Settembre
2001

"PILLOLE"
DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate
da
- SIMG-Roma
 
-A.S.M.L.U.C.
-eDott.it  

  Periodico di aggiornamento medico e varie attualita' a cura di: 
Daniele Zamperini dzamperini@bigfoot.com, Amedeo Schipani mc4730@mclink.it, Raimondo Farinacci raimondo.farinacci@tin.it
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm e su www.edott.it Il nostro materiale e' liberamente utilizzabile per uso privato. Riproduzione riservata.


INDICE GENERALE

  PILLOLE

-I danni cerebrali da Ecstasy somigliano a quelli della vecchiaia
-Il rapporto con le madri e lo sviluppo sessuale dell'adolescente
-Virus modificati possono proteggere dall’ HIV
-Terapia dell'Epatite C in pazienti affetti da HIV
-Sono proprio le fibre a far bene al colon?
-Associazione tra fumo e disturbi psichici nell'eta' giovanile.
-E' davvero efficace l'aglio contro il colesterolo?
-"Interferone pegilato", nuova arma contro HCV
-Ancora contro i calcioantagonisti nell'ipertensione


  NEWS  

1:
2:
3:
4:
5:

APPROFONDIMENTI

-Gli "Eccessi Nutritivi Inevidenti"

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA  
Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica

-La Regione gode ha massima discrezionalita' nella valutazione dell'idoneita' del Direttore Generale di ASL. (Sentenza Consiglio di Stato)
-Relazione del Ministero sulla 194: diminuiscono le interruzioni volontarie di gravidanza


Pillole di buonumore
Oggi Trilussa: "La ricetta maggica" (1945)

Rinchiuso in un castello medievale
er vecchi frate co' l' occhiali d'oro
spremeva da le glandole d' una toro
la forza dello spirito vitale
per poi mischiallo, e qui stava er segreto
in un decotto d' arnica e d'aceto... (continua)


PILLOLE

I danni cerebrali da Ecstasy somigliano a quelli della vecchiaia

Uno studio pubblicato sull'American Journal Of Psichiatry ha evidenziato gli effetti dell' ecstasy e di altre sostanze anfetamino-simili sulle strutture cerebrali.
Gia' era noto da precedenti indagini come queste sostanze agiscano sulla produzione della dopamina; studi su animali avevano pero’ evidenziato come, oltre allo stimolo alla produzione di dopamina da parte delle cellule cerebrali specializzate, si verificasse anche una distruzione delle molecole deputate al trasporto del neurotrasmettitore nelle varie parti del cervello. Mentre lo stimolo alle cellule produttrici e' di breve durata, ed e’ legato all'emivita del farmaco, il danno alle molecole di trasporto si protrae invece per mesi dopo l'assunzione dello stupefacente.
Nel corso di uno studio effettuato tramite PET (tomografia ad emissione di positroni) sono stati esaminati soggetti che facevano uso regolare di metanfetamina; e' stato ricontrato come in tali soggetti la concentrazione di molecole di trasporto della dopamina fosse del 20% inferiore al normale. Tale effetto era riscontrabile particolarmente nelle aree cerebrali preposte a movimento, concentrazione, decisione. Il deficit permaneva per diverse settimane dopo la cessazione dell'assunzione dell'anfetamina.
La diminuzione di trasportatori cerebrali riscontrati in questi soggetti era paragonabile a quello che si riscontrava in soggetti di almeno 20-30 anni piu' anziani. Infatti nei soggetti anziani si rileva, fisiologicamente, proprio la riduzione del numero di molecole che trasportano dopamina, e proprio questa diminuzione sarebbe la causa dei problemi di movimento, concentrazione e memoria che si verificano negli anziani.
I consumatori di anfetamine, messi a confronto con un gruppo di controllo costituito da soggetti non consumatori, hanno evidenziato reperti nettamente patologici.
E' da verificare l'ipotesi, preoccupante, che tale riduzione di molecole cerebrali possa avere influenza anche nell'insorgenza e nel peggioramento del morbo di Parkinson, essendo anch'esso causato dal malfunzionamento nella produzione e nel trasporto della dopamina cerebrale.
("Le Scienze" n. 393 - Maggio 2001)

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Il rapporto con le madri e lo sviluppo sessuale dell'adolescente

