Luglio-Agosto 2000

PILLOLE

DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate da  SIMG Roma 

Periodico di aggiornamento e varie attualita' a cura di:
Daniele Zamperini md8708@mclink.it, Amedeo Schipani mc4730@mclink.it,

Responsabili della versione "illustrata" visibile in parte su: www.pillole.it :
Massimo Angeloni mc1448@mclink.it  Maurizio Pino mpino@itelcad.it
Il file viene inviato gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. Si invita ad attuare l'iscrizione anche alla lista"gemella" Med-News, di Enzo Brizio (enzo.brizio@libero.it). Archivio COMPLETOdei numeri precedenti  su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm (Visitate anche le altre pagine, sono ricche di informazioni!)


INDICE GENERALE

  PILLOLE

MINIPILLOLE

  NEWS  

In arrivo la super-vista
Un antibiotico per una malattia genetica
La proteina dei ricordi
In arrivo la retina artificiale
Il «filo conduttore» della morte neuronale
Fumo e tumori
Morte in culla: scoperta causa genetica responsabile
Alimenti: formaggio “miniera” di fosforo più del pesce
Influenza: già pronto in vaccino per la prossima stagione
Pelle: più trasparente e pura con “impacchi” di cocomero

  APPROFONDIMENTI

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica


Pillole di buonumore

I "tempi dell' amore" nel regno animale:

Scimpanze': 7-8 secondi Microti della prateria (roditori): fino a 40 ore
Gorilla: 1,5 minuti Canguri: 30 minuti
Orsi: 1 ora Acrobati pigmei (marsup. australiani): fino a 12 ore
Rinoceronti: 1-1,5 ore Coccodrilli: 1 minuto
Giraffe: 30 minuti Rospi: fino a 12 ore

Da: M.Miersch "La bizzarra vita sessuale degli animali" N&C ed.


PILLOLE


La ricerca scientifica tra verità e menzogna

La polemica sulle frodi nella scienza non sono nuove; diversi ricercatori hanno anche eccepito che perfino Charles Darwin abbia in realta’ un po’ "spinto" i risultati delle sue osservazioni che, sebbene risultate esatte, darebbero assai difficilmente risultati netti e precisi come quelli esposti dallo scienziato. In epoca moderna il fenomeno si e' ampliato a dismisura malgrado i controlli effettuati dai comitati redazionali delle riviste specializzate per cui in diverse nazioni sono stati istituiti organismi appositi, destinati a controllare la correttezza della ricerca che si svolge con fondi statali sul loro territorio. Sono presenti, ad esempio, in Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Francia e naturalmente Stati Uniti. Una serie di episodi clamorosi hanno messo in luce come, in diversi casi, la ricerca sia stata pilotata o addirittura falsificata da ricercatori o aziende che avevano degli interessi nel settore. I ricercatori sono spinti soprattutto dall’ansia di dover pubblicare per mantenere posizioni e posti di prestigio, le aziende da ovvi motivi commerciali di mercato. 
Tralasciando la notissima contesa tra Montagner e Gallo sulla poco chiara scoperta dell' HIV, diversi casi di ricerche non proprio limpide sono stati portati all’attenzione del pubblico:

A fronte di questi "pubblici peccatori" sembra amplissimo il fronte dei "falsificatori artigianali": attualmente il fenomeno e’ favorito e ingigantito data l’enorme mole delle pubblicazioni scientifiche per cui i responsabili hanno maggiore possibilita’ di mimetizzare le scorrettezze. Un’inchiesta condotta nel ’93 dall’ "American Scientist" rivelava che circa il 7% dei lavoratori di un laboratorio era a conoscenza di falsificazioni di dati, mentre una ricerca analoga condotta in Norvegia nel ’95 rilevava addirittura oltre il 20% di tali frodi conosciute dagli operatori del settore. 
Sono diverse le tipologie di frode piu’ comunemente riscontrate nelle revisioni e molte di queste possono rientrare nella comune esperienza del lettore::  
- Plagio.
- Falsa attribuzione del lavoro ad autori che in realta’ non hanno partecipato, o esclusione di coloro che hanno veramente effettuato il lavoro. Tale tipologia potrebbe essere riscontrata molto frequentemente nei lavori italiani. Chi non ricorda certi ricercatori che arrivavano a pubblicare centinaia di lavori l' anno (con il proprio nome su tutti i lavori pubblicati nell' Istituto di appartenenza)?.
- Presentazione di dati gia’ pubblicati come se fossero nuovi e ripubblicazione degli stessi dati su riviste diverse con lieve cambiamento di prospettive di presentazione in modo da "riciclare" un unico lavoro moltiplicandone il valore. Tale tipologia puo' indirettamente falsare tutta la prospettiva di valutazione di un fenomeno che risulterebbe percio' confermato da un numero di studi superiore a quelli realmente effettuati. E' un comportamento molto frequente che puo' essere giustificabile se finalizzata a diffondere i risultati dello studio in ambiti diversi, con pubblicazione su riviste con tipologia e diffusione differente; andrebbe pero' sempre citatolo studio di riferimento, senza simulare che si tratti di un lavoro originale.  
- Conflitto o interferenza di interessi non dichiarato tra la sponsorizzazione e l’effettuazione del lavoro.
- Fabbricazione (o invenzione totale) di dati.
- Falsificazione bruta dei dati.
- Mancata adesione alle linee-guida etiche.

Sono poi arrivati all' attenzione del pubblico episodi di ricerca "pilotata", se non falsificata deliberatamente dalle aziende interessate. E’ stato pubblicato recentemente sul "Lancet", ad esempio, il piano con cui la Philip Morris tentava scientificamente e metodicamente, con una capillare azione di travisamento e disinformazione, di screditare gli effetti delle ricerche sul danno da fumo. In particolare veniva programmata ad arte una produzione di studi negativi sulla relazione tra fumo passivo e cancro da opporre ai dati della ricerca IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) che aveva effettuato una ricerca che dimostrava la dannosita’ del fumo passivo. La strategia di tali multinazionale non si basava tanto sulla falsificazione dei dati quanto su una sottile campagna tesa a screditare i dati e i metodi delle ricerche ufficiali. Venivano coinvolte agenzie di relazioni pubbliche e prestigiosi giornali internazionali. Lo stesso "Lancet" ha dovuto confessare mestamente di aver pubblicato inconsapevolmente una lettera sul fumo passivo sponsorizzata da industrie del tabacco.
Il Saint Paul Pioneer Press aveva gia' riportato che, tra il 1992 e il 1993 il Tobacco Institute (si tratta dell' Ente che gestisce la "comunicazione" delle multinazionali del tabacco) ha pagato docenti universitari e ricercatori perche' criticassero con articoli e lettere dirette alle riviste scientifiche il rapporto sul fumo passivo dell' Agenzia per la protezione Ambientale. Uno degli accusati si e' difeso sostenendo che anche i ricercatori di segno contrario venivano pagati per le loro pubblicazioni.
Le multinazionali del tabacco sono poi state condannate ad una multa "storica" di enorme entita' in base proprio al dolo che esse hanno dimostrato nella falsificazione delle conoscenze in merito.
E’ evidente percio’ come l’obiettivita’ nelle ricerche scientifiche sia un aspetto altamente a rischio, sia per quanto riguarda l’effettuazione vera e propria della ricerca da parte degli studiosi, soggetti a pressioni di vario tipo, sia per quanto riguarda l’interpretazione dei dati che puo’ essere manipolata facilmente da entita’ economiche abbastanza potenti. C’e’ anche il rischio pero’ che le ricerche che presentino dati non allineati con studi precedenti vengano guardate ingiustamente con sospetto e che i ricercatori possano tendere ad "adeguarsi" alle ricerche precedenti onde non correre il rischio di sentirsi accusare di falso o di sensazionalismo scientifico.
Daniele Zamperini. Fonti: varie.

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Si scomoda "Nature" per spiegare gli errori degli arbitri

Siamo ormai abituati tutti alle lunghissime ed estenuanti discussioni che seguono una partita di calcio importante. Siamo abituati soprattutto all’esame critico spietato e approfondito di tutte le decisioni arbitrali effettuate durante la partita. Non e’ infrequente che un prolungato esame effettuato alla moviola e da diverse angolazioni dalle telecamere che circondano il campo mettano in evidenza come l’arbitro o il guardialinee abbiamo dato in piu’ occasioni delle valutazioni erronee che spingono i tifosi a sospetti pesanti sulla correttezza di questi ultimi.
Alcuni ricercatori olandesi hanno voluto valutare gli errori dei guardialinee nel segnalare il fuorigioco. Hanno quindi incaricato 3 guardialinee professionisti di valutare 200 possibili situazioni di fuorigioco riprodotte da 2 squadre di calcio.
Risultarono ben 40 decisioni erronee.
Il classico errore era, ad esempio,  che il guardialinee vedesse un fuorigioco quando non c’era oppure non lo vedesse quando c’era.
Per "immedesimarsi" nel punto di vista del guardialinee, i ricercatori li obbligavano ad indossare un casco dotato di una minitelecamera, in modo che si potessero seguire i movimenti della testa e l’angolo di visuale del professionista.
Da tutto cio' e' emerso che gli errori dipendevano dalla sovrapposizione dell' immagine proiettata sulla retina dalla posizione relativa dell’attaccante e del difensore.
In altre parole il fenomeno della parallasse causava le erronee valutazioni di questi professionisti.
Il fenomeno della parallasse e’ del resto una cosa ben conosciuta sia nell' ambito scientifico (ricerche astronomiche, ad es.) che nelle attivita’ quotidiane; di esso la mente tiene normalmente conto nelle valutazioni spaziali. La correzione effettuata dal sistema percettivo non copre tuttavia da errori quando le differenze da valutare sono basse, la distanza e' notevole ed e' in corso una veloce attivita’.
I ricercatori concludevano che indipendentemente dalla bravura e dalla professionalita’ del guardialinee gli errori di valutazione sono inevitabili a causa delle limitazioni del sistema percettivo umano e suggerivano modalita’ alternative quale l’analisi di filmati ripresi da adeguate posizioni osservative.
Non ci sembrava tuttavia il caso di scomodare una rivista internazionale cosi’ prestigiosa per una conclusione cosi’ banale.
Daniele Zamperini. Fonte: Nature 404:33(2000).

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Vanno conservati i dati delle cartelle cliniche

Il Garante per la protezione dei dati personali, con una decisione dell’Ottobre del 1999, ha dichiarato infondato il ricorso di un cittadino che chiedeva la cancellazione dei propri dati personali conservati nelle cartelle cliniche di una ASL.
Il ricorrente piu’ specificatamente sottolineava che i dati personali contenuti nella propria cartella clinica sarebbe stati trasmessi in piu’ occasioni alla Procura della Repubblica presso un Tribunale in occasione di alcuni procedimenti giudiziari che prevedevano lo stesso signore come persona offesa. La ASL controbatteva che i dati ricorrenti erano contenuti in una cartella clinica, su un carteggio epistolare intercorso tra la ASL e il paziente stesso, e su un registro ad uso interno.
La ASL si dichiarava disponibile con il consenso dell’interessato a procedere alla distruzione del carteggio intercorso e delle notizie riportate nel registro ma eccepiva di non poter procedere alla distruzione della cartella clinica in quanto, sulla base della vigente normativa, la stessa cartella doveva essere "conservata illimitatamente poiche’ rappresenta un atto ufficiale indispensabile a garantire la certezza del diritto" anche secondo le previsione della circolare del Ministero della Sanita’ n. 900.2/AG .464/260 del 19/12/1986.
Il Garante respingeva la richiesta di cancellazione dei dati personali contenuti nella cartella clinica in quanto tale richiesta, a suo parere, e’ infatti priva di valido supporto giuridico non risultando che i dati siano trattati dalla ASL in violazione di legge ne’ che siano conservati senza specifica motivazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 lettera C n.2 della legge 675/96, la cancellazione, il blocco o la trasformazione in forma anonima dei dati possono essere chiesti solo quando i dati siano trattati in violazione di legge o non risulti necessaria la loro conservazione in relazione agli scopi della loro raccolta e trattamento. Il trattamento dei dati contenuti nella cartella clinica sono invece avvenuti nell’ambito dell’attivita’ istituzionalmente affidati alla citata ASL e comunque in un arco di tempo temporale molto ampio e anche antecedente alle disposizioni suddette e quindi non soggette a tali disposizioni.
Considerando poi che il D.Lgs. 135/1999 ha reso ammissibile il trattamento dei dati sensibili nell’ambito delle attivita’ rientranti nei compiti del SSN e degli altri organismi pubblici, e osservando inoltre la divulgazione dei dati relativa e ricorrente e ‘ stata posta in essere per corrispondere a richieste dell’autorita’ giudiziaria in relazione a indagini e procedimenti penali in corso di svolgimento nei confronti dell’interessato e considerando che tali operazioni di comunicazione dei dati anche sensibili derivano dall’adempimento da parte della ASL di obblighi previsti dal codice di procedura penale e non possono quindi esser considerate come contrarie a disposizione di legge, peraltro non meglio precisate, il garante respingeva la richiesta del paziente. L’infondatezza del ricorso non pregiudicava tuttavia la possibilita’ per l’interessato di esercitare nei confronti del titolare e del responsabile del trattamento dei proprio dati personali altri diritti previsti dall’art. 13 della legge 675/96 ed in particolare la facolta’ di ottenere eventuale aggiornamento o rettificazione oppure, per motivi legittimi e oggettivi, l’integrazione dei dati riportati nei documenti.

Daniele Zamperini
Le decisioni del Garante sono reperibili sul sito ufficiale www.garanteprivacy.it o sul sito www.privacy.it

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Norme deontologiche per la presenza su Internet dei singoli medici

L' O.M. di Firenze, in ottemperanza ad una circolare della FNOMCeO, ha pubblicato, forse prima in Italia, le norme deontologiche che devono regolare i siti Internet dei Medici. Altre province hanno espresso pareri in merito ma, data la particolare esaustivita' e precisione, puo' essere presa a modello generale. Tale normativa e' vincolante per la sola Provincia di Firenze ma, proprio per le sue caratteristiche, potrebbe  servire da guida "cautelativa" anche per i colleghi di altre province.
Si pubblica il testo integrale dell' Allegato "A" riguardante i singoli professionisti, gentilmente inviato da
Luca Puccetti, MdF a Pisa.

