere in grado di attivare la risposta immune (stimolazione delle cellule T) nell'intestino dei celiaci e questa osservazione sembra sufficiente per richiedere altri studi prima di liberalizzare il suo consumo da parte dei celiaci.

Gli alimenti, appartenenti alle varie classi merceologiche, vengono suddivisi in 3 elenchi:

Permessi (senza glutine)
A rischio
Vietati
(con glutine)

Fra gli alimenti "a rischio" sono stati indicati alcuni prodotti che in realtà possono essere privi di glutine e quindi idonei ai celiaci, ma sono prodotti di cui non si conosce l’origine botanica oppure "a rischio di contaminazione nelle varie fasi di produzione". Qualora gli alimenti portino la scritta " Privo di glutine" (autorizzata dal Ministero) possono essere considerati assolutamente sicuri. Il simbolo della "spiga sbarrata" non rappresenta una garanzia da parte delle autorita' in quanto tale simbolo e' privato, e rappresenta l' associazione celiachia.

Alimenti permessi
riso, crema di riso Prima Infanzia
mais (granoturco), chicchi di mais (granoturco), pop-corn preparati in casa
crema di mais e tapioca; crema di riso, mais e tapioca Prima Infanzia
grano saraceno, manioca, miglio, sesamo, soia
pane, pasta, paste ripiene, gnocchi, grissini, focacce, pizze, biscotti, dolci, torte preparati con gli ingredienti permessi
biscotti, dolci, torte, merendine, wafer, snack dietetici e altri prodotti dietetici totalmente privi di glutine (senza amido di frumento)
miele; zucchero bianco, semolato, di canna, integrale. Radice di liquirizia, liquirizia pura.
latte :fresco e a lunga conservazione; formaggi freschi e stagionati; yogurt naturale intero e magro; panna fresca
tutti i tipi di carne, pollame, pesce, crostacei, molluschi
prosciutto crudo
uova
brodo di verdura e di carne
ogni qualità di verdura
tutti i tipi di legumi freschi e secchi: carrube, ceci, cicerchia, fagioli, fave, gombo, lenticchie, lupini, piselli, soia
funghi freschi e secchi
zuppe, passati e minestre preparate con gli ingredienti permessi
frutta fresca
frutta secca (es. mandorle, noci, nocciole, noci brasiliane, pinoli, anacardi, pistacchi), castagne e arachidi; frutta secca tostata senza olio vegetale, olive
burro, lardo, strutto, maionese e besciamella preparate con gli ingredienti permessi
olio di: oliva extra-vergine, oliva, arachidi, girasole, mais, palma, riso, semi di cartamo, soia, vinaccioli
bevande gassate
camomilla, tè, tè deteinato, tisane: in bustina - filtro
caffè in grani e macinato, caffè decaffeinato in grani e macinato
vino bianco, rosso, rosato; vin santo, spumante, champagne,
distillati: acquavite (o grappa di vino e di vinaccia), armagnac, calvados, cognac (o brandy), porto, rum, slivovitz, tequila, vermuth, marsala normale o all’uovo
aceto di vino e prodotti (permessi) conservati sott'aceto di vino, sott'olio di: oliva, extra-vergine, oliva, arachidi, mais, soia, girasole, vinaccioli
sale, pepe, erbe aromatiche e spezie
semi di: comino, girasole, lino, papavero, sesamo, zucca
sughi, pesto, salse preparati con gli ingredienti permessi

Alimenti a rischio (prodotti che in realtà possono essere privi di glutine e quindi idonei ai celiaci, ma di cui non si conosce l’origine botanica oppure "a rischio di contaminazione nelle varie fasi di produzione". Possono percio' differire tra le varie marche di prodotti. Possono essere assunti qualora gia' provati senza conseguenze.

amido, amido nativo, amido modificato, amido pregelatinizzato, amido destrinizzato
malto, maltodestrine, estratto di malto, maltosio; destrosio
farina di riso , amido di riso, semolino di riso, crema di riso
farina di mais, farina per polenta precotta ed istantanea, polenta pronta, maizena (amido di mais)
farina di carrube, di castagne, di ceci, di cocco, di grano saraceno, di mandorle, di miglio, di sesamo, di soia,
fecola di patate; tapioca
cialde di: mais, patate
fibre vegetali, fibre dietetiche
fiocchi di mais, riso, soia, tapioca senza aggiunta di malto
gallette di riso
pop-corn confezionati
risotti pronti (in busta, surgelati, aromatizzati)
budini e dessert di soia
cacao, bevande al cioccolato, cioccolato , cioccolatini , praline di cioccolato, pasta di cacao, creme da spalmare
caramelle, caramelle alla liquerizia, lecca lecca , confetti , gelatine e canditi, chewing-gum, gelatina di frutta, gelatina per dolci, marmellate e confetture, creme di marroni, marron glaces, torrone, croccante, mandorlato (stecche con frutta secca)
creme, budini, dessert, mousse, panna cotta, preparati per cioccolata in tazza e cappuccino
gelati, sorbetti, ghiaccioli e granite confezionati o di gelateria; semilavorati per gelaterie
marzapane, praline, confetti, codette per decorare le torte
melassa, sciroppo di acero, sciroppi, succhi e nettari di frutta
vanillina, zucchero a velo, a velo vanigliato, in granella
yogurt alla frutta e aromatizzato, yogurt di soia, crema di yogurt
latte aromatizzato, latte condensato, latte con fibre
panna a lunga conservazione (da cucina , da montare , spray), crema vegetale sostitutiva della panna
formaggi: fusi , spalmabili, formaggini , a fette, light, formaggi alla frutta, formaggi a crosta fiorita (tipo brie, Camoscio d’oro), formaggi di soia (Tofu)
salumi ed insaccati crudi, cotti, freschi e stagionati: prosciutto cotto, coppa , pancetta , speck , bresaola, mortadella (o bologna) , würstel , salame, cotechino , zampone , salsiccia
arrosti pronti
carne in scatola, trippa in scatola, preparati per zuppe, passati, minestroni e minestre di legumi (surgelati – pronti per l’uso – da cuocere - liofilizzati), purè di patate istantanei;
ragù di carne confezionati
alcuni tipi di verdure surgelate (es. patate prefritte; purea di patate; contorni misti), patatine (snack)
frutta candita, sciroppata, frutta secca tostata con olio vegetale
burro leggero (light) , burro di arachidi (peanuts butter), margarina, margarina light, margarina per torte
olio di semi vari, olio vegetale, grasso vegetale, maionese, salse, salsa di soia, mostarda, miscele di aromi per arrosti e pietanze, sughi e pesto pronti del commercio, condimenti a composizione non definita
bevande analcoliche al tè, al caffè, bevande gassate light, bevande di riso, di soia, bevande per sportivi, latte di mandorle, miscele già pronte per frappé
caffè solubile, preparati solubili per tè, camomilla, tisane
amari e liquori (a base di alcool + altri ingredienti) non contemplati nella lista dei permessi
dadi, estratti di carne, estratti vegetali, preparati per brodo
aceto di frutta e di cereali
addensanti, gelificanti, agenti di distacco, colla di pesce, gelatina in fogli (per dolce e per salato), gelatina (per dolce e per salato)
aromi, dolcificanti, estratto di lievito, lievito naturale e chimico
lecitina di soia
pappa reale
pasta d’acciughe
patè
prodotti sott’aceto di frutta o cereali, prodotti sott'olio di semi vari
zafferano