E' noto come l'eta' adolescenziale cominci a portare le prime problematiche sessuali, molto sentite dai giovani ma manifestantesi in maniera assai diversa da caso a caso.
E' noto infatti che, in tale settore, gli adolescenti si dividano fondamentalmente in due categorie: quelli che hanno esperienze sessuali precoci e quelli che raggiungono questa fase in tempi piu' tardivi. In realta’ possono effettuarsi anche classificazioni differenti: esistono, ad esempio, soggetti che hanno tendenza a relazioni di breve durata e sono promiscui, mentre altri allacciano legami duraturi e "monogami" gia' in giovane eta'.
Ci si e' chiesti se queste differenze siano dettate da motivazioni ormonali e puramente biologiche o da motivazioni psicologiche e sociali: sono solo gli ormoni a scatenare la spinta sessuale negli adolescenti? E' stata percio' effettuata una indagine (Toon e Gun) che ha esaminato le problematiche sessuali adolescenziali in rapporto a certe tipologie materne. Gli autori hanno individuato fondamentalmente due tipi di madri: la madre "controllante" e la madre "coinvolgente". La madre "controllante" e' caratterizzata da una serie di modalita' e di strategie relazionali che tendono alla disciplina e al continuo e persistente controllo del comportamento del figlio: esse controllano e spesso strutturano la relazione madre-figlio e la relazione del figlio con l'esterno in base a comportamenti iperprotettivi.
La madre "coinvolgente" ha un comportamento caratterizzato da modalita' relazionali tendenti al continuo supporto ed approvazione delle iniziative del figlio: le madri coinvolgenti modulano le relazioni affettive attraverso strategie che stimolano il raggiungimento dell'autonomia del figlio gia' in eta' precoce.
Mediante un apposito questionario sono state ricostruite le caratteristiche comportamentali sessuali degli adolescenti in relazione alle tipologie materne. Cio’ ha permesso di avere un quadro delle diverse modalita' e delle diverse tipologie di relazioni intime e del corteggiamento:
-I figli di madri "coinvolgenti" tendono ad avere rapporti sessuali precoci (14-16 anni in media), relazioni affettive intense e durature e rapporti sessuali frequenti generalmente con lo stesso partner.
-I figli di madri "controllanti" tendono ad avere rapporti sessuali in eta' piu' tarda (18 anni in media), privilegiano relazioni affettive di breve durata anche se intense ed hanno rapporti sessuali frequenti con partner diversi.
In pratica si e' evidenziato come il supporto e il controllo materno finiscono per influenzare enormemente le diverse maniere di porsi degli adolescenti nei riguardi dell’ altro sesso. Viene anche confermata in qualche modo l'ipotesi che il rapporto con il partner tenda a riprodurre le situazioni e le modalita' relazionali legate al proprio passato infantile.
Gli elementi della dualita' madre-figlio sembrano dunque quelli fondamentali dotati delle potenzialita’ di sollecitare, ritardare e modulare diversamente la qualita' delle prime esperienze sessuali.
Verificando poi l’ evoluzione di tali problematiche in eta’ piu’ adulta, lo studio ha anche evidenziato, tuttavia, come l'influsso di questo stile genitoriale tenda a diminuire col tempo, in relazione soprattutto alla comparsa di modalita' di innamoramento piu' mature e complesse.
(Relazione D. Di Giacomo "Psicologia contemporanea" n.163- Gennaio-Febbraio 2001)

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Virus modificati possono proteggere dall’ HIV

E' da tempo che l'attenzione dei ricercatori si e' accentrata su una proteina presente sulla superficie dei linfociti, sede di attacco del virus HIV: si tratta precisamente della proteina CC-R5, che viene usata dal virus HIV insieme ad un altro recettore (CD4) per agganciarsi alle cellule-bersaglio onde penetrarvi successivamente.
E' stato dimostrato che le persone geneticamente prive della molecola CC-R5 o che siano produttori di anticorpi contro questa molecola, sono immuni dall'attacco dell'HIV. E' naturale quindi che si cerchi di riprodurre artificialmente questa situazione per poter disporre finalmente di una possibilita’ di immunizzazione contro l' infezione HIV. Il virus, noto per il suo polimorfismo e per le sue capacita’ di modificarsi onde sfuggire all’ azione diretta degli anticorpi, dipende invece, in tutti i suoi ceppi conosciuti, dalla presenza di questo recettore per l’ aggancio alle cellule.
Un ricercatore statunitense ha percio' creato un falso virus, composto da un papillomavirus umano cui sono state adese le proteine CC-R5. Iniettato in animali, questi hanno prodotto anticorpi che, oltre al virus trasportatore, hanno attaccato violentemente anche la proteina recettore. Le cellule che ne sono derivate, trattate in vitro, sono risultate non piu' attaccabili dall'HIV.
Si sta valutando la possibilita' che tale meccanismo possa essere attivo anche negli esseri umani, e promette di diventare una buona arma contro l'HIV.
("Le Scienze"- Settembre 2000)
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Terapia dell'Epatite C in pazienti affetti da HIV

