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"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
Patrocinate da - SIMG-Roma -
A.S.M.L.U.C. - eDott.it 

Periodico di aggiornamento medico e varie attualità
di: 
Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci
con la collaborazione di Marcello Gennari
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: www.edott.it e su http://zamperini.tripod.com
Il nostro materiale è liberamente utilizzabile per uso
privato. Riproduzione riservata


Luglio-Agosto 2002

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita da D.Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

PILLOLE


Aneurisma dell'aorta addominale (AAA): quando intervenire?

1136 pazienti affetti da AAA con dimensione compresa tra 4.0 e 5.4 cm furono randomizzati per essere sottoposti a intervento immediato con tecnica tradizionale o osservazione mediante ecografia o TAC ogni 6 mesi.
Nel gruppo di osservazione, il 62% dei pazienti fu successivamente sottoposto ad intervento (quando la dimensione degli AAA giunse a 5.5 cm o divennero sintomatici). Durante un follow.up medio di 5 anni, non si rilevarono differenze significative tra i gruppi per mortalità da tutte le cause (25% nel gruppo sottoposto ad intervento immediato contro 22% nel gruppo di osservazione) o nella mortalià collegata alla patologia aneurismatica (3.0% contro 2.6%).
La mortalità operatoria nel gruppo di intervento immediato fu del 2.7%.

N Engl Med 2002 May 9; 346: 1437-44

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Aneurismi aortici addominali da 3.0 a 3.9 cm: storia naturale

Spesso gli AAA giungono alla osservazione del medico quando ancora le loro dimensioni sono contenute. In questo studio sono studiati 1145 uomini con AAA di dimensioni comprese tra 3.0 cm e 3.9 cm.
Vengono riportati i dati di 790 uomini che furono seguiti almeno per un anno al follow-up.
Durante un periodo medio di 3.9 anni, la velocità media di ingrandimento dell'AAA risultò di 0,11 cm all'anno. Però, solo il 6.7% degli AAA arrivò a 5 cm o più.
Degli AAA di dimensione compressa tra 3.0 e 3.4 cm il 4% arrivò a 5 cm e di quelli di dimensioni comprese tra 3.5 cm e 3.9 cm il 14% raggiunse tale dimensione.
Solo nel 2.6% dei casi si arrivò al tavolo operatorio.
Non si ebbero episodi di rotture di AAA.

J Vasc Surg 2002 Apr; 35: 666-71

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Follow-up nel carcinoma colorettale

Su 100 pazienti che vengono operati per carcinoma colorettale, nei due terzi dei casi l'intenzione dell'operatore è di estirpare la malattia completamente.
Però, di questi pazienti, il 30%-50% va incontro a ripresa di malattia e muore.
Vi è una discussione accesa intorno alla necessità o meno di un follow-up intensivo nei pazienti operati per garantire una maggiore sopravvivenza.
Questa metanalisi affronta il problema prendendo in esame 5 trial randomizzati con un totale di 1342 pazienti.
Il regime di follow-up intensivo comprendeva visite ogni 3 mesi, e periodicamente determinazione del CEA, imaging addominale e colonscopia.
I controlli venivano sottoposti ad un regime di sorveglianza meno stretto con un numero minore di esami.
A 5 anni, il 37% dei controlli era deceduto, contro il 30% dei pazienti sottoposti a sorveglianza intensiva. La differenza risultò significativa.
Nei 4 trial in cui si utilizzò la determinazione del CEA e la TAC addominale, la riduzione assoluta della mortalità a 5 anni fu del 9-13% (NNT 8-11).
Il regime di follow-up intensivo fu inoltre in grado di anticipare la diagnosi di ripresa di malattia di 8.5 mesi e aumentare la capacità di individuare recidive locali isolate (RR 1.6)
Questa è una metanalisi, ma comunque è il primo studio che dimostra il beneficio di un follow-up intensivo dopo intervento curativo per carcinoma colorettale.
Sembra che la maggior parte del beneficio sia attribuibile all'impiego del CEA e della TAC addominale.
Occorrono lavori più mirati per determinare la frequenza di esecuzione ottimale dei test presi in esame.

BMJ 2002 Apr 6; 324: 813-6

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Cervicalgia? Andiamo dal fisioterapista!

In questo trial randomizzato vengono paragonati i risultati del trattamento della cervicalgia mediante terapia manuale (tecniche di mobilizzazione muscolare e articolare, tecniche di coordinazione o stabilizzazione ma non tecniche di manipolazione vertebrale), fisioterapia (principalmente esercizi di mobilizzazione attiva) e assistenza ordinaria da parte del medico di medicina generale con l'ausilio di counseling e farmaci.
La terapia manuale veniva applicata per 45 minuti alla settimana per 6 settimane. La fisioterapia veniva somministrata per 30 minuti due volte alla settimana. L'assistenza da parte del medico consisteva in una visita di 10 minuti di durata seguita da altre 3 visite opzionali della stessa durata.
Vennero arruolati 183 pazienti con cervicalgia o rigidità cervicale da almeno 2 settimane.
A 7 settimane di distanza, il 68% del gruppo sottoposto a terapia manuale, il 51% del gruppo trattato con fisioterapia e il 36% del gruppo trattato dal medico di medicina generale erano liberi da sintomatologia o comunque molto migliorati.
Si dimostrò tuttavia statisticamente significativo solo il confronto tra terapia manuale e trattamento da parte del medico di medicina generale.

Ann Intern Med 2002 May 21; 136: 713-22

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Contraccezione di emergenza

La contraccezione postcoitale, o contraccezione di emergenza, viene utilizzata dalle donne che hanno avuto rapporti sessuali a rischio di concepimento ma che non desiderino una gravidanza. Sono state utilizzate diverse metodiche per ottenere il risultato dell'evitamento di una gravidanza indesiderata: inserzione di uno IUD; assunzione di preparati ormonali a dosi elevate (estrogeni, estroprogestinici, progestinici, danazolo).
La contraccezione postcoitale ormonale è considerata efficace se assunta entro 72 ore dal rapporto al rischio, ma con tassi di efficacia diversi a seconda del metodo usato e del tempo di assunzione.
È stato visto, ad esempio, come qualora il trattamento ormonale venga iniziato entro 12 ore dal rapporto le percentuali di gravidanza sono inferiori allo 0,5% mentre arrivano al 4,1% qualora il trattamento sia iniziato tra le 61 e le 72 ore del rapporto.
Queste percentuali sono variabili tra prodotto e prodotto e differiscono nei diversi studi effettuati. L'inserzione di uno IUD invece può essere efficace anche a 5 giorni dal rapporto. I dati qui riferiti sono riportati dalla TASK FORCE del WHO per la contraccezione d'emergenza.
Il sistema proposto da Yuzpe negli anni 70 (combinazione etinil-estradiolo-levonorgestrel, con assunzione in dosi elevate di prodotti comunemente usati come contraccettivi) ) soppiantò le tecniche precedenti costituite da alte dosi di estrogeni soprattutto per il suo inferiore tasso di effetti collaterali, ed è stato probabilmente il più usato, anche se attualmente soppiantato da prodotti aventi specifica indicazione.
Il danazolo è oggi scarsamente utilizzato come contraccettivo postcoitale perchè recenti studi hanno fornito risultati piuttosto deludenti e non escludono possibili effetti teratogeni sul feto in caso di fallimento.
Non esistono controindicazioni assolute all'assunzione di un contraccettivo postcoitale ormonale se non quelle generiche che riguardano la somministrazione di tali ormoni come la presenza di eventuali neoplasie mammarie, trombosi venose profonde, anamnesi di ictus cerebrale ecc.
L'inserzione di uno IUD come contraccezione postcoitale è appropriata per quelle donne che desiderano poi utilizzare lo IUD come contraccettivo a lungo termine, ma è sconsigliabile per le donne giovani e le nullipare data la difficoltà di posizionare correttamente la spirale in un utero di dimensioni ridotte. Inoltre lo IUD può presentare complicazioni quali spotting, dolore, malattia infiammatoria pelvica.
La contraccezione postcoitale non è riservata allo specialista ginecologo ma può essere effettuata anche dal medico di medicina generale, salvo obiezione di coscienza.
Infatti, nella legge 194 del 22/05/78 lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e la somministrazione anche ai minori (su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori), dei mezzi necessari per conseguire le finalità procreative.
Il medico di medicina generale è perciò autorizzato alla prescrizione (sebbene la somministrazione andrebbe effettuata nelle strutture sanitarie e nei consultori) anche ai soggetti minorenni, qualora lo ritenga opportuno, anche senza il consenso dei genitori.
La liceità dell'obiezione di coscienza, in questo settore, in realtà, è incerta, in quanto una sentenza del TAR Lazio ha stabilito che questi preparati non sono da considerare prodotti abortivi in quanto agiscono prima dell'annidamento dell'embrione e non sono comunque in grado di interrompere una gravidanza che si sia già instaurata.