Alimenti vietati
frumento (grano),segale, avena, orzo, farro, spelta, kamut, triticale, sorgo
DERIVATI: glutine (gliadina e prolamine), farine, pane, pancarre', amido, semolini, creme e fiocchi di: frumento (grano), segale, avena, orzo, farro, spelta, kamut, triticale, sorgo
tutti gli alimenti preparati con le farine sopra citate
crema multicereali
pasta, paste ripiene, gnocchi di patate, gnocchi alla romana; pizzoccheri
pane, pancarré, pan grattato; pane di: segale, avena, ai cereali, soia, mais, farro; pane Azimo, pane integrale, piadine; taralli; crostini di pane, salatini
focaccia, pizza, panzerotti, grissini, crackers, fette biscottate, cracotte, crepes
germe di grano, muesli, porridge
couscous, tabulè, bulgur (boulgour - burghul), seitan, frik, cracked grano, greunkern, gries
crusca dei cereali vietati; fibre vegetali e fibre dietetiche dei cereali vietati
malto, estratto di malto, maltodestrine dei cereali vietati
fiocchi di: mais, riso, soia, tapioca con aggiunta di malto derivato dai cereali vietati.
polenta taragna (se la farina di grano saraceno viene miscelata con farina di grano)
particole (ostie)
farine, pane, fette biscottate e tostate dietetiche con tracce di glutine (con amido di frumento)
biscotti, dolci, torte, pasticcini, merendine, snack, wafer, barrette al Muesli
cono e cialde per gelato
biscotti e dolci dietetici con tracce di glutine (con amido di frumento)
latte al malto dei cereali vietati
e ai cereali in genere
yogurt al malto "DEI CEREALI VIETATI" ed ai cereali
formaggi erborinati (tipo: gorgonzola, roquefort, Danish Blue)
carne e pesce impanati (es. cotoletta alla milanese) o infarinati (es. scaloppine)o con salse addensate con farine vietate
hamburger di carne e pesce freschi e/o surgelati con aggiunta di farina e/o pangrattato
carne e pesce freschi e/o surgelati con aggiunta di farina e/o pangrattato
verdure impanate e infarinate con ingredienti vietati
preparati per zuppe, passati, minestroni e minestre di legumi con farro, orzo ed altri cereali vietati (surgelati – pronti per l’uso – da cuocere - liofilizzati)
frutta secca infarinata
olio di germe di grano
bevande contenenti malto, orzo, avena, grano, segale
bevande di soia al malto DEI CEREALI VIETATI
bevande di soia ai cereali
birra, whisky, wodka
caffè d’orzo
surrogati del caffè contenenti orzo, segale, avena, grano; miscele di cereali tostati
preparati per zuppe, passati, minestroni e minestre di legumi con farro, orzo ed altri cereali vietati (surgelati – pronti per l’uso – da cuocere - liofilizzati)
besciamella
Couscus
Farro

Alcune Faq dal sito www.celiachia.it:
"Posso mangiare i cornflakes?.
I corn flakes possono contenere malto ed è pertanto necessario conoscere l' origine botanica.
"Quali formaggi posso utilizzare?".
Tutti i formaggi sono permessi ai celiaci: sia quelli freschi che quelli stagionati. Deve fare attenzione ai formaggini ed ai formaggi a fette.
"Posso utilizzare prodotti alimentari che contengono aspartame?".
L'aspartame è un dolcificante sintetico ed è permesso ai celiaci se "puro".
Vorrei sapere se la maltodestrina contiene del glutine  ".
Dipende dall'origine botanica: se la maltodestrina deriva da mais, patate, riso o altri cereali senza glutine ovviamente è permessa; viceversa se deriva da frumento o altro cereale vietato ai celiaci non sarà consentita.

 Daniele Zamperini. Fonti: www.celiac.org ; www.celiachia.it

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Epatite cronica C: domande e risposte in medicina generale

Negli Stati Uniti il virus dell’epatite C (HCV) rappresenta la causa più comune di malattie croniche del fegato, interessando l’1.3% della popolazione (circa 2.7 milioni di persone, molte delle quali andranno avanti fino all’ultimo stadio di epatopatia). Negli ultimi tempi ci sono stati dei rapidi progressi nella diagnosi e nella terapia di questa patologia spesso asintomatica, che il medico di medicina generale deve conoscere, dal momento che a lui compete la diagnosi e il counseling per la maggior parte dei pazienti affetti da epatite cronica C.
E’ stato chiesto ad un gruppo di medici di primary care quali sono le domande che vengono loro rivolte su questo argomento e sono state scelte le 17 domande più frequenti. Le risposte a queste domande sono state formulate facendo ricerche di letteratura su MEDLINE e chiedendo l’opinione di esperti della materia.
Di seguito sono elencate le domande e le risposte.
1. Chi dovrebbe essere sottoposto a screening per l’infezione da HCV?