E' frequentemente coesistente, tra i pazienti HIV positivi, anche un'infezione da virus dell'Epatite C. E’ probabile che tale coesistenza sia legata alle modalita' sovrapponibili di trasmissione virale, come e’ ben noto.
Non e' noto tuttavia il significato clinico di questa coesistenza ne’ il loro peso sulla mortalita' e morbilita' dei pazienti. E' stato percio' effettuato uno studio multicentrico sull'infezione da HIV mirato a verificare il ruolo clinico della coinfezione da HCV. Sono stati esaminati oltre 3000 pazienti HIV positivi, il 37% dei quali presentava infezione da HCV. Si trattava per la maggior parte dei casi (87%) di tossicodipendenti.. L'infezione da Epatite C e' risultata un fattore positivo indipendente per l'aumento di rischio di progressione ad AIDS conclamato; non ha rivelato invece nessun effetto sulla probabilità di risposta alla terapia antiretrovirale. E' stato riscontrato che il livello finale di linfociti CD4 era piu' basso nei casi che presentavano coesistenza di entrambi i virus.
In conclusione gli autori sostengono come sia da considerare necessario un trattamento precoce e intenso dell'Epatite C in tutti i pazienti HIV positivi anche senza manifestazioni cliniche conclamate in quanto l'infezione epatitica aumenta il rischio di evoluzione peggiorativa ad AIDS.
(Lancet 2000;356:1800-5)
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Sono proprio le fibre a far bene al colon?

Il cancro del colon e' diventato attualmente una delle forme neoplastiche piu' diffuse nei paesi ad alto tasso di sviluppo. Fin dagli anni '70, dopo che si scopri' mediante studi epidemiologici che le popolazioni che includono alla dieta molte verdure ricche di fibre sono meno soggette, percentualmente, al cancro del colon, si e' sostenuto che questi elementi indigeribili dei vegetali presentino un effetto protettivo verso questa malattia.. E' diventata nozione comune che gli alimenti troppo raffinati e privi di fibre possano essere nocivi e debbano essere integrati con un adeguato contenuto di fibre. E' nata percio' intorno a cio' un enorme industria alimentare finalizzata all’ arricchimento degli alimenti con fibre indigeribili, o alla produzione di intefratori a base essenzialmente di sole fibre. Tali prodotti sono stati diffusi in tutto il mondo occidentale, presentate come preventive contro il rischio di cancro del colon.
Il gastroenterologo Robert Goodlad ha invece pubblicato un articolo controcorrente sul numero di Aprile di una rivista specializzata (GUT) in cui sostiene che, in realta', alcuni tipi di fibre non solo non difendono dal tumore del colon ma addirittura lo possono favorire. Egli sostiene che non siano le fibre a essere di per sé protettive verso il cancro del colon bensi' il fatto che, assumendo grandi quatita' di vegetali ricchi di fibre, le popolazioni assumono anche vitamine e sali minerali e altre sostanze contenute nei vegetali aventi proprieta' antitumorali. Secondo le osservazioni di Goodlad infatti le fibre, arrivate nell'intestino, fermentano e rilasciano sostanze che stimolano la divisione cellulare e sono quindi potenzialmente cancerogene; inoltre aumentano esageratamente componenti batteriche presenti nell'apparato digerente. Secondo lo specialista infine mangiare cibi arricchiti artificialmente di fibre puo' essere quantomeno inutile o addirittura pericoloso, soprattutto se le fibre aggiunte sono quelle dei cereali che sono le piu' irritanti per l'intestino. Le fibre sarebbero quindi essenzialmente, in realta’, semplici indici di una dieta complessivamente benefica. Conviene quindi secondo lui magiare quantita' maggiori di alimenti naturalmente ricchi di fibre e non di aggiungerle artificialmente alla dieta.
("Le Scienze" 394- Giugno 2001)
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Associazione tra fumo e disturbi psichici nell'eta' giovanile.

