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"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
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Periodico di aggiornamento medico e varie attualità
di: 
Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci e Marcello Gennari
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: www. edott. it e su http://zamperini. tripod. com
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privato. Riproduzione riservata
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"La Guida di Normativa Sanitaria"

Aprile 2003

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA

Rubrica gestita da D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

PILLOLE


Angioplastica vs. terapia trobolitica nell'infarto miocardio

L'angioplastica coronaria (PTCA) si sta rapidamente imponendo come trattamento di elezione nell'infarto acuto. Numerosi trial ne riportano un confronto vantaggioso nei confronti della tradizionale terapia trombolitica.
Questo studio segue la metodica della metanalisi per valutare la combinazione dei trial pubblicati sull'argomento.
Sono stati selezionati 23 trial con un totale di 7739 pazienti con elevazione del segmento ST inviati dopo randomizzazione alla trombolisi o o alla PTCA.
Tra i pazienti trattati con terapia trombolitica, il 76% ha ricevuto agenti fibrino-specifici.
In 12 trials vennero impiegati stents e inibitori della aggregabilità piastinica furono usati in 8 trials.
In generale, la mortalità a breve termine (entro 4-6 settimante) risultò del 7% nel gruppo trattato con PTCA e del 9% nel gruppo trattato con trombolisi.
Escludendo un trial singolo che comprendeva pazienti in shock cardiogeno, la mortalità risultò del 5% e del 7% rispettivamente.
Entrambe le analisi mostrarono una significatività delle differenze.
Significative differenze furono rilevate anche per quel che riguarda l'incidenza di reinfarto nonfatale (3% PTCA contro 7% trombolisi), ictus (1% PTCA contro 2% trombolisi), e l'endpoint combinato di morte, reinfarto nonfatale o ictus (8% PTCA contro 14% trombolisi).
Durante un follow-up di 6-18 mesi il gruppo trattato con PTCA ebbe complessivamente risultati migliori, anche quando la PTCA fu ritardata a causa del trasferimento del paziente nelle strutture specializzate, senza differenze per quanto riguarda l'agente trombolitico usato.

Keeley EC et al
Primary angioplasty versus intravenous thrombolytic therapy for acute myocardial infarction: A quantitative review of 23 randomised trials.
Lancet 2003 Jan 4; 361:13-20

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Artrite reumatoide: nuovo inibitore del Fattore di Necrosi Tumorale (TNF)

L'infliximab e l'etanercept sono gli agenti anti TNF a disposizione attualmente. Essi si sono dimostrati molto efficaci inibendo il fattore di necrosi tumorale tipo alfa. è ora entrato in commercio un terzo farmaco, l'adalimumab, che è il primo anticorpo monoclonale interamente umano contro il TNF alfa.
Per questo studio sponsorizzato dal produttore del farmaco, sono stati arruolati 271 pazienti affetti da Artrite Reumatoide, attiva nonostante trattamento con metotrexate.
Lo studio è stato effettuato in doppio cieco e randomizzazione.
I pazienti furono trattati con placebo o 3 dosaggi di adalimumab (20, 40 o 80 mg), somministrati per via sottocutanea ogni 2 settimane, continuando la terapia con metotrexate.
L'endpoint primario era costituito da un miglioramento del 20% in uno score formato da dati clinici soggettivi e oggettivi.
A distanza di 24 settimane la proporzione di pazienti che avevano ottenuto l'endpoint risultò significativamente maggiore nei gruppi di trattamento (48% - 20 mg; 67% 40 mg; e 66% - 80 mg) rispetto al gruppo placebo (15%).
Anche utilizzando un punteggio che indicava un miglioramento del 50% si ebbe un numero di risposte significativamente maggiore nel gruppo di trattamento.
Alcuni pazienti ottennero un miglioramento nell'arco di tempo di una settimana.

Weinblatt ME et al
Adalimumab, a fully human anti-tumor necrosis factor a monoclonal antibody, for the treatment of rheumatoid arthritis in patients taking concomitant methotrexate: The ARMADA trial
Arthritis Rheum 2003 Jan; 48: 35-45

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Chirurgia della carotide: massimo beneficio con stenosi superiore al 70%

Abbiamo a disposizione tre importanti trials, 1 europeo e 2 nordamericani, in cui si cerca di determinare il grado di stenosi ottimale per sottoporre i pazienti sintomatici ad intervento.
Purtroppo il grado di stenosi dei tre studi non è paragonabile, potendosi avere, per esempio, che ad una stenosi del 50% nei trials americani, corrisponda una stenosi del 65% in quello europeo.
In questo studio sono stati rianalizzati i dati e le angiografie di tutti questi trials per determinare l'efficacia della endoarterectomia a seconda del grado di stenosi carotidea, misurata con il metodo degli studi americani.
I risultati dello studio dei dati di 6092 pazienti hanno dimostrato che tra i pazienti con stenosi <30%, il rischio a 5 anni di ictus ischemico ipsilaterale (incluso ictus perioperatorio o morte) risultava aumentato in modo significativo nei pazienti sottoposti a terapia chirurgica rispetto a quelli sottoposti a terapia medica.
L'intervento chirurgico non conferì un vantaggio significativo ai pazienti di stenosi compresa tra 30% e 49%, fornì un lieve beneficio ai pazienti con stenosi compresa tra 50% e 69% e fu sicuramente efficace con una stenosi maggiore o uguale al 70% ma senza subocclusione (riduzione del rischio assoluto di circa il 16%)
La selezione dei pazienti da avviare alla endoarterectomia è fondamentale, dato che l'intervento è gravata da un rischio a 30 giorni dell'1% di morte e del 6% di ictus non fatale.

Rothwell PM et al
Analysis of pooled data from the randomised controlled trials of endarterectomy for symptomatic carotid stenosis
Lancet 2003 Jan 11; 361: 107-16

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Diuretico o aceinibitore? Il confronto continua

In questo studio 6083 pazienti ipertesi sono stati randomizzati per essere trattati con enalapril o idroclorotiazide come farmaco di inizio terapia.
La pressione media era di 168/91 mm Hg, il range di età era 65-84 anni.
Quando la monoterapia risultava inadeguata veniva aggiunto un altro farmaco,
Durante un follow-up di 4 anni la riduzione pressoria fu sovrapponibile nei due gruppi.
La frequenza degli endpoints primari costituita da tutti gli eventi cardiovascolari o dalla morte per ogni causa, fu di 54/1000 pazienti/anno nel gruppo trattato con aceinibitori e di 60/1000 pazienti/anno nel gruppo trattato con diuretici. La significatività fu del 5%.
Gli aceinibitori presentarono un tasso significativamente minore di infarto miocardio ma non di ictus o morte per tutte le cause.