(R.M.P. Marzo 2002, pag. 44)

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Dermatite atopica e diabete: incompatibilità di carattere

Era stato osservato empiricamente come i soggetti giovani affetti da diabete mellito insulinodipendenti soffrissero più raramente di dermatite atopica.
Alcuni ricercatori statunitensi hanno quindi voluto effettuare uno studio su oltre 900 bambini affetti da diabete insulinodipendente confrontati con altri diecimila soggetti non diabetici della stessa età. La presenza di dermatite atopica veniva valutata attraverso un questionario mirato.
I risultati dello studio evidenziavano come l'incidenza di dermatite atopica fosse significativamente più alta nei soggetti normali che in quelli diabetici, ma questa differenza veniva rilevata solo nel periodo che precedeva l'esordio del diabete.
Questa differenza è stata spiegata col fatto che i soggetti diabetici abbiano una reattività immunologica di tipo diverso rispetto ai soggetti affetti da dermatite atopica: la dermatite è basata su un meccanismo allergico contraddistinto da una immunoreattività di tipo Th2 con produzione aumentata di interleuchina 4; al diabete insulinodipendente si associa invece una reattività immunologia di tipo Th1 con rilascio di interferone gamma.
Non è stato chiarito però l'effetto reciproco delle due situazioni immunologiche in un età più avanzata, quando è possibile riscontrare contemporaneamente le due malattie.

(Lancet 2001;357:1749-1752)

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Il ritmo circadiano influenza anche il tumore

Uno studio policentrico internazionale, coordinato tra centri francesi e britannici, ha messo in luce un'associazione tra la progressione di masse tumorali maligne e alcune specifiche alterazioni nei ritmi circadiani. In effetti già studi precedenti avevano evidenziato come i ritmi circadiani sembrino influenzare, oltre i meccanismi fisiologici come quelli sonno-veglia o sull'assorbimento di alcuni farmaci, anche alcuni processi patologici.
Degli studi su topi avevano infatti dimostrato come la somministrazione di sostanze antitumorali a orari precisi, rispettosi del ciclo circadiano, aumentava sia la tollerabilità che gli effetti terapeutici della chemioterapia stessa che si dimostrava, sempre secondo questo modelli sperimentali, più efficace di quella basata sull'infusione continua dei farmaci.
Per dimostrare l'effettiva efficienza di questo meccanismo i ricercatori hanno messo a paragone due popolazioni di topi, uno dei quali con ciclo circadiano normale e l'altro con una lesione del nucleo soprachiasmatico (nucleo che regola l'orologio biologico e quidi i vari ritmi).
La distruzione del nucleo soprachiasmatico doveva essere totale in quanto una lesione solo parziale non produceva effetti a livello biologico.
Sono stati analizzati due modelli tumorali diversi, e cioè l'osteosarcoma e adenocarcinoma pancreatico.
Le variazioni dei ritmi biologici sono state valutate in base a una serie di parametri (ritmo sonno-veglia, temperatura corporea, oscillazioni di elementi chimici ematici).
I ricercatori hanno evidenziato come le lesioni ipotalamiche abbiano provocato effettivamente alterazioni dei ritmi circadiani nel più del 70% dei topi; negli animali così lesi veniva osservato anche un accrescimento delle dimensioni delle masse neoplastiche più rapido che nei controlli, fino ad arrivare a una velocità doppia o tripla rispetto ad essi.
Parallelamente si era assistito a una diminuzione della sopravvivenza media.
In conclusione, anche se il modello animale non può essere assimilato direttamente a quello umano, è probabile che il ritmo dei processi biologici possa influire sia sullo sviluppo di alcune patologie che sull'efficacia di alcune terapie.

(J. Natl. Canc. Inst. 2002 ; 94 : 690-697)

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Infarto acuto e angioplastica

Aumentano le evidenze in favore dell'angiopalstica rispetto alla trombolisi in corso di infarto miocardio acuto (IMA) con elevazione del tratto ST o blocco di branca sinistro.
In questo studio 451 pazienti affetti da IMA furono randomizzati per essere trattati con angioplastica primaria o con trombolisi accelerata con tpa. Dopo 6 settimane, l'occorrenza di endpoint primario composto da morte, recidiva di IMA e ictus fu significativamente minore nel gruppo trattato con Angioplastica (10.7% contro 17.7%).
A 6 mesi di distanza i dati erano paragonabili (12.4% contro 19.9%). Il beneficio era sostanzialmente dovuto ad una minore incidenza o ricorrenza di IMA nei pazienti trattati con angioplastica (5.3% contro 10.6%).
Inoltre il ricovero in ospedale risultò più breve nei pazienti trattati con angioplastica (4.5 contro 6 giorni).
Non si ebbero casi in cui si dovesse rendersi necessario un bypass urgente in corso di angioplastica.
L'angioplastica primaria si presenta come il futuro del trattamento dell'IMA acuto.
La sua implementazione in tutte le realtà geografiche implica un notevole sforzo organizzativo e un notevole impegno di risorse in una voce di spesa prima inesistente.

JAMA 2002 Apr 17; 287: 1943-51

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Insistere sempre, convince

L'esposizione continua, ripetuta, protratta nel tempo ad uno stimolo ne fa aumentare il gradimento.
È esperienza comune come vedere ripetutamente in televisione un attore o un presentatore antipatici, possa cambiarne l'accettabilità: dopo un certo periodo si osserva come l'antipatia possa venir meno e possa arrivarsi a una accettazione o addirittura ad un positivo gradimento di questa persona, non giustificato da cambiamenti del suo atteggiamento o del suo modo di presentarsi. Guardare e riguardare quindi una cosa (indipendentemente se il canale utilizzato sia proprio quello visivo oppure un altro canale, come quello auditivo) induce il soggetto passivo ad accettarla e a gradirla sempre di più.
Questo effetto è stato riscontrato appunto anche per eventi trasmessi con canali diversi da quello visivo, e ci fa accettare progressivamente anche musiche, poesie, ritmi ecc.
Questo "effetto di gradimento" si basa sull'aumento del senso di familiarità soggettiva e prende il nome di Structural More Exposure Effect (SMEE).
L'aspetto più interessante del fenomeno è che questo non è stato riscontrato solo in soggetti sani ma anche in soggetti affetti da schizofrenia e addirittura in pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Questi ultimi soggetti in particolare hanno permesso delle interessanti esperienze in quanto manifestano questo effetto anche quando il soggetto non ricordava assolutamente di essere stato ripetutamente esposto allo stimolo.
Alcuni ricercatori americani infatti hanno voluto studiare questo fenomeno in persone colpite da demenza di Alzheimer ed hanno usato come stimoli delle fotografie di volti di sconosciuti. Dapprima ai soggetti venivano mostrate queste foto e veniva chiesto di fare una stima approssimativa dell'età di ognuno di essi; in un secondo tempo agli stessi soggetti venivano mostrate fotografie con volti nuovi mescolati ai precedenti. Veniva chiesto loro di dire quali volti preferivano e poi, in un secondo tempo, di riconoscere quali avevano già visto. Il gruppo di controllo, costituito da persone sane, generalmente non avevano problemi di riconoscimento e mostravano anche lo SMEE, indicando una netta preferenza per i volti già visti. Le persone affette da Alzheimer invece non ricordavano di aver già visto i volti ma tuttavia mostravano ugualmente l'effetto esposizione.
I processi coinvolti in questo fenomeno potrebbero perciò essere indipendenti dal riconoscimento esplicito dello stimolo, ma indurre i loro effetti ad un livello più profondo e quindi meno controllabile dai filtri censori della mente cosciente.