E' ben noto come il fumo di sigaretta venga genericamente associato alla presenza di disturbi di tipo ansioso. E' noto pure come molti fumatori affermino di fumare fondamentalmente in condizioni di stress. Non esistono tuttavia dati diretti che possano chiarire meglio il legame tra fumo e disturbi psichici. E' stato percio' effettuato a New York uno studio longitudinale su circa 700 adolescenti (o giovani adulti) che sono stati intervistati nel periodo '85-'86 e successivamente nel 1991-'93. I dati emersi dal questionario, tendente ad approfondire il nesso tra ansia e fumo, hanno evidenziato come un consumo di sigarette maggiore di 20 al giorno in questi soggetti, veniva essere associato ad un elevato rischio di agorafobia, di disturbi ansiosi e attacchi di panico nella vita adulta.
Questi dati confermavano quindi uno stretto legame tra alcuni disturbi psichici di tipo nevrotico o ansioso e il consumo di sigarette in eta' giovanile. Non veniva pero' chiarito se la coesistenza di tali fattori potesse costituire una semplice associazione o se rivestisse un nesso causale.
(Jama 2000;284:2348-51)

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E' davvero efficace l'aglio contro il colesterolo?

E' noto come dalla notte dei tempi all'aglio siano state attribuite varie capacita' terapeutiche, sia come regolatore della pressione arteriosa che come presunto regolatore del metabolismo lipidico e di prevenzione dell' aterosclerosi. Tale ultimo effetto e’ stato considerato in realta’ secondario a un ipotetico primario effetto ipocolesterolemizzante. Per accertare l’ effettiva consistenza di tale effetto farmacologico e' stata quindi effettuata una metanalisi sulla letteratura scientifica prodotta sull'argomento prendendo in esame soltanto studi randomizzati in doppio cieco in quanto ritenuti gli unici metodologicamente accettabili.
Sono stati identificati 13 lavori che rispondevano a tali requisiti: tutti i lavori esaminati hanno effettivamente dimostrato un modesto grado di riduzione di livelli colesterolo totale nei soggetti che assumevano una quantita' particolarmente elevata di aglio.
L'attivita' biologica dell'aglio non e' risultata pero' sufficientemente elevata al punto da produrre effetti clinicamente significativi, per cui i ricercatori hanno espresso forti dubbi sul fatto che una dieta ricca di aglio possa effettivamente contribuire alla diminuzione del rischio cardiovascolare o che l'aglio possa costituire un valido sostituto di altri farmaci ampiamente sperimentati.
(Ann Intern Med 2000;133:420-9)
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"Interferone pegilato", nuova arma contro HCV

L'infezione da HCV sta affermandosi, in tutto il mondo occidentale, come una delle piu' importanti malattie virali in quanto viene ad essere la piu' frequente infezione cronica trasmessa con il sangue. Negli USA e' stato riscontrato come 2,7 milioni di soggetti abbiano contratto l'infezione senza saperlo. Il trattamento di tale infezione non e' facile, in quanto basato su farmaci non sempre efficaci, gravati da importanti effetti collaterali e molto costosi.
Il trattamento di base in tutti i regimi contro il virus HCV e' basato sull'interferone alfa. Sono stati provati vari schemi terapeutici (cicli piu' o meno lunghi con dosaggi diversi) alla ricerca delle dosi ottimali e delle migliori combinazioni. Attualmente e' stata introdotta anche la Ribavirina quale farmaco di associazione con l'interferone; tale associazione sembra presentare attualmente la terapia di prima scelta. Tutti i tentativi finora pero' hanno incontrato difficolta’ legate ai limiti farmacologici dell'interferone alfa: si tratta di un farmaco con breve emivita (circa otto ore) con un ampia fluttuazione delle concentrazioni ematiche del farmaco durante il trattamento. Si rendevano percio' necessarie somministrazioni frequenti e ripetute, spesso poco accettate e gravate da effetti collaterali disturbanti. Con grande frequenza si assisteva, all'interruzione del trattamento, a un progressivo aumento della viremia .
Convenzionalmente, i pazienti vengono definiti " responsivi " allorche' si abbia scomparsa di livelli misurabili di virus nel sangue durante la terapia; vengono definiti "responsivi persistenti" quando questa tale assenza di viremia si protrae per almeno 24 settimana dopo il trattamento.
Attualmente e' comparsa in commercio una nuova preparazione di interferone, detta "interferone pegilato", caratterizzato da una lunga emivita, tale da permettere una somministrazione frazionata in dosi addirittura settimanali. Sono stati effettuati diversi studi di confronto tra la terapia con interferone pegilato e interferone classico: l'uno effettuato a Francoforte, ha evidenziato una negativizzazione dell' HCV nel 39% dei casi trattati con interferone pegilato rispetto al 28% trattati con interferone classico. Gli effetti avversi sono stati analoghi nei due gruppi; la risposta persistente nel gruppo trattato con interferone pegilato era simile a quello descritto col trattamento combinato di interferone tradizionale e Ribavirina.
Un altro studio e' stato effettuato invece in Canada ed ha riguardato pazienti con particolari difficolta' di trattamento (cirrosi compensata, fibrosi estesa, piastrinopenia).
E' noto come i pazienti con fibrosi abbiano in genere molti problemi di tolleranza e disturbi che vengono peggiorati dall'interferone, come astenia, depressione, neutropenia e piastrinopenia. Questo gruppo ha sopportato bene la terapia con interferone pegilato; e' stato riscontrato il 30% di una risposta virologica persistente e addirittura una risposta positiva istologica in oltre la meta' dei casi. Alcuni critici hanno evidenziato pero' come esistano diversi genotipi dell'infezione HCV, e che il genotipo 1 si e’ dimostrato piu' resistente degli altri alla terapia con interferone; negli studi in esame non era stata effettuata la tipizzazione dei ceppi virali in modo da valutare l’ incidenza di tale ceppo.
E' possibile percio' ipotizzare che la composizione dei gruppi non rispecchiasse l'effettiva distribuzione genotipica virale contribuendo all’ apparente successo degli studi descritti sopra.
Tuttavia al momento attuale la terapia con interferone pegilato, sia per la sua comodita' di iniezione settimanale, che per gli effetti riscontrati negli studi finora effettuati, si presenta come un valido progresso nella terapia dell'infezione da HCV.
("Scienza e Management" n. 1, 2001- N.E.J.M. 343,1723,2000- N.E.J.M. 343,1666,2000- N.E.J.M. 343,1673, 2000
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Ancora contro i calcioantagonisti nell'ipertensione