Chiunque abbia livelli di alanina-amino-transferasi (ALT) superiori al normale, o abbia un’anamnesi positiva per fattori di rischio quali l’uso di droghe per via iniettiva, o trasfusioni di sangue prima del luglio 1992, o terapia con concentrati di fattori della coagulazione prima del 1987 (
in Italia queste date vanno spostate ad anni più recenti, N.d.R.), o emodialisi da molto tempo, dovrebbe essere sottoposto a screening ricercando la presenza di anticorpi per l’HCV.
2. In tutti i pazienti con positività degli anticorpi anti-HCV dovrebbe essere misurata la carica virale?
La maggior parte dovrebbe eseguire il test per misurare il livello di HCV RNA, ossia la carica virale, sia per stabilire se l’infezione è attiva, sia per valutare le probabilità di risposta alla terapia antivirale. L’HCV RNA può essere ragionevolmente differito nei pazienti che hanno elevati livelli di ALT (indicativi di infezione attiva), ma con chiare controindicazioni alla terapia antivirale (vedi Tav. 1 e 2).
3. Come va interpretata una carica virale non dosabile?
Una carica virale non dosabile potrebbe essere dovuta ad una viremia molto bassa, o ad un’infezione da HCV guarita, o ad una falsa positività degli anticorpi per HCV. La misurazione dell’HCV RNA andrebbe comunque ripetuta entro 3 o 4 mesi, perché alcuni pazienti con infezione attiva hanno una viremia che a volte non è misurabile. Se il test della carica virale così ripetuto rimane a livelli non dosabili, il paziente ha o un’infezione guarita o una falsa positività del test anticorpale. Un test HCV RIBA (Recombinant ImmunoBlot Assay) può servire a differenziare le due possibilità, ma di solito l’anamnesi è sufficiente per un orientamento clinico: se il paziente ha fattori di rischio per pregressa infezione da HCV, come l’uso di droghe iniettive, verosimilmente ha un’infezione guarita; se invece ha una storia di malattia autoimmune, per esempio un lupus, il dato sierologico iniziale è più probabilmente un falso-positivo.
4. I pazienti con carica virale positiva dovrebbero ripetere più volte il test?
La ripetizione del test è inutile nei pazienti che non stanno facendo una terapia antivirale, mentre invece è utile per monitorare l’andamento della terapia antivirale stessa.
5. Come dovrebbe essere monitorato il paziente con infezione cronica attiva da HCV?
Il paziente con infezione cronica attiva da HCV dovrebbe essere controllato due volte l’anno con analisi di laboratorio, in particolare ALT, bilirubina, albumina e tempo di protrombina. I pazienti dovrebbero anche essere normalmente interrogati
riguardo il consumo di alcool, in quanto è stato dimostrato che l’ingestione di più di un drink al giorno è associato ad un rischio molto più alto di progressione verso l’insufficienza epatica.
6. Quando è indicato l’invio allo specialista?
La maggior parte dei pazienti con una viremia positiva e livelli anormali di ALT dovrebbero essere valutati da uno specialista. I pazienti che potrebbero non avere nessun giovamento sono quelli con assoluta controindicazione alla terapia antivirale (Tav. 1 e 2).
7. Qual è il miglior approccio al paziente HCV-positivo, ma con ALT normale?
Misurare nuovamente la ALT entro 3 o 4 mesi, e poi una o due volte l’anno, in quanto comunemente si riscontrano ad intermittenza valori normali. Anche con livelli di ALT persistentemente normali, questi pazienti potrebbero avere lievi segni di infiammazione cronica alla biopsia epatica, ma essi non sono attualmente considerati candidati alla terapia antivirale.
8. Quali tests bisognerebbe far eseguire al paziente prima di inviarlo ad uno specialista?
Uno studio preliminare utile dal punto di vista costo-beneficio dovrebbe comprendere un HCV RNA test, un HCV genotipo, e la sierologia per epatite B (HBV).
9. A che serve l’HCV genotipo?
L’HCV genotipo è molto utile per predire la risposta alla terapia antivirale. Il genotipo 1 è molto meno sensibile dei genotipi da 2 a 6. Circa il 70% dei pazienti negli USA e nell’Europa Occidentale sono infettati dal genotipo 1.
10. Qual è l’efficacia della terapia antivirale per l’HCV?
La terapia combinata con interferone alfa-2b e ribavirina ha dato come risposta l’assenza di viremia a distanza di 24 settimane nel 30% dei pazienti con genotipo 1 e nel 60-70% dei pazienti con genotipo da 2 a 6. In precedenza, col solo interferone, i risultati positivi variavano dal 10 al 20%.
I benefici a lungo termine della terapia antivirale sono meno certi.
11. Quali sono i fattori predittivi di risposta positiva prolungata, oltre al genotipo?
Una viremia inferiore a 2 milioni/ml, una durata breve dell’infezione, il sesso femminile, e un un basso peso corporeo; inoltre, anche la presenza segni lievi di infiammazione e fibrosi alla biopsia epatica. La terapia comunque dovrebbe essere presa in considerazione anche se nessuno di questi fattori è presente.
12. Qual è la durata abituale della terapia antivirale?
La terapia combinata interferone-ribavirina dovrebbe essere fatta per 1 anno in pazienti con genotipo 1 e 6 mesi in pazienti con altri genotipi.
13. Quali sono gli effetti collaterali più frequenti della terapia antivirale?
Oltre il 50% dei pazienti trattati con interferone hanno sintomi similinfluenzali, come febbre, cefalea, mialgie, nausea, diarrea. Inoltre i pazienti possono avere perdita di peso, leucopenia, dolori addominali, alopecia, iper- o ipotiroidismo, irritabilità, ansietà, insonnia, depressione, e ridotta concentrazione; in pochi casi le difficoltà di concentrazione possono essere così gravi da provocare incapacità di lavorare per la durata della terapia. La ribavirina provoca anemia emolitica nel 10% dei casi, e può inoltre provocare una tosse secca di lunga durata.
14. Quanto è efficace il trapianto di fegato in pazienti con cirrosi da HCV?
I pazienti con HCV tendono a andare molto bene dopo trapianto di fegato. Sebbene nel 95% dei trapiantati sia dimostrabile una ricorrenza di viremia, la maggior parte di essa sviluppa solo una epatite da lieve a moderata, ed hanno anche una bassa incidenza di rigetto del trapianto.
15. Quali precauzioni dovrebbero prendere i pazienti con HCV per evitare di trasmettere l’infezione ad altri?
Nel caso di tossicodipendenti, sospendere l’uso di droghe illecite o non riutilizzare o condividere le attrezzature per l’iniezione. Il rischio di trasmissione per via sessuale è minimo, anche se possibile: è molto più basso che per l’epatite B e l’HIV. In caso di rapporto monogamo i pazienti non hanno bisogno di modificare le loro pratiche sessuali, anche se i loro partners dovrebbero essere incoraggiati a fare il test per l’HCV.
16. Qual è oggi il rischio di contrarre un’infezione cronica da HCV mediante una trasfusione di sangue?
Con gli attuali tests di terza generazione è molto facile identificare gli anticorpi anti-HCV nei donatori di sangue. Il rischio di contrarre un’infezione cronica da HCV da una trasfusione di sangue oggi è valutato da 0.01% a 0.001% per unità trasfusa, all’incirca 1 su 103.000 unità di sangue.
17. Quali opzioni terapeutiche future sono promettenti per l’infezione cronica da HCV?
La ricerca di nuove terapie è un campo di ricerca intensiva. Sfortunatamente, nessuno dei farmaci basato su nuove strategie è ancora uscito dal laboratorio per essere testato in trials sull’uomo.

Tavola 1. Controindicazioni alla terapia combinata Interferone-Ribavirina 
-  Epatopatia scompensata
-  Preesistenza di patologia psichiatrica o storia di disturbo psichiatrico severo
-  Attuale alcoolismo o abuso di droghe iniettive
-  Epatite autoimmune o storia di malattia autoimmune
-  Preesistente patologia tiroidea non controllata da farmaci
Allattamento

Tavola 2. Condizioni in cui la terapia combinata Interferone-Ribavirina dovrebbe essere data con cautela
- Condizioni mediche debilitanti, in particolare storia di malattia polmonare, disordini emocoagulativi, diabete mellito facile alla chetoacidosi, mielodepressione severa, storia di malattia cardiovascolare
- Gravidanza (potenziali effetti abortivi)
- Età inferiore a 18 anni

A. Schipani. Fonte: Journal of American Board of Family Practice, settembre-ottobre 2000

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Pillole di buonumore

- 8,3 e' la media dei componenti una famiglia in Gabon (record mondiale positivo)
- 2,2 e' la media dei componenti una famiglia in Danimarca (record mondiale negativo)
- 2,8 e' la media dei componenti una famiglia in Italia
- 22% erano le famiglie "allargate" in Italia nel 1951 (nelle quali convivevano altri parenti oltre la coppia genitoriale e i figli)
- 11% sono le famiglie "allargate" in Italia nel 1999
- 200.000 sono le coppie italiane in cui un coniuge e' straniero


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
  Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica
(a cura di D. Zamperini)

La responsabilità giuridica del medico (Monografia dell’Avv. Bruno Sechi del Foro di Cagliari)

L’attività medica è tra le attività umane piu’ difficoltose.
Essa viene ad incidere direttamente su beni primari quali la vita e l’incolumità psicofisica; per questo motivo essa è un’attività rischiosa.
Secondo autorevole dottrina, si tratterebbe di un’attività autorizzata che comporta, ai fini del suo espletamento, l’accettazione di un ragionevole livello di rischio.
Sarebbe impensabile, pertanto, un’attività medica che non si muovesse nell’ambito di uno standard di rischio, non sentito come un fatto riprovevole dalla collettività, ma un’utilità sociale.
Non si può concepire l’assenza di un minimo dolore, fastidio o sacrificio nel piu’ banale intervento medico.
Il medico è stato ed è una figura molto importante nella società, e piu’ d’ogni altro consociato, è soggetto ad un continuo vaglio critico.
Il progresso tecnologico e le scoperte scientifiche, applicati al campo della medicina, hanno permesso di combattere efficacemente e debellare numerose patologie.
E’ migliorata la prevenzione contro l’insorgere di molte malattie, anche gravi, e passi consistenti sono stati compiuti nella marcia contro le grandi, che affliggono la nostra epoca.
L’attività medica, nelle sue manifestazioni (prevenzione, prognosi, diagnosi, intervento, trattamento terapeutico), ha guadagnato in efficienza e precisione, grazie al progresso tecnologico.