(Cortex 2002,38,77-86 riportato da "Psicologia contemporanea" Luglio-Agosto 2002, n.172)

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Le lingue s'imparano nell'infanzia

È nozione comune che le capacità linguistiche vengano apprese fondamentalmente nella prima infanzia mentre l'apprendimento in età più avanzata risulta notevolmente più difficile.
Alcuni ricercatori hanno voluto verificare questo assunto esaminando popolazioni di soggetti affetti da ipoacusia grave, paragonabile alla sordità completa.
Sono stati esaminati soggetti sordi dalla nascita o soggetti che fossero diventati sordi in età successiva in seguito a malattie di diverso genere, confrontati a soggetti normoudenti. Sono state prese in esame sia la capacità di apprendimento del linguaggio dei segni, sia la capacità di apprendimento della lingua parlata.
È stato evidenziato come tutti i soggetti con sordità intervenuta in età successiva e che quindi avessero avuto esperienze linguistiche nella prima infanzia avevano un apprendimento migliore rispetto a quelli sordi dalla nascita.
L'abilità nell'apprendimento del linguaggio risultava proporzionale (all'incirca) al tempo trascorso prima del sopraggiungere della sordità. Non c'era particolare differenza nel processo di apprendimento dell'abilità linguistica parlata rispetto al linguaggio dei segni.
Questo indicherebbe anche come l'abilità linguistica sia parzialmente indipendente dal canale sensoriale utilizzato ma che si basi essenzialmente su un'esperienza di apprendimento appresa in età precocissima.

(Nature 2002;417:38)

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Morte intrauterina del feto e trombofilia

Si è ipotizzato, da studi precedenti, un legame tra morte fetale intrauterina inspiegata (IUFD) e trombofilia ereditaria. In questo studio sono state identificate 40 donne che erano andate incontro a IUFD in un periodo successivo alla 27° settimana di gestazione.
Ogni donna fu paragonata con 2 donne sane che avevano avuto una gravidanza regolare e avevano partorito durante lo stesso periodo (1997-1999). Donne con complicanze come gravidanze multiple, diabete, ipertensione grave vennero escluse dallo studio.
8 settimane o più dopo il parto, tutte le donne vennero valutate per ricercare la mutazione del fattore V Leiden, l'omozigosi per la mutazione citosina-timina a livello del nucleotide 677 nel gene della metilentetraidrofolato redattasi, una mutazione nella protrombina e deficit di proteine C, S e di antitombina III.
Un numero significativamente maggiore di donne che erano andate incontro a IUDF evidenziarono test positivi per la trombofilia ereditaria (42% contro 15%).
Tutte le donne con Fattore V Leiden e mutazioni della protrombina erano eterozigoti. Nel gruppo IUDF, 5 delle 10 donne che avevano avuto più gravidanze e che erano affette da trombofilia, avevano avuto aborti in passato, contro 2 delle 12 multipare non affette da trombofilia.
Risulta quindi importante lo studio delle donne che hanno avuto episodi di IUDF.
Appare inoltre evidente che il campo è aperto a scoperte di ulteriori condizioni patologiche legate a questa sindrome.

Obstet Gynecol 2002 May; 99: 684-7

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Nimesulide proibita ma solo in Finlandia

Le autorità sanitarie finlandesi hanno sospeso in data 18 Marzo 2002 la commercializzazione di nimesulide a causa della segnalazione di 66 casi di danni epatici gravi tali da portare a due trapianti di fegato e a un decesso. L'analisi dei dati ha evidenziato come la sospetta insorgenza di reazione epatica di nimesulide si sia verificata dopo una media di 50 giorni dall'inizio del trattamento.
La nimesulide è ampiamente commerciata anche in Italia (oltre 25milioni di confezioni nel 2001).
A livello internazionale sono stati evidenziati 1.104 effetti negativi di cui il 18% di tipo epatotossico, mentre in Italia sono state segnalate soltanto 27 reazioni sospette di tipo epatotossico.
Il meccanismo alla base dell'epatopatia da nimesulide è sconosciuto, tuttavia è noto che il farmaco è estesamente metabolizzato nel fegato, in modo predominante in 4-idrossinimesulide, tramite il citocromo P450.
Il Ministero della Salute ha perciò ricordato che i pazienti che durante il trattamento con nimesulide presentino alterazione ai test della funzionalità epatica devono essere attentamente monitorizzati e il trattamento deve essere interrotto. Questi pazienti non dovranno essere più trattati con nimesulide.
Il Ministero invita inoltre a segnalare tutti i casi di epatopatie da nimesulide, tuttavia non ritiene in base al numero delle segnalazioni finora effettuate che sia necessario effettuare altri provvedimenti restrittivi.

Da nota informativa per i farmaci a cura del Ministero della Salute.

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Omocisteina: è importante? Quanto?

Una omocisteinemia elevata è correlata con un rischio cardiovascolare elevato.
Questo è ormai assodato. Quello che ancora non sappiamo è se possiamo correlare i livelli di omocisteina a classi diverse di rischio cardiovascolare.
In questo studio sono stati esaminati i dati relativi a 5000 adulti che avevano partecipato ad uno studio sulla lovastatina nella prevenzione primaria cardiovascolare.
Il livello di base della omocisteina risultò significativamente più alto tra coloro che sarebbero successivamente andati incontro a morte improvvisa per cause cardiache, infarto miocardico fatale o non fatale e angina instabile che tra i controlli immuni da queste patologie.
Nel primo gruppo i livelli medi furono di 12.1 mmol/L contro i 10.9 mmol/L del secondo.
Inoltre si dimostrò che il rischio di andare incontro agli eventi sopraelencati aumentava con il passaggio da un quartile al successivo. Nel gruppo di pazienti in cui LDL e omocisteina erano più elevate della media di popolazione, si aveva una significativa riduzione del rischio in coloro che assumevano lovastatina rispetto a quelli che assumevano placebo (RR 0,46).
Nei pazienti con bassi livelli di LDL, la determinazione dei livelli di omocisteina non si dimostrò efficace nel distinguere sottogruppi in cui l'impiego di lovastatina potesse essere di qualche utilità.
Sono notevoli gli sforzi che si stanno portando avanti nel tentativo di identificare markers indipendenti del rischio cardiovascolare con cui poter identificare pazienti suscettibili di trattamento in prevenzione primaria.
In questo caso l'omocisteina fornisce una valida indicazione per il trattamento quando i livelli sono elevati contemporaneamente a quelli delle LDL. Se i livelli di LDL sono normali non si dimostra vantaggio alcuno.
Sarebbe interessante studiare la possibilità di riduzione del rischio mediante abbassamento dei livelli di omocisteina.