Diversi autori hanno sostenuto come i farmaci antipertensivi calcioantagonisti, pur essendo particolarmente efficaci nel controllo dell'ipertensione arteriosa, possono costituire elementi di aggravamento di rischio coronarico.
E' stata effettuata una metanalisi che ha interessato i lavori scientifici sull'argomento che avessero esaminato almeno 100 pazienti. Di tutti questi lavori ne sono stati selezionati 9 in quanto ritenuti metodologicamente piu’ corretti. Questi lavori comprendevano un totale di 27mila pazienti. La metanalisi si e’ conclusa confermando l'efficacia antipertensiva di queste molecole pur ribadendo come le complicanze cardiovascolari tipiche della malattia ipertensiva risultassero alla fine piu' frequenti nei soggetti trattati con calcioantagonisti rispetto a quelle osservate nei casi di controllo trattati con altri antipertensivi (ace-inibitori, diuretici, beta-bloccanti).
Sulla base di questi risultati gli autori sconsigliano l'uso dei calcioantagonisti nella terapia a lungo termine dell'ipertensione arteriosa.
(Lancet 2000;356:1949-54)
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Pillole di buonumore

e diceva fra se': - Co' 'st'invenzione
che mette fine a tutti li malanni
un omo campera' piu' de cent' anni
senza che se misuri la pressione
e se conservera' gajardo e tosto
cor core in pace e co' la testa a posto.... (continua)


NEWS 

 

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Pillole di buonumore

Detto c'ebbe cosi', fece una croce,
quasi volesse benedi' er decotto,
ma a l' improviso intese come un fiotto
d' uno che je chiedeva sottovoce:
- Se ormai la vita e' diventata un pianto
che scopo ciai de fallo campa' tanto?.... (continua)


     APPROFONDIMENTI

Gli "Eccessi Nutritivi Inevidenti"