Dal panorama normativo e giurisprudenziale, nonostante le oscillazioni e le contraddizioni di quest’ultimo, emerge un dato costante, costituito dall’esigenza di assicurare la piena ed effettiva tutela della salute degli individui (art. 32 Cost.).
Il medico, inoltre, dovrebbe avere una certa libertà d’intervento, di modo che non sia esposto a continue minacce di gravi sanzioni e "ritorsioni" giuridiche da parte del paziente.
Questo sistema dovrebbe consentire al medico l’esercizio della sua attività con serenità, discrezionalità, senza che quest’ultima si traduca in arbitrio.
La Relazione ministeriale al codice civile precisa, in sostanza, che le due esigenze suindicate sono poste a fondamento del regime di responsabilità giuridica del medico.
Passiamo, ora, ad analizzare la responsabilità civile, la cui disciplina è contenuta essenzialmente nel codice civile; essa si suddivide in responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
La prima acquista rilevanza nell’ambito di un rapporto contrattuale, intercorrente tra il medico ed il paziente, che scaturisce dal contratto d’opera ex art. 2229 c.c. e ss.
Fondamentali sono i principi contenuti nei seguenti artt.: 2236 c.c. ( responsabilità del prestatore d’opera ): " Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave ";
art. 2232 c.c. ( esecuzione dell’opera ): " Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione ";
l’art. 2230 c.c. rinvia alle norme compatibili con quelle suindicate, che sono comprese nel Titolo III, capo I ( disposizioni generali sui contratti d’opera ).
A tal proposito, assume indicativa rilevanza la disposizione di cui all’art. 2228 c.c. (Impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera): " Se l’esecuzione dell’opera diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti, il prestatore d’opera ha diritto ad un compenso per il lavoro prestato in relazione all’utilità della parte dell’opera compiuta ".
Inoltre, occorre rilevare che in virtù dell’art. 1256 c.c. l’impossibilità definitiva della prestazione, per causa non imputabile al debitore, estingue l’obbligazione, dedotta in contratto.
L’istituto in esame costituisce un elemento essenziale, ai fini dell’esenzione da responsabilità del debitore.
Infatti, l’art. 1218 c.c. così recita: " Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile ".
Il creditore, che abbia interesse al risarcimento del danno, ha l’onere di provare in giudizio l’inadempimento del convenuto; quest’ultimo, affinché sia esente da responsabilità contrattuale, deve provare che l’inadempimento non è a lui imputabile, e che egli ha tenuto il comportamento richiesto dalla legge e dalle pattuizioni contrattuali.
Nell’ambito della responsabilità contrattuale, il paziente deve, pertanto, provare l’inadempimento del medico, e non necessariamente il dolo (o la colpa ), e il danno conseguente.
Deve, inoltre, dimostrare che l’intervento concordato era di facile esecuzione, allo scopo di far valere la responsabilità per colpa lieve.
Il medico deve provare di aver adottato, con diligenza, tutti i mezzi e gli strumenti, acquisiti alla scienza medica del momento storico considerato.
Secondo un’autorevole giurisprudenza ( Cass. civ. sez. III 30 maggio 1996 n° 5005 ), poiché si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultati, la prova della relativa responsabilità è sganciata dall’accertamento del danno psicofisico.
Il consenso, quale momento che integra l’accordo ex art. 1325 c.c., acquista un particolare rilievo nell’ipotesi d’interventi medici.
Il consenso, in via generale, esprime l’accettazione a ricevere la prestazione contrattuale, ed il contratto, in virtu’ dell’art. 1326 c.c., s’intende concluso quando il proponente " ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte ".
Nelle ipotesi contrattuali in oggetto, il consenso o accettazione si rivolge ad interventi o prestazioni d’alto contenuto tecnico, che sfuggono alle normali conoscenze dell’individuo.
Si è posto, quindi, il problema di assicurare al paziente il diritto ad esprimere il consenso sulla base delle indicazioni precise e chiare che il medico deve fornire.
Lo scopo è di porre il paziente nelle condizioni di valutare e soppesare i rischi e le conseguenze che un intervento medico potrebbe comportare.
Il paziente deve essere "informato",in modo completo e preciso, del suo stato di salute, del ventaglio di possibilità degli interventi, offerte dalla scienza medica, e degli eventuali rischi.
Si tratta, cioè, di porre il paziente in grado di prestare il cosiddetto "consenso informato".
Dal punto di vista civilistico, il consenso informato costituisce un elemento essenziale del contratto medesimo; il consenso, non preceduto dalla corretta e chiara informazione medica, non è da considerare valido, facendo venir meno l’elemento fondamentale dell’accordo di cui all’art. 1325 n. 1 c.c.
Dal consenso non informato le conseguenze invalidanti il contratto sono diverse secondo l’impostazione giuridica che si segue per la definizione della relativa problematica.
Se da esso consegue la mancanza dell’accordo, quale elemento essenziale, il contratto è nullo ex art. 1418 c.c.; se, invece, si ammette la sussistenza dell’accordo, fondato sul consenso "dato per errore" o "carpito con dolo", il contratto è annullabile ex art. 1427 c.c.
Le differenze tra la nullità e l’annullabilità sono rilevanti sul versante della legittimazione ( art. 1421 c.c. per la nullità; art. 1441 c.c. per l’annullabilità ), della prescrizione ( imprescrittibilità dell’azione di nullità ex art. 1422 c.c.; prescrizione quinquennale dell’azione d’annullamento ex art. 1442 c.c. ), della convalida ( inammissibilità della convalida del contratto nullo ex art. 1423 c.c.; convalida del contratto annullabile ex art. 1444 c.c. ) ecc……..
Con riferimento al consenso informato, è da segnalare il Ddl Camera n. 5673 intitolato " Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari.
Nel Ddl in discussione alla Camera dei Deputati si prevede il principio generale in base al quale " ogni persona ha il diritto di conoscere i dati sanitari che la riguardano e di esserne informata in modo completo e comprensibile……….."; la persona può nominare una persona di fiducia che provvederà a prestare il consenso per suo conto; inoltre, la persona incapace, in assenza di persona di fiducia, è rappresentata, nella manifestazione del consenso, da una persona nominata direttamente dal Giudice tutelare, su segnalazione dell’istituto di ricovero o di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato d’incapacità.
La ormai unanime giurisprudenza di legittimità considera informato il consenso che sia preceduto dalle informazioni sui benefici, modalità d’intervento, sui rischi, sulla natura dell’intervento, sulla qualità dei risultati, sulla possibilità o probabilità del loro conseguimento ecc……
Il principio ora esposto è applicato anche agli interventi di équipe medica; esso trova una deroga nelle ipotesi di stato di necessità ed urgenza in virtu’ del combinato disposto degli artt. 13 e 32 Cost. ( Cass. Civ. Sez. III 15 gennaio 1997 n° 364; sez. III 8 aprile 1997 n° 3046; sez. III 25 novembre 1994 n° 10014 ).
In tali casi, la tutela della salute dell’individuo, quale bene primario, non può aspettare un consenso e tanto meno un’informazione adeguata da parte del responsabile medico.
Il mancato tempestivo intervento medico potrebbe compromettere la sopravvivenza dell’individuo o la sua guarigione.
Nel quadro ipotetico, desumibile dalle norme costituzionali suindicate, può verificarsi il caso di una malattia infettiva e, quindi, di seri pericoli di diffusione.
La mancata informazione o l'assenza del consenso non inficia la validità e l’opportunità di un intervento immediato.
Autorevole giurisprudenza di legittimità stabilisce che la mancata informazione medica concretizza un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, qualora ne derivasse un danno alla salute.
La Corte di legittimità ( Cass. Sez. III 6 ottobre 1997 ), in un caso da questa esaminata, relativo all’intervento di chirurgia estetica, ha ritenuto che l’inadempimento del dovere di informazione è causa della responsabilità contrattuale;
sorge, accanto a quest’ultima, la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., qualora si verificassero danni psicofisici, conseguenti al trattamento o intervento chirurgico, eseguiti senza informare il paziente.
Secondo la Corte che si considera, rientrano nella sfera di responsabilità del medico i rischi, connessi ai trattamenti medici o alle relative modalità, che non siano stati preventivamente " comunicati" al paziente.
Quest’ultimo, in virtu’ della corretta informazione sui rischi concreti, è messo nelle condizioni di scegliere; la scelta consapevole e "informata" del paziente libererebbe "a priori" il medico da responsabilità, salvo riscontrare errori o colpa nella esecuzione degli interventi richiesti.
Il concorso di responsabilità, se accertata,legittima il paziente a richiedere ed ottenere un doppio risarcimento dei danni ( danno da inadempimento contrattuale e danno biologico ex art 32 Cost. e art. 2043 c.c. ).