"Il medico o l’odontoiatra deve innanzitutto indicare nella home-page del sito presso quale Ordine provinciale e’ iscritto ed il relativo numero di iscrizione nell’Albo.
Il medico o l’odontoiatra possono indicare tutto cio’ che e’ consentito dalla Legge sulla pubblicita’ sanitaria (art. 1 L. 175/92).
Il medico o l’odontoiatra puo’ presentare un proprio curriculum professionale, nel quale indichi, ad esempio, gli estremi dei titoli accademici conseguiti (laurea, abilitazione, specializzazione, libera docenza). Puo’ anche indicare l’attuale e le precedenti esperienze lavorative (es.: e’ stato dal …. al …. primario del reparto di …. presso l’Ospedale di ....). Puo’ infine indicare ulteriori elementi circa il suo iter formativo e professionale che comunque abbiano carattere di certezza obiettivita’ e verificabilita’. Allo stato attuale della normativa, non e’ consentito indicare la pratica di medicine non convenzionali, in attesa di una regolamentazione specifica della materia.
Il sito, nello spirito di una corretta e doverosa informazione all’utenza, deve contenere indicazioni esaustive in merito alle modalita’ organizzative dell’attivita’ professionale. A titolo esemplificativo, cio’ si sostanzia nell’indicazione degli orari di accesso allo studio, delle modalita’ di prenotazione delle visite, della eventuale presenza di personale ausiliario, dello svolgimento delle visite domiciliari, ecc.
Il sito puo’ contenere pagine dedicate all’educazione sanitaria, anche corredate di immagini, in relazione alla specifica professionalita’ del medico o dell’odontoiatra.
Il medico o l’odontoiatra possono anche fornire consulenze agli utenti tramite e-mail, con l’avvertenza che una consulenza via e-mail non puo’ considerarsi in alcun modo sostitutiva della visita medica, che, scientificamente, rappresenta il solo strumento diagnostico. In proposito e’ necessario che nel sito compaia chiaramente apposito avviso che puo’ avere il seguente tenore: 
"Per doverosa informazione, si ricorda che la visita medica effettuata dal proprio medico abituale rappresenta il solo strumento diagnostico per un efficace trattamento terapeutico. I consigli forniti in questo sito devono essere intesi semplicemente come suggerimenti di comportamento".
Il medico e l’odontoiatra possono riportare sul sito le tariffe da loro praticate nell’esercizio della professione, fermo restando l’obbligo del rispetto del tariffario di cui al DPR del 17/02/1992.
Nel caso in cui il medico o l’odontoiatra sia convenzionato con una associazione di mutualita’ volontaria, ne puo’ dare informazione al pubblico.
E’ naturalmente possibile, per i medici o gli odontoiatri, partecipare via Internet a forum di discussione su argomenti sanitari che si svolgono fra i medici. Se invece il forum e’ libero (accessibile da chiunque), il medico che vi partecipa in qualita’ di "relatore" deve pretendere che il soggetto che ospita il forum abbia cura di avvertire l’utenza che la consulenza telematica non sostituisce la tradizionale visita medica (magari utilizzando la formula di avviso citata sopra)".

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Sorgenti di toxoplasmosi in donne gravide

In Europa, la toxoplasmosi congenita colpisce da 1 a 10 su 10000 neonati, dei quali tra l'1% e il 2% sviluppano difficoltà di apprendimento o muoiono, e tra il 4% e il 27% sviluppano lesioni oculari che portano a riduzione unilaterale permanente della vista. Una prevenzione efficace della toxoplasmosi congenita dipende dall'evitare l'infezione durante la gravidanza. L'infezione si acquisisce ingerendo cisti tissutali vitali contenute nella carne o oocisti eliminate dai gatti che contaminano l'ambiente.
Obiettivo
di questo studio caso-controllo è l'identificazione delle principali sorgenti di toxoplasmosi nelle donne in gravidanza.
Materiali e metodi.  Sono stati esaminati i casi di toxoplasmosi acuta in donne gravide diagnosticati tra gennaio 1994 e giugno 1995 in sei centri europei (Napoli, Losanna, Copenaghen, Oslo, Bruxelles, Milano). Le donne sono state indagate mediante un questionario riguardo età, parità, scolarità, viaggi all'estero, occupazioni a rischio elevato, esposizioni ambientali, contatto con gatti, consumo di acque non trattate, consumo di carni crude o poco cotte, verdure crude, carni stagionate, salumi, assaggio di carne cruda durante la cottura, lavoro nei campi o nel giardino con le mani nel terreno.
Risultati. Sono state arruolate 252 donne infette e 858 controlli. I fattori di rischio più fortemente predittivi di infezione acuta nelle donne gravide sono stati il consumo di agnello, manzo o selvaggina poco cotti, il contatto col terreno, e i viaggi all'estero al di fuori di Europa, Stati Uniti o Canada. Il contatto con gatti non era un fattore di rischio. Per il 30 - 63% le infezioni nei diversi centri sono state attribuite al consumo di carne poco cotta o affumicata, per il 6 - 17% al contatto col terreno.
Conclusioni. La carne poco cotta o affumicata è il principale fattore di rischio per l'infezione da toxoplasma in tutti i centri. Le strategie preventive dovrebbero cercare di ridurre la prevalenza di infezione nella carne, migliorare l'etichettatura della carne con l'indicazione dei metodi di allevamento e produzione, e migliorare la qualità e la quantità delle informazioni sanitarie date alle donne in gravidanza.
A. Schipani, da British medical Journal, 15 luglio 2000


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Prevenzione primaria della cardiopatia coronarica nelle donne mediante dieta e stile di vita

Premesse.
Sono stati identificati molti fattori di rischio per coronaropatia correlati allo stile di vita, ma poco si conosce riguardo il loro effetto sul rischio di malattia quando sono presi in considerazione insieme.
Metodi. Sono state seguite 84.129 donne del Nurses’ Health Study che, all’inizio dello studio, nel 1980, non erano affette da cardiopatie, cancro, o diabete. Periodicamente sono state raccolte e aggiornate informazioni su dieta e stile di vita. Nel corso di 14 anni di follow-up sono stati documentati 1128 eventi coronarici maggiori (296 morti per cardiopatia coronaria e 832 infarti non fatali). Sono stati definiti soggetti a basso rischio quelli non erano al momento fumatori, avevano un indice di massa corporea inferiore a 25, consumavano una media di almeno mezzo drink al giorno di una bevanda alcolica, praticavano attività fisica da moderata a vigorosa (per esempio camminare a passo svelto) per almeno mezz’ora al giorno, in media, e consumavano una dieta ricca in fibre, acidi grassi poliinsaturi e folati.
Risultati. Molti dei fattori erano correlati, ma ciascuno era predittore di rischio in maniera indipendente e significativa, anche dopo ulteriore aggiustamento per età, storia familiare, presenza o assenza di ipertensione o di colesterolo elevato, e condizione di menopausa. Le donne nella categoria a basso rischio (che corrispondevano al 3% della popolazione) avevano un rischio relativo di eventi coronarici di 0.17 (IC 95% = 0.07 – 0.41) in confronto a tutte le altre donne. L’82% degli eventi coronarici nella coorte in studio (IC 95% = 58 – 93%) si poteva attribuire alla non aderenza a questo profilo di basso rischio.
Conclusioni. Nelle donne, l’aderenza a uno stile di vita con linee guida comprendenti dieta, esercizio fisico e astinenza dal fumo è associata con un bassissimo rischio di cardiopatia coronarica.
A. Schipani, da New England Journal of Medicine, 6 luglio 2000

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Pillole di buonumore

Sesso: quante volte?

Scimpanze': 60 volte al giorno Toro: circa 30 volte al giorno
Leone: da 30 a 40 volte al giorno Arieti: 50 volte al giorno
Zibellino: 30 volte in 18 ore Fagiano di monte: 100 volte in 12 ore
Ratto delle chiaviche: fino a 500 volte in 6 ore.  

Da: M.Miersch "La bizzarra vita sessuale degli animali" N&C ed.


MINIPILLOLE


Fattori genetici nell'evoluzione dell'epatite C

E’ ampiamente noto come le forme di epatopatia da HCV si siano enormemente diffuse in questi ultimi anni. Si calcola che nel mondo siano colpite circa 240 milioni di persone. Nei casi persistenti o cronici si puo’ sviluppare cirrosi epatica dopo un periodo medio di 20 anni e in periodi piu’ lunghi sembra che diventi frequente l’insorgenza di cancro del fegato. Solo il 20% dei pazienti riesce a guarire eliminando il virus. E’ stata rilevata da piu’ parti l’importanza di studiare questi soggetti che guariscono naturalmente al fini di individuare i fattori che consentono l’eliminazione del virus e che sono probabilmente rappresentati da caratteristiche virali (genotipo, carica virale) e da fattori ospite (stato immunitario, tipo di trasmissione ecc.). Alcuni studi hanno dimostrato una mancata associazione dal decorso della malattia e gli alleli HLA di classe I mentre invece sembra che esista un’ associazione con gli alleli HLA di classe II che presentano gli antigeni ai linfociti CD4. Sembra che i pazienti che hanno maggior probabilita’ di eliminare il virus siano quelli che sviluppano una forte persistente risposta immunitaria anti HCV da parte dei linfociti CD4. Con uno studio multicentrico effettuato in diversi centri europei da alcuni studiosi inglesi si e’ rilevata l’influenza del genotipo del sistema maggiore di istocompatibilita’ di classe II sull’esito dell’infezione da HCV. Il lavoro dimostra che vi e’ un’influenza di fattori genetici nella capacita’ di un individuo di rispondere all’infezione da HCV e questo fattore genetico e’ situato nella regione HLA di classe II. Queste molecole HLA di classe II presentano antigeni virali ai linfociti T-Helper CD4 positivi. E’ tuttavia anche ipotizzato che vi sia associato un qualche altro gene di tipo immunoregulatorio ancora da indentificare. E’ quindi importante sviluppare questi studi.

Daniele Zamperini, (Lancet 354, 2119, 1999) da "Scienza e Management" n. 2 Marzo-Aprile 2000

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Meno grave di quanto si pensasse l'evoluzione dell'epatite C

E' stato pubblicato un interessante studio, curioso nella concezione, con cui L.B. Seer e coll. hanno voluto studiare il decorso a lungo termine nell’infezione da HCV. E’ un problema molto importante per le implicazioni terapeutiche e, dato l' elevato costo dei farmaci in uso, economiche; non e' tuttavia di semplice soluzione pratica, sia per le difficolta’ di una diagnosi precoce che per quella della necessita' di un follow-up suffientemente lungo. Occorre considerare infatti che sono passati poco piu' di dieci anni dalla scoperta e dall' isolamento del virus C; impossibile quindi valutare l' evoluzione della malattia in tempi piu' lunghi. Per aggirare questo problema gli autori hanno avuto l' idea di utilizzare sieri prelevati nel periodo postbellico (seconda guerra mondiale) ai militari di leva in occasione di uno studio sulla febbre reumatica e conservati, fino ad ora, congelati. Su questi sieri e’ stata determinata la presenza di anticorpi anti HCV. Sono stati riscontrati oltre 8000 casi con positivita’ anticorpale e di questi soggetti e’ stata ricostruita la storia clinica. E’ stata rilevata solo una modesta progressione verso la malattia cronica del fegato; nei soggetti deceduti e’ stato stabilito che il 6% erano deceduti per una malattia epatica mentre il 29% erano deceduti per cause extraepatiche. Sembrerebbe quindi che solo una piccola parte dei soggetti affetti per HCV progrediscano verso malattie gravi del fegato e verso il decesso per malattie epatiche Gli autori sottolineano questo aspetto, evidenziando che questo studio mostra una incidenza piu’ bassa di quanto generalmente ritenuto in conseguenza dell’infezione di HCV per aspetti che riguardano l' evoluzione verso la cirrosi o il cancro del fegato. Viene ribadita l’importanza di studiare i fattori dell’ospite che determinano il decorso a lungo termine della malattia, come alcuni fattori genetici ancora oggetto di studio. Anche l' eta’ giovanile e’ un noto fattore prognostico positivo e questo dato puo’ spiegare almeno in parte i dati ottimistici ottenuti in questo studio dato che la maggior parte dei casi inclusi nello studio avevano un’eta’ inferiore a 25 anni.

Daniele Zamperini; fonte: Annals off Internal Medicine 132,105, 2000

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Le irradiazioni locali prevengono le recidive di angioplastica

E' noto come le restenosi costituiscano una delle principali complicazioni e dei principali motivi di fallimento degli interventi di angioplastica coronarica, malgrado vengano usate numerose metodiche finalizzate ad impedire o almeno ritardare l' evento. Nel tentativo di individuare trattamenti efficaci a impedire le restenosi in pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica alcuni ricercatori hanno effettuato uno studio randomizzato per valutare se una irradiazione locale intracoronarica potesse rallentare o impedire tale processo. Sono stati percio’ esaminati in doppio cieco contro placebo 55 pazienti che, dopo un intervento di angioplastica avevano avuto una restenosi.
E’ stata effettuata una irradiazione della durata da 20 a 45 minuti dopo l’intervento e i soggetti sono stati seguiti per tre anni successivi. E’ stato rilevato come i soggetti trattati con irradiazioni hanno avuto meno episodi di stenosi e, conseguentemente, un numero inferiore di interventi di rivascolarizzazione. I risultati sono stati verificati da un esame angiografico che confermava la minore incidenza di recidive stenotiche nei soggetti trattati con irradiazione. Tale dato, affermano gli autori, confermano che l’irradiazione intracoronarica riduce il rischio e i suoi effetti permangono per lungo tempo.
Daniele Zamperini: fonte Teirsteine P.S. e al Circulation 2000; 101:360-5

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Asma, allergia, servizio militare