I medici sono alle prese, pressoche’ quotidianamente, con problematiche collegate al peso ed ai corretti regimi alimentari dei pazienti. Le statistiche piu’ recenti evidenziano, con toni sempre piu’ allarmati, l’ aumento di peso, ben oltre l’ auspicabile, di gran parte della popolazione dei paesi "ricchi": negli Stati Uniti (paese "simbolo",) si calcola che attualmente il 25-30% dei bambini sia affetto da obesità.
Tale fenomeno sta crescendo pero’ in tutti i paesi industrializzati per cui l’ attenzione dei sanitari si sta sempre piu’ focalizzando sui possibili rimedi, primi tra tutti l’ intaurazione di corretti comportamenti alimentari.
Eppure la maggior parte degli obesi asserisce con forza di non mangiare piu’ del necessario: essi citano sempre, monotonamente, l’ ultimo pasto, o i pasti del giorno precedente: "Una minestrina, dottore, con un po’ di verdurina e una mela". Ma l’ evidente floridezza dei personaggi contrasta violentemente con la dieta "da campo di concentramento" che essi riferiscono in apparente buona fede. A parte alcuni casi conseguenti a difetti genetici o a malattie metaboliche primarie, resta evicente come in gran numero di soggetti la chiave della situazione sia costituita da erronee abitudini alimentari.
I cambiamenti delle abitudini alimentari avvenuti negli ultimi decenni, hanno portato alla luce un aspetto che era rimasto nascosto, alla base di quell’iceberg la cui parte visibile è costituita dal crescente problema del sovrappeso e dell’obesità infantili e giovanili: gli eccessi nutritivi inevidenti.
Volendo darne una definizione precisa, possono essere descritti come " abitudini alimentari acquisite negli ambienti di vita, che si situano al di sotto della soglia di attenzione clinica ma non sono funzionali alla nutrizione".
Si tratta percio’ di comportamenti alimentari "limite", non ancora studiati, e che rappresentano un’area di ricerca poco sviluppata. Essi costituiscono pero’ esperienza di osservazione quotidiana per ogni medico.
Esempi di eccessi nutritivi inevidenti:

L’ alimentazione inevidente ha percio’ la caratteristica di essere:

Ma da dove derivano queste "scorrettezze alimentari"? L’origine degli eccessi nutritivi inevidenti è da ricercarsi in una molteplicità di fattori economici, sociali ed interpersonali molto diffusi nella nostra società e strettamente intrecciati tra loro, che interessano ogni fascia di eta’ ma a cui sono sottoposti specialmente i giovani.
Questi fattori derivano da un’ eccessiva evoluzione di tipo "consumistico" legata al progresso sociale ed economico, per cui sono divenuti di uso comune una serie di eventi che un tempo erano del tutto legati a situazioni e momenti particolari. Tra questi fattori dobbiamo annoverare:

A tutto questo si è aggiunto, a livello di popolazione, un abbassamento epocale del fabbisogno calorico medio, sia per la riduzione delle attività fisiche (confinate quasi esclusivamente ai centri sportivi e a poche ore settimanali), sia per le nuove abitudini più sedentarie consolidatesi nell’infanzia e nell’adolescenza (motorini, computer, televisione, ecc.).
Contribuisce al fenomeno anche l’ottimale climatizzazione invernale degli ambienti di vita, sconosciuta fino alla prima metà del ventesimo secolo.
Laddove le diete sono proposte come rimedio, esse non solo non costituiscono una soluzione razionale, in quanto non mirano a correggerne le cause, ma possono anche attivamente contribuire al mantenimento del problema. E’ stato riscontrato, infatti, da studi epidemiologici e clinici condotti da numerosi Autori, come i regimi dietetici puri e semplici, anche correttamente prescritti da operatori sanitari competenti, siano, nella maggior parte dei casi, inefficaci. Questo per motivi fisiologici (l’ organismo sottoposto a deprivazione alimentare tende ad attuare strategie di "risparmio metabolico" diminuendo cosi’ l’ efficacia della dieta stessa) che neurologici (diete croniche, comportando una carenza relativa di serotonina, potrebbero indurre disturbi dell’ umore, con conseguenze negative in soggetti vulnerabili) che psicologiche (numerosi studi hanno evidenziato un "effetto ciclico" o "effetto yo-yo" che comporta un alternarsi di perdite ed aumenti di peso, con progressiva perdita di risultati positivi).
La valutazione degli eccessi nutritivi inevidenti puo’ mettere in luce uno dei meccanismi patogenetici che sfuggono all’ attenzione dell’ osservatore e, talvolta, anche del paziente. Si e’ rivelato quindi importante correggere tali meccanismi automatici rendendoli palesi e quindi sottoposti a vaglio dei filtri critici coscienti. Sono stati studiati diversi approcci cognitivo-comportamentali finalizzati alla rottura di questi meccanismi automatici e quindi al recupero di un effettivo controllo alimentare. Queste tecniche psicologiche andrebbero pero’ integrate da un parallelo (e concordato) approccio piu’ tipicamente medico-dietetico; questa integrazione pero’ non e’ stato ancora adeguatamente studiata e formalizzata. E’ importante percio’ che il medico acquisti sempre piu’ una visione del paziente che non sia limitata ai soli aspetti fiosiologici e materiali.
Qualche problematica (psicologica o fisiologica) dalla letteratura internazionale