Wing LMH et al
A comparison of outcomes with angiotensin-converting-enzyme inhibitors and diuretics for hypertension in the elderly
N Engl J Med 2003 Feb 13; 348: 583-92

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Farmaco per l'acne si rivela utile nella degenerazione maculare

La malattia di Stargardt fa parte di un gruppo di disturbi di degenerazione maculare che condividono il sintomo comune di perdita della visione centrale. Si tratta di una malattia ereditaria che affligge circa una persona su diecimila. Viene spesso chiamata degenerazione maculare giovanile, in quanto i sintomi cominciano a manifestarsi quando il paziente è ancora giovane, di solito prima della pubertà.
Usando l'Isotretinoina, un farmaco di uso comune nel trattamento dell'acne, ricercatori dell'Università della California di Los Angeles (UCLA) sono riusciti con successo ad arrestare l'accumulo di pigmenti tossici negli occhi di topi con un difetto genetico simile a quello della degenerazione maculare di Stargardt. I ricercatori hanno somministrato iniezioni giornaliere di Isotretinoina per mimare l'effetto della costante privazione di luce, e i risultanti sono stati notevoli.
Un pigmento tossico, detto lipofuscina, è responsabile della perdita della vista nei pazienti con la malattia di Stargardt. "Viste le similarità fra il modello animale e gli esseri umani che soffrono di questa malattia, - spiega Gabriel Travis, docente di oftalmologia e chimica biologia - sembra probabile che l'Isotretinoina possa sopprimere l'accumulo di lipofuscina nei pazienti. I nostri risultati dovrebbero aprirci la strada verso una sperimentazione clinica sugli esseri umani".

Le basi scientifiche dello studio sono contenute in un articolo pubblicato sull'edizione online del 17 marzo della rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS)".

www.lescienze.it

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Incidenza di infarti cerebrali silenti e fattori di rischio

I Ricercatori dell'Erasmus Medical Center di Rotterdam ed i radiologi dell'ospedale Universitario di Groningen, in Olanda, hanno studiato l'incidenza di infarti cerebrali silenti in una popolazione anziana, sana.
Gli infarti cerebrali silenti sono associati ad un aumento del rischio di ictus.
È stata presa in esame la popolazione che ha partecipato al Rotterdam Scan Study (n=1.077), d'età compresa tra 60 e 90 anni.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a MRI ( Risonanza Magnetica ad Immagine ) e, dopo alcuni anni (intervallo medio: 3,4 anni), 668 persone hanno eseguito un secondo MRI.
Il 14% dei partecipanti allo studio (n=93) ha presentato uno o più nuovi infarti al secondo MRI.
Di questi, 81 hanno avuto infarti silenti, mentre in 12 l'infarto è risultato sintomatico.
L'incidenza degli infarti cerebrali silenti è aumentata in modo marcato con l'età ed è risultata 5 volte più elevata rispetto all'incidenza dell'ictus sintomatico.
I fattori di rischio associati a nuovi infarti cerebrali silenti sono stati: età, pressione sanguigna, diabete mellito, livelli di colesterolo e di omocisteina, spessore intima-media, placche carotidee e fumo.

Stroke 2003; 34: 392

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Insufficienza renale e aterosclerosi

L'insufficienza renale presenta un rischio aumentato di malattia cardiovascolare. Questo è in parte spiegabile con una aumentata incidenza di diabete e ipertensione tra i pazienti affetti da insufficienza renale.
In questo studio è stata indagata la situazione dei biomarcatori dell'infiammazione e della coagulazione nelle persone anziane con o senza insufficienza renale per vedere se questi aspetti potessero contribuire all'aumento del rischio.
I markers furono esaminati nei soggetti di età maggiore di 65 anni afferenti al Cardiovascular Health Study. L'insufficienza renale, definita come tasso di creatinina nel siero maggiore o uguale a 1.3 mg/dl nella donna e 1.5 mg/dl nell'uomo fu evidenziata in 648 soggetti su 5808 (11%).
Dopo aggiustamento per fattori clinici e differenze nelle misurazioni di base, i livelli di proteina C reattiva, di fibrinogeno, di interleukina-6, dei fattori VII e VIII, del complesso plasmina- antiplasmina e del D-dimero risultarono significativamente più alti nei pazienti con insufficienza renale che in quelli con normale funzione renale.
È chiaro che questi dati non costituiscono un nesso causale, ma solo una prima acquisizione del fatto che i pazienti con insufficienza renale presentano un aumento del rischio cardiovascolare che può essere mediato da un aumento di fattori proinfiammatori e della coagulazione..
Occorrono ulteriori studi per capire i nessi e per capire se la terapia volta alla modifica di questi fattori possa portare ad una diminuzione del rischio cardiovascolare.

Shlipak MG et al
Elevation of inflammatory and procoagulant biomarkers in elderly persons with renal insufficiency
Circulation 2003 Jan 7; 107: 87-92

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La marijuana induce l'uso di stupefacenti più potenti?

In questa ingegnosa ricerca, tesa a dimostrare che la marijuana apre la porta all'impiego di droghe più pesanti, sono stati studiati 311 gemelli monozigoti o dizigoti dello stesso sesso i quali avevano un comportamento diverso per quanto riguardava l'uso di marijuana.
La maggior parte dei gemelli che riportava l'uso di altri tipi di droghe aveva riferito di aver cominciato con la marijuana.
Quelli che avevano cominciato prima con la marijuana avevano una probabilità maggiore rispetto a chi aveva cominciato più tardi o non aveva mai cominciato, di usare altre droghe vietate, o di avere dipendenza da altre droghe o da alcool. In una analisi aggiustata tenendo conto dello stato familiare, sociale e individuale (comprendendo malattie psichiatriche, uso precoce di tabacco e/o di alcool), coloro che impiegavano precocemente la marijuana presentavano una associazione significativa con un maggiore impiego di sedativi, allucinogeni, cocaina o oppiacei e con un più frequente stato di abuso o dipendenza di cocaina o oppiacei.