Circulation 2002 Apr 16; 105: 1776-9

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Pap test: nuove linee guida

Altra consensus conference sulle linee guida per la valutazione del Pap Test.
Viene introdotta la metodica del test al DNA per il Papillomavirus che si è dimostrata utile per studiare strisci con anomalie cellulari lievi.
Le donne che presentano caratteristiche citologiche tipo ASC-US (Cellule Squamose Atipiche di Significato Incerto) possono essere seguite o con due ulteriori Pap test a 4 e 6 mesi di distanza, con una colposcopia eseguita subito, o con il test al DNA per ceppi di Papilloma virus ad alto rischio. Il test al DNA è da preferirsi quando per lo screening si utilizza citologia in fase liquida. Nella maggior parte dei casi, le donne che presentano citologia tipo ASC-H (Cellule Squamose Atipiche in cui non si possono escludere lesioni intraepiteliali di alto grado), lesioni intraepiteliali di basso e alto grado e cellule ghiandolari atipiche devono essere sottoposte a colposcopia.

JAMA 2002 Apr 24; 287: 2140-1

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Pap test: nuova terminologia

Consensus conference per aggiornare la terminologia di Bethesda e puntualizzare come i risultati dello screening possano includere interpretazioni che contribuiscano alla diagnosi.
La definizione di Atipical Squamous Cell (ASC) Cellule Squamose Atipiche è stata mantenuta, ma divisa in due subcategorie: la prima denominata ASC of undetermined signifiance (ASC-US) Cellule Squamose Atipiche di Significato Indeterminato, e la seconda nella quale non possono essere escluse lesioni intraepiteliali di alto grado (ASC-H).
Le altre categorie sono rimaste invariate.

JAMA 2002 Apr 24; 287: 2114-9

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Speranze per l'alopecia da chemioterapici

È noto come l'alopecia derivata dalla chemioterapia possa costituire uno dei maggiori impedimenti psicologici per l'effettuazione della terapia stessa. Infatti diversi pazienti rifiutano le cure proprio per difendere il proprio aspetto.
La ricrescita dei capelli dopo chemioterapia si verifica in genere dopo alcuni mesi (almeno 3-6) dalla sospensione della terapia stessa ma in certi casi non è nemmeno completa. Le soluzioni provate finora hanno ottenuto solo risultati parziali e i risultati ottenuti in alcuni studi riguardano soltanto l'alopecia indotta da alcuni chemioterapici ma non da tutti.
Alcuni ricercatori americani hanno cercato un meccanismo che possa favorire la ricrescita dei capelli in tutti questi soggetti ed hanno preso in considerazione l'uso del gene SHH, che è implicato nella formazione di diverse organi e sistemi, inclusi gli annessi piliferi.
I ricercatori hanno esaminato dei topi, rasati o comunque posti in condizione da dover far ricrescere il pelo, la ricrescita veniva bloccata, a questo punto, con ciclofosfamide.
I topi venivano poi divisi in due gruppi ai quali venivano somministrati, mediante iniezione intradermica, un adenovirus. In uno di questi gruppi l'adenovirus era associato al gene SHH, con funzione di vettore dello stesso.
La ricrescita del pelo veniva riscontrata dopo due settimane in tutti i topi che avevano ricevuto il gene mentre non si riscontrava nei controlli trattati con il solo adenovirus vettore.
Questo risultato può indurre una nuova speranza nelle terapie umane, anche se occorreranno molti altri studi in materia.

(J. Natl. Canc. Inst. 2001;93:1858-1864)

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Stent al sirolimus: un passo avanti per la terapia della stenosi coronaria

Gli interventi di rivascolarizzazione coronarica, effettuati con tecniche diverse, sono ormai entrati nella routine. Molto diffusa è la tecnica basata sull'inserimento di uno stent finalizzato a mantenere la pervietà di una coronarica stenotica.
Com'è noto, però, molti dei pazienti affetti da coronaropatia e trattati con insermento di stent presentano, in una notevole percentuale di casi, la ristenosi o addirittura la riocclusione del vaso trattato, in seguito a proliferazione cellulare in corrispondenza della stenosi primitiva ( e della localizzazione dello stent)..
È stato perciò studiato un nuovo tipo di stent, simile a quelli comunemente usati ma trattato con sirolimus (Rapamycin). Il sirolimus è una sostanza usata per la prevenzione del rigetto nei soggetti sottoposti a trapianto d'organo. La sua azione consiste essenzialmente nell'inibire la proliferazione dei linfociti e delle cellule muscolari lisce.
Lo studio in oggetto, randomizzato e in doppio cieco, pone a confronto i risultati dell'uso di stent trattato con sirolimus rispetto al comune stent usato abitualmente.
Sono stati studiati 238 pazienti presso 19 centri. Di questi pazienti è stato controllata l'evoluzione anatomica delle coronarie dopo l'intervento, valutando soprattutto il restringimento dei vasi trattati e la presenza di eventuale restenosi in corrispondenza dello stent. Sono stati anche analizzati altri dati clinici: morte, eventuale infarto del miocardio, eventuale necessità di ulteriore intervento di rivascolarizzazione chirurgica.
Dopo sei mesi dall'applicazione dello stent è stato osservato che la neoproliferazione intimale si manifestava in modo significativamente minore nel gruppo trattato con gli stents al sirolimus rispetto allo stent standard (0,01 mm. + - 0,33 rispetto allo 0,80 + - 0,53 mm.), con alta significatività statistica.
Sono state poi prese in considerazione le restenosi coronariche che raggiungessero almeno il 50% del diametro vasale: nessuno dei pazienti nel gruppo trattato con sirolimus ha presentato restenosi di tale entità, rispetto al 26% trattato con stent standard.
Non sono stati osservati episodi di trombosi in corrispondenza dello stent.
Durante il periodo di follow-up (della durata di un anno) la percentuale di eventi cardiaci maggiori è stata del 5,8% nel gruppo trattato con stents al sirolimus rispetto al 28,8% nel gruppo con stent standard, con alta significatività statistica.
In conclusione, in comparazione con lo stent coronario standard, quello rivestito di sirolimus promette considerevoli vantaggi sulla prevenzione della neoproliferazione intimale, della restenosi e degli eventi cardiaci associati.

(N.E.J.M. 2002;346:1773-80)

COMMENTO: il problema principale dello stent al sirolimus, indubbiamente molto vantaggioso sul piano clinico, è costituito essenzialmente dall'alto costo, molto superiore a quello dei modelli standard. È prevedibile, quindi, che possa esserci una resistenza, almeno iniziale, alla sua diffusione. (DZ)

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Utilità della PET nella valutazione dei tumori

Si è da tempo alla ricerca di metodi che permettano una valutazione precoce e non invasiva (o pre-invasiva) delle patologie tumorali in modo da poter programmare e pianificare il miglior intervento terapeutico possibile.
Uno strumento diagnostico relativamente recente, la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) consente di esaminare alcuni parametri biologici organici nel vivente mediante una tecnica non invasiva, anche se basata sulla somministrazione di isotopi radioattivi.
Alcuni studiosi hanno voluto esaminare l'efficacia di questa tecnica per valutare la sua capacità discriminatoria nei tumori polmonari non a piccole cellule, e in particolare di valutare la possibilità di ridurre le toracotomie esplorative in queste patologie.
Hanno perciò esaminato circa 200 pazienti, sospetti di neoplasia polmonare, una parte dei quali ha seguito il normale percorso diagnostico-terapeutico; il secondo gruppo invece veniva valutato dopo essere stato sottoposto ad una PET preliminare. I pazienti venivano poi operati (se ritenuto necessario) e sottoposti a diverse verifiche cliniche e strumentali nell'anno successivo. È stato riscontrato come gli interventi ritenuti "inutili" erano stati solo il 19% nel gruppo esaminato con la PET contro il 39% di quelli affidati a procedure tradizionali.
I ricercatori ritengono pertanto che la PET sia un mezzo diagnostico molto utile per discriminare l'effettiva presenza di neoplasie e per poter pianificare utilmente, nel modo meno invasivo possibile, il successivo percorso diagnostico terapeutico nei pazienti affetti da malattie polmonari.