Un lavoro curioso sull’argomento "alimentazione e psiche" e’ stato effettuato in Canada: Era ben noto come i soggetti affetti da disturbi alimentari gravi attribuissero il loro comportamento al fatto di avere un corpo troppo magro o troppo grasso. La psichiatria si e' percio' orientata a considerare tali disturbi come derivanti da un' alterata percezione del proprio schema corporeo in riferimento, appunto, al peso.
Gli autori hanno invece dimostrato che, diversamente da quanto si riteneva finora, i disturbi alimentari gravi quali la bulimia e l’anoressia siano molto diffusi anche in soggetti che trovavano sgradevoli e inaccettabili alcune singole parti del proprio corpo, anche non direttamente legate alla struttura e al peso corporeo (quali il naso, le orecchie, gli occhi o la statura).
E’ stato concluso che quindi la cosa piu’ importante sia l’accettazione globale della propria fisicita’

"International Journal of Eating Disorders" 2000;27:304-309

Un gruppo di ricercatori americani ha indagato recentemente le relazioni tra disturbi del sonno e quelli dell’ appetito. E’ stato riscontrato come nei soggetti che soffrono d’insonnia appare molto piu’ accentuata la tendenza a comportamenti alimentari scorretti: in particolare, coloro che si svegliano improvvisamente durante la notte, usano tradizionalmente colmare la loro insonnia mangiando. Questi pasti aggiuntivi si assommano a quelli del giorno portando il totale calorico a livelli superiori a quelli effettivamente necessari. Altri soggetti invece mostrano una erronea distribuzione delle calorie durante la giornata,con colazioni modeste e cene pesanti. Studi sui neurormoni avrebbero evidenziato che il controllo del sonno sia affidato alla melatonina, quello della fame alla leptina, e che i livelli dei due neuroormoni siano in correlazione tra loro. Potrebbe essere possibile, quindi agire su questi due neurormoni correggendo sia per l’insonnia che i disturbi del comportamento alimentare.
JAMA 1999 Aug. 18; 282 (7):689-90 (20 Gennaio 2000

Benche’ esista da lungo tempo una campagna tesa a informare la popolazione dell’utilita’ di una corretta alimentazione e dei suoi risvolti positivi per la salute, i risultati ottenuti non rispecchiano l’impegno. Da anni negli Stati Uniti e’ stato impostata una campagna sull’ importanza di una equilibrata alimentazione. Le analisi dei comportamenti alimentari dei consumatori ha pero’ evidenziato come per coloro che iniziano un trattamento dietetico, dopo poche settimane di scrupolosi conteggi di calorie e di attenti dosaggi degli alimenti durante i pasti, si crei invece una situazione di abbandono e di distacco dalle buone regole appena imparate. Malgrado le campagne di informazione e di istruzione, soltanto il 25% della popolazione americana consuma grassi nelle quantita’ raccomandate mentre ben il 75% ne assume in quantita’ eccessiva con conseguenze negative sulla colesterolemia, sul peso, e sull’apparato cardiovascolare. Alcuni alimenti come fibre, frutta e verdura sono consumate in quantita’ adeguate dai giovani di entrambi i sessi mentre solo il 35% delle donne sopra i 60 anni segue adeguatamente tali indicazioni. Per quanto riguarda il sale l’ 80% degli americani ne consuma certamente in eccesso. L’attenzione sulla qualita’ della dieta e’ superiore generalmente nella popolazione bianca ed e’ molto inferiore nella popolazione di colore.
E’ necessario promuovere una nuova cultura del cibo, con strategie di convincimento e di convinzioni adeguate.
P. Chiambretto "Psicologia contemporanea" Novembre-Dicembre 2000 n. 162