Come notato da tutti i Sanitari si e’ osservato in questi ultimi anni un enorme incremento delle patologie respiratorie su base allergica o comunque broncospastica.
In letteratura viene riportata una incidenza della rinite allergica, ad esempio, che va dal 10 al 20% della popolazione globale con tendenza ad un aumento negli ultimi decenni. Tale patologia viene ad assumere una notevole importanza in campo militare per quanto riguarda il Servizio Militare da prestare da parte di questi soggetti. Un nuovo "elenco delle imperfezioni e infermita’ causa di non idoneita’ al Servizio Militare" (D.M. 26 Marzo 99-Gazzetta Ufficiale n. 86 del 14/04/99) include tali patologie, in particolare asma e le allergie, incompatibili col Servizio Militare. Infatti l’art. 5 recita che "l’asma bronchiale allergica e le altre gravi allergie, anche in fase asintomatica, accertate con gli appropriati esami specialistico-strumentali, trascorso ove occorra il periodo di inabilita’ temporanea. Le gravi intolleranze idiosincrasiche a farmaci o alimenti anche in fase asintomatica, accertate con gli appropriati esami specialistico-strumentali, trascorso ove occorra il periodo di inabilita’ temporanea" costituiscono causa di inabilita’ al Servizio Militare.
Ne sono state poi pubblicate le direttive tecniche attuative di tale legge (Gazzetta Ufficiale n. 128 del 3/06/99) ove vengono specificate le procedure da seguire per individuare i soggetti allergici ed asmatici da considerare inabili al Servizio Militare. Vengono specificate una serie di indagini specialistico-strumentali tra cui la determinazioni delle IGE specifiche con metodica RAST o immunoenzimatica e, soprattutto, mediante il test di provocazione bronchiale con metacolina. In base a questi test vengono considerati incompatibili con il Servizio Militare tutti i soggetti allergici che manifestano una reattivita' bronchiale alla metacolina con PD 20 FEVI minore di 800 mcgr di metacolina. Tale metodica offre una maggiore tutela ai soggetti asmatici in quanto estende la non idoneita’ anche ai soggetti che abbiano una reattivita' bronchiale di grado moderato evitando quindi la possibilita’ di episodi e manifestazioni asmatiche nei giovani chiamati a compiere il Servizio Militare di leva. Sono anche esonerati dal Servizio Militare in quanto rientrante nell’art. 5 "i soggetti allergici stagionali riscontrati negativi alle prove di funzionalita’ respiratoria e a test di provocazione bronchiale con metacolina che risultino positivi allo stesso test durante la stagione di pollinosi". Questa disposizione supera il problema dei soggetti che presentavano periodiche riacutizzazioni non sempre strumentalmente rilevabili. Queste specificazioni di legge tutelano da una parte l’individuo e dall’altra lo Stato e dall’altra il medico militare consentendo di attuare dei criteri precisi e univoci che liberano dalla responsabilita’ e permettono di diagnosticare correntemente in un settore dove la simulazione e la dissimulazione possono essere facilmente attuate.
Daniele Zamperini. Fonte: Antiasma n. 10 Febbraio 2000

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Efficace la riabilitazione polmonare nella bronchite cronica ostruttiva

Vengono correntemente usati, nel trattamento dei pazienti affetti da BCO trattamenti di riabilitazione polmonare. Sono pochi pero’ gli studi che confermino la reale efficacia di tale strategia terapeutica. Al fine di valutarne l’effettiva efficacia di una riabilitazione ambulatoriale multidisciplinare, alcuni ricercatori britannici  hanno effettuato uno studio randomizzato su circa 200 pazienti basato su 18 incontri di riabilitazione nell’arco di 6 settimane e su normale trattamento medico standard. Per tutti i pazienti e’ stato valutato l’utilizzo dei Servizi Sanitari sulla base dei rapporti redatti dai medici di medicina generale e dalle strutture sanitarie. I dati dello studio hanno evidenziato che non esistono diversita’ sostanziali tra i due trattamenti per quanto riguarda il ricorso al ricovero ospedaliero pero’ differiscono notevolmente i tempi di degenza. Infatti il gruppo di pazienti trattati con riabilitazione ha necessitato di ricoveri di lunghezza media di 10,4 giorni; il gruppo trattato con trattamento medico standard ha avuto ricoveri mediamente di 21 giorni. E’ stata evidenziata anche una sostanziale differenza per quanto riguarda le visite domiciliari che nel gruppo trattato farmacologicamente sono stati circa il doppio rispetto al gruppo trattato con riabilitazione ambulatoriale. Complessivamente percio’ nei soggetti del primo gruppo si e’ registrato un miglioramento maggiore della sintomatologia, un migliore stato di salute generale, un minor ricorso ai Servizi Sanitari. Gli autori concludono percio’ che la riabilitazione polmonare sembra essere effettivamente una strategia efficace nei soggetti con BCO; che un intenso programma di questo genere sembra essere estremamente efficace sia nel breve che nel lungo termine e permette un notevole risparmi ai Servizi Sanitari. 
Daniele Zamperini. Fonte: Griffiths T.L. e al.Lancet 2000; 355:362-8)

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Troppa igiene favorisce le patologie bronchiali?

Uno studio italiano (Matricardi P.M. e al.) sembra avvalorare la credenza popolare che, nell’infanzia, sia necessario esporre i bambini agli agenti infettivi e agli stimoli ambientali per "rinforzarli" di piu’. Il senso popolare affermava infatti che tale esposizione avrebbe aumentato gli anticorpi e quindi le difese dell’organismo contro le patologie e le atopie in eta’ adulta. Lo studio citato, retrospettivo, e’ stato condotto su oltre 1.600 soggetti di eta’ compresa tra i 17 e i 24 anni. E’ stato osservato che individui che risultavano essere stati esposti, in eta’ infantile, a microbi orofecali e a microbi veicolati dagli alimenti risultavano affetti in percentuale significativamente minore da allergie respiratorie. E’ possibile percio’ che l’igiene ambientale e dietetica tipica della cultura occidentale abbia contribuito, almeno in parte, alla diffusione ampia dell’asma e delle riniti allergiche che attualmente si osserva nei paesi industriali. Trattandosi di uno studio retrospettivo sono necessari ulteriori studi ed ulteriori valutazioni, tuttavia i risultati suggeriscono che potrebbero essere utilizzati in futuro determinati microbi o derivati microbici per prevenire le malattie allergiche senza causare infezioni.
(B.M.J. 2000;320:412-7, scovato da DZ)

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Confermata l'efficacia dell'immunoterapia nella rinite allergica

Negli ultimi anni e’ stato osservato un notevole incremento della rinite allergica nei paesi occidentali: tale patologia affligge tra il 10 al 20% della popolazione ed inizia generalmente in eta’ pediatrica intorno a 10 anni e puo’ essere scatenata da pollini o da allergeni presenti in casa come la polvere. Contemporaneamente si e’ osservato un notevole incremento delle terapie proposte per tale patologia come gli antistaminici e ad uso sistemico, di nuova generazione, con limitati effetti secondari e i corticosteroidi per uso topico. Tali terapie sono senz’altro molto efficaci e riescono a controllare un’elevata percentuale di soggetti allergici tuttavia alcuni di questi soggetti non rispondono ai trattamenti farmacologici. Da molti anni e’ sempre stata usata l’immunoterapia desensibilizzante ma non tutti erano concordi nel considerarne positiva l’efficacia e soprattutto la permanenza nel tempo degli eventuali risultati positivi. E’ stato percio’ condotto uno studio randomizzato in doppio ceco con placebo su circa 1000 pazienti (Durham e coll.) che hanno effettuato una terapia desensibilizzante effettuata , com’e’ noto, in periodiche iniezioni sottocutanee dell’allergene a dosi sempre piu’ elevate seguite da un periodo di mantenimento con iniezione alla dose massima raggiunta. Non vi erano differenze significative tra chi sospendeva l’immunoterapia e chi la continuava. Secondo un editoriale commento sulla stessa rivista  viene dimostrato il fatto che l’immunoterapia praticata per 3 o 4 anni induce un miglioramento che persiste per almeno 3 anni dopo che il trattamento e’ stato sospeso e che forse tale miglioramento persiste piu’ a lungo, addirittura in via permanente. Gli autori hanno osservato anche modificazioni di alcuni parametri immunologici che sono tuttavia ancora da valutare. La immunoterapia dovrebbe essere consigliata in primo luogo ai pazienti che non tollerano interventi farmacologici o che non possono evitare l’esposizione agli allergeni. Esistono anche problemi di compliance in quanto non tutti i pazienti sono disponibili a una terapia che per anni comporta iniezioni a distanza di 1-6 settimana per alcuni anni. Non sono rari i casi in cui la terapia immunologica puo’ essere utilmente associata alla terapia supplementare farmacologica.
Daniele Zamperini, Fonte: NEJM 1 1999;341,468 e 522

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Interferenza fra piante medicinali e terapie farmacologiche

Sono documentate diverse possibili interferenze tra piante medicinale e terapie farmacologiche. Prendendo in esame alcune piante comunemente usate per il loro effetto sul sistema nervoso (sia esso ansiolitico o sedativo o stimolante) si osserva una potenziale interferenza con farmaci usati per disturbi neuropsichiatrici.
Ad esempio:
Interferiscono con le IMAO
Anice stellato e anice verde
Calamo aromatico (potenziante)
Fieno greco
Ginestra dei carbonai

Passiflora (potenziante)

Possibile interferenza con i sedativi:
Borsa pastore
Escolizia
Piscidia eritrina

Altre interferenze:
Biancospino: possibile potenziamento della digitale
ava-kava: possibile interferenza con i sedativi, alcool, barbiturici, benzodiazepine, altri psicofarmaci.
Luppolo: interferenza con farmaci sedativi e alcool
Ginseng: induzione di manie in depressi che usano contemporaneamente antidepressivi
Gugulipid: interferisce col diazepam (diminuisce biodisponibilita')
Iperico: Lieve sindrome serotoninica nell' associazione con sertralina; aumenta la concentrazione serica di teofillina, riduce la biodisponibilita' dell' Indinavir; interferisce con la ciclosporina.
Ortica: puo' potenziare i farmaci depressivi sul SNC.
Salice bianco, Spirea: possibile interazione con alcool, barbiturici, sedativi che aumentano tosicita' dei salicilati
Valeriana: potenziamento dei sedativi
Yoimbina: aumento di rischio ipertensivo se associata ai triciclici.

(Suozzi: Boll. O.M. Roma n.3 - 2000, riassunto da DZ)

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T3 elevato come fattore di rischio per eventi coronarici

L'ipertiroidismo è spesso accompagnato da alterazioni della funzione cardiaca quali aritmie e (in caso di preesistente cardiopatia) insufficienza cardiaca congestizia. Resta tuttavia non chiaro se l'ipertiroidismo comporta un'aumentata suscettibilità all'angina pectoris e all'infarto miocardico.
Metodi. Lo studio si basa sulla valutazione di 1049 pazienti della popolazione di Lubecca e dintorni, in Germania, di età dai 40 anni in su, presentatisi al dipartimento di emergenza tra l'1 gennaio e il 30 aprile 1995. Mediante prelievo di sangue è stata valutata la funzionalità tiroidea, che è stata confrontata con la frequenza di angina pectoris e infarto miocardico. Dopo 3 anni sono stati controllati 181 (= 98%) su 185 pazienti che inizialmente avevano presentato angina pectoris o infarto miocardico,  per verificare la comparsa di eventi coronarici successivi.
Risultati. All'ammissione in ospedale, angina pectoris e infarto miocardico erano notevolmente più frequenti in pazienti con fT3 e T3 totale elevate (Odds Ratio 0 2.6; 95% C.I. = 1.3 - 5.2; P = 0.007). Una fT3 iniziale elevata era un fattore di rischio per ulteriori eventi coronarici nel follow-up di 3 anni (Odds Ratio aggiustata = 4.8; 95% C.I. = 1.3 - 17.4; P = 0.02).
Conclusioni. Sembra che la Triiodotironina (= T3) elevata sia un fattore associato con lo sviluppo e la progressione di ischemia miocardica acuta.
Archives of Internal Medicine, 10 luglio 2000
(trad. e sintesi: A. Schipani)

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Depressione e diabete

La depressione è comune nei pazienti diabetici, ma non è stata mai fatta una revisione sistematica del rapporto tra depressione e controllo della glicemia. Obiettivo di questo studio è stabilire se la depressione sia associata con uno scarso controllo glicemico.
Materiali e metodi. E' stata effettuata una metanalisi di 24 studi che hanno preso in esame l'associazione tra depressione e controllo della glicemia.
Risultati. La depressione negli studi esaminati era associata in modo significativo con iperglicemia (P = 0.0001).
Conclusioni. La depressione è associata con uno scarso controllo della glicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 1 o di tipo 2. Sono necessari ulteriori studi per valutare gli effetti del trattamento antidepressivo sul controllo glicemico e sul decorso a lungo termine del diabete.
A. Schipani, da: Diabetes Care, luglio 2000

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Pillole di buonumore

Il Macaone giapponese (farfalla) realizza il sogno di alcuni maschi: esso e' infatti in grado di vedere con il suo organo genitale. Cellule nervose sensibili alla luce, collocate sulla punta dell' addome, distinguono luminosita' e buio. Gli e' pero' negata la possibilita' di riconoscere forma e colore, ma questo straordinario dispositivo e' sufficiente per individuare l' orifizio femminile. Il sensore ottico aiuta il macaone ad accoppiarsi con precisione nell' aria.
Da: M.Miersch "La bizzarra vita sessuale degli animali" N&C ed.


NEWS 

Scovate e raccolte da A. Schipani.


In arrivo la super-vista
20 decimi e una nitidezza di visione finora sconosciute grazie all'ottica adattativa
20.06.2000 – Le Scienze - L'ottica adattativa, una tecnologia utilizzata nell'ultima generazione di telescopi, promette di calarsi nel quotidiano di tutti noi, per aiutare chi ha problemi di vista e per portare le capacità visive normali a livelli finora sconosciuti.
Uno studio sull'argomento è stato presentato all'ultimo congresso della American Astronomical Society da David Williams, ricercatore presso l'Università di Rochester, che da anni sta cercando il modo di realizzare quella che, adottando una terminologia da fumetti, potrebbe essere definita super-vista. Anche se le ricerche sono ancora in una fase preliminare, il mercato dimostra di prenderle molto sul serio. Infatti Bausch&Lomb, gigante industriale nel settore dell'ottica, sta affiancando a Williams un gruppo di lavoro che fa capo a Scott MacRae, specialista di fama mondiale di chirurgia rifrattiva e studi sulla cornea.
In ambito astronomico, l'ottica adattativa è un sistema che permette rapidissime correzioni di focale, per compensare la turbolenza atmosferica che deteriora la luce proveniente dallo spazio.
Il metodo sviluppato da Williams consiste nel dirigere un raggio, inoffensivo ed estremamente sottile, verso l'occhio umano per poi misurarne la luce riflessa. Se ne ricava una mappa oculare molto dettagliata; spezzata in 217 raggi laser, la luce viene poi inviata a un sensore che analizza le deviazioni di ogni singolo raggio e permette di rilevare le più piccole imperfezioni dell'occhio. L'ottica adattativa entra in gioco nel momento in cui queste misurazioni vengono utilizzate per deformare uno specchio flessibile, che è in grado di modificare forma e caratteristiche a seconda dello specifico occhio analizzato. Lo specchio utilizzato nella ricerca ha un diametro di due pollici e può curvarsi con la precisione di un paio di micrometri, grazie a 37 pistoni controllati da un computer. In tal modo le più piccole distorsioni dell'occhio possono essere compensate: oltre a misurare 65 diversi tipi di aberrazione e difetti tanto impercettibili che i medici non ne conoscevano neppure l'esistenza, il sistema può aumentare fino a 20 decimi l'acutezza dell'occhio umano e migliorare fino a sei volte la capacità di percepire i contrasti. Un ulteriore vantaggio è che le lenti più adatte a ciascuno potranno essere individuate in modo completamente automatico, eliminando quelle lunghe sedute da un oculista che chiede di provare decine di lenti diverse.
Renato Torlaschi