(Lancet 2002;359:10388-10392)

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La PET nella prevenzione della demenza

La tecnica della Tomografia a Emissione di Positroni (PET) si sta affermando sempre più come utile tecnica utile per l'esplorazioni in vivo di funzioni biologiche disparate.
Alcuni ricercatori americani hanno voluto esaminare il metabolismo di glucosio marcato con radioisotopo in corrispondenza delle diverse aree cerebrali in soggetti anziani affetti da disturbi psichici.
Questo studio era finalizzato a evidenziare l'eventuale presenza di aree con scarso metabolismo del glucosio e la loro localizzazione, e valutare l'eventuale connessione con successivi stati di demenza o di alterazione psichica.
Hanno esaminato quindi circa 300 soggetti affetti dai primi sintomi di demenza, divisi in due gruppi: il primo gruppo, costituito da circa 150 sessantenni con iniziale disturbo mentale, ha eseguito la PET con glucosio marcato e poi è stato seguito per tre anni con l'utilizzo di questionari atti a stabilire la loro situazione cognitiva. L'altro gruppo era invece costituito da un numero di soggetti con disturbi mentali iniziali che avevano fatto una PET cerebrale e di cui erano disponibili dati anagrafici, clinici e, in caso di morte, un referto autoptico sulle condizioni cerebrali.
È stato riscontrato come le persone che avessero un metabolismo del glucosio nella norma avevano un basso rischio di aggravamento delle condizioni mentali nel triennio di osservazioni; quelli che invece presentavano un'alterazione del metabolismo cerebrale già all'epoca dell'effettuazione della PET, mostravano un'alta probabilità di progressivo aggravamento dei disturbi mentali fino a quadri conclamati di demenza.
La PET sembrerebbe quindi utile a predire l'evoluzione delle forme iniziali di demenza in quanto ha dimostrato di possedere un altro grado di predittività sulla prognosi di queste forme.
Alcuni problemi: il follow-up è durato tre anni, e questo periodo è stato giudicato da alcuni troppo breve per valutare l'evoluzione effettiva di una demenza grave; inoltre la PET non è stata ancora standardizzata nella quantificazione delle alterazioni metaboliche ed è un esame ad alto costo non adatto per lo screening su vasta scala.

(JAMA 2001;286:2120-2127)

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APPROFONDIMENTI


La sindrome dell'edificio malato

L'espressione sindrome dell'edificio malato (SEM) è la traduzione letterale dell'espressione inglese "Sich Building Sindrome" (SBS) o "Tight Building Syndrome" (TBS) coniata verso la fine degli anni '70. Questa espressione indica un insieme di sintomi generalmente modesti riferiti però da un numero molto elevato di persone che occupano un determinato edificio.
Questa sindrome era stata descritta inizialmente in edifici nuovi o recentemente rinnovati dotati di aria condizionata e ventilazione meccanica. I sintomi erano vaghi e diffusi a vari organi e apparati: disturbi oculari (bruciore, prurito, iperemia, senso di secchezza) nasali e faringei (rinorrea, gola secca) respiratori (dispnea, costrizione toracica) cutanei, e generali come cefalea, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, nausea.
I sintomi caratteristicamente si risolvono poche ore dopo l'uscita dall'edificio.
Benchè queste manifestazioni fossero piuttosto aspecifiche e variamente associate tra loro ma mai di entità molto grave, possono tuttavia avere un costo molto elevato a livello sociale a causa della riduzione diffusa della produttività lavorativa e dell'aumento dell'assenteismo.
L'attenzione dei ricercatori si è appuntata sul microclima interno degli edifici incriminati: un Ente statunitense "National Institute for Occupational Safety and Helth" (NIOSH) aveva effettuato una serie di oltre 600 accertamenti in edifici incriminati; dal complesso di queste rilevazioni è emerso come prevalentemente il disturbo fosse collegato ad una ventilazione inadeguata con ridotta immissione di aria fresca del sistema di circolazione, o per cattivo funzionamento dei regolatori del flusso d'aria o per un fenomeno di "stratificazione" dell'aria (una condizione per cui la maggior parte dell'aria fresca si sposta lungo le pareti e non si mescola totalmente con l'aria della zona respiratoria).
In una certa percentuale dei casi (circa il 30%) si riscontrava come la contaminazione dell'aria fosse dovuta anche a sorgenti di inquinamento, sia interne che esterne all'edificio (prese d'aria con infiltrazioni da garage o da aree esterne ad elevato traffico urbano).
Nel 10% dei casi la causa dei disturbi veniva attribuita all'eccessivo rumore, ad una difettosa illuminazione, all'umidità.
In circa il 10% degli edifici non venivano riscontrate cause manifeste.
Un Ente canadese ha poi effettuato una review sulle possibili cause di malessere negli edifici con conclusioni sostanzialmente concordanti con le osservazioni statunitensi.
Alcune ricerche effettuate in edifici "malati" in cui veniva incrementato l'apporto dell'aria esterna riscontravano una riduzione di rischio di SBS.
Si è puntata recentemente l'attenzione anche sullo "smog fotochimico", vale a dire sulla presenza di composti volatili generati dall'azione dei raggi UV (ultravioletti) delle luci fluorescenti sui composti organici volatili presenti nell'ambiente. Si è osservata una netta diminuzione dei disturbi allorchè al miglioramento della circolazione dell'aria veniva associato anche un miglioramento dell'illuminazione con luci fluorescenti bianche standard.
Diversi autori hanno ipotizzato fenomeni psicologici e di somatizzazione dovuti a isteria di massa e a componenti psicologiche. Benchè questo sia un approccio troppo semplicistico tuttavia studi epidemiologici effettuati a Singapore hanno dimostrato come lo stress lavorativo sia un fattore di rischio rilevante per il manifestarsi di sintomi tipici della SBS.
Ricerche effettuate anche in Italia sembrano sottolineare l'importanza di fattori microclimatici che causino l'aumento della reattività bronchiale nei soggetti normali: si tratta di umidità, temperatura ma anche sostanze chimiche volatili, fibre, ozono, formaldeide.
Il primo caso Italiano di "edificio malato" è stato riscontrato a Perugia nel 1989; sia quello che altri casi successivi hanno evidenziato dei quadri molto simili a quanto riscontrato negli altri Paesi.
In conclusione la sindrome dell'edificio malato starebbe a indicare un quadro sintomatologico ben definito descritto negli ultimi 20 anni, che si manifesta in un elevato numero di occupanti edifici moderni e dotati di aria condizionata e che tende a risolversi dopo l'uscita dagli stessi.
L'eziologia è ancora sconosciuta, probabilmente multifattoriale e variabile da caso a caso, probabilmente collegata a fenomeni di inquinamento locale.

("Aria ambiente e salute" anno 5 - n. 1- Febbraio 2002)

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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D.Z.)

Accertamenti di paternità mediante esame del DNA

A causa della notevole pubblicità che è stata data recentemente ai problemi di filiazione e di fecondazione, un nuovo impulso è nato circa l'accertamento dei rapporti parentali, gravidi di importanti conseguenze dal punto di vista legale, finanziario, ereditario.
I progressi scientifici hanno fatto sì che i test di accertamento di paternità siano rmai alla portata di quasi tutti i laboratori di analisi, i quali offrono questo servizio come una comune analisi ematologica. In realtà l'esame di accertamento di paternità è particolarmente complesso e necessita di competenze particolari.