Colpa lieve e colpa grave
Un problema che è stato al centro di accesi contrasti in dottrina e giurisprudenza, è costituito dalla rilevanza giuridica della colpa lieve e della colpa grave.
Qui accenneremo ai profili contrattuali delle due figure in oggetto.
Occorre premettere che la giurisprudenza piu’ accreditata ritiene che la diligenza del professionista deve essere valutata in base all’art. 1176 co. 2 c.c.( " Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata " ).
Trattasi, in altri termini, della diligenza specifica, diversamente da quella ordinaria di cui all’art. 1176 co. 1 c.c., riferita all’uomo di normali capacità ( buon padre di famiglia ).
La diligenza del professionista consiste nella " scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale; secondo la giurisprudenza di legittimità ( Cass. civ. sez. III 12 agosto 1995 n° 8845 ), può rispondere per negligenza o imprudenza, senza distinguere tra colpa lieve e grave.
Il regime di responsabilità, nelle ipotesi suindicate, è improntato ad un particolare rigore, poiché dal medico e dal professionista in genere si pretende una preparazione adeguata e la massima attenzione esigibile ( Cass. civ. sez. III 18 ottobre 1994 n° 8470).
Per colpa lieve s’intende la omissione di diligenza ( o negligenza ), dovuta alla preparazione non coerente al caso concreto, e causante un danno nella esecuzione dell’intervento operatorio o nell’ambito della terapia medica.
Concretizza l’ipotesi di negligenza per colpa lieve la mancata informazione sui probabili esiti invalidanti dell’intervento chirurgico, nella ipotesi dell’interruzione di gravidanza ex art. 14 l. 22 maggio 1978 n° 194 ( Cass. civ. Sez. III 8 luglio 1994 n° 6464 ).
Per colpa grave ex art. 2236 c.c. s’intende la grossolanità dell’errore , dovuta dovuta alla violazione delle regole e mancata adozione degli strumenti, e quindi di quelle conoscenze che rientrano nel patrimonio minimo del medico, poiché acquisite alla scienza medica.
La figura della colpa grave trova la sua ragion d’essere nelle ipotesi di casi clinici particolarmente complessi, o perché non ancora sperimentati o non studiati in modo approfondito ( Cass. civ. Sez. III 26 marzo 1990 n° 2428; 12 agosto 1995 n° 8845; 8 marzo 1979 n° 1441 ).
Per tale motivo, la giurisprudenza piu’ accreditata stabilisce che la colpa grave ex art. 2236 c.c. si applica nelle ipotesi di imperizia , nell’ambito di interventi complessi, secondo il significato suriportato ( Cass. civ. Sez. III 3 marzo n° 2466 ).
L’imperizia dovuta a colpa grave consiste nella totale difformità del metodo o tecnica scelti, dalle conoscenze acquisite alla scienza e pratica mediche, "sia per l’approvazione delle autorità scientifiche o per la consolidata sperimentazione".
Le conoscenze acquisite ufficialmente alla scienza medica devono costituire il "necessario corredo culturale e professionale del medico" del settore corrispondente.
Invero, il professionista ha una libertà di scelta tra le terapie e i metodi che la scienza offre.
Autorevole giurisprudenza ritiene che non si ravvisano gli estremi della colpa grave, qualora il medico abbia scelto, in alternativa, un rimedio che, pur essendo giudicato dal mondo scientifico non in maniera univoca, non sia però da questo scartato ( Cass. civ. Sez. III 13 ottobre 1972 n° 3044 ).
A tal proposito, soccorre la Cass. civ. Sez. III, con la sentenza dell’8 settembre 1998 n° 8875: essa stabilisce che la scelta di un metodo rischioso, rispetto ad un altro sicuro, costituisce il momento iniziale della responsabilità del medico, qualora la situazione pericolosa non venga superata con esito felice; qualora, cioè, l’intervento non migliori il quadro clinico o lo peggiori, anche per il verificarsi di una complicanza, la responsabilità del medico è ricollegabile al momento della scelta iniziale sul metodo.
Nell’ipotesi di inadempimento del medico, dipendente di una casa di cura privata, la Giurisprudenza di legittimità ha ritenuto sussistente la responsabilità diretta contrattuale ex art. 1218 c.c. del medico e la responsabilità dell’istituto privato ex art. 2049 c.c. (responsabilità dei padroni e dei commessi) ( Cass. civ. sez. III 11 marzo 1998 n° 2698 ).
Nell’ambito di intervento richiesto ad una struttura ospedaliera pubblica, la responsabilità di quest’ultima e del medico dipendente è disciplinata in via analogica dalle norme sul contratto d’opera professionale.
Infatti, tra l’Ente ospedaliero e l’utente si instaura un rapporto contrattuale, e le prestazioni dedotte in contratto hanno natura professionale.
Pertanto, non trovano applicazione nei confronti del medico gli artt. 22 e 23 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, in relazione alla responsabilità degli impiegati civili dello Stato (Cass. civ. Sez. III 27 maggio 1993 n° 5939; 11 aprile 1995 n° 4152; 1 marzo 1988 n° 2144 ); il medico, in sede giudiziaria, non è surrogato dall’Ente pubblico di appartenenza, ma può essere convenuto direttamente nel giudizio civile, e rispondere dei danni da esso causati.
Si può riscontrare una disparità di trattamento giudiziario dei medici pubblici rispetto ai colleghi impiegati: infatti, quest’ultimi rispondono davanti alla Corte dei Conti degli eventuali danni erariali, subiti dall’Ente pubblico, in seguito alla sua condanna civile al risarcimento dei danni, in favore del cittadino ( il danno erariale è commisurato all’effettivo esborso al cittadino della somma liquidata dal Giudice, a titolo di risarcimento).
Il pubblico impiegato è responsabile nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni erariali, a titolo di dolo o colpa grave ; invece, il medico, pubblico dipendente, risponde, eventualmente,in sede civile anche per colpa lieve, nelle ipotesi di negligenza o/e imprudenza; nelle ipotesi di imperizia risponde solo a titolo di colpa grave ( Cass. civ. Sez. III 19 maggio 1999 n° 4852 ).