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Un antibiotico per una malattia genetica
L’antibiotico minociclina rallenta la degenerazione neuronale e la mortalità nei topi affetti dalla malattia di Huntington: nuove prospettive di terapia dell’omologa malattia umana
28.06.2000 – Le Scienze - Il concetto che gli antibiotici siano destinati soltanto alla cura delle malattie infettive sembra essere definitivamente sorpassato. Gli «effetti collaterali» indotti da alcune molecole antibiotiche possono infatti essere favorevolmente sfruttati per la terapia di malattie che non hanno origine infettiva. Dopo la gentamicina nella distrofia muscolare di Duchenne e le tetracicline nella terapia degli infarti è la volta della minociclina, testata per la prima volta su un modello murino della malattia di Huntington, che con i batteri non ha proprio niente a che fare. Si tratta di una malattia genetica caratterizzata da una mutazione nel cosiddetto gene di Huntington. La mutazione è dominante, che significa che anche una sola copia del gene mutato è sufficiente a scatenare la malattia, che si manifesta con una degenerazione progressiva dei neuroni di alcune zone cerebrali. Nonostante lo sforzo nella caratterizzazione dei meccanismi molecolari, per questa malattia non esiste una terapia efficace. Arriva oggi una speranza dall’utilizzo dell’antibiotico minociclina, testata per adesso soltanto sui topi dal gruppo di ricerca della Harvard Medical School di Boston diretto da Robert Friedlander, che ne riporta il successo su «Nature Medicine». Dopo alcune settimane di trattamento, la minocliclina si è dimostrata in grado di rallentare la degenerazione neuronale e di prolungare significativamente la sopravvivenza dei topi trattati con un meccanismo che sembra dipendere dalla inibizione del processo di «autodistruzione cellulare», tecnicamente definita come «apoptosi». L’apoptosi è un meccanismo naturale destinato a proteggere l’organismo dallo sviluppo di cellule anomale. Quando una cellula non è regolare, una serie di segnali chimici innescano una reazione a catena che induce la cellula ad autodistruggersi. Alcuni importanti enzimi che controllano questo meccanismo si chiamano «caspasi» e sono generalmente tenute sotto stretto controllo, ma in alcune malattie vengono accidentalmente attivate provocando una involontaria quanto dannosa degenerazione. La minociclina sembra capace di inibire l’azione di questo pericoloso enzima e preservare l’integrità dei neuroni. Dato che la minociclina è un antibiotico sicuro e ben caratterizzato, c’è da attendersi che questo studio, benché preliminare, apra la strada a una futura sperimentazione che potrebbe portare una luce di speranza ai pazienti affetti da questa inesorabile malattia.
Barbara Bernardini

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La proteina dei ricordi
Il suo ruolo potrebbe avere implicazioni anche in alcuni disturbi psichiatrici
29.06.2000 – Le Scienze - I fenomeni come l’apprendimento e la memoria sono determinati da fattori ambientali e genetici che sono ancora in gran parte sconosciuti. Un nuovo elemento per la comprensione di come funziona questo complesso sistema giunge da uno studio apparso nell’ultimo numero di «Science»: sarebbe la presenza di una proteina, chiamata NPAS2, a consentire la memoria a lungo termine e, secondo quanto sostenuto dagli studiosi, a influenzare anche altre importanti funzioni quali l’apprendimento e alcune capacità cognitive. Lo studio giunge dall’Università del Texas a Dallas, dove i ricercatori hanno osservato il comportamento dei topi in presenza e in assenza della proteina NPAS2, espressa nei tessuti cerebrali. «I topi che non hanno un normale livello della proteina NPAS2 mostrano una diminuita memoria a lungo temine per luoghi, odori o suoni associati a situazioni di pericolo» spiega Joseph Garcia, a capo dello studio.
Per giungere a questa definizione, i ricercatori hanno insegnato a topi con e senza la proteina ad associare a un ambiente e a uno specifico suono una leggera scossa elettrica e osservando la loro capacità di ricordare l’associazione a distanza di tempo. In pratica, i topi venivano rimessi nello stesso ambiente, o in un ambiente diverso ma in presenza dello stesso suono, a distanze di tempo diverse dalla stimolazione iniziale: ebbene, 24 ore dopo la stimolazione i topi privi della proteina mostravano un comportamento molto meno reattivo rispetto ai topi che la esprimono; non apparivano invece differenze tra i due gruppi se l’esperimento veniva effettuato solo 30 minuti dopo la stimolazione, a indicare che la presenza della proteina avrebbe effetto solo sulla memoria a lungo termine.
«Questa situazione potrebbe avere implicazioni anche per l’uomo, nella capacità di apprendimento e memoria, ma anche per alcuni disordini psichiatrici, come l’autismo, la depressione e il ritardo mentale» sostiene Garcia. Se si considera inoltre che NPAS2 sembra essere in qualche modo associata alla regolazione dei ritmi circadiani di sonno-veglia, secondo i ricercatori questo potrebbe significare che il ruolo svolto dalla proteina si realizzarebbe mediante la regolazione dell’espressione ritmica di specifici geni implicati nelle funzioni cognitive.
Patrizia Pisarra

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In arrivo la retina artificiale
Inventata da Alan Chow, della Optobionics Corporation, è stata impiantata con successo a pazienti resi ormai ciechi dalla retinite pigmentosa
13.07.2000 – Le Scienze - Fino a oggi chi soffriva di malattie degenerative della retina, come la retinite pigmentosa, era condannato a una progressiva cecità, via via che le cellule dello strato sensibile dell'occhio diventavano incapaci di trasformare la luce in impulsi nervosi destinati al cervello. Un gruppo di ricerca dell'Università dell'Illinois a Chicago hanno tentato un fantascientifico trattamento di questo tipo di malattia, facendo aiutare la retina malata da un dispositivo artificiale. La retina artificiale è stata inventata da Alan Chow, proprietario della Optobionics Corporation, mentre l'operazione per impiantarla è stata condotta da due oftalmologi di Chicago, Gholam Peyman e Jose Pulido. Il prototipo di retina artificiale consiste in un disco del diametro di tre millimetri e spesso un decimo di un capello, che contiene 3500 minuscole celle solari al silicio, in grado di trasformare la luce che le colpisce in un impulso elettrico.
Attraverso una minuscola apertura nella cornea i chirurghi si sono fatti strada attraverso l'interno gelatinoso dell'occhio, aspirandone una minima parte con una pompa, fino a raggiungere il fondo del bulbo e la parte periferica della retina. Dietro alla retina è stata iniettata una piccola quantità di aria, sollevandola dal fondo, e nella bolla è stata introdotta la retina artificiale. La gelatina asportata dall'occhio è stata sostituita con soluzione salina e l'incisione di accesso medicata.
L'operazione è stata condotta con tecniche così poco invasive che dopo un paio d'ore i pazienti che hanno ricevuto l'impianto, tre persone fra i 45 ed i 75 anni ormai rese cieche o semicieche dalla malattia, hanno potuto lasciare l'ospedale. Nei giorni successivi all'intervento l'aria e la soluzione salina immesse nell'occhio operato dovrebbero essere riassorbite ed entro un mese, sperano i ricercatori, la retina artificiale dovrebbe iniziare a stimolare elettricamente le cellule della retina malata, permettendogli di svolgere nuovamente il loro compito e le persone operate dovrebbero quindi ricominciare a vedere qualcosa con quella piccola porzione di retina.
Secondo il chirurgo Peyman, ridare la vista alle persone rese cieche da una malattia degenerativa della retina era il Santo Graal degli oftalmologi, se l'impianto inventato da Chow funzionerà e dimostrerà di essere ben tollerato dall'occhio questo Santo Graal sarà stato finalmente trovato.
Alessandro Saragosa

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 Il «filo conduttore» della morte neuronale
La possibilità di recupero della funzionalità neuronale non diminuirebbe con l’età
20.07.2000 – Le Scienze - Ci potrebbe essere una strada comune alla base delle malattie degenerative del sistema nervoso. Benché Alzheimer e Parkinson siano infatti patologie ben distinte nel meccanismo biochimico e nel decorso, sono entrambe caratterizzate da una progressiva neurodegenerazione, ovvero dalla morte cellulare in alcune zone del sistema nervoso. Ma fino a che punto questa caratteristica può accomunare malattie così diverse? Alcuni scienziati dell’Università di Toronto sono andati in cerca di un minimo comune denominatore che colleghi la malattia di Parkinson, l’Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica e altre malattie neurodegenerative. Lo studio, diretto da Geoff Clarcke, si basa sull’elaborazione complessiva di dati provenienti da vari laboratori di ricerca ed è stato pubblicato su «Nature». I ricercatori spiegano che le mutazioni genetiche associate alle varie malattie sono in genere ben caratterizzate, così come le proteine anomale a cui questi errori genetici danno origine. In generale, in queste malattie si osserva l’ accumulo di una proteina, come nel caso dell’amiloide nell’Alzheimer, che si ritiene responsabile della morte cellulare. Finora, gli scienziati spiegavano questo fenomeno con la «teoria cumulativa», che prevede che il crescente accumulo di materiale tossico nelle cellule conduca progressivamente all’innesco della morte cellulare. Secondo questo modello, con l’avanzare dell’età, il numero dei neuroni perduti va mano a mano aumentando, seguendo un profilo sigmoidale. Clarcke e colleghi hanno invece ipotizzato che nella popolazione neuronale la probabilità di morte rimanga costante, il che comporta una perdita cellulare che segue un andamento esponenziale. Cioè se i neuroni muoiono in maniera casuale, indipendentemente dal materiale accumulato, se in un anno sono rimaste metà delle cellule, dopo due anni ne rimarranno un quarto e così via. L’elaborazione dei dati sembra avere dato loro ragione: in tutte le malattie degenerative analizzate, la morte neuronale sembra rispondere a perfette curve esponenziali, contraddicendo la teoria dell’accumulo. Questo elegante studio indica che tutte le malattie analizzate seguirebbero un profilo di neurodegenerazione simile, indipendentemente dal meccanismo biochimico che le caratterizza. Clarke definisce i neuroni ammalati in uno stato stazionario detto mutant steady state in cui la probabilità di morte è notevolmente aumentata, ma l’implicazione più importante dello studio consiste nel fatto che, se i neuroni muoiono in maniera casuale ogni anno, l’età del paziente avrebbe relativamente poco peso nella possibilità di recupero dei neuroni attraverso terapie farmacologiche, aprendo la strada a un dibattito sulle future strategie di intervento.
Barbara Bernardini

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Fumo e tumori
Il fumo è un fattore di rischio indipendente nei tumori del colon-retto insieme con alimentazione ed ereditarietà.

28.07.2000 – Le Scienze - Un motivo un più per smettere di fumare? Eccolo: il fumo fa aumentare il rischio di insorgenza del tumore del colon-retto, ai vertici della classifica delle cause di morte per tumore. Lo dimostra il risultato di uno studio coorte apparso nell’ultimo numero di Journal of the National Cancer Institute.
I circa 22 mila partecipanti, tutti medici di sesso maschile statunitensi in età tra 40 e 84 anni, sono stati reclutati nel 1982, quando lo studio è iniziato, e seguiti fino al 1995. Dopo l’anamnesi iniziale, essi sono stati tenuti in osservazione dunque per circa 13 anni, durante i quali erano previste visite a scadenze precise, questionari da compilare sul consumo di sigarette e analisi cliniche per monitorare l’insorgenza dello specifico tumore.
Al termine dello studio è stato possibile confrontare e analizzare i dati a disposizione, dividendo i partecipanti in diversi gruppi, costituiti da coloro che non avevano mai fumato, da quelli che avevano smesso in età giovane o in età più avanzata e dagli assidui fumatori, tenendo anche conto della quantità di sigarette consumate. L’elaborazione dei dati ha rivelato che i fumatori «incalliti» risultano avere quasi il doppio di rischio di sviluppare il tumore colorettale rispetto ai non fumatori e che l’incidenza della neoplasia sembra rispecchiare la quantità di sigarette consumate.
Dai risultati ottenuti il fumo è risultato essere un fattore di rischio indipendente per il tumore del colon-retto: è facoltativo dunque aggiungerlo agli altri fattori finora identificati.
Patrizia Pisarra

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Morte in culla: scoperta causa genetica responsabile
Milano, 28 luglio (Adnkronos) - Si chiama SCN5A, e' un gene e la sua alterazione, responsabile di un'aritmia fatale, potrebbe essere coinvolta nella SIDS (Sudden Infant Death Syndrome), meglio nota come 'morte in culla'. Il contributo alla comprensione del 'killer' silenzioso, che solo in Italia uccide dai 400 ai 500 neonati ogni anno, viene da un'equipe di cardiologi del Policlinico S. Matteo e della Fondazione Maugeri di Pavia, coordinati rispettivamente dal professor Peter J. Schwartz e dalla dottoressa Silvia Priori. Dal tracciato elettrocardiografico di un bambino di 7 settimane 'strappato' alla Sids quando gia' era in stato di arresto cardiaco da fibrillazione ventricolare, i ricercatori pavesi hanno evidenziato un intervallo Q-T (che indica la durata dell'attivita' elettrica cardiaca) piu' lungo del normale. Non solo: il bimbo mostrava anche un'anomalia a livello del gene SCN5A, gia' implicato nella sindrome del QT lungo, un disturbo cardiaco che rappresenta una delle principali cause di morte improvvisa nei primi vent'anni di vita. L'analisi del gene SCN5A, che e' risultato mutato nel bambino sopravvissuto alla SIDS, ha cosi' confermato l'origine comune delle due patologie.
''E' chiaro ora - ha commentato Schwartz - che la sindrome del QT lungo e una parte dei casi di SIDS non sono altro che manifestazioni piu' o meno precoci della stessa malattia. Mentre pero' la sindrome del QT lungo ha carattere familiare, nella SIDS le stesse mutazioni non vengono necessariamente ereditate dai genitori, ma possono comparire spontaneamente nel nascituro''.