In cosa consiste l'esame?

Si tratta, fondamentalmente, di un esame del sangue che tende ad accertare, mediante il confronto di marcatori geneticamente trasmessi, di un rapporto parentale (generalmente padre-figlio) tra due soggetti. Inizialmente (si parla degli anni '20) gli unici marcatori conosciuti erano quelli del sitema ABO. A questo si aggiunse il sistema MNSs e, negli anni '40 il sistema RH. Questi marcatori, esprimendo solo una manifestazione fenotipica avevano però una capacità discriminatoria piuttosto modesta e offrivano risultati sovente ambigui e di difficile interpretazione.
Venne introdotto poi il sistema HLA, legato agli antigeni leucocitari, dotato di elevato potere discriminatorio e, alla fine degli anni '90, l'esame diretto del DNA.
Tale esame non consiste, come credono i profani, nell'analizzare un frammento qualsiasi di DNA: la parte più complicata è consistita invece proprio nell'individuazione di quelle parti del cromosoma che, essendo variabili da individuo a individuo, fornissero un assetto tipico per ciarcuna persona, analogo a quanto si rileva nell'esame delle impronte digitali (DNA fingerprint).
La prima applicazione pratica in un test di paternità giudiziario risale al 1985 in Inghilterra; da allora molti passi sono stati compiuti, con la scoperta di loci genetici sempre più discriminativi ("minisatelliti" e "microsatelliti") e con la scoperta di nuove tecniche analitiche. È stata fondamentale la scoperta di Kary B. Mullis della reazione di DNA-Polimerasi (PCR) che consente di ottenere una elevata quantità di materiale genetico da quantità scarse di DNA.
Le tecniche attuali, basate su confronto delle bande elettroforetiche del materiale ottenuto con tale tecnica, si è definitivamente affermata anche perchè evita alcuni problemi propri delle tecniche precedenti, come l'impiego di sostanze radioattive, i lunghi tempi di attesa e le possibili difficoltà interpretative. Mentre i primi esami di paternità si basavano su un esame di 4-5 marcatori al massimo, adesso è normale effettuarne 10-12 o 15. L'elevato numero di marcatori e la loro distribuzione su diversi loci cromosomici garantiscono l'affidabilità del risultato evitando errori che possono essere conseguenti a mutazioni o a delezioni cromosomiche. Attualmente sono in commercio dei kit che consentono l'analisi di gruppi precostituiti di marcatori.

Quali sono le sue indicazioni principali?

Le indicazioni principali dell'esame del DNA sono due: l'identificazione personale da residui bilogici e l'identificazione del rapporto parentale.

Identificazione personale

Assume rilievo soprattutto in ambito penale. Consente l'identificazione dell'autore di un delitto da residui organici anche minimi. L'esame può essere effettuato su qualsiasi materiale che abbia una componente cellulare da cui estrarre il DNA: sangue, sperma, bulbi piliferi, saliva, sudore. Il DNA conteunto in tali materiali può degradarsi con diversa velocità, a seconda delle condizioni ambientali (grado di umidità, temperatura, inquinamento batterico ecc.) in un tempo che può essere di poche ore o di pochi giorni nei casi più sfavorevoli, può rimanere analizzabile anche per molti anni se conservato in ambiente adatto. È intuibile perciò come in certe evenienze (ad esempio nei casi di stupro) sia essenziale un tempestivo prelievo di tale materiale.
Il materiale biologico surgelato può essere conservato dal laboratoro per un numero indefinito di anni; a temperatura ambiente il materiale asciutto (per esempio una goccia di sangue raccolta su una carta asciugante) si conserva per periodi molto più lunghi che se mantenuto in forma liquida. In caso di analisi su cadavere si può ottenere materiale utile dall'esame del midollo osseo, più "riparato", anche dopo anni.

Accertamento parentale

È l'evenienza più comune, con la tendenza a diventare routinario in seguito alle attuali leggi che conferiscono ai figli naturali gli stessi diritti ereditari e di mantenimento dei figli legittimi. L'iter giudiziario prevede, attualmente, che l'esame emetologico costituisca tappa pressochè obbligata, e divisa in due parti: prima il "disconoscimento" (l'accertamento che il padre "ufficiale" non è quello biologico), poi il "riconoscimento" (l'identificazione del vero padre.
Oltre che per via giudiziaria le indagini di paternità possono essere chieste da privati per propria informazione e per valutazione preliminare anteriore alla causa in Tribunale. L'effettuazione dell' esame prevede il consenso di tutte le parti interessate, che potrebbero però rifiutarsi. Non è infrequente, infatti, che la madre si rifiuti di fornire il proprio sangue e l'accertamento venga effettuato su due soli individui.
L'esame viene compiuto generalmente su materiale ematico raccolto in quantità di pochi cc. in provette con anticoagulante. Nel caso di bambini piccoli è possibile effettuare un prelievo di poche gocce di sangue su una carta asciugante, oppure un prelievo di saliva dalla mucosa buccale mediante tamponi sterili.

La valutazione dei risultati

Le possibilità di errore

Le analisi basate sulla tipizzazione del DNA sono attualmente altamente attndibili, tuttavia non possono essere considerate esenti da errori. Oltre a banali errori umani (scambio di campioni, cattiva conservazione dei reperti) esiste una serie di fattori interferenti di cui occorre sempre tener conto:

  • È possibile che alcuni alleli non vengano evidenziati durante indagini effettuate tramite PCR (cosiddetti "alleli silenti"). Questo fenomeno si verifica soprattutto nell'analisi di alcuni sistemi aventi una differenza sostanziale del peso molecolare tra i due alleli. Può allora verificarsi la mancata amplificazione dell'allele pesante con possibilità che ne conseguano erronee esclusioni di paternità. Sono però ben noti i sistemi che possono produrre tale fenomeno, per cui l'operatore esperto ne può tener conto, verificando con altri metodi.
  • Possono verificarsi mutazioni genetiche: È stato riscontrato che le mutazioni ricorrono nei microsatelliti con una frequenza media abbastanza elevata, di una mutazione ogni 1000-10000 meiosi. Può quindi essere lecito il dubbio, in caso che un solo marcatore risulti incompatibile, di un errore dovuto appunto ad una mutazione. Eccezionalmente anche le incompatibilità di due marcatori possono offrire il fianco a questa critica. In questi casi è posibile effettuare il controllo con altri marcatori, in numero adeguato, in modo da poter confermare la paternità biologica. In caso si riscontri un'unica incompatibilità, quindi, questa viene ad essere considerata come un fattore di diminuzione di probabilità piuttosto che come perentoria esclusione.

1) Incompatibilità genetica: non è padre biologico
Ogni figlio presenta, per ogni locus genetico esaminato, due alleli, dei quali uno sarà di provenienza materna e uno di provenienza paterna. Dato che sulla madre esistono raramente discussioni, vengono dapprima scorporati gli alleli di provenienza materna e viene poi verificata la compatibilità degli alleli rimasti con quelli di origine paterna. La presenza nel figlio di polimorfismi genetici incompatibili (secondo la legge di Mendel) con quelli del presunto padre può far escludere con certezza un rapporto di paternità.
È stato superato il problema dei vecchi marcatori basati sui polimorfismi enzimatici, allorchè le esclusioni non erano quasi mai perentorie ma andavano valutate anch'esse con criterio probabilistico. L'esame diretto del DNA invece permette una esclusione netta e sicura con poche probabilità di errore dovute agli inconvenienti sopradescritti, che però sono ben conosciuti dagli operatori del settore.