Lynskey MT et al
Escalation of drug use in early-onset cannabis users vs co-twin controls
JAMA 2003 22/29; 289: 427-33

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Neuropatia Idiopatica: la causa è una ridotta tolleranza al glucosio?

Vi è una cospicua percentuale di pazienti che sviluppa neuropatia senza che vi siano cause dirette apparenti. In questo studio si cerca di capire se una alterata tolleranza al glucosio può essere la causa di questi casi di neuropatia.
97 pazienti con sintomi prevalentemente sensoriali furono esaminati in tre cliniche neurologiche per neuropatia di origine indeterminata.
Di questi pazienti, 73 furono sottoposti a test da carico di glucosio. In 26 casi si dimostrò una ridotta tolleranza al glucosio (glicemia a digiuno 110-126 mg/dl o livelli di glucosio 2 ore dopo carico 140-200 mg/dl). 15 di essi furono classificati come diabetici.
Mediante test di conduzione nervosa e biopsie per determinare la densità delle fibre nervose (bassa densità significa neuropatia sensoriale a piccole fibre) si è visto che in 11 su 26 casi di diminuita tolleranza al glucosio si aveva neuropatia sensoriale a piccole fibre, mentre negli altri casi si era di fronte a neuropatia sensoriale a grosse fibre o neuropatia sensitivo-motoria.
Solo 1 dei pazienti affetti da diabete presentava neuropatia sensitiva a piccole fibre, mentre gli altri presentavano neuropatia sensitiva a grosse fibre o neuropatia sensitivomotoria o sensitiva a larghe fibre.
Sembra quindi che in alcuni casi di neuropatia idiopatica ci si possa trovare di fronte a diminuita tolleranza al glucosio e che la neuropatia sensitiva a carico delle piccole fibre possa essere uno stadio precoce della neuropatia da ridotta tolleranza al glucosio.

Sumner CJ et al
The spectrum of neuropathy in diabetes and impaired glucose tolerance
Neurology 2003 Jan 14; 60: 108-11

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Scoperto nuovo gene associato a tumore del seno

Ricercatori dell'Università di Rochester e della Vaccinex hanno identificato un nuovo gene, chiamato C35, che sembra essere associato da vicino con il tumore del seno. Secondo i dati pubblicati negli atti del 94esimo convegno annuale dell'American Association for Cancer Research (AACR), più del sessanta per cento dei tessuti di tumore del seno esaminati esprimevano in eccedenza il gene in questione. Lo studio ha anche scoperto che il gene C35 era espresso in quantità elevata solo nelle cellule tumorali, e non nei normali tessuti delle donne. Anche se studi clinici su larga scala devono ancora essere completati, è possibile che C35 divenga presto l'obiettivo di terapie e un indicatore per la diagnosi di questo tipo di tumore.
Gli scienziati hanno scoperto che il gene è localizzato sul cromosoma 17, adiacente all'oncogene che codifica per HER2/neu (il recettore 2 del fattore di crescita dell'epidermide umana): Lo sviluppo di terapie incentrate su HER2/neu ha rappresentato un grande progresso per i pazienti che soffrono di tumore del seno.
La ricerca mostra che la proteina codificata dal gene C35 è espressa in modo eccessivo nel 65 per cento dei pazienti. I medici hanno fatto un confronto con HER2/neu, che è espressa nel 30 per cento circa dei tumori del seno ed è associata con una forma più virulenta del tumore.
C35 si accumula all'interno delle cellule tumorali. Quando le cellule muoiono, il gene viene rilasciato nei tessuti circostanti. I ricercatori stanno cercando di sviluppare un test diagnostico per rivelare la presenza della proteina o dei suoi anticorpi nel sangue dei pazienti.

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Patologia renale non diabetica: efficacia della terapia combinata

Un trial randomizzato e controllato ha confrontato l'impiego di ACE inibitori, inibitori del recettore dell'angiotensina (ARB) e l'associazione di entrambi nel trattamento della nefropatia non di origine diabetica.
Sono stati inclusi nello studio 263 pazienti non ricoverati, di età compresa tra 18 e 20 anni, con livelli di creatinina di 1.5-4.5 mg/dl o tasso di filtrazione glomerulare di 20-70 ml/min/1.73 mq). I trattamenti consistevano in ACE inibitori (trandolapril 3 mg/die), ARB (losartan 100 mg/die) o entrambi associati.
Quasi tutti i pazienti erano affetti da ipertensione trattata con pressione media di 130/75 mm Hg e impiego di farmaci anche diverse da ACE inibitori e ARB.
I pazienti furono seguiti per una media di 2.9 anni.
L'endpoint primario, costituito dal raddoppiamento della creatinina o dal raggiungimento dell'ultimo stadio di nefropatia, risultò significativamente minore (11%) nel gruppo di trattamento combinato rispetto agli altri due gruppi a trattamento singolo (23% in ciascuno dei due gruppi).
Oltre alla terapia combinata, i fattori associati in modo indipendente con una minore incidenza dell'endpoint primario furono una maggiore riduzione nella proteinuria e l'impiego di diuretici.
In tutti i gruppi si ebbe la stessa diminuzione media della pressione (5mm per la sistolica e 3 mm per la diastolica).
Non si ebbero effetti collaterali significativamente differenti per i vari gruppi.

Nakao N et al
Combination treatment of angiotensin-II receptor blocker and angiotensin-converting-enzyme inhibitor in non-diabetic renal disease (COOPERATE): A randomised controlled trial.
Lancet 2003 Jan 4; 361: 117-24

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Una proteina allunga la vita?