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Alimenti: formaggio “miniera” di fosforo più del pesce
Roma, 28 luglio (Adnkronos ) - Per fare il pieno di fosforo, meglio una bella fetta di formaggio piuttosto di un bel pesce fresco. Emmenthal, parmigiano e pecorino sono infatti piu' ricchi di questo minerale rispetto a tutte le varieta' ittiche marine e lacustri, nonostante le 'convizioni della nonna'. Lo rivela l'ultimo numero di ''Salve'', che fa il punto sul pesce e le sue virtu', sfatando il mito che indica nel pesce una vera 'miniera' di fosforo. In particolare, in 100 grammi di Emmenthal troviamo 810 mg di fosforo, contro gli appena 220 mg presenti in 100 grammi di sogliola. A parita' di peso, il primo pesce in classifica e' superato da parmigiano (770 mg) e pecorino (530 mg), oltre ad essere 'insidiato' dal tuorlo d'uovo (210 mg).
Se il fosforo, che entra nella costituzione di componenti fondamentali delle membrane cellulari, e' utile per la memoria, ecco che fra le possibili 'fonti' non sfigurano carne bovina (200 mg) e pollo (200 mg), entrambi piu' ricchi di questo minerale rispetto al piu' celebre merluzzo (195 mg).

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Influenza: già pronto in vaccino per la prossima stagione
Milano, 1 agosto - (Adnkronos) - E' pronto il vaccino contro l'influenza protagonista del prossimo inverno, la 'russocinese': stimolera' le risposte immunitarie dell'organismo contro antigeni dei ceppi virali A Mosca 10/99 (H3N2), A Nuova Caledonia 20/99 (H1N1) e B Pechino 184/93. A dare l'annuncio, come riporta il giornale online del portale saluteitalia.net, sono i Centers for Disease Control di Atlanta.
Il vaccino, che comprende anche una piccola quota di antigeni individuati in Oceania, e' leggermente diverso da quello dello scorso inverno, visto che gli osservatori epidemiologici hanno rilevato casi di influenza causati da virus di origine diversa, come la 'russa'.
Secondo le previsioni degli esperti, gli italiani vittime dell'influenza saranno circa 4 milioni e mezzo, come e' accaduto lo scorso anno. Il virus dovrebbe fare la sua comparsa nel nostro Paese fra la fine del 2000 e l'inizio del 2001: gli esperti consigliano di vaccinarsi fra meta' ottobre e fine novembre, per dare tempo al corpo di preparare gli anticorpi necessari a combattere il virus.

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Pelle: più trasparente e pura con “impacchi” di cocomero
Roma, 1 agosto (Adnkronos) -
Una pelle trasparente e priva di impurita' dopo i 'bagni di sole', grazie ad impacchi di cocomero. Per la bellezza del viso e del corpo si deve strofinare sulla pelle la parte bianca del frutto del cocomero (Cucumis citrullus), posta fra la polpa e la buccia. Coltivato fin dai tempi piu' antichi da molte popolazioni mediterranee tra cui egizi, greci e romani, il cocomero ha una polpa succosa e zuccherina, formata per il 90% di acqua, l'8% di zuccheri e una piccola quantita' di proteine.
Una tentazione alla quale e' possibile arrendersi senza catastrofiche conseguenze sulla bilancia, nota per la sua azione diuretica e quella -attribuita dalla tradizione- di attivare la funzione intestinale.

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APPROFONDIMENTI

Il miglior uso del PSA nella pratica medica
Traduzione di Bruno Dell'Aquila

Il cancro della prostata è la più comune forma di cancro non cutaneo nella popolazione maschile degli Stati Uniti.  Nonostante la sua elevata prevalenza, la storia naturale di questa malattia è molto eterogenea. In molti pazienti il cancro progredisce lentamente, evolvendo in tumori scarsamente o moderatamente differenziati che rimangono localizzati nella ghiandola prostatica. Nonostante la loro potenziale pericolosità, tali cancri sono spesso curabili. In altri pazienti, al contrario, la crescita tumorale è rapida e può estendersi oltre i confini della prostata. In tali casi il cancro non è curabile, e la sopravvivenza a lungo termine è compromessa. Le strategie di gestione del cancro prostatico sono state indirizzate pertanto verso la diagnosi precoce e il trattamento locale. L’antigene specifico prostatico (PSA) è un marker tumorale correntemente usato per diagnosi precoce del cancro della prostata. Il dosaggio del PSA ha importanti applicazioni cliniche nella gestione di altre malattie prostatiche, ma lo scopo di questo articolo è di fornire informazioni aggiornate sull’uso del PSA come test per: (1) valutazione degli uomini a rischio per il cancro della prostata, (2) supporto nello staging prima del trattamento, e (3) monitoraggio e gestione dopo il trattamento. Il testo seguente è basato su una revisione della letteratura e sull’opinione di esperti di un consesso multidisciplinare convenuto presso l’American Urological Association (AUA). Si intende così fornire una risorsa per specialisti e medici di medicina generale.
Introduzione
L’antigene specifico prostatico (PSA) è una glicoproteina prodotta principalmente dalle cellule epiteliali che disegnano gli acini e i dotti della ghiandola prostatica. Il PSA è concentrato nel tessuto prostatico, e il livello sierico è normalmente molto basso. Lo sconvolgimento della normale architettura prostatica, quale si verifica in corso di una malattia della prostata, permette a grandi quantità di PSA di raggiungere la circolazione generale. L’innalzamento del livello sierico di PSA è divenuto un importante marcatore di patologia prostatica – che include l’iperplasia benigna della prostata, la prostatite, e specialmente il cancro della prostata, che è l’argomento di questo documento. La neoplasia intraepiteliale prostatica (PIN) non sembra innalzare i livelli sierici di PSA. [1]
L’uso del PSA per la diagnosi precoce del cancro prostatico.
Il cancro prostatico è la più comune forma di neoplasia non cutanea, e la seconda causa di morte negli uomini degli Stati Uniti, facendo registrare oltre 30000 morti nel 1999 (American Cancer Society). La storia naturale di questa patologia è notevolmente eterogenea e ancora non ben compresa. Studi autoptici hanno mostrato che circa un terzo degli uomini oltre i 50 anni ha evidenza istologica di cancro prostatico, con oltre l’80% di questi tumori a livello microscopico, o insignificanti dal punto di vista clinico. Fortunatamente solo il 3% circa degli uomini muore per questa malattia. [2-4] Alcuni studi hanno mostrato che un gran numero di pazienti, con cancro prostatico clinicamente localizzato alla diagnosi, che non riceve un trattamento precoce aggressivo ottiene comunque buoni risultati e normale aspettativa di vita.[4] Molti di questi studi includono una popolazione più anziana e una più larga proporzione di tumori di basso grado che in quelli concernente soggetti sottoposti a trattamento. Questa disparità tra l’alto tasso di prevalenza del cancro prostatico e il rischio relativamente basso di mortalità evidenzia la difficoltà nel distinguere tra i cancri pericolosi e quelli che non lo sono. Il dosaggio del PSA è una delle numerose misure utilizzate per identificare i tumori ad alto rischio (figura 1) Altre strumenti comprendono: punteggio di Gleason, stadiazione clinica, e stima dell’aspettativa di vita del paziente.[5,6] Data la variabilità biologica del cancro prostatico, e la mancanza di un trial attendibile, l’uso del PSA nella diagnosi precoce rimane controverso.[7]

  1. L’obiettivo della diagnosi precoce del cancro prostatico.
  2. L’obiettivo della diagnosi precoce è di identificare quei pazienti che possono trarre vantaggio da un trattamento tempestivo. Il rischio di morte per cancro prostatico può essere significativo, specie nei pazienti più giovani con tumori di grado elevato o medio. Alcuni studi hanno mostrato che la sopravvivenza a lungo termine è considerevolmente diminuita in quei pazienti in cui il cancro si è diffuso oltre i confini della prostata ai linfonodi regionali, o in sedi più distanti.

  3. La proporzione di cancro prostatico clinicamente significativo diagnosticato con il PSA è sconosciuta.
  4. Non c’è attualmente una definizione universalmente accettata sulla significatività o non significatività clinica del cancro prostatico. Tale determinazione dovrebbe essere ottenuta in modo non invasivo, permettendo una decisione accurata per evitare una terapia aggressiva in certi pazienti. Studi precedenti hanno posto l’accento sul volume tumorale, stato dei margini chirurgici, staging patologico, grading istologico.[8-12] Il grado tumorale sembra essere il più importante fattore prognostico, benché questo elemento di valutazione, anche se determinato su più campioni bioptici è soggetto ad errori di campionatura.[8-9]
    Il sistema più comunemente usato attualmente è il sistema di gradazione di Gleason basato su criteri architetturali.[13] Gli anatomopatologi assegnano un grado primario da 1 a 5, con 5 indicante il più aggressivo, alla struttura che occupa la porzione maggiore del campione. Un grado secondario è assegnato alla struttura occupante la seconda maggior porzione. Questi due gradi sono sommati per determinare il punteggio di Gleason che può andare da 2 a 10. C’è accordo generale che tumori con un punteggio da 2 a 4 hanno bassa aggressività biologica, da 5 a 6 intermedia, e quelli da 7 a 10 sono tumori biologicamente aggressivi.[14]
    Un volume tumorale superiore a 0.5 mL (caratteristica di circa un quinto dei cancri prostatici scoperti incidentalmente in corso di autopsia) è considerato da molti esperti predittivo di significato clinico. I tumori tra 0.5 e 1.9 mL sembrano produrre sufficienti quantità di PSA da eccedere i valori normali e iniziano a mostrare un estensione oltre la prostata.[15-17] Nessun metodo diagnostico per immagini attualmente disponibile può fornire una misura attendibile del volume tumorale.[18]
    Numerosi studi hanno mostrato che una larga parte dei tumori indagati attraverso la misurazione del PSA sono verosimilmente importanti dal punto di vista clinico, ma anche che la misurazione del PSA è poco probabile che evidenzi i più frequenti cancri istologici di piccolo volume [7-19-20] Solamente una piccola proporzione di tumori prostatici diagnosticati con il PSA e trattati con prostatectomia radicale sono stati in seguito trovati insignificanti dal punto di vista clinico (p.es. molto piccoli o di basso grado).[9-19-22]
    Circa un terzo dei tumori trovati attraverso gli sforzi di diagnosi precoce mediante il PSA, e trattati chirurgicamente, hanno evidenza di estensione extracapsulare, istologia mal differenziata, grosso sviluppo tumorale, o metastasi a distanza.[9-19-21] Ciò nonostante, queste caratteristiche non sempre indicano un esito nefasto di questa malattia, ma si correlano con una maggiore probabilità di progressione della malattia. Inoltre, studi autoptici hanno riscontrato penetrazione capsulare, invasione linfonodale, e tumori scarsamente differenziati in un limitato numero di pazienti senza sospetto di cancro prostatico.[4] Dati recenti suggeriscono che una combinazione di dati preoperatori, come i livelli di PSA, lo stadio clinico, e il punteggio di Gleason dalla biopsia, può significativamente aumentare la capacità di predire il reale stadio patologico.[23] Il valore di tale combinazione, comunque, per le decisioni cliniche per ogni singolo paziente rimane incerto.

  5. La misurazione del PSA diagnostica più tumori dell’esplorazione rettale (DRE), e li diagnostica più precocemente. Comunque il più sensibile metodo per la diagnosi precoce del cancro prostatico usa sia la DRE sia il PSA. Entrambi i test dovrebbero essere utilizzati in un programma di diagnosi precoce.
  6. Prima dell’uso del PSA per la diagnosi precoce del cancro prostatico, l’esplorazione rettale digitale indagava un numero molto inferiore di tumori. E’ generalmente riconosciuto che l’enorme incremento (circa l’82% negli uomini sopra i 65 anni di età) nella diagnosi di cancro prostatico tra il 1986 e il 1991è dovuto all’incremento dell’uso del PSA.[24,25] Tra i cancri attualmente diagnosticati, circa il 75% ha un PSA anormale. Durante l’era precedente il PSA (prima del 1986-1987) almeno il 35% di quei pazienti che si pensava avessero un cancro confinato alla prostata, in realtà avevano positività linfonodale, e i due terzi soffrivano di una malattia avanzata[26-27] Attualmente i coinvolgimento linfonodale è riscontrato in meno del 5% dei pazienti, e c’è evidenza che la misurazione seriale del PSA (ad esempio annuale) ha portato ad una diminuzione del numero di pazienti con malattia allo stadio avanzato.[23-28].

    La misurazione del PSA diagnostica pertanto più tumori di quanto non faccia l’esplorazione rettale, e li diagnostica più precocemente. Anche se molti di questi tumori hanno caratteristiche aggressive, alcuni possono crescere così lentamente da non costituire un rischio per il paziente. Fino ad oggi non c’è modo di distinguere con certezza quei tumori che non sono pericolosi da quelli che lo sono.[21-29]
    Il PSA è attualmente il miglior test per la diagnosi precoce del cancro della prostata, ma la combinazione del PSA con la DRE è migliore, poiché la DRE può individuare alcuni tumori in pazienti che hanno un cancro prostatico con PSA nella norma.[4-30] L’ultrasonografia transrettale non è un utile test per la diagnosi precoce del cancro prostatico e aggiunge poco alla combinazione del PSA e della DRE.[4-30]
    Tre diversi studi non controllati, che hanno permesso di avere un paragone diretto tra i risultati del PSA e della DRE, suggeriscono che la combinazione di entrambi i test migliora la diagnosi precoce del cancro prostatico rispetto a ognuno dei due test usati isolatamente.[31-33] In questi studi dei volontari sono stati studiati uniformemente sia con PSA che con DRE. Dal 18% al 26% dei pazienti erano positivi per un test. Il cancro fu riscontrato nel 3,5-4,0% dei pazienti. Sebbene il PSA abbia identificato un maggior numero di cancri della DRE, sia il PSA che la DRE hanno identificato cancri non rilevati dall’altro test. Per inciso: circa il 20% dei cancri con caratteristiche aggressive furono trovati in pazienti in cui i livelli di PSA erano inferiori a 4ng/mL.[31]
    C’è una chiara evidenza che sia il PSA che la DRE devono essere inclusi in ogni programma di diagnosi precoce del cancro prostatico. Comunque il valore di determinazioni in serie di tali test in pazienti normali al primo esame è sconosciuto.[4] C’è evidenza che la determinazione in serie del PSA ha ridotto il riscontro di cancri in stadio avanzato[28]

  7. Una varietà di fattori possono modificare il PSA e devono essere considerati nell’interpretazione dei risultati
  8. Le tre più comuni malattie della prostata (prostatite, ipertrofia prostatica benigna- BPH-, e cancro prostatico) possono essere associate ad elevazione dei livelli di PSA. Altri fattori che causano un innalzamento secondario dei livelli di PSA, includono: attività fisica, infezioni e/o farmaci. Alcuni farmaci possono anche sopprimere i livelli di PSA. E’ perciò importante raccogliere un’accurata anamnesi prima di determinare il valore del PSA nei pazienti.[34-35] La castrazione chirurgica o farmacologica (con LHRH agonisti o farmaci anti-androgeni) possono diminuire considerevolmente il PSA. La finasteride, usata per il trattamento della BPH o dell’alopecia androgenetica può abbassare il PSA in media del 50%.[34]
    Vari fitofarmaci possono modificare il PSA. Si ipotizza che l’estratto di Serenoa Repens, frequentemente usato per le affezioni prostatiche, possa inibire la 5-alfa-reduttasi, ma in un esteso trial randomizzato non è stato evidenziato alcun effetto sul PSA.[35] Il composto erboristico PC SPES ha dimostrato di poter diminuire il PSA in una piccola serie di pazienti. Dal momento che molti pazienti usano supplementi erboristici, è bene che l’uso di tali prodotti sia rilevato anamnesticamente prima di determinare il PSA. E’ stato riportato che sia la DRE che la eiaculazione possono incrementare i livelli di PSA, ma alcuni studi hanno mostrato che tale effetto è variabile e non significativo.[36] Per questa ragione la misurazione del PSA può essere eseguita con ragionevole accuratezza anche dopo l’esplorazione rettale.[37] La biopsia prostatica e la cistoscopia, al contrario, possono causare elevazione del PSA, la cui misurazione deve essere rinviata di 3 o 4 settimane.[37]

  9. Studi di specificità e sensibilità del PSA: sebbene esistano sia metodi per migliorare la diagnosi precoce del cancro prostatico e/o diminuire il numero di biopsie prostatiche non necessarie, questi metodi comportano una scelta di indirizzo e devono essere discussi con il paziente.   
  10. Dal punto di vista del paziente che deve sottoporsi alla misurazione del PSA per la diagnosi precoce del cancro prostatico, possono essere poste due importanti domande:

        1. Che probabilità c’è che, se io ho il cancro, il test lo riconosca?
        2. Che probabilità c’è che, se io non ho il cancro, il test ne suggerisca la presenza?