Tra il 1980 e il 1994 negli USA la prevalenza dell’obesità nei ragazzi è aumentata del 100%: il 24% e l’11% dei ragazzi si trovano rispettivamente sopra l’85° e il 95° percentile del BMI (Body Mass Index = Indice di Massa Corporea) di riferimento per età e sesso. Tra i vari fattori ambientali e sociali che potrebbero contribuire all’aumentata prevalenza dell’obesità, il consumo delle bevande dolci è stato poco indagato. Negli ultimi 50 anni il consumo di bevande dolci è aumentato del 500%. La metà degli americani e la maggioranza degli adolescenti (65% delle ragazze e 74% dei ragazzi) consuma bevande dolci; queste rappresentano la principale sorgente di zuccheri della dieta, ammontando in media a 36.2 g di zucchero al giorno per le ragazze e a 57.7 g per i ragazzi.
Dopo aggiustamento per variabili antropometriche, demografiche, dietetiche e di stile di vita, sia il BMI che la frequenza dell’obesità aumentavano in rapporto al consumo di bevande dolci: per ogni bicchiere di bevanda zuccherata il BMI aumentava di 0.24 kg/m2 (IC 95% = 0.10 – 0.39; P = 0.03), l’odds ratio per la frequenza dell’obesità era di 1.60 (IC 95% = 1.14 – 2.24; P = 0.02). Il consumo di bevande zuccherate nei ragazzi è una variabile indipendente associata con l’obesità.
A.S.: Lancet, 17 febbraio 2001
Tra le ipotesi patogenetiche sull’ obesita’ si e’ recentemente affacciata quella virale. Un gruppo di ricercatori ha inoculato animali da esperimento (polli e topi) con un adenovirus umano osservando che gli animali inoculati mostravano un sorprendente guadagno in peso e in tessuto adiposo rispetto agli animali utilizzati per il controllo.
Esperimenti simili erano stati gia’ effettuati inoculando nei polli un virus aviario denominato CELO. Gli animali inoculati da virus umano mostravano pero’ incrementi di peso ancora superiori.
Operazioni di questo tipo erano gia’ state effettuate in altri studi, tuttavia e’ la prima volta che viene utilizzato un virus umano per infettare i polli. E’ possibile ipotizzare un intervento virale anche nella patogenesi dei soggetti umani.
"International Journal of Obesity" 2000;24 (8):989-996

Daniele Zamperini- 18/03/2001 Pubblicato su "Doctor" Maggio 2001
Fonti non citate nel testo:
-L. Sibilia: Psicologia Contemporanea n. 164, mar-apr 2001, pagg 58-64
-L. Sibilia e S. Borgo (a cura di): "Comportamento alimentare e obesita’" Roma, ed. Universo, 1983
-Smith K.A. e al., Arch. Gen. Psychiatry, 56 (2), 171-176, 1999

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Pillole di buonumore

Devi curaje l' anima. Bisogna
che invece d'esse schiavo com' e'  adesso,
ridiventi padrone de se stesso
e nun aggisca come una carogna;
pe ritrova' la strada nun je resta
che un mezzo solo e la ricetta e' questa: ... (continua)


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA 
  Rubrica gestita dall' ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Universita' Cattolica (a cura di D.Z.)

La Regione gode ha massima discrezionalita' nella valutazione dell'idoneita' del Direttore Generale di ASL. (Sentenza Consiglio di Stato sez. IV, n. 3649 del 3 luglio 2000)

La trasformazione in Aziende delle USL e della Regione ha fatto si' che, il rapporto tra Direttore Generale e Regione stessa, abbia assunto una particolare connotazione fiduciaria. La nomina del Direttore Generale e la sua conferma all'esito della verifica annuale, costituiscono atti di alta amministrazione regionale ad intrinseca valenza tecnica, espressione della piu' ampia discrezionalita' della Pubblica Ammninistrazione.
Va esclusa la necessita', ai fini della nomina, di una valutazione comparativa, pur restando l'obbligo di criteri di valutazione uniformi e predeterminati, applicati a tutte le strutture sanitarie operanti nella Regione. La responsabilita' del Direttore Generale rientra nel genus di quella manageriale che, a differenza di quella disciplinare non richiede un atteggiamento psicologico doloso o colposo ma il solo oggettivo ottenimento dei risultati negativi. Nella fattispecie, la Regione Puglia riscontrava, dopo adeguata istruttoria nel 1996, come i Direttori Generali delle ASL avessero dato corso ad inadempienze amministrative e ritardi nell'adozione o presentazione di atti dovuti nonche' a spese ingiustificate e disavanzi di gestione con irregolarita' amministrative e contabili, per cui perveniva nei loro confronti a un giudizio di diniego di conferma.
Il TAR accoglieva il ricorso di uno dei Direttori osservando che non era adeguata la decisione che valutasse i risultati dopo un anno di incarico senza prescindere da una valutazione immotivata e irrazionale dei risultati amministrativi e gestionali in rapporto alle situazioni organizzative o gestionali di base. Il Consiglio di Stato annullava la decisione del TAR escludendo, come si e' detto la necessita' di una valutazione comparativa, confermando come la responsabilita' del Direttore Generale, di natura manageriale, deriva dal solo oggettivo ottenimento dei risultati negativi dell'attivita' amministrativa e della gestione o dal mancato raggiungimento degli obiettivi posti da grave inosservanza delle direttive impartite dal livello politico competente cui il Dirigente e' legato da un rapporto fiduciario. Il tipo di controllo esercitato dal livello politico in sede di verifica di risultati ann