Alti livelli di una proteina anti-infiammatoria potrebbero rappresentare la chiave genetica verso la longevità, almeno per quanto riguarda gli uomini. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista "Journal of Medical Genetics".
Il processo di invecchiamento è associato a infiammazione cronica e di basso livello in tutto il corpo, che a lungo termine porta a danni ai tessuti e all'aumento del rischio di sviluppare malattie degenerative, come il morbo di Alzheimer, quello di Parkinson, l'osteoporosi e il diabete di tipo 2.
Ricercatori del dipartimento di biopatologia e biomedicina dell'Università di Palermo hanno esaminato i livelli di due proteine (citochine) coinvolte nel processo infiammatorio del corpo: IL-10, che smorza l'infiammazione, e TNFa, che invece la favorisce. Gli scienziati hanno studiato la frequenza dei geni che codificano per le due proteine in un campione di 72 uomini e 102 donne che avevano raggiunto i 100 anni di età. Inoltre hanno analizzato anche il DNA di diversi individui di età compresa fra i 22 e i 60 anni.
I risultati mostrano che un numero significativamente più elevato di uomini centenari esprimeva geni che codificano per alti livelli di IL-10, la proteina anti-infiammatoria, rispetto agli uomini più giovani. Invece, per quanto riguarda i livelli della TNFa, non c'erano differenze fra i diversi gruppi di età. Sempre gli uomini centenari esprimevano i geni corrispondenti alla combinazione di alti livelli di IL-10 e bassi di TNFa. Fra le donne, invece, non c'era differenza nei livelli delle citochine, né separatamente né in combinazione.
Secondo gli autori dello studio, queste variazioni genetiche potrebbero essere specifiche dei pazienti presi in esame e non essere evidenti al di fuori della popolazione testata. Ma in ogni caso, i livelli elevati della citochina anti-infiammatoria sembrano associati alla longevità.

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Teriparatide (Paratormone umano ricombinante) e osteoporosi postmenopausale

Il Teriparatide sembra in grado di indurre modificazioni benefiche nell'achitettura del tessuto osseo, aumentandone la resistenza meccanica ed è gravato da scarsi effetti collaterali.
In un trial condotto in Argentina il farmaco è stato somministrato una volta al giorno per via iniettiva in donne affette da osteoporosi post menopausale.
Il trattamento con paratormone ricombinante riduce il rischio d'insorgenza di fratture vertebrali e non vertebrali e incrementa la densità minerale ossea dell'osso trabecolare mentre non è ancora chiaro l'effetto su l'osso corticale.
In questo studio gli autori hanno studiato i parametri relativi alla qualità dell'osso corticale mediante pQTC ( periferal quantitative computed tomografy) nel radio distale del braccio non dominante di 101 donne in post menopausa.
Le pazienti sono state assegnate in maniera randomizzata al trattamento con teriparatide a 20 mg(38 pz ) o 40 (28 pz) mg sottocute o al placebo (35 pz).
Dopo un periodo medio di osservazione di 18 mesi sono stati misurati il momento d'inerzia, la circonferenza dell'osso, il contenuto minerale osseo, e l'area oseea, i risultati sono stati aggiustati per età peso e altezza. Le pazienti che hanno ricevuto 40 mg di teriparatide paragonate al gruppo placebo hanno avuto una densità minerale ossea significativamente più elevata così come migliori sono stati il momento d'inerzia assiale e trasversale, l'area ossea corticale e la circonferenza ossea. Anche le pazienti trattate con 20 mg hanno avuto risultati migliori rispetto al gruppo placebo.

J Bone Miner Res 2003 Mar;18:3:539-43.

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Effetti del trattamento a breve termine con Azitromicina sugli eventi ischemici nei pazienti con sindrome coronarica acuta: Lo studio AZACS

La sindrome coronarica acuta è dovuta generalmente alla rottura della placca e alla sovrapposta formazione del trombo che esita nell'occlusione della coronaria. A dispetto del largo uso di potenti farmaci antiaggreganti e di statine la frequenza di eventi ischemici ricorrenti nei 2-6 mesi dall'evento acuto ( infarto o insorgenza di angina instabile) rimane molto alta intorno al 12-20%. L'infiammazione vascolare che esita nella rottura della placca e alla conseguente formazione del trombo potrebbe essere in parte dovuta ad una infezione della parete vascolare per lo più dovuta alla Chlamydia pneumoniae. L'infezione produce l'attivazione di metaboliti proinfiammatori e protrombotici creando una connessione patofisiologica tra infezione e evento coronario acuto.
I risultati di studi preliminari in cui la Chlamidia pneumoniae è stata trattata con azitromicina o roxitromicina suggeriscono una riduzione dei markers sierici dell'infiammazione e un decremento del numero di eventi ischemici ricorrenti nei pazienti con sindrome coronarica acuta. I risultati di questi studi non sono però conclusivi a causa del piccolo numero di pazienti arruolati.
Nello studio AZACS gli autori si propongono di determinare se il trattamento a breve termine con Azitromicina sia in grado di ridurre gli eventi ischemici ricorrenti o le morti nei sei mesi successivi all'evento acuto.
Il trial è stato condotto in doppio cieco su 1439 pazienti con angina instabile o infarto del miocardio. I pazienti sono stati assegnati in maniera randomizzata ad un braccio di trattamento con Azitromicina 500 mg al primo giorno e poi 250 mg die per 4 giorni, o al braccio placebo. Il follow up è durato sei mesi e gli endpoint primari sono stati: reinfarto, ischemia ricorrente con necessità di rivascolarizzazione e la morte.
Dei 716 pazienti in trattamento con azitromicina 23 ( 3%) morirono, 17( 2%) svilupparono un infarto del miocardio, 65 ( 9%) soffrirono di ischemia ricorrente con necessità di rivascolarizazione e 100 ( 14%)ebbero uno più di questi endpoint .Nel gruppo placebo ( 723 pz) i numeri corrispondenti furono 24 ( 4%), 22 ( 3%), 59 (8%),e 106 (15%) ( p= 0.664).
Gli autori concludono che il trattamento con Azitromicina non riduce il numero di eventi ricorrenti nei pazienti con sindrome coronarica acuta.