    La misurazione del PSA (V.N.<4,0 ng/mL) ha una sensibilità compresa tra il 67,5% e l’80%.[38-39] In altre parole, circa il 20-30% dei tumori non sarà diagnosticato se il PSA è usato da solo. Un modo per migliorare la sensibilità è di modificare il range dei valori normali a un valore più basso per gli uomini più giovani (PSA correlato all’età). I quarantenni, ad esempio, dovrebbero avere un valore di 2,5ng/mL o meno.[40] Un altro modo per migliorare la sensibilità è di seguire l’andamento dei valori di PSA di un paziente nel tempo (PSA velocity). Se si rileva un andamento crescente deve essere presa in considerazione una biopsia prostatica. Alcuni studiosi hanno suggerito che un aumento di 0,75 ng/mL, o più, in un anno è ragione di preoccupazione.[41] Sia il PSA correlato all’età che la PSA velocity aumentano il numero di cancri diagnosticati, ma aumentano anche il numero di persone sottoposte a biopsia.
    La specificità del PSA è tra il 60% e il 70% quando i valori sono > 4,0 ng/mL.[39] Molti metodi sono stati suggeriti per migliorare la specificità del PSA per il cancro prostatico e ridurre il numero di biopsie non necessarie.(Solo una biopsia su quattro attualmente è positiva per il cancro.[42]) Un metodo per migliorare la specificità è l’aggiustamento per l’età dei valori di riferimento. Usando valori più alti per uomini più anziani si eseguono un minor numero di biopsie.[43] La tavola 1 mostra numerosi valori di riferimento basati sull’età e sull’origine etnica. Un altro metodo per migliorare la specificità del PSA, l’uso del rapporto PSAfree/PSAtotale, prende origine dal fatto che il PSA circola nel sangue in due frazioni distinte – una legata alle proteine plasmatiche, e una libera. Per ragioni non chiare, i pazienti con cancro prostatico tendono ad avere un rapporto più basso di quelli con affezioni benigne. Usando il rapporto free/total si riduce il numero di biopsie negli uomini con valori di PSA compresi tra 4,0 e 10,0 ng/mL.[44-45] Il valore ottimale del rapporto free/total, al di fuori del quale è indicata la biopsia, è sconosciuto. Molti autori hanno raccomandato un range compreso fra il 14% e il 28%.[46]
    C’è un terzo metodo per migliorare la specificità: poiché prostate più grandi producono più grandi quantità di PSA, la correlazione dei valori con la misura del volume della prostata (PSA density= PSA/volume prostatico) riduce il numero di biopsie eseguite.[47] Tutti questi metodi riducono il numero di biopsie eseguite in uomini senza cancro prostatico, di contro aumentano il rischio che alcuni cancri sfuggano alla diagnosi. A causa del potenziale contrasto tra sensibilità e specificità, non c’è attualmente consenso sulle strategie ottimali nell’uso del PSA, anche se risolvere questo dilemma è certamente auspicabile.

  11. Quando è indicata una biopsia prostatica?
  12. Sebbene la DRE o un PSA elevato possano suggerire la presenza di un cancro prostatico, tale diagnosi può essere confermata solo dall’esame istopatologico del tessuto prostatico. Uno specialista urologo dovrebbe essere consultato per eseguire una biopsia prostatica quando una delle seguenti condizioni è presente:

        1. PSA è 4,0 ng/mL o più;
        2. Vi è un significativo aumento del PSA da un test all’altro
        3. La DRE è anormale

    Il tessuto prostatico può essere prelevato in diversi modi. Il metodo più comune è mediante una biopsia transrettale ecoguidata, che abitualmente è effettuata ambulatorialmente senza anestesia. Tali biopsie sono raramente complicate da sanguinamento rettale, ematuria o infezione. Dopo la biopsia il sangue nelle feci o nelle urine abitualmente scompare dopo pochi giorni. Ematospermia può essere rilevata per numerose settimane dopo la biopsia. E’ importante mettere in evidenza che l’ecografia da sola non può escludere la presenza del cancro prostatico. Se la DRE o il PSA suggeriscono un sospetto diagnostico, la biopsia deve essere eseguita anche a dispetto di un’ecografia "normale".
    Occasionalmente, il cancro può essere diagnosticato su tessuto proveniente dalla porzione centrale della prostata asportata abitualmente durante il trattamento chirurgico per l’ipertrofia prostatica benigna sia per via transuretrale (TURP) che "a cielo aperto". In questi casi si tratta di ritrovamenti accidentali insospettati prima dell’intervento. Per inciso, non ci sono dati che supportino l’idea che una TURP possa diminuire il rischio che si sviluppi un cancro prostatico.

  13. Il livello di PSA sierico è proporzionale al rischio di cancro prostatico e alla sua estensione.
  14. Oltre alle domande precedentemente poste (sezione 5) il nostro paziente potrebbe porci una terza basilare domanda: "Qual’è la possibilità che io abbia un carcinoma prostatico se ho un PSA elevato?" La risposta dipende in larga misura dai livelli di elevazione del PSA. In media gli uomini ultracinquantenni hanno dal 20 al 30% di probabilità di avere un cancro prostatico se il PSA è superiore a 4,0 ng/mL. Comunque, se un paziente con PSA compreso tra 2,5 e 4,0 si sottopone a biopsia prostatica, la probabilità di diagnosticare la neoplasia è di circa il 27%.[48] Per livelli superiori a 10 ng/mL la probabilità sale a valori compresi tra il 42% e il 64%.[4-7-31-32-33-49-50]
    L’elevazione del PSA tra 4,0 e 10,0 ng/mL, se paragonata con i livelli inferiori a 4,0 ng/mL, aumenta la probabilità di significatività clinica di cancro prostatico intracapsulare da 1,5 a 3 volte, e la probabilità di malattia extracapsulare da3 a 5 volte.[4-49]. Il dott. Partin ei suoi collaboratori analizzarono i dati clinici e istopatologici di 4.133 uomini trattati con prostatectomia radicale per carcinoma clinicamente localizzato.[23] Metà dei cancri con PSA preoperatorio compreso tra 4,0 e 10,0 ng/mL furono trovati essere extraprostatici. I livelli di PSA maggiori di 10,0 ng/mL aumentano sostanzialmente il rischio che il cancro sia extraprostatico.[4] Nello studio di Partin oltre l’80% degli uomini il cui PSA preoperatorio era superiore a 20,0 che non erano confinati all’organo. Approssimativamente il 5% degli uomini con PSA tra 4 e 10 avevano un coinvolgimento sia delle vescicole seminali che dei linfonodi, tale valore aumentava a circa il 15% per gli uomini il cui PSA era compreso tra 20 e 30 ng/mL. Gli autori di questo studio trovarono che integrando lo "staging" clinico e il "grading" istologico affinava la capacità di predire quando un dato PSA riflette una malattia anatomopatologicamente confinata. Per inciso, fra i 943 soggetti con un PSA inferiore a 4, sebbene solo l’1% aveva coinvolgimento linfonodale e il 3% seminale, il 32% aveva evidenza di penetrazione capsulare e perciò con un rischio più grande di ricaduta dopo il trattamento. Tali dati possono essere d’aiuto nel "counseling" di uomini con carcinoma prostatico appena diagnosticato. Inoltre bisogna essere coscienti che anche una normale DRE e un PSA<4,0 non garantiscono l’assenza del cancro prostatico.[38]

  15. La decisione di usare il PSA per la diagnosi precoce del cancro prostatico dovrebbe essere individualizzata. I pazienti dovrebbero essere informati dei rischi conosciuti e di potenziali benefici.
  16. L’incidenza della mortalità per il cancro prostatico è recentemente andata diminuendo negli Stati Uniti. L’analisi di questo e di altri dati suggerisce che un certo numero di fattori possono aver determinato questa tendenza, uno di questi potrebbe essere la proliferazione degli screening per la diagnosi precoce del cancro prostatico mediante il PSA.[51] Comunque, finché non saranno stati completati studi controllati e randomizzati, non sarà possibile stabilire con certezza se la diagnosi precoce del cancro prostatico e il suo trattamento riducono il tasso di mortalità.[52/55] Due trials stanno attualmente esaminando la questione, uno in Europa, e uno negli Stati Uniti. Schroder e collaboratori, nello studio randomizzato europeo con base in Olanda, stanno arruolando 190.000 uomini tra i 55 e i 70 anni in 5 regioni europee, con i primi risultati previsti nel 2008.[56] Negli Stati Uniti, il National Cancer Institute in uno studio per lo screening di numerosi tumori, sta arruolando 74.000 uomini di età compresa tra i 55 e i 74 anni, con risultati previsti nel 2006.[57-58]
    Finché questi studi controllati e randomizzati non saranno completati, non sarà possibile affermare che la diagnosi precoce è accettabile in termini di costi e incidenza di effetti secondari dovuti al trattamento (ad esempio: disfunzione erettile, incontinenza ed ansietà).[59/66]
    Il cancro prostatico avanzato è associato con una morbidità significativa. Dolore e fratture ossee, cachessia, anemia, disfunzione sessuale, ostruzione ureterale, sono state riscontrate in questa condizione. Inoltre alcuni trattamenti, usati per rallentare la malattia o trattare le complicanze, possono essere tossici. Anche i trattamenti chirurgici (prostatectomia radicale) e radioterapici per il cancro prostatico localizzato possono condurre a complicazioni.
    Le complicazioni potenziali della prostatectomia radicale comprendono i rischi chirurgici e quelli di incontinenza e disfunzione erettile. Molti studi hanno valutato la funzione sessuale dopo prostatectomia, ma a causa di una carente selezione dei pazienti e del loro livello di funzione sessuale preoperatoria, l’interpretazione dei dati è difficile e variabile. I tassi di disfunzione erettile postoperatoria vanno dal 29% all’80% dei pazienti.[67/70] Il grado di incontinenza postoperatoria varia negli studi pubblicati da lieve a severo. I tassi vanno da 0 al 30% dei pazienti.[68-69]
    La radioterapia, anche senza rischio chirurgico, è associata con disfunzione erettile e disturbi intestinali o vescicali. Sintomi cronici irritativi di svuotamento si sviluppano in più del 5% dei pazienti.[49-66-69-71/73] Irritazione rettale compare in più del 10% dei pazienti, e la diminuzione della funzione erettile in più del 50%.[49-66-69-71/73]
    Le decisioni riguardo la diagnosi precoce del cancro prostatico dovrebbero essere individualizzate, e i benefici e le conseguenze dovrebbero essere discussi con il paziente prima di determinare il PSA. Non tutti gli uomini sopra i 50 anni sono candidati ideali per gli sforzi legati a questo screening. Idealmente i medici dovrebbero considerare un certo numero di fattori, inclusa l’età del paziente, la sua comorbidità come pure i suoi orientamenti per i potenziali risultati. Alcune organizzazioni hanno perfino raccomandato di raccogliere il consenso informato prima di misurare il PSA.[49]

  17. La diagnosi precoce del cancro prostatico dovrebbe essere offerta agli uomini asintomatici di 50 anni o più con un aspettativa di vita superiore a 10 anni. E’ ragionevole offrire il test a un età più precoce agli uomini con definiti fattori di rischio, inclusi gli uomini con parente di primo grado con cancro prostatico e agli Afro-Americani.
  18. Se viene offerta la diagnosi precoce, per molti uomini dovrebbe cominciare all’età di 50 anni, poiché la prevalenza della malattia prima di questa età è bassa, e vi sono pochi studi in uomini con meno di 50 anni.[74/82] A causa della relativa lunghezza della storia naturale di molti cancri prostatici, la diagnosi precoce potrebbe non dare beneficio a uomini con una limitata aspettativa di vita. Il medico dovrebbe valutare lo stato di salute del paziente per determinare l’appropiatezza della misurazione del PSA a ogni data età.(Tavola 2). Per una review sulla stima dei benefici del trattamento nei più anziani vedi Welch et al, 1996.[83]
    Non sono state definitivamente stabilite le cause del carcinoma prostatico, ma studi epidemiologici e di screening hanno suggerito un numero di eziologie e fattori che possono essere presi in considerazione nel determinare l’appropiatezza della misurazione del PSA. Una più alta incidenza di carcinoma prostatico è stata trovata, ad esempio, fra i parenti di primo grado di pazienti affetti da questa malattia.[81-84/89] Inoltre ampie variazioni sono state riscontrate tra diversi gruppi etnici, con gli Afro-Americani a un livello maggiore di rischio di sviluppare il tumore ad un’età più precoce rispetto ad altri gruppi etnici.[81-86-90-93] Si dovrebbe considerare di sottoporre a test uomini a più alto rischio di malattia ad un’età più precoce, come quelli con una storia familiare di malattia e gli Afro-Americani.[81-84/93]

    L’uso del PSA nello staging del cancro prostatico prima del trattamento 
    Lo staging radiologico di routine, come la scintigrafia ossea, la tomografia computerizzata (CT), o la risonanza magnetica (MRI), e lo staging chirurgico come la dissezione di linfonodo pelvico (Figura 2), non sono necessari in tutti i casi di cancro prostatico di nuova diagnosi.[94-95] L’esame clinico può identificare i pazienti in cui tali esami sono appropriati.