2) Compatibilità genetica. Valutazione delle probabilità
Qualora venga evidenziata la compatibilità di tutti i marcatori, o si sia verificata una "falsa" incompatibilità dovuta ai fattori sopradetti, occorre dare un peso statistico a questo risultato.
Sono stati studiati e raccolti in banche-dati gli indici statistici che indicano, in sostanza, la diffusione dei polimorfismi genetici nella popolazione generale. Questi dati servono per la base di calcoli successivi, abbastanza complessi.
Viene utilizzato di solito, nella pratica, il cosiddetto "indice di paternità" oppure il termine di "probabilità di paternità". Questa probabilità viene espressa generalmente, nella pratica corrente, in forma percentuale. Più alto è il numero di marcatori compatibili, più alta sarà tale probabilità.
La tecnica di calcolo, di tipo statistico esprimente un'approssimazione all'infinito, non permette mai di poter esprimere una probabilità del 100%, e questo residuo margine di incertezza può costituire fonte di frustrazione per gli interessati. Occorre tener presente che l'indice di probabilità, al di sopra di certi valori, viene ad essere praticamente equivalente ad una certezza, con un criterio analogo a quello usato nel caso delle impronte digitali, in quanto la probabilità contraria (se si eccettuano casi particolarissimi di popolazioni estremamente ristrette e con pool genetico molto condiviso) vengono essere così basse da non potersi ipotizzare una coincidenza.
Non esiste in Italia una norma precisa che stabilisca la soglia oltre la quale una probabilità di paternità sia da considerare equivalente a una "pratica certezza": si fa riferimento in genere alle legislazioni di altri paesi europei come la Germania (che ha stabilito un limite del 99,72%), o ai Paesi Bassi, i più severi, che hanno stabilito un limite del 99,90%.
Non è infrequente, con le tecniche odierne e con l'alta capacità discriminatoria degli alleli presi in esame, raggiungere probabilità anche più elevate del 99,99%.

Casi particolari

  • È possibile esaminare un rapporto parentale anche in assenza della madre, con un confronto diretto tra padre e figlio. Questo impone ovviamente l'esame di un numero molto elevato di marcatori, ma consente spesso risultati molto soddisfacenti sia in termini di riconoscimento che di disconoscimento.
  • Qualora il genotipo di un componente della famiglia (la madre, ad esempio) non possa essere esaminato direttamente, esso può essere ricostruito, in alcuni casi, esaminando la cerchia parentale consanguinea e ricostruendo da questa il suo patrimonio genetico

Modalità pratiche

Data la diffusione dei kit di analisi (che non richiedono più l'uso di strumentazione molto complessa) molti laboratori hanno introdotto tali indagini nella loro offerta al pubblico. È utile però che ci si rivolga a Centri che abbiano reale competenza in materia, in modo da poter valutare la possibilità di mutazioni, di alleli silenti o altre cause di errore. Generalmente tali centri sono ubicati presso Università, grandi ospedali, laboratori privati di alto livello. Solo pochi centri possono servirsi (per il costo elevato) di particolari apparecchi (come il sequenziatore) che facilitano le indagini minimizzando il rischio di errore interpretativo.
Il referto non deve contenere solo il giudizio "sintetico" di paternità o non-paternità ma deve riportare la costellazione di marcatori esaminati e la percentuale di probabilità calcolata.
L'analisi del DNA è molto costosa ed è effettuabile soltanto in regime privato: i prezzi apparivano, fino a pochi anni fa quasi proibitivi (parecchi milioni in lire attuali). Attualmente sono molto diminuiti ma la necessità di personale altamente specializzato e di apparecchi sofisticati li mantengono abbastanza elevati (due-tre milioni di lire).

Daniele Zamperini ("Occhio Clinico", n. 2, febbraio 2002)

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Immissioni sonore - i limiti di tollerabilità del suono di pianoforte del vicino di casa non sono rigidi, ma vanno valutati tenendo conto delle circostanze concrete

Cassazione Civile, Sentenza n. 10735 del 3/8/01

I FATTI

Il signor M. R. conveniva in giudizio A. B. sostenendo che i rumori provenienti dall'appartamento della convenuta, causati dal suono di due pianoforti, erano intollerabili, per cui chiedeva che la stessa fosse condannata a cessare le molestie, nonché a risarcire i danni.
Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda.
Il M.R. proponeva appello: la corte di appello di Firenze, riformando la decisione di primo grado, inibiva alla A. l'uso del pianoforte, condannandola al risarcimento dei danni.
La corte di merito osservava in particolare:

  • che le immissioni prodotte dall'uso dei pianoforti dell' appellata travalicavano il limite della normale tollerabilità per il cui accertamento non potevano essere utilizzati i criteri previsti dai DPCM 1/3/1991 e 14/11/1997 trattandosi di fonti regolamentari non applicabili ai rapporti interprivatistici, e che occorreva far riferimento al criterio comparativo consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo interessato dalle immissioni;
  • che doveva ritenersi superato il limite della normale tollerabilità per quelle immissioni di intensità superiore di tre decibel al livello sonoro di fondo, e che il superamento di tale limite era stato rilevato ripetutamente in seguito ad immissioni sonore effettuate tutti i giorni feriali dallo ore 15/16 sino alle 20, disturbando sensibilmente le normali attività ed incidendo seriamente, oltre i limiti della normale tollerabilità, sul diritto di proprietà e di godimento del M. in relazione ad una stanza del suo appartamento;
  • che, come evidenziato nella CTU, il suono dei pianoforti si sentiva chiaramente nonostante le opere di insonorizzazione.

La A. proponeva ricorso in Cassazione. Tale ricorso veniva respinto.
La ricorrente sosteneva innanzitutto che la Corte di merito avesse erroneamente preso come riferimento il limite di superamento di 3 db, mentre questo limite, in base al DPCM 1/3/1991, era valido per le sole ore notturne, mentre per le ore diurne tale livello era stabilito in 5 db.
Inoltre denunciava la violazione e falsa applicazione dell'articolo 844 c.c. e delle nome che tutelano il diritto allo studio, al lavoro ed all'insegnamento, avendo la Corte dato esclusivo rilievo alle esigenze della proprietà e trascurando quelle connesse al suo diritto allo studio, al lavoro ed all'insegnamento. Inoltre, secondo la ricorrente, la Corte di appello non aveva tenuto conto che le lezioni di pianoforte erano impartite solo nelle ore diurne tra le 16 e le 19 e che il superamento del limite di 3 db non era costante ma si verificava solo in occasione dell'esecuzione di alcuni brani musicali.
La Corte respingeva tali censure rilevando come il limite di tollerabilità delle immissioni, a norma dell'articolo 844 c.c., non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione: tale apprezzamento è demandato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità se correttamente motivato ed immune da vizi logici, come nel caso in oggetto, ove la corte di appello ha fondato il proprio giudizio di eccedenza rispetto alla normale tollerabilità in relazione sia alle caratteristiche dell'immobile di proprietà del M., sia alla "natura delle attività, materiali ed intellettuali, che normalmente si svolgono in un appartamento di civile abitazione".
Circa il superamento diurno della soglia dei 3 db, la Corte ha rilevato l'esattezza dei criteri usati dai giudici di merito in quanto costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale hanno finalità e campi di applicazione distinti l'articolo 844 c.c., da una parte, e, dall'altra, le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose ( DPCM 1/3/1991 ): il primo è posto a presidio del diritto di proprietà ed è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini. I secondi, invece, hanno carattere pubblicistico (perseguendo finalità di interesse pubblico) ed operano nei rapporti tra i privati e la Pubblica Amministrazione. Nella specie la corte distrettuale si era correttamente uniformata al detto costante principio giurisprudenziale e, tenuto conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, aveva fissato in 3 db il limite accettabile di incremento del rumore (superato dal suono proveniente, pur se non costantemente, dai pianoforti della A. nei giorni feriali e nelle ore pomeridiane) affermando che l'indicato limite rappresentava "un valido ed equilibrato parametro di valutazione" tale da consentire un idoneo contemperamento delle opposte esigenze dei proprietari.
Per questi motivi la Corte rigettava il ricorso confermando il divieto all'uso del pianoforte con tali elementi di rumorosità.