Lancet 2003;361:809-13

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Un chip nel cervello per riparare i danni

Scienziati americani affermano che un microprocessore di silicio potrebbe essere usato per rimpiazzare l'ippocampo, dove viene coordinato l'immagazzinamento dei ricordi. Presto comincieranno a sperimentare l'apparecchio in laboratorio su cervelli di topi. Se gli esperimenti dovessero funzionare, entro sei mesi i ricercatori proveranno l'ippocampo artificiale in topi vivi e poi in scimmie addestrate per eseguire esercizi di memoria, prima di passare a sperimentarlo sugli uomini.
Attualmente, alcuni apparecchi sono in grado di simulare l'attività del cervello, ma l'obbiettivo degli scienziati è quello di mettere a punto una vera e propria protesi di silicio per rimpiazzare i tessuti cerebrali danneggiati. I ricercatori sono consapevoli del fatto che il loro lavoro possa provocare controversie: il cervello influisce sull'umore, sulla consapevolezza e la coscienza, oltre che sulla memoria, tutte aree legate direttamente all'identità della persona.
L'ippocampo è un'area alla base del cervello umano, in prossimità della giunzione con il midollo spinale. Si ritiene che "decodifichi" le esperienze per poterle immagazzinare nelle memorie a lungo termine in altre parti del cervello. Il modo in cui lavora, tuttavia, non è ancora chiaro.
I ricercatori dell'Università della California Meridionale di Los Angeles hanno impiegato dieci anni a sviluppare l'ippocampo artificiale, che si limita a copiare il comportamento di quello naturale attraverso un modello matematico ottenuto dalla stimolazione dell'ippocampo dei topi con segnali elettrici e dallo studio delle risposte. La ricerca sarà presentata alla conferenza di ingegneria neurale che si terrà a Capri dal 20 al 22 marzo.

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Un esame del sangue sostituirà la colonscopia?

Un semplice esame del sangue potrebbe essere in grado di prevedere se il paziente corre il rischio di sviluppare un tumore del colon, evitando così esami sgradevoli come la colonoscopia. Lo affermano ricercatori americani della Johns Hopkins University di Baltimora, che hanno scoperto una mutazione genetica particolarmente comune nelle persone cui è stato diagnosticato il tumore.
Gli scienziati sostengono che saranno necessari altri studi prima di essere sicuri dei risultati, ma sperano di aver trovato un metodo semplice e accurato per una diagnosi precoce del tumore. La ricerca è stata pubblicata sul numero del 14 marzo della rivista "Science".
"Finora non esistono esami per identificare le persone con una predisposizione genetica ai tumori" afferma il direttore dello studio, Andrew Feinberg. Il tumore colorettale è al secondo posto, dopo quello del polmone, nelle cause di decessi per cancro negli Stati Uniti. L'American Cancer Society prevede che quest'anno ne verranno diagnosticati 147.000. La prevenzione è difficile, perché pochi si sottopongono al test della colonoscopia.
Feinberg e colleghi hanno esaminato 172 pazienti, scoprendo una specifica alterazione genetica, detta "perdita di imprinting" in un gene chiamato IGF2, che controlla la produzione di un fattore di crescita.
Coloro che soffrono di tumore del colon hanno circa 22 volte più possibilità di presentare questa alterazione, che nella maggior parte dei casi può essere rivelata semplicemente dal sangue.

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PCR per la diagnosi di ischemia inducibile nella malattia coronarica stabile

Alti livelli di PCR sono associati con un aumentato rischio di eventi cardiovascolari nella popolazione in apparete buona salute.
Gli autori di questo studio hanno determinato i livelli di PCR in 118 pazienti con ischemia inducibile con ecostress e in 111 soggetti in cui l'ischemia non era inducibile.
I pazienti che si collocavano al quintile più alto dei livelli di PCR (>0.38 mg/dl) avevano una probabilità significativamente maggiore di presentare ischemia inducibile rispetto ai pazienti con più bassi livelli di PCR (75% contro 45%).
Questa associazione si dimostrò più forte nei pazienti che non ricevevano betabloccanti (93% contro 42%) o statine (94% contro 44%) e non apparve significativa nei sottogruppi trattati con questi farmaci singolarmente o in associazione.
Si ipotizza quindi che i betablocccanti e le statine possano avere una attività antinfiammatoria che contrasta il processo infiammatorio che porta all'ischemia.

Beattie MS et al
C-reactive protein and ischemia in users and nonusers of b-blockers and statins: Data from the Heart and Soul Study
Circulation 2003 Jan 21; 107: 245-50

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Vertebroplastica e cifoplastica per fratture vertebrali da osteoporosi

In caso di fratture vertebrali da osteoporosi si possono eseguire due nuovi interventi chirurgici: la vertebroplastica percutanea e la cifoplastica con pallone.
Nel caso della vertebroplastica percutanea viene inserito un trequarti nel corpo vertebrale e si inietta del polimetilmetacrilato.
Nella cifoplastica con pallone un palloncino viene fatto espandere nell'ambito del corpo vertebrale per riportarne al normale l'altezza prima di iniettare il polimetilmetacrilato.
In 2 reports vengono descritti i risultati con queste procedure in pazienti con forte sindrome dolorosa.
Il primo studio è retrospettivo multicentrico e include 345 pazienti che furono sottoposti a vertebroplastica. I punteggi medi del dolore riportati dai pazienti scesero da 8.9 (scala di 10 punti) a 3.4 punti dopo la vertebroplastica.
La percentuale di pazienti che risultò, dopo l'intervento, in grado di condurre le normali attività quotidiane senza dolore passò dal 7% al 62%.
Nel secondo studio si illustrano i risultati della cifoplastica eseguita su 96 pazienti.
I punteggi del dolore medi scesero da 8.6 a 2.1 dopo l'intervento.
La proporzione di pazienti che camminavano normalmente aumentò con l'intervento da 35% a 84%. L'altezza media dei corpi vertebrali, osservata con radiografie seriate, aumentò dal 60% al 90% della misura prevista.

Evans AJ et al
vertebral compression fractures: Pain reduction and improvement in functional mobility after percutaneous polymethylmethacrylate vertebroplasty - retrospective report of 245 cases
Radiology 2003 Feb; 226: 366-72

Ledlie JT and Renfro M
Balloon kyphopasty: One-year outcomes in vertebral body height restoration, chronic pain, and activity levels
J Neurosurg 2003 Jan; 98: Spine: 36-42