    1.Il PSA sierico pretrattamento predice la risposta del cancro prostatico alla terapia locale
    Il PSA sierico pretrattamento è un predittore indipendente di risposta a tutti i tipi di terapia.[94] I livelli di PSA si correlano con il rischio di estensione extracapsulare, invasione delle vescicole seminali, e sia malattia regionale che a distanza. I pazienti con livelli minori di 10 con maggiore probabilità risponderanno alla terapia locale.

    2.l’uso routinario della scintigrafia ossea non è necessario per lo staging di uomini asintomatici con cancro prostatico clinicamente localizzato quando il loro PSA è inferiore o uguale a 20 ng/mL.
    In una review della Clinica Mayo, su 852 pazienti con cancro prostatico di nuova diagnosi, il 66% aveva una concentrazione di PSA inferiore o uguale a 10 e solamente 3 (0,8%) aveva una scansione ossea positiva. Una scansione ossea positiva per metastasi è stata trovata solo nello 0,6% dei pazienti con PSA compreso fra 10,1 e 15,0 e nel 2,6% degli uomini con PSA compreso fra 15,1 e 20,0 ng/mL.[94] Questi risultati sono stati replicati in altri studi.[95/97]
    La scintigrafia ossea generalmente non è necessaria in pazienti con cancro prostatico di nuova diagnosi con PSA inferiore a 20,0 ng/mL, salvo che l’anamnesi o l’esame clinico non suggeriscano un coinvolgimento osseo. Poiché una malattia metastatica è significativamente più comune se la malattia locale è avanzata o di alto grado, e alcuni di questi cancri prostatici di alto grado sono PSA-negativi, è ragionevole considerare l’uso della scintigrafia ossea alla diagnosi quando il paziente ha un cancro poco differenziato o di alto grado (stage=>T3), anche se il PSA è <10,0 ng/mL.[98]

    3.CT o MRI non sono generalmente indicate nello staging di pazienti con cancro clinicamente localizzato se il PSA è inferiore a 25ng/mL.
    Una CT non è un utile procedura di staging per la grande maggioranza di pazienti con cancro prostatico di nuova diagnosi nei quali l’attuale incidenza di positività linfonodale è <5%.[99-100]. Raramente risulta positiva quando il PSA è inferiore a 25ng/mL. In uno studio su 173 uomini, nessun paziente con PSA inferiore a 25 ebbe una CT positiva. L’identificazione dell’adenopatia pelvica mediante CT dipende dall’ingrandimento linfonodale, e la correlazione tra la misura dei linfonodi e l’interessamento metastatico è scarsa.[101] Sebbene l’incidenza di positività istologica è sostanziosa quando i valori di PSA superano 25, la sensibilità della CT nell’individuare i linfonodi coinvolti anche a questi livelli è solo del 30-35%.[103-104]. Un’altra metodica (Prostascint scan) che usa anticorpi marcati con radioisotopi per diagnosticare e localizzare il carcinoma prostatico è di scarso valore nello staging pretrattamento. Essa è stata usata principalmente per identificare una malattia metastatica nei pazienti che mostrano un aumento del PSA dopo prostatectomia radicale.[105-106]
    4.La dissezione di linfonodi pelvici potrebbe non essere necessaria se il PSA è inferiore a 10 o se il PSA è inferiore a 20 e il punteggio di Gleason è inferiore o uguale a 6.
    Sebbene la dissezione di un linfonodo pelvico è spesso effettuata routinariamente in corso di prostatectomia radicale, si dovrebbe valutarne la morbidità, specialmente nei casi in cui offre poche informazioni addizionali.Il PSA pretrattamento, supportato da stadiazione clinica e punteggio di Gleason, può identificare un sottogruppo di pazienti in cui l’incidenza di metastasi linfonodali è molto bassa (dal 3% al 5%). I pazienti con un PSA <10 raramente hanno metastasi linfonodali, come nel caso si abbia un punteggio di Gleason <=6 e un PSA <20. Queste osservazioni sono state fatte in numerosi studi.[23-107/110]

    L’uso del PSA nella gestione post-terapeutica del cancro prostatico. 

    1. Determinazioni periodiche del PSA dovrebbero essere effettuate per individuare eventuali ricadute.  

    2. La diagnosi biochimica precoce delle ricadute può condurre in tempo a ulteriori terapie (Figura 3). La strategia ottimale compreso l’epoca di inizio, di tali terapie aggiuntive rimane controversa e costituisce argomento di nuovi trials clinici in via di sviluppo. Le opzioni terapeutiche per le ricadute dopo una prostatectomia radicale includono la radioterapia e la terapia antiandrogena. Le opzioni terapeutiche per le ricadute dopo la radioterapia comprendono la terapia antiandrogena, la crioterapia e, in pazienti selezionati, una prostatectomia radicale. Tali trattamenti possono essere più efficaci se iniziati precocemente, ma l’efficacia complessiva di ognuna di queste forme di terapie di recupero è attualmente sconosciuta.[111]

2. Il PSA sierico dovrebbe decrescere e rimanere a livelli non misurabili dopo prostatectomia radicale.
Un PSA misurabile dopo prostatectomia radicale è associato con una possibile ricaduta in molti pazienti.[112-113] La mediana d’intervallo tra la ricorrenza del PSA e la morte per cancro è compresa tra 5 e 12 anni, a seconda soprattutto del punteggio di Gleason.

3. Il PSA sierico dovrebbe scendere a bassi livelli dopo radioterapia e crioterapia e non dovrebbe risalire in successive misurazioni
Quale sia un accettabile valore di PSA sierico dopo radioterapia e/o dopo crioterapia è materia di dibattito. Dopo radioterapia il PSA declina lentamente e il valore più basso (nadir) è raggiunto in una media di 17 mesi. Gli studiosi hanno generalmente scelto uno di due metodi per definire l’assenza biochimica di malattia. Il primo metodo è di stabilire il nadir del PSA dopo il trattamento. Sebbene non vi sia consenso sul valore nadir ideale, sembra che i pazienti che raggiungono valori molto bassi (<0,5ng/mL) o non misurabili, meno probabilmente mostreranno una ricaduta clinica o biochimica, almeno non entro 5 anni dal trattamento.[114/118] Risultati simili sono stati riportati dopo crioterapia.[119-120]
Il secondo metodo, raccomandato dalla American Society for Therapeutic Radiology and Oncology (ASTRO), definisce una ricaduta biochimica sulla base di 3 aumenti consecutivi del PSA sopra il nadir. Questo gruppo raccomanda che il PSA non debba essere misurato più spesso di un intervallo compreso tra 3 e 6 mesi per individuare aumenti significativi oltre la variabilità intrinseca del test.[121-122]

  1. Le modalità di crescita del valore del PSA dopo il trattamento può aiutare a distinguere le recidive locali da quelle a distanza.
    Le modalità di elevazione del PSA (tempo di elevazione e tempo di raddoppio) se valutate insieme al grading e allo staging del cancro primitivo, predicono la probabilità di recidiva locale o a distanza, e può avere implicazioni terapeutiche.[112-113-123]
    Quei pazienti in cui il PSA:
  1. non scende a livelli non misurabili dopo la chirurgia, o aumenta nonostante le radiazioni o la crioterapia;
  2. aumenta entro 12 mesi da tutti i tipi di trattamento locale;
  3. raddoppia in meno di 6 mesi;

più probabilmente hanno metastasi a distanza.
I pazienti che che sviluppano una recidiva biochimica tardivamente (ad es.>24 mesi dopo il trattamento locale) e che hanno un tempo di raddoppio del PSA che supera i 12 mesi, è più probabile che abbiano una recidiva locale.[112-113-123/125]

  1. Il nadir del PSA sierico e la percentuale di declino del PSA a 3 e a 6 mesi predice la sopravvivenza libera da progressione in uomini con cancro prostatico metastatico trattato con terapia antiandrogena. Il grado di declino del PSA, dopo un trattamento di seconda linea di una malattia metastatica, si correla con la sopravvivenza alla malattia.
  2. I livelli di PSA sierico nei pazienti con cancro prostatico che ricevono un trattamento antiandrogeno dovrebbero diminuire. Sia il nadir del PSA che la percentuale di diminuzione a 3 e a 6 mesi predicono la sopravvivenza libera da progressione. I pazienti in cui il PSA sierico diviene non misurabile e quelli in cui il PSA diminuisce del 90% o più a 3 e 6 mesi avranno probabilmente una sopravvivenza migliore.[126/128] Molti studiosi considerano una caduta del PSA sierico come un end-point accettabile per la valutazione della risposta alla terapia in quei pazienti con cancro prostatico refrattario agli ormoni che vengono sottoposti a un ritrattamento. Una diminuzione del PSA sotto al 50% a 8 settimane dopo l’inizio del ritrattamento sembra essere associata con migliore sopravvivenza, rispetto a coloro con nessun cambiamento o con minor diminuzione.[128]

  3. La scintigrafia ossea è indicata per la diagnosi di metastasi dopo il trattamento iniziale per un cancro localizzato. Il valore di PSA che dovrebbe indurre a una scintigrafia ossea è incerto.
    Sebbene alcune osservazioni abbiano suggerito che i livelli di PSA che indicano una malattia metastatica siano minori nei pazienti già trattati, una ricaduta biochimica dopo il trattamento locale è raramente associato a una scintigrafia ossea positiva. In mancanza di sintomi ossei o sistemici la probabilità di scintigrafia ossea positiva è inferiore al 5% del totale.  L’aumento del PSA, il punteggio di Gleason, lo stadio patologico, il PSA preoperatorio, non aggiungono nessuna utilità nel predire i risultati della scintigrafia.[129-130]

Metodi usati nello sviluppo del miglior uso del PSA nella pratica medica.
L’American Urological Association (AUA) ha organizzato un gruppo di discussione allo scopo di sviluppare un riferimento riguardo l’uso del PSA per gli urologi e i medici generali. Il gruppo comprendeva un medico di medicina generale, 2 internisti, un radiologo oncologo, e 4 urologi. I finanziamenti di supporto per le attività del gruppo sono state fornite dall’AUA. I membri del gruppo non hanno ricevuto nessuna remunerazione per i loro sforzi, e ciascun membro ha fornito una dichiarazione relativa agli eventuali conflitti d’interesse. Il gruppo ha formulato le sue raccomandazioni mediante "consensus", basato sulla revisione della letteratura e sull’esperienza personale dei membri del gruppo. Il gruppo non ha usato alcuna metodologia particolare per sviluppare il proprio documento, e non ha dato valutazioni di costo o di relazione costo-efficacia.
Dopo il "consensus" iniziale raggiunto dal gruppo, 47 esponenti di varie specialità (medici di famiglia, internisti, radiologi, oncologi ed urologi) hanno riesaminato il documento determinando numerosi cambiamenti da parte del gruppo.

ONCOLOGY 14 (2): 267-286,2000 
Bibliografia: 130 voci bibliografiche

Figura 1: Diagnosi precoce

Candidati per il test per la diagnosi precoce
Uomini di 50 anni con aspettativa di vita di 10 anni o più
Uomini di 40-50 anni con storia familiare di cancro prostatico o etnia afro-americana

Quali test eseguire?
PSA E DRE
Risultati:

uno o più test sono anormali

Entrambi i test sono normali

Cause possibili:

cancro,ipertrofia prostatica, prostatite

Controlli periodici

Diagnosi definitiva:

biopsia prostatica

>

Biopsia negativa:

controlli periodici

Biopsia positiva:

>

Trattamento.

Tavola 1

Valori di riferimento correlati all’età e alle origini etniche [43]

Età Asiatici Afro-americani Caucasici
40-49 0-2,0 ng/mL 0-2,0 ng/mL 0-2,5 ng/mL
50-59 0-3,0 0-4,0 0-3,5
60-69 0-4,0 0-4,5 0-4,5
70-79 0-5,0 0-5,5 0-6,5

Tavola 2

Aspettativa di vita e percezione soggettiva dello stato di salute [83]

Età Aspettativa media di vita (1991 US) Aspettativa di vita con percezione soggettiva di salute da buona a eccellente Aspettativa di vita con percezione soggettiva di salute da scarsa a discreta
65 anni 15 anni 17-20 anni 11-13 anni
70 12 13-17 8-11
75 10 10-14 6-8
80 7 8-11 3-6

Figura 2: Staging post diagnostico

Determinazione del grado tumorale

(basato sul sistema di Gleason)

Gleason score=2-4: bassa aggressività biologica
Gleason score=5-6: aggressività biologica intermedia
Gleason score>7 alta aggressività biologica

\/

Test addizionali per la stadiazione preliminare:

Stadiazione radiologica:
TAC o RMN generalmente non necessaria se il PSA è<25

Stadiazione chirurgica:
dissezione linfonodale pelvica
(può essere omessa se il PSA è<10 o se il PSA è <20 e il Gleason score< 6)

Scintigrafia ossea:
generalmente non necessaria con tumore clinicamente localizzato quando il PSA è <10

Trattamento del cancro prostatico localizzato:

Sorveglianza:

Chirurgia

Radioterapia

\/

Figura 3: gestione post-trattamento

Obiettivo: riconoscere le recidive e trattarle se necessario

Dopo la chirurgia

Dopo la radioterapia

Sorveglianza

Un PSA misurabile indica recidiva della neoplasia

Probabile recidiva se il nadir del PSA>0,5ng/mL o se il PSA ha valori crescenti per 3 volte sopra il nadir

In caso di progressione della malattia considerare:

Radioterapia di salvataggio
Terapia antiandrogena

Prostatectomia radicale
Terapia antiandrogena
Crioterapia

Prostatectomia radicale
Radioterapia
Terapia antiandrogena

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Pillole di buonumore

Le femmine di alcune specie di gabbiani preferiscono rimanere tra loro. Nella specie Larus occidentalis  una parte delle femmine preferisce accoppiarsi con altre femmine, costruire insieme il nido e difendere il proprio territorio comunemente. Una delle femmine assume il ruolo maschile, corteggia e monta la compagna come un vero e proprio maschio. I maschi sono richiesti solo come donatori di sperma. Ben conoscendo la debolezza maschile, una delle due partner della coppia di femmine rapisce un maschi destinato alla scappatella. Unico scopo: far fecondare le uova. Insieme poi le due amiche si occupano della covata.
Da: M.Miersch "La bizzarra vita sessuale degli animali" N&C ed.