Daniele Zamperini

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Testo integrale delle linee guida della FNOMCeO su medicine e pratiche non convenzionali (consiglio nazionale della FNOMCeO, 18 maggio 2002)

"Le Medicine e le pratiche non convenzionali" ritenute in Italia come rilevanti da un punto di vista sociale sia sulla base delle indicazioni della Risoluzione n. 75 del Parlamento europeo del 29 maggio 1997 e della Risoluzione n. 1206 del Consiglio d'Europa del 4 novembre 1999 che sulla base della maggiore frequenza di ricorso ad alcune di esse da parte dei cittadini oltre che degli indirizzi medici non convenzionali affermatisi in Europa, negli ultimi decenni, sono:

  • Agopuntura
  • Fitoterapia
  • Medicina Ayurvedica
  • Medicina Antroposofica
  • Medicina Omeopatica
  • Medicina Tradizionale Cinese
  • Omotossicologia
  • Osteopatia
  • Chiropratica

L'esercizio delle suddette medicine e pratiche non convenzionali è da ritenersi a tutti gli effetti atto medico e pertanto si ritiene:

  • essere le medicine esercitabili e le pratiche gestibili - in quanto atto medico - esclusivamente da parte del medico chirurgo ed odontoiatra in pazienti suscettibili di trarne vantaggio dopo un'adeguata informazione e l'acquisizione di esplicito consenso consapevole;
  • essere il medico chirurgo e l'odontoiatra gli unici attori sanitari in grado di individuare pazienti suscettibili di un beneficiale ricorso a queste medicine e pratiche, in quanto solo il medico chirurgo e l'odontoiatra sono abilitati all'atto diagnostico, che consente la corretta discriminazione fra utilità e vantaggio del ricorso consapevole a trattamenti non convenzionali;
    essere in questa impostazione il medico chirurgo e l'odontoiatra gli unici in grado di evitare che le medicine e le pratiche non convenzionali vengano proposte e prescritte a pazienti senza possibilità di vantaggio, sottraendoli alle disponibili terapie scientificamente accreditate, sulle quali dovrà essere sempre aggiornato attraverso l'ECM;
  • essere il medico chirurgo e l'odontoiatra gli unici soggetti legittimati a effettuare diagnosi, a predisporre il relativo piano terapeutico e a verificare l'attuazione dello stesso sul paziente;
  • essere dovere della FNOMCeO e di tutti gli Ordini provinciali, perseguire nei modi dovuti e con tempestività, denunciando all'autorità competente chiunque, non medico, eserciti le suddette medicine e pratiche non convenzionali;
  • essere dovere della FNOMCeO e di tutti gli Ordini provinciali perseguire disciplinarmente quei medici chirurghi e odontoiatri che non rispettino, a norma del vigente Codice Deontologico, le regole sopra richiamate o che svolgano attività di prestanomismo a copertura di prestazioni da parte di non medici relativamente alle medicine e alle pratiche non convenzionali sopra elencate;
  • essere opportuna la costituzione a livello nazionale FNOMCeO di una banca-dati sulla legislazione internazionale, nazionale e regionale dedicata alle medicine e alle pratiche non convenzionali anche su segnalazione dei singoli Ordini provinciali;
  • di richiedere con forza, per far corrispondere alla consistente domanda di medicine e pratiche non convenzionali, un coerente sviluppo di sistemi preposti alla tutela dell'efficacia e sicurezza, la costituzione di una Agenzia Nazionale composta da soggetti istituzionali quali: il Ministero della Salute, le Regioni, il MURST e la FNOMCeO.

Tra i compiti principali da affidare a tale Organismo, che potrebbe articolarsi in analoghe strutture regionali, sono da prevedersi:

  • l'individuazione e la regolamentazione delle attività relative alle singole medicine e pratiche non convenzionali;
  • la promozione della ricerca di base e applicata, secondo le regole di buona pratica clinica, nelle aree esclusive e soprattutto in quelle integrate favorendo la conoscenza dei princìpi e dell'uso appropriato delle medicine e pratiche non convenzionali nella cultura medica, avvalendosi di finanziamenti propri e derivanti da soggetti pubblici e privati in ambito nazionale ed europeo;
  • il monitoraggio e l'informazione, attraverso relazioni semestrali/annuali alle Istituzioni responsabili della tutela della salute, sull'uso appropriato, efficace e sicuro delle medicine e pratiche non convenzionali;
  • la regolamentazione dei percorsi formativi attraverso:
  • l'individuazione dei criteri per l'adozione degli ordinamenti didattici;
    la definizione dei criteri e dei requisiti per l'accreditamento dei soggetti pubblici e privati coinvolti nelle attività di formazione;
  • la sollecitazione, alle Istituzioni competenti, a predisporre tutti quei provvedimenti di carattere normativo o regolamentare utili al perseguimento dei propri scopi istitutivi;
  • sollecitare il Parlamento ad attivarsi affinché si pervenga ad una modifica normativa sulla pubblicità sanitaria, su proposta della FNOMCeO, con l'inserimento di norme specifiche per il settore;
  • sollecitare le Autorità competenti ad attivarsi al fine dell'inserimento delle voci, relative alle prestazioni professionali rese nell'esercizio delle medicine e pratiche non convenzionali sopra elencate, all'interno della Tariffa minima nazionale degli onorari per le prestazioni medico-chirurgiche ed odontoiatriche (DPR 17 febbraio 1992), che, peraltro, necessita di una sostanziale e globale revisione;
  • prevedere l'istituzione presso gli Ordini provinciali dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri di un registro suddiviso in sezioni per ciascuna delle medicine e pratiche non convenzionali sopra elencate. L'inserimento nel registro dei medici chirurghi e degli odontoiatri è subordinato alla individuazione di criteri che verranno stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento della FNOMCeO, in collaborazione con le scuole e le Società Scientifiche accreditate dalla FNOMCeO stessa, nella distinzione di ruoli e funzioni.

La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

CHIEDE

con forza un urgente e indifferibile intervento legislativo del Parlamento, al fine dell'approvazione di una normativa specifica concernente le Medicine e le pratiche non convenzionali sulla base di quanto contenuto nel presente documento."

(Segnalato da Luca Puccetti, Forum di Edott, www.edott.it)

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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di giugno-luglio 2002

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 21.08.2002. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?
16.07.02 165 Decreto del Ministero della Salute Modifica degli stampati di specialità medicinali contenenti levonorgestrel + etinilestradiolo, desogestrel + etilestradiolo e gestodene + etinilestradiolo rientranti nella categoria degli ormoni femminili usati per la prevenzione del concepimento ...........
16.07.02 165 Decreto del Ministero della Salute Modifica degli stampati di specialità medicinali rientranti nella categoria degli ormoni femminili usati per la prevenzione del concepimento ...........
13.07.02 163 Decreto del Ministero della Salute Modifica della schedula vaccinale antipoliomielitica ...........
08.07.02 158 Decreto-legge Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiate Di interesse l'articolo 9 su finanziamento della spesa sanitaria e prontuario
04.07.02 155 Decreto del Presidente della Repubblica Regolamento per l'esecutività dell'accordo integrativo dell'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale Interessa tutti i medici che svolgono attività nell'ambito degli istituti penitenziari e che sono anche convenzionati con il SSN come MMG
24.06.02 146 Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province autonome Schema di accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome concernente «Linee-guida per l'organizzazione di un sistema integrato di assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o cerebrolesi» ...........

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