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APPROFONDIMENTI


La bicicletta e i problemi sessuali

La bicicletta deve essere considerata un importante fattore di rischio per la disfunzione erettiva".
È questo l'allarme che Irwain Goldstein, professore di urologia all'università di Boston ed esperto mondiale sulla disfunzione erettiva, continua a rilanciare.
Il problema era già stato segnalato negli anni passati da vari autori, soprattutto norvegesi e francesi, ma mai con tanta determinazione e preoccupazione. "E l'allarme bicicletta, sempre secondo lo studioso americano, scatterebbe dopo solo tre ore di allenamento alla settimana ed interesserebbe proprio tutti: bambini, giovani, adulti e anche le donne". Attualmente non esiste una esatta conoscenza sulla prevalenza della disfunzione erettiva associata al ciclismo su larga scala ma i dati riportati dal ricercatore su circa 400 ciclisti studiati sono interessanti ed al tempo stesso molto curiosi. Infatti, quelli che più frequentemente andrebbero incontro a disturbi sessuali sarebbero i ciclisti della domenica, mentre quelli che ne soffrirebbero meno sono gli appassionati delle mountain bikers. In particolare lo studioso ha osservato che l'incidenza della disfunzione erettiva variava dal 9 al 13 % ma l'origine era sempre traumatica: cosi i ciclisti del weekend sono risultati al primo posto con il 41%, soggetti sotto i 10 aa che imparano ad andare in bicicletta (30%), ciclisti che utilizzano la bicicletta per andare al lavoro (22%), ciclisti professionisti che si esercitano regolarmente (20%), adolescenti che si divertono ad andare in bicicletta (19%), "patiti della bicicletta"(17%). Il 72% dei soggetti con deficit erettivo aveva utilizzato sellini stretti ed allungati, il rimanente sellini a tavoletta. Secondo il ricercatore la causa dei disturbi erettivi sarebbe soprattutto nei problemi vascolari.
Nella sua esperienza infatti, l'insufficiente apporto di sangue arterioso ai corpi cavernosi rappresentava la causa dominante del deficit erettivo (58%), più del doppio di frequenza rispetto alla disfunzione venoocclusiva (26%). Nel rimanente 16% erano presenti problemi neurologici.
Il ricercatore ha quindi riferito che su un altro campione di 81 ciclisti, nell'84% il ciclismo era stata la causa di almeno un episodio di insensibilità al perineo o di arsura della cute perineale mentre il 9% ricordava un incidente esitato in bruciori e dolori durante la minzione o addirittura fuoriuscita di sangue con le urine.
Il meccanismo d'azione:
La relazione tra una pressione continua di lunga durata e l'impotenza non è nuova ma risale agli antichi greci ed è stata descritta per la prima volta da Ippocrate in alcuni cavalieri sciiti.
Esistendo molte omologie tra l'anatomia sessuale dell'uomo e della donna, le disfunzioni sessuali e le alterazioni del tratto urinario sarebbero da attribuire al traumatismo compressivo che si realizza tra il sellino, i tessuti molli e le ossa del bacino, nel momento in cui si va in bicicletta per più di tre ore alla settimana e può interessare, separatamente o in associazione, la componente vascolare (arteriosa e venosa) e quella neurologica.
Nello caso specifico verrebbero danneggiati i vasi ed i nervi il nel canale di Alcock e lungo la branca ischiopubica. L'augurio del ricercatore è stato quello secondo cui, ben presto la case produttrici di bicicletta possano realizzare un sellino che riduca questi rischi. I tedeschi stanno già sperimentando qualcosa!
Intanto speriamo che in futuro venga condotto uno studio scientifico serio e multicentrico, coordinato ( perché no!) anche dalla società Italiana di Andrologia e che coinvolga una larga popolazione di ciclisti.
I disturbi sessuali nelle donne cicliste:
Delle 282 donne esaminate il 93% delle cicliste erano road bikers, solo l'11% erano professioniste;il 57% usava biciclette con il sellino stretto, il 75% biclette con sellino a tavoletta. Il 32% avevano riportato un episodio di trauma sul telaio della bicicletta, il 44% dei quali associati a strappi o abrasioni, il 19% associati ad ematuria o disuria, il 34% ad insensibilità del perineo, l'1.5% frattura pelvica e l'1.8% stenosi uretrali.
Goldstein conclude osservando che le disfunzioni sessuali ed i disturbi del tratto urinario basso nella donna correlate al ciclismo, come per il maschio, sono direttamente proporzionali alla dose di esposizione del fattore di rischio stesso, e cioè alle ore trascorse sulla bicicletta.

di Aldo Franco De Rose

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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D. Z. )

Pornografia minorile - diffusione di materiale pornografico

(Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale - Sentenza n. 4900 del 3 febbraio 2003)

Perché si concretizzi il reato di divulgazione o distribuzione di materiale pornografico occorre che l'agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo "privilegiato", o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii bensì ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando una serie di cessioni multiple a diverse persone; non è sufficiente l'invio a singoli soggetti, anche per via telematica.

I Fatti: T. C. era stato indagato per il reato di cui all'articolo 600 ter terzo comma e 81 c.p. per avere ripetutamente - l'attività durava da quasi un anno - e per via telematica, operando con il nickname "tcbsx", distribuito o comunque divulgato materiale pornografico avente ad oggetto minori di diciotto anni ritratti nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti, cedendolo nel corso di tali attività ad ufficiali di p.g. del compartimento di polizia postale e delle telecomunicazioni "Veneto", che agivano sotto copertura.
Secondo il Tribunale, il fatto che con il sistema della chat line, che non prevede una divulgazione a tutti i presenti, "l'interlocutore via internet debba di volta in volta mostrarsi interessato a quel prodotto e accettare di ricevere e scambiare le foto, non è incompatibile con il concetto di divulgazione, in quanto in detto colloquio "privilegiato" l'interlocutore è sconosciuto e può essere potenzialmente costituito nella realtà fisica (non virtuale) da più persone delle quali non è dato conoscere nulla, nemmeno l'età".

La Suprema Corte sentenziava che è da escludere che tale trasmissione diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d'accordo sulla trasmissione del materiale, configuri senz'altro una divulgazione o distribuzione ai sensi del terzo comma della norma citata, in quanto tali attività implicano la comunicazione con un numero indeterminato di persone. Né è sufficiente la considerazione che più persone possano nascondersi sotto un unico nickname.

"Perché vi sia divulgazione o distribuzione occorre, invece, che l'agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo "privilegiato", o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii bensì ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private (e, quindi, di cessioni) con diverse persone (come nella specie contestato all'indagato, ma da questi negato).
Di conseguenza, quando la cessione avvenga, come nel caso in esame, attraverso un canale di discussione (cosiddetta chat line), è necessario verificare, al fine della contestazione dell'ipotesi del terzo comma, se il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili, in modo che chiunque possa accedervi e, senza formalità rivelatrici di una sua volontà specifica e positiva, prelevare direttamente le foto. Laddove, invece, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nell'ipotesi più lieve di cui al quarto comma."
La Cassazione, quindi annullava la sentenza con rinvio.