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

Una Nuova Arma Contro Gli Abusi delle Assicurazioni: Si Devono Fornire Agli Assicurati I Dati e Le Valutazioni Delle Visite Mediche. PAROLA DI GARANTE!

I soggetti che abbiano chiesto un risarcimento ad una Societa' Assicurativa possono pretendere di prendere visione dell' esito della visita e delle valutazioni effettuate dal Medico Fiduciario. In caso di diniego e' opportuno ricorso al Garante per la Privacy.

Fino al momento attuale le relazioni presentate alle Assicurazioni dai loro medici fiduciari sono state considerate atti "riservati" di cui il periziato non poteva venire a conoscenza.
La prassi vigente prevede infatti che l’infortunato o il sinistrato (1) che debba essere sottoposto a visita da parte del fiduciario delle Assicurazioni sia tenuto da parte sua a presentare TUTTA la documentazione utile in suo possesso e a firmare una liberatoria per il trattamento dei suoi dati personali da parte della Societa' Assicurativa; questa invece considera atto d’ufficio riservato di cui il periziato non deve venire a conoscenza ogni elemento ottenuto dal medico fiduciario: gli esiti della visita, degli accertamenti da questi prescritti, le sue conclusioni diagnostiche, le sue valutazioni.
Cio’ ha indotto l' abitudine a manovre poco corrette a danno degli infortunati: spesso infatti i liquidatori interferiscono modificando (ovviamente in diminuzione) la valutazione effettuata dal medico attribuendo ad esso, falsamente e a sua insaputa una valutazione falsa e riduttiva del danno, con conseguente riduzione del risarcimento. Cio' danneggia anche il prestigio professionale del Consulente, che tuttavia e' spesso indifeso davanti agli abusi della Societa' che ne detiene i mezzi di sopravvivenza.

Il Garante si e’ espresso sull' argomento i due occasioni, ritenendo tale prassi illegittima.
Infatti, a tale proposito, ha deciso che "le valutazioni e gli altri elementi di giudizio contenuti nelle perizie medico-legali sono dati personali e, nel rispetto degli espressi limiti previsti dalla legge n.675 del 1996, devono essere messi a disposizione dell’interessato che ne faccia richiesta".
Si tratta di due diverse persone che avevano richiesto alla propria Assicurazione di poter accedere ai dati che li riguardavano ed in particolare alle informazioni personali, anche di tipo sensibile, contenute nella perizia medico-legale effettuata dai fiduciari dell’ Assicurazione stessa.
Nel primo caso il Garante ha invitato l’Assicurazione a fornire i dati richiesti; l’Assicurazione ha adempiuto solo in parte a tale invito escludendo sia le valutazioni che gli altri elementi soggettivi contenuti nella relazione medico-legale.  
L’Assicurazione motivo’ la mancata comunicazione delle valutazioni contenute in perizia sulla base della considerazione che esse rappresenterebbero " un mero giudizio personale che, pur se basato su parametri medico-scientifici, resterebbe il frutto di una elaborazione soggettiva e, in quanto tale, non potrebbe essere definito come dato personale, anche perché suscettibile per la sua natura di contestazioni e di valutazioni differenti".
Il Garante ha invece contestato tale affermazione ed ha sancito che anche le valutazioni mediche devono essere ricondotte alla sfera dei dati personali, ribadendo pure che "la nozione di dato personale, stabilita dalla legge sulla privacy, include qualunque informazione che permetta di identificare una persona anche indirettamente. Nel caso in esame i contenuti della valutazione riguardano la salute degli interessati e sono ricavati da documenti sanitari e altri elementi contenuti nelle visite a cui sono sottoposti gli assicurati".
Esaminando il ricorso, l'Autorità ha ricordato che nelle perizie medico legali si ritrovano, normalmente, tre categorie di dati:
a) dati identificativi di tipo anagrafico;
b) dati riferiti allo stato di salute, con particolare riferimento all'anamnesi;
c) la valutazione peritale vera e propria che risulta dalla visita medica cui viene sottoposto l'assicurato da parte del medico fiduciario dell'assicurazione, la parte della perizia cioè nella quale il medico esprime appunto un giudizio sul rapporto tra sinistro denunciato e patologie lamentate per le quali l'interessato chiede il risarcimento nonché, spesso, valutazioni e giudizi sull'eventuale grado di genuinità delle istanze presentate all'assicurazione.
L’autorita’ ha ritenuto percio' fondata la richiesta dell’interessato ad accedere a questi dati e alle informazioni personali in forma anche di giudizi sul grado di invalidita’ permanente conseguenti al sinistro e ha ordinato alla Societa’ Assicuratrice di integrare la precedente risposta con tutti questi elementi. 
Nel secondo ricorso e' stato pero’ specificato che il diritto di accesso e’, secondo la legge, "temporaneamente sospeso quando i dati sono raccolti ai fini di indagini difensive o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. "  Infatti " … quando c'è una causa in corso o ci si trova in situazioni propedeutiche ad una controversia, all' istanza dell'interessato può non seguire una immediata messa a disposizione di tutti i dati personali.
In ipotesi di questo genere, ha sottolineato l'Autorità, si può, infatti, far valere la particolare norma della legge (art.14 primo comma lett.e) che prevede un differimento temporaneo dell'esercizio del diritto di accesso qualora la conoscenza immediata, da parte dell' interessato, di alcuni dati che lo riguardano, possa determinare un pregiudizio per l'esercizio del diritto di difesa della controparte.
Il Garante ha precisato che il titolare del trattamento (nel caso, l'assicurazione) che vuole avvalersi del differimento non deve però limitarsi a far riferimento alla norma che lo prevede, ma deve fornire adeguate motivazioni che diano ragione del pregiudizio effettivo cui si andrebbe incontro in caso di immediato accesso ai dati.
Tale interpretazione del Garante ha scatenato ovviamente le reazioni delle Societa' Assicurative che, anche per bocca di alcuni medici (ma ricordiamo che molti operatori del settore sono ad esse legati da pressanti vincoli economici) ne contestano la validita'.  
C'e' infatti chi continua a sostenere che il Medico Fiduciario debba fornire al paziente solo i dati che esso stesso ha fornito all' Assicurazione e non possa venire a conoscenza di quanto altro riscontrato in quanto, ripetendo quasi letteralmente le ragioni portate dalla Societa' e respinte dal Garante, il "parere e l' interpretazione, proprio per essere "parere" e "interpretazione" sono del tutto personali e opinabili; non costituiscono "elaborazioni" dei dati personali dell' interessato, bensi' "interpretazioni", suscettibili quindi anche di interpretazione diversa…". (G. Neri, Jura Medica n.1 anno 2000).
Queste affermazioni ci sembrano incredibili nella loro evidente strumentalita': e' bensi' evidente che i pareri del fiduciario si basino sugli elementi classici della visita medica: anamnesi, esame obiettivo, eventuali accertamenti clinici, radiologici, ecografici sovente effettuati proprio su prescrizione della societa' Assicurativa. Alla valutazione critica di tali elementi segue il giudizio medico che, come in qualsiasi visita medica , si esprime in una diagnosi. Questa e' tipicamente rappresentata, in sede medico-legale, oltre che da elementi "qualitativi" (diagnosi "esplicativa") da elementi "quantitativi" (gravita' della condizione morbosa espressa numericamente secondo certi criteri scientifici) ed e' "opinabile" nella stessa misura in cui lo sono tutte le diagnosi, necessariamente sempre soggettive.
Nulla di sostanzialmente differente, quindi, dai giudizi diagnostici effettuati in sedi diverse. Sostenere, come incredibilmente viene fatto da certi autori, che il giudizio del fiduciario "non costituisca elaborazione" bensi' solo "interpretazione personale e opinabile" dei dati sanitari equivarrebbe a negarne la fondatezza e l' attendibilita' riducendolo a mera espressione soggettiva avulsa dai presupposti scientifici e dottrinari e quindi ininfluente per una corretta gestione del contenzioso.
Del resto in un rapporto onesto e trasparente tra Societa' ed Assicurato non esisterebbero fondati motivi di rifiuto alla rivelazione di tali dati all' interessato.
Putroppo invece, come abbiamo detto, e' diffusa l' abitudine (da parte dei liquidatori) di celare all' assicurato la reale valutazione del danno o addirittura di riferire valutazioni false e riduttive attribuendole al fiduciario; si intuisce percio' come l' opposizione alle decisioni del Garante intenda soprattutto perpetuare tale situazione di ambiguita' e di scorrettezza nei rapporti.
I primi danneggiati vengono ad essere, spesso, proprio i medici fiduciari, ai quali vengono quindi erroneamente attribuiti comportamenti scorretti o valutazioni fasulle. La dipendenza economica dalle Societa' obbliga pero' sovente all' accettazione passiva di una situazione professionalmente mortificante.
L' azione pressante dei cittadini e del Garante potrebbero percio' ottenere risultati utili sia per i cittadini che per i medici.

(1) Esiste qualche differenza nelle due fattispecie, in quanto la polizza infortuni e' un contratto privato che obbliga alla visita medica, mentre in ambito di Responsabilita' Civile il danneggiato puo' attivare delle procedure alternative. Queste differenze, su cui ci si potra' soffermare in altra sede, non sono influenti sulla sostanza dei concetti espressi in questo articolo.
Daniele Zamperini 
Le decisioni qui riportate sono rinvenibili al sito ufficiale del Garante: www.garanteprivacy.it

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SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE, IV PENALE, N. 556 18/01/2000
AI FINI DELLA RESPONSABILITA’ DEL MEDICO OSPEDALIERO, LE DIRETTIVE TERAPEUTICHE DEL PRIMARIO NON COSTITUISCONO MAI ORDINI DA ESEGUIRE ACRITICAMENTE

La normativa concernente l’attribuzione dei medici dipendenti USL (art. 63 D.P.R. n. 761/1979) non configura affatto la posizione dell’assistente come quella di un mero esecutore di ordini. Nel caso in cui il medico in posizione inferiore non condivida le scelte terapeutiche del primario o ritenga che il trattamento da questi disposto comporti un rischio per il paziente e’ tenuto a segnalare quanto rientra nella sua conoscenza esprimendo il proprio dissenso; diversamente, egli potra’ essere ritenuto responsabile dell’esito negativo del trattamento terapeutico non avendo compiuto quanto in suo potere per impedire l’evento.
(Da: Mondo Sanitario n. 12/2000)

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CASSAZIONE: SENTENZA SULLA DISTINZIONE STUDIO-AMBULATORIO

E’ stata ribadita la distinzione tra Studio Medico e Ambulatorio dalla sentenza 6 Luglio ’95 Corte di Cassazione sez. III: si considera Ambulatorio ogni struttura aziendale con compiti diagnostico-terapeutici per cui si richiede l’autorizzazione ai sensi dell’art. 193 del R.D. n. 1265/1934, mentre si intende per Studio la sede in cui si esercita una professione sanitaria in cui il profilo professionale prevale assolutamente su quello organizzativo.
(Tale sentenza e’ riportata in Bilancetti M.; Responsabilita’ penale e civile del medico, CEDAM Padova ‘98 pag. 616)

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NUOVE NORMATIVE PROTETTIVE PER IL LAVORO NOTTURNO

Il recepimento della direttiva ‘93/104/CE, prevista dalla legge comunitaria 1998, con D.Lgs 26 Novembre 1999 n. 532 (Gazzetta Ufficiale Gennaio 2000 n. 16) sono state dettate disposizioni in materia di lavoro notturno. 
Per quanto riguarda il campo di applicazione la disciplina prevista dal D.Lgs si applica a tutti i datori di lavoro pubblici e privati che utilizzino i lavoratori e lavoratrici con prestazioni di lavoro notturno. Ne sono del tutto esclusi soltanto il settore dei trasporti, quello del lavoro marittimo e, nella Sanita’ le "attivita’ dei medici in formazione".
Viene applicato parzialmente in speciali ambiti operativi (forze armate, polizia, protezione civile ecc.). Per lavoro notturno si intende "l’attivita’ svolta nel corso di un periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino". Il "lavoratore notturno" e’ invece il lavoratore che durane il periodo notturno svolga normalmente, in via non eccezionale, almeno 3 ore del lavoro giornaliero o almeno una parte del suo orario del lavoro normale secondo le norme del contratto collettivo nazionale. In mancanza di contratto collettivo e’ giudicato lavoratore notturno chi svolge lavoro notturno per almeno 80 giorni lavorati l’anno.
Nella legge e’ innanzitutto sancito il principio di priorita’, nel senso che al lavoro notturno devono essere adibiti con "priorita’ assoluta" i lavoratori e le lavoratrice che ne facciano richiesta, compatibilmente con le esigenze organizzative aziendali. Vengono poi ribaditi i divieti di lavoro notturno posti a tutela delle lavoratrici "madre" e dei giovani dalle norme delle leggi 903/77 e 977/67 e successive modificazioni. 
In particolare ne vengono confermati:

L’orario del lavoro notturno non puo’ superare le 8 ore nelle 24 con facolta’ di cambiamenti in base ai contratti collettivi di lavoro. Il datore di lavoro deve, a sua cura e sue spese, sottoporre i lavoratori notturni, tramite un medico competente, ad accertamenti preventivi per verificare l’assenza di controindicazioni al lavoro notturno e ad accertamenti periodici di controllo.
Deve garantire al lavoratore il trasferimento al lavoro diurno nel caso in cui sopraggiungano condizioni di salute che comportino l’inidoneita’ al lavoro notturno accertato dal medico competente, deve informare i lavoratori notturni, prima di adibirli al lavoro, dei rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno deve inoltre garantire un livello di servizi di mezzi di prevenzione o di protezione adeguate alle caratteristiche del lavoro notturno e assicurare un livello di servizi equivalenti a quelli previsti per il lavoro diurno.
Esistono ovviamente maggiorazioni economiche e incentivi per il lavoro notturno determinati da contratti collettivi o aziendali. L’inosservanza dell’obbligo di sottoporre il lavoratore notturno agli accertamenti sanitari e’ punita con l’arresto da 3 a 6 mesi o con l’ammenda da 3 a 8milioni; il superamento dei limiti di durata della prestazione notturna e’ punito con sanzione amministrativa.
(Daniele Zamperini. Fonte: Mondo Sanitario n.12/2000)

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Pillole di buonumore

Lunghezza del pene in erezione:

Gorilla: 3 cm Cavallo domestico: 60 cm
Orango: 4 cm Giraffa: 100 cm
Scimpanze': 8 cm Elefante: 150 cm
Tursiope troncato (delfino): 45 cm Balenottera azzurra: 250 cm
tapiro: 50 cm  

Da: M.Miersch "La bizzarra vita sessuale degli animali" N&C ed.