Responsabilità extracontrattuale
L’ipotesi generale di responsabilità extracontrattuale o acquiliana è disciplinata dall’art. 2043 c.c. ( " Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno " ).
La responsabilità in esame sorge in capo al soggetto che abbia violato il principio del neminem laedere ( divieto di ledere una situazione soggettiva altrui, meritevole di tutela giuridica ), indipendentemente da un inadempimento contrattuale.
L’opinione, ormai consolidata sulla nozione di illecito civile, consiste nel ritenere questo, come qualunque fatto che cagiona un danno, considerato ingiusto sulla base dei principiu dell’ordinamento giuridico.
E’, pertanto, ingiusto il danno, qualora sia lesivo di una situazione giuridica soggettiva, meritevole di tutela.
Il fatto dannoso può essere causato da un comportamento commissivo od omissivo, connotati dal dolo o colpa.
Un altro elemento essenziale dell’illecito civile è il nesso casuale tra la condotta umana e il danno ingiusto; la legge prevede, a carico dell’attore, un onere probatorio che deve comprendere la condotta, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l’elemnto psicologico del dolo o della colpa.
Invece, nell’ambito della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. l’attore deve provare solamente l’inadempimento negoziale.
In relazione alla problematica della colpa grave , possiamo rimandare al paragrafo relativo alla responsabilità contrattuale; basti qui ricordare che la giurisprudenza maggioritaria, nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, ammette l’applicazione dell’art. 2236 c.c. ( colpa grave ), nelle ipotesi di imperizia, collegate ad interventi di particolare complessità.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 1176 c.c. ( colpa lieve ), spetterà al paziente danneggiato provare che l’intervento era di facile soluzione e che le condizioni di salute hanno registrato un peggioramento; deve, cioè, provare che si trattava di un’attività ordinaria ex art. 1176 c.c., attraverso dati obbiettivi ( cartelle cliniche, certificazioni mediche, perizie mediche etc…. ); deve provare la non corretta esecuzione o l’inadeguatezza della prestazione professionale.
Il medico, convenuto in giudizio, dovrà al contrario, provare di aver tenuto un comportamento, basato sulla diligenza, prudenza e perizia; dovrà dimostrare la totale assenza di dolo o colpa, nella esecuzione dell’attività medica nella ipotesi concreta ( Cass. civ. Sez. III 1 febbraio 1991 n° 977 ).
Secondo altra autorevole giurisprudenza ( Cass. civ. sez III 18 giugno 1975 n° 2439 ), il medico è esente da responsabilità, qualora provi in giudizio la impossibilità della corretta esecuzione della prestazione professionale, dovuta a cause a lui non imputabili, quali il caso fortuito o la forza maggiore.
Il danno risarcibile in concreto deve essere suscettivo di valutazione economica; le figure di danno risarcibile sono le seguenti:
danno patrimoniale, il quale incide negativamente sulla sfera economica del soggetto. Ai sensi dell’art. 2056 c.c. che rinvia all’art. 1123 c.c., il risarcimento deve comprendere la perdita subita o danno emergente ( per es. le spese per nuove cure mediche ecc… ) e il mancato guadagno o lucro cessante ( per es. la lesione alla integrità psicofisica, la perdita della capacità di produrre reddito ecc… ).
Quest’ultima forma di danno, in virtu’ dell’art. 2056 co. 2 c.c., è valutata dal giudice in via equitativa; inoltre, la valutazione equitativa costituisce il criterio residuale per la liquidazione del danno ( emergente e lucro cessante ), qualora questo non possa "essere provato nel suo preciso ammontare" (art. 1126 c.c. al quale fa rinvio l’art. 2056 c.c. ).
I danni risarcibili devono costituire "conseguenza immediata e diretta della condotta illecita ( art. 1223 c.c. ).
Si ricorda che l’art. 2056 c.c. non estende al risarcimento del danno extracontrattuale l’art. 1225 c.c.; infatti, secondo lo spirito rigoristico del legislatore è previsto il risarcimento, anche per i danni non prevedibili al momento iniziale dell’intervento medico.
Differente dal danno patrimoniale in senso stretto è il danno biologico o lesione all’integrità psicofisica.
Il danno biologico è risarcibile in base al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.; esso, costituisce una lesione del diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost.) ed è direttamente risarcibile, attraverso il meccanismo di cui all’art. 2043 c.c. (vedi fra tutte Corte Cost. n° 184/86).
Si tratta di un danno liquidabile dal giudice in via equitativa, e che si manifesta in varie forme quali il danno estetico, , il danno esistenziale,il danno alla vita di relazione.
Quest’ultimo limita o impedisce l’esercizio delle attività quotidiane, normali, che siano, cioè, complementari rispetto all’attività lavorativa (Cass. 82/6847; 80/5606; 85/5197; 80/168; 79/5544; 68/1886; 67/2819).
Alcuni Autori individuano il danno biologico anche nella violazione del diritto a vivere serenamente, derivante da un errore diagnostico e informazione errata.
L’ipotesi può concretarsi qualora il medico abbia comunicato al paziente d’essere affetto da una gravissima malattia.
Giurisprudenza autorevole (Cass. civ. sez. III 1987 n. 2580), considera biologico il danno conseguente a continui ed inutili trattamenti terapeutici, o a lungaggini causate da disorganizzazione o carenze della struttura ospedaliera (Cass. 87/2580).
A tal proposito, è importante sottolineare la recente sentenza della Cassazione sez. III n. 6118 del 2000; la pronuncia in esame attribuisce al medico la responsabilità per i danni subiti dal paziente, qualora non lo abbia informata della possibile inadeguatezza o disorganizzazione della struttura ospedaliera.
In un’altra sentenza (n. 2750 del 13 marzo 2000), la medesima Corte stabilisce che il medico deve adottare le misure idonee a superare le eventuali carenze organizzative (mancanza del cardiotocografo). Nel caso esaminato, il ginecologo avrebbe dovuto ovviare alla mancanza dello strumento cardiotocografico, con una "frequente ed efficace auscultazione del battito fetale"; inoltre, rientra nella sua competenza coordinare i compiti dell’équipe medica, per evitare danni o lesioni.
La sentenza n. 6318 del 2000 sopraccitata, affronta anche la complessa questione della responsabilità medica, nell’ambito di un intervento in équipe.
Il caso affrontato dalla Corte suprema riguarda la cerebropatia del neonata (lesioni al sistema nervoso) per asfissia neonatale, in un parto prematuro.
La Cassazione ha rilevato la disfunzione del cardiotocografo nella struttura ospedaliera e ha stabilito che quest’inconveniente non ha consentito un monitoraggio della frequenza cardiaca fetale; infatti, secondo i consulenti tecnici " durante le fasi del travaglio (il cardiotocografo) costituisce una fonte d’informazione utile nella diagnosi precoce della sofferenza fetale ".
La sentenza, che qui si commenta, enuclea alcuni principi fondamentali nell’ambito della responsabilità extracontrattuale del medico.
In essa sono precisati i doveri inerenti al primario e al medico assistente. Occorre premettere che il primario non va esente da responsabilità, qualora il paziente ricoverato sia stato assegnato al medico assistente.
In tale ipotesi (assegnazione ad altro medico), il primario ha il dovere di dare istruzioni, direttive adeguate, e di verificarne la " puntuale attuazione " (v. art. 7 DPR 27 marzo 1969 n. 128).
Qualora, invece, il ricoverato sia assegnato al primario medesimo, il medico assistente dovrà adempiere i doveri legati alla sua " posizione funzionale d’aiuto o di assistente ",e sarà liberato da qualsiasi responsabilità, se dimostra di aver eseguito le prescrizioni "ragionevolmente corrette".
Nell’ipotesi di assegnazione del ricoverato ad altro medico si stabilisce:
dal primario non è esigibile " un controllo continuo ed analitico " di tutte le attività terapeutiche; il primario ha il dovere di informarsi dello stato di ogni paziente, di seguirne il decorso e di dare le opportune istruzioni;
il primario, sulla base delle notizie acquisite o che aveva il dovere di acquisire , ha l’obbligo di prendere le iniziative necessarie, i provvedimenti adeguati alle esigenze terapeutiche e di controllare la correttezza delle istruzioni, date dagli altri medici.
Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione sopraccitata, il primario deve adottare o disporre e controllare che siano adottati gli accorgimenti idonei ad ovviare alle deficienze ospedaliere ed informare la paziente del " maggior rischio connesso ad un parto che si svolga senza il presidio dello strumento " (Cass. Pen. 95/4385).
Il dovere di informazione è tanto piu’ richiesto, qualora siano prevedibili complicazioni come nell’ipotesi di parto prematuro.
Il primario, pertanto, ha il compito di vigilare sull’attività degli altri medici e di prevedere possibili complicanze ed errori.
Nella decisione in esame, emerge anche la figura del medico di fiducia della partoriente, che sia anche dipendente della struttura ospedaliera ospitante.
La Corte di Cassazione stabilisce che il medico di fiducia:

L’altra voce di danno risarcibile è il danno morale ex art. 2059 c.c. ( perturbamento psichico transeunte ), che deve integrare un fatto-reato ( v. art. 2059 c.c., art. 198 c.p. ); il relativo risarcimento costituisce il "pretium doloris ".
La giurisprudenza maggioritaria di legittimità stabilisce che, anche nelle ipotesi di estinzione del reato o di improcedibilità dell’azione penale, il giudice civile adito ha l’obbligo di accertare la sussistenza degli estremi del reato ( Cass. 68/748; 71/3596; 75/1022; 84/699; 86/3093 ).

Responsabilità penale
Bisogna premettere che, nell’ambito della responsabilità penale, i principi fondamentali sono i seguenti:

E’ necessario ripercorrere brevemente l’iter giurisprudenziale sulla responsabilità penale del medico, dal secondo dopoguerra.

-I° orientamento: la colpa del medico è da valutare " con larghezza di vedute ", poiché non è previsto un metodo obbligatorio " di indagine e di cura ".
a tal fine acquista rilevanza penale "l’errore grossolano" che dipende dall’ignoranza dei principi elementari che rappresentano il livello minimo di cultura e preparazione medica, esigibile dal professionista sanitario.
In altre parole, si ha responsabilità penale del medico qualora questi violi i doveri di diligenza, prudenza comuni e di perizia.
-II° orientamento ( Cass. sez. IV 22 gennaio 1968 ): il criterio di imputazione penale è ricavato dall’art. 2236 c.c. (colpa grave), il cui contenuto è inteso nel senso dato dalla prima giurisprudenza; l’art. 2236 c.c., secondo l’orientamento in esame, è riferibile alla diligenza , alla prudenza e alla perizia, escludendo dal campo di applicazione la colpa lieve ( Cass. sez. IV 21 ottobre 1970; sez. II 8 febbraio 1958; IV 22 gennaio 1968; IV 21 ottobre 1970; IV 4 febbraio 1972; IV 7 luglio 1977; IV 15 febbraio 1978 e Cass. 19 febbraio 1981 ).
La giurisprudenza in oggetto è conforme allo spirito del codice civile, come esplicato nella Relazione del Ministro, secondo la quale non bisogna " mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie in caso di insuccesso"; dall’altro, non bisogna " indulgere nei confronti di non ponderate e riprovevoli inerzie da parte del professionista ".
-III° orientamento (Corte Cost. 28 novembre 1973 ): la giurisprudenza stabilisce l’applicazione dell’art. 2236 c.c. alle sole ipotesi di imperizia.
Nei casi di negligenza e imprudenza è operante l’art. 1176 Co 2 c.c. ( anche responsabilità per colpa lieve ); si richiede la diligenza del buon padre di famiglia, ma "con riguardo alla natura dell’attiva ( professionale ) esercitata".
In relazione alla diligenza, si ritiene che qualora sussista la certezza che il trattamento terapeutico non aggravi la malattia , e che, anzi, l’attesa può mettere a rischio la vita del paziente, il medico ha l’obbligo di procedere in modo celere.
L’orientamento de quo è stato introdotto dalla Corte Cost. con sentenza del 28 novembre 1973 di cui riportiamo i seguenti passi: ""la deroga alla legge penale della responsabilità penale per colpa risulta ben contenuta, perché è operante in modo restrittivo, in tema di perizia e questa presenta contenuto e limiti circoscritti", e ancora " la limitazione ex art. 2236 c.c. non conduce a dover ammettere che, accanto al minimo di perizia richiesta, basti pure un minimo di prudenza o di diligenza. Anzi c’è da riconoscere che, mentre nella prima l’indulgenza del giudizio del magistrato è direttamente proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa ogni giudizio non può che essere improntato a criteri formale severità ".( v. anche Cass.sez. IV 12 maggio 1977; 18 ottobre 1978; 9 giugno 1981; 9 novembre 1981 n. 1126; 24 giugno 1983).
-Orientamenti attuali: la giurisprudenza contemporanea è divisa in due tronconi: il primo (Cass. pen. sez. IV 22 ottobre 1981, Cass. pen. sez. IV 29 settembre 1983) stabilisce l’esclusione dell’art. 2236 c.c. (colpa grave) dall’ambito penale.
Infatti, la disposizione in questione non può essere applicata in virtu’ del divieto d’analogia di una norma eccezionale, anche di carattere civilistica, secondo quanto disposto dall’art. 14 delle disposizioni delle leggi in generale (Cass. sez. IV 9 giugno 1981). La giurisprudenza di legittimità considerata, alla quale si affianca anche buona parte di quella di merito, ritiene che l’art. 2236 c.c. non introduce una causa di giustificazione penale,
L’accertamento della graduazione della colpa (breve, grave) è rilevante agli effetti penali, per la determinazione della pena in concreto, in forza dell’art. 133 co. 1 n° 3 c.p. (gravità del reato: valutazione agli effetti penali).
Il secondo troncone giurisprudenziale segue, in sostanza, la giurisprudenza che fa capo alla sentenza della Corte Costituzionale del 1973: l’art. 2236 c.c. trova applicazione nelle ipotesi d’imperizia del medico.
E’ da rilevare una pronuncia della cassazione pen. sez. IV del 2 ottobre 1990, che insigne dottrina considera ambigua, poiché essa equipara le ipotesi di perizia, prudenza e diligenza (v. anche Cass. pen. sez. IV 25 maggio 1987), riproducendo sostanzialmente i primi orientamenti.