(L'art. 600 ter della Legge 3 agosto 1998, n. 269 stalisce, al terzo comma:
"Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni."
Il quarto comma prevede invece:
"Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni".

È evidente la diversa gravità tra le due fattispecie, in quanto il reato di cui al quarto comma può essere punito con la sola pena pecuniaria, a differenza di quanto previsto al terzo comma. In ogni caso, tuttavia, la cessione di materiale pornografico riguardante i minori resta un atto illecito, punibile dal Codice Penale, sia pure con una più specifica graduazione delle pene. DZ)

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Nuove disposizioni per l'ECM

Il nuovo accordo Stato-Regioni sugli obiettivi e sul programma di formazione continua per l'anno 2003, (GU n. 85 del 11-4-2003) ha parzialmente modificato le precedenti disposizioni, pur senza cambiamenti sostanziali.
Vengono di seguito riportati alcuni punti di particolare interesse per il medico:

  • Gli esiti delle sperimentazioni finalizzate a testare attività di formazione a distanza, ad individuare i requisiti per l'accreditamento delle società scientifiche nonchè dei soggetti pubblici e privati che svolgono attività formative, e a realizzare un progetto unitario per la gestione e certificazione dei crediti formativi acquisiti dai singoli professionisti, dovranno essere portati all'esame della Conferenza Stato-Regioni, cui resta riservata ogni ulteriore decisione di livello nazionale.
  • Per l'anno 2003 le attività formative residenziali, ivi comprese quelle aziendali, continueranno ad essere accreditate e valutate con le modalità e le procedure attualmente in vigore, ferma restando l'esigenza dei necessari adeguamenti dettati dall'esperienza acquisita nel corso dell'anno 2002.
  • Le regioni, che abbiano deciso di procedere ad una propria attività di accreditamento comunicheranno alla Commissione nazionale l'avvio dell'attività di accreditamento secondo i criteri individuati dalla stessa e garantendo la pubblicizzazione anche a livello nazionale degli eventi formativi accreditati regionalmente.
  • I crediti maturati dai singoli professionisti nell'ambito delle iniziative di formazione continua accreditate dalle regioni sono riconosciuti su tutto il territorio nazionale.
  • In considerazione della carente offerta formativa per alcune categorie professionali registratasi nel corso dell'anno 2002, e tenuto conto che il predetto anno è stato il primo della formazione residenziale a regime, non essendo stata ancora attivata la formazione a distanza, è consentito di soddisfare il debito formativo stabilito per il 2002 anche nel corrente anno (2003).
  • Sono fatti salvi i crediti maturati con la partecipazione ad eventi formativi nel periodo compreso dal 1 gennaio 2003, fino alla data del presente accordo

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Le multiformi responsabilità amministrative del primario ospedaliero tra vecchie sentenze e nuove normative

Sono state spesso esaminate e discusse, in varie sedi, gli aspetti di responsabilità professionale dei primari (o dirigenti di secondo livello) ospedalieri; raramente, invece, sono stati esaminati gli aspetti che riguardano la responsabilità amministrativa, considerata finora un aspetto del tutto secondario.

L'evoluzione "burocratica" della professione nel nostro Paese ha però portato in primo piano proprio le responsabilità burocratiche, molto pesanti e incidenti pesantemente sull'attività organizzativa.

Le recentissime normative (Decreto "antitruffa") accentuano ulteriormente questi aspetti, fino ad estremi forse neppure voluti.

Esaminiamo, attraverso sentenze giudiziarie, due fattispecie apparentemente opposte, ma ambedue gravide di responsabilità.


Caso 1: È penalmente responsabile il medico di struttura pubblica che dirotti i suoi pazienti verso una struttura privata (Cassazione Sezione Seconda Penale Sentenza n. 960 del 13 gennaio 2003)

I fatti

Con sentenza in data 12.4.2001 la Corte di Appello di Bologna dichiarava il dott. E. G. responsabile dei delitti di abuso di ufficio e di truffa aggravata per essersi fatto pagare mediante artifici e raggiri parcelle milionarie per prestazioni effettuate quale professionista privato nei confronti di pazienti da lui conosciuti perchè ricoverati presso la struttura pubblica di cui è dipendente e lo condannava alla pena (sospesa con la "condizionale") di sei mesi di reclusione e L. 1.000.000 di multa, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per anni uno.
La Corte affermava che il G. aveva rappresentato ad un paziente e ai suoi congiunti l'imminenza di un pericolo inesistente e l'impossibilità di un ricovero tempestivo preso la struttura pubblica convincendoli ad eseguire gli esami più urgenti presso la sua clinica privata (di cui costoro prima ignoravano l'esistenza), poi aveva tentato di convincerli, mediante la falsa spiegazione che la struttura pubblica al momento non disponeva di certe endoprotesi metalliche, a scegliere la stessa clinica per un intervento chirurgico.

Il medico proponeva ricorso in Cassazione, chiedendo l'annullamento della condanna.


La Cassazione sottolineava invece una serie di comportamenti del G., configuranti violazioni di legge. In particolare le violazioni contestate riguardavano innanzitutto il dovere di fedeltà alla Pubblica Amministrazione, manifestatesi nel mancato apprestamento del ricovero del paziente presso altra struttura pubblica, avendo egli invece fatto ricoverare il paziente, proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende, presso una clinica privata senza essersi attivato nell'ambito della medesima struttura pubblica al fine di consentire l'immediato intervento.

Infatti la stessa diagnosi effettuata dal G. (" nel corso della prima visita lo stesso G. riferì alla figlia del paziente che la patologia da lui rilevata poteva comportare un ictus in tempi brevi") rendeva necessario un ricovero urgente, eventualmente dando la precedenza nei confronti di altri pazienti le cui condizioni fossero meno pressanti.

Infatti in tale situazione "il G. avrebbe dovuto per le vedute ragioni disporne il ricovero immediato e, ove questo fosse stato assolutamente impossibile per carenza di letti, avviare il paziente presso altra struttura ospedaliera disponibile, anzichè consigliargli una serie di esami da effettuare in una struttura privata".