Rapporto di causalità
Un elemento fondamentale del reato è il nesso di causalità materiale e giuridica tra la condotta (o azione) volontaria e l’evento di danno (art. 40 c.p.).
Il fatto-reato è costituito, pertanto, oltre che dall’elemento psicologico (dolo o colpa), anche dalla condotta e dall’evento dannoso, quale conseguenza della prima.
E’ da rilevare che la disposizione contenuta nell’art. 40 c.p., fa riferimento all’evento dannoso e pericoloso.
Il 2° co dell’articolo in esame , prevede l’ipotesi generale del delitto omissivo improprio: " Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo ".
L’art. 41 c.p. prevede che le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute alla condotta umana, anche se da essa indipendenti, non fanno venir meno la responsabilità penale del soggetto considerato.
Infatti, il concorso delle cause non esclude il rapporto di causalità.Solamente le cause sopravvenute possono escludere il nesso causale, qualora siano sufficienti a produrre l’evento dannoso (art. 41 co. 2 c.p.).
Gli artt. 40 e 41 c.p. esprimono due principi strettamente connessi: il principio della conditio sine qua non e dell’equivalenza delle cause; ciascuna causa concorrente è considerata alla stregua delle altre, determinanti il verificarsi del fatto-reato.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (Cass. pen. sez. IV del 23 gennaio 1990) il nesso di causalità, nell’ambito della responsabilità medica, deve essere accertato secondo il criterio della probabilità, e non della necessaria certezza. Buona parte della giurisprudenza ritiene che l’accertamento del nesso causale deve basarsi sulle leggi statistiche esistenti: infatti, una conoscenza basata sulle leggi universali sarebbe impossibile.
Secondo l’orientamento in oggetto, si avrebbe responsabilità penale medica, qualora si accertasse che l’intervento avrebbe salvato la vita o comunque evitato l’evento dannoso, secondo una valutazione d’alta probabilità.
Nell’ipotesi dell’omessa inoculazione del siero antitetanico, si ritiene sussistere l’errore diagnostico poiché non è stata effettuata " una tempestiva diagnosi del processo infettivo pur in presenza della sintomatologia "l’omissione del medico ha aumentato del 30% il rischio di morte, secondo le leggi scientifiche e statistiche acquisite.
Il criterio della probabilità deve essere accompagnato, pertanto, dal principio dell’aumento del rischio.
Autorevole giurisprudenza (Cass. 6 dicembre 1990) parla di " causalità scientifica " perché fondata sulla migliore scienza ed esperienza del momento.
Le conoscenze acquisite alla scienza medica non escludono, però, l’accertamento del rapporto causale in termini di certezza; in mancanza di questa, il giudizio deve essere altamente probabile e rapportato al momento della commissione del fatto (giudizio ex ante).
La storica sentenza della Corte costituzionale n° 364 del 1988 affianca il concetto della probabilità a quello della prevedibilità e prevenibilità delle conseguenze dannose.
Il medico risponde penalmente nell’ipotesi in cui poteva prevedere e prevenire il fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in base alle regole di generalizzata esperienza (leggi scientifiche o statistiche di copertura o criterio dell’id quod plerumque accidit).
L’orientamento summenzionato è conforme al principio di colpevolezza " inteso sotto l’aspetto obiettivo ed in coordinazione con la lettura combinata dei commi 1 e 3 dell’art. 27 Cost. (v. Cass. pen.sez. IV n. 7151 del 11 gennaio 1999).
La giurisprudenza di legittimità suindicata ritiene che la valutazione della causalità, nell’ambito della responsabilità omissiva, presenta maggiori difficoltà.Il medico assume una posizione di garanzia nei confronti del paziente; a quest’ultimo deve garantire " la conservazione al meglio della vita ".
Nell’ambito dei reati omissivi, la " condotta comandata " (o esigibile concretamente) deve inserirsi nel decorso causale già attivo e deve essere " capace nel concreto ad impedire l’evento vietato" (es. lesioni, morte ecc...).
L’accertamento del rapporto di causalità è basato sul criterio dell’idoneità concreta della condotta ad impedire l’evento dannoso o pericoloso, sulla base delle leggi scientifiche acquisite alla medicina.Una diversa impostazione alla soluzione della problematica de qua aprirebbe le porte alla responsabilità oggettiva (versari in re illicita), prescindendo dall’elemento psicologico (dolo o colpa).
Nelle sentenze sono ricorrenti le formule " probabilità confinante con la certezza ", "alto grado di credibilità razionale".
Dall’orientamento in oggetto consegue che è da escludere la responsabilità penale medica, qualora sussista il dubbio circa l’idoneità o l’attitudine della condotta alternativa lecita a prevenire l’evento dannoso o pericoloso (in dubio pro reo).
Nel passato (v. casi storici: Talidomide, macchie blue), la responsabilità penale è stata accertata secondo un metodo individualizzante (" fiuto") del giudice. In altri termini il nesso causale è stato oggetto di un giudizio svincolato dal criterio probabilistico, e da qualsiasi legge scientifica.
Altra giurisprudenza (Cass. pen sez. IV del 15 maggio 1989) opta per il criterio della certezza in ossequio al principio della condizione essenziale ex art. 40 c.p. (conditio sine qua non).
Una recente e autorevole giurisprudenza (Cass. pen sez IV 1 ottobre 1998 n. 1957) attenua il principio della certezza con il " soggettivo convincimento del giudice, sia pure basato su valutazioni di natura probabilistica.
La sentenza in questione esclude l’astratta probabilità basata su dati meramente statistici.
In relazione al consenso informato, si rinvia a quanto già affermato in precedenza. Occorre qui precisare che la giurisprudenza è particolarmente rigorosa nell’ipotesi in cui il medico non ottemperi all’obbligo dell’informazione corretta e tempestiva.
Si segnalano alcune sentenze in merito:
Trib. Venezia Sez. II del 4 febbraio 1998: responsabilità per lesioni colpose derivante da errore, determinato da colpa, sull’esistenza del consenso, non realmente manifestato dal paziente;
Corte assise di Firenze n. 13 del 18 ottobre 1990 (confermata dalla Cass. sez pen. n. 699/92): omicidio preterintenzionale, derivante da lesioni colpose, in seguito ad operazione chirurgica effettuata senza il consenso del paziente;
Corte Assise d’Appello di Roma del 1986, Pretore di Roma del 1987, Corte Assise di Cagliari: casi di testimoni di Geova che hanno negato il consenso alle emotrasfusioni per motivi religiosi: i medici hanno agito in conformità alla volontà dei parenti; pertanto, la morte non può essere a loro imputata a titolo di dolo.

Avv. Bruno Sechi; Senorbì-Cagliari, lì 23/X/00

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