La Corte concludeva quindi che la sentenza dei Giudici di Merito aveva correttamente individuato nel suo comportamento "la violazione di doveri professionali normativamente definiti" e confermava la condanna per abuso d'ufficio e truffa aggravata che però, essendo gli eventi accaduti nel 1993, risultava prescritta.

È quindi reato, per il medico dipendente da un Ospedale, attivarsi per indirizzare i pazienti dalla struttura pubblica a quella privata, avendo egli, in quanto dipendenti della pubblica amministrazione, un "dovere di fedeltà" che lo obbliga a fare quanto in suo potere per consentire il ricovero "immediato" sempre nell'ambito della sanità pubblica.

A ben guardare, la Suprema Corte ha voluto sottolineare come la scelta del ricovero presso la struttura privata non fosse un'autonoma decisione del paziente, il quale neanche conosceva la clinica in questione, ma fosse artatamente indotta dal Sanitario. Questi poi, per operare tale indirizzamento presso la Clinica, forniva anche false informazioni circa la mancanza, nella struttura pubblica, delle endoprotesi necessarie al paziente. Tale comportamento configurava gli "artifici e raggiri" che erano stati alla base della condanna per truffa.

Pur non essendo quindi di per sè reato inviare il paziente presso una struttura privata, lo diventa quando tale indirizzamento viene effettuato senza aver prima fatto il possibile per effettuare il ricovero presso una struttura pubblica, e quando vengano addotte motivazioni false o pretestuose, magari per fini di lucro personale.

Caso 2: È responsabile di un danno economico, ed è tenuto al risarcimento, il Primario che effettui ricoveri impropri o troppo prolungati in favore di un proprio familiare.

CORTE DEI CONTI, sez. giur. per l'Emilia-Romagna, SENTENZA 29 maggio 2001, n. 1135

I fatti

L'AUSL di Rimini riferiva di aver disposto, al termine di apposito procedimento disciplinare avviato su segnalazione del Tribunale per i diritti del malato, il recesso dal servizio del prof. Carlo B., Dirigente ospedaliero di II. Livello "essendosi accertato nei confronti del medesimo dei ricoveri impropri e/o eccessivamente prolungati a favore di un diretto familiare (la propria madre)".

Il danno conseguente derivato all'AUSL era stato quantificato in lire 53.537.080.

La decisione era scaturita in seguito ad un procedimento formale di contestazione effettuato dal Responsabile del Presidio Ospedaliero, dott. M., da cui emergeva un giudizio negativo in ordine alla correttezza degli anzidetti ricoveri.

In particolare, per quanto riguardava il primo ricovero (dal 17 marzo al 24 maggio 1996), pur non contestandosi la sua opportunità iniziale (accertamenti relativi ad una lombosciatalgia resistente alla terapia domiciliare), veniva rilevato il suo anomalo prolungamento temporale, in rapporto sia agli elementi clinici documentati che alla durata media di degenza per analoghe patologie.

Circa il secondo ricovero (5 giugno - 2 novembre 1996) si osservava innanzitutto che era stata attuata una procedura non corretta, essendosi effettuato un ricovero d'urgenza la cui valutazione era stata sottratta ai Medici del Pronto Soccorso e attestata, invece, dal prof. B.

Si osservava, inoltre, che le patologie per cui si era disposto il ricovero non risultavano seguite da coerente trattamento e non trovavano adeguata corrispondenza nell'impostazione terapeutica adottata.

Si sottolineava, ancora, in relazione all'anomalo perdurare della degenza, che le stesse consulenze specialistiche e l'esame della documentazione clinica evidenziavano la sussistenza di una patologia cronica con lunghi periodi di invariabilità del quadro clinico.

In ordine al terzo ricovero, anch'esso protrattosi in modo anomalo (9 agosto - 16 ottobre 1997), si rilevava che la paziente (ricoverata con diagnosi di "rachialgia acuta con irradiazione sciatalgica sinistra") non fu sottoposta ad alcun trattamento coerente con tale sintomatologia manifestando invece, secondo la documentazione clinica, uno stato patologico cronico per il quale sarebbero state necessarie un'impostazione terapeutica ed una vigilanza clinica effettuabili in regimi assistenziali diversi dal ricovero ospedaliero.

La difesa dell'accusato eccepiva come alla base dei ricoveri esistesse una discrezionalità tecnica del Medico Responsabile; ventilava inoltre una corresponsabilità della ASL per omissione dei doverosi controlli, e per indebita tolleranza delle eventuali irregolarità riscontrate.

Il primario, stabiliva la Corte, si era posto con il suo comportamento in aperta violazione con le indicazioni relative al contenimento della spesa sanitaria, come stabilite a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 502/92 (decreto di riforma del S.S.N.). Con tale decreto il Legislatore ha infatti individuato i meccanismi con i quali provvedere alla riduzione della spesa sanitaria, con l'adozione dei D.R.G. (Diagnosis Related Groups, cioè Raggruppamenti omogenei di diagnosi); in più, con il decreto 15 aprile 1994, il Legislatore classificava in tre categorie le prestazioni di assistenza ospedaliera distinguendo tra le prestazioni per acuti erogate in regime di degenza, quelle per acuti erogate in regime di ricovero diurno, e, quelle, infine, di riabilitazione ospedaliera erogabili in regime di degenza, limitando i ricoveri ospedalieri (nei Reparti ordinari) "soltanto alle patologie acute e contenendo la durata delle degenze nei limiti di tempo strettamente necessari".

Il Primario coinvolto nella vicenda, invece, con il suo comportamento ha disatteso tali finalità, in quanto i ricoveri prolungati anche per mesi della propria madre contravvenivano ai criteri di economicità della gestione del Presidio Ospedaliero, occupando indebitamente un letto per lunghi periodi, e ostacolando l'espletamento di interventi o di prestazioni assistenziali verso altri utenti con un danno per la ASL di circa 53 milioni di lire.

" Posto che tra i soggetti chiamati al corretto perseguimento degli obiettivi del Servizio Sanitario Nazionale nonché al rispetto dei criteri e delle priorità dettate per la gestione delle degenze devono collocarsi innanzitutto i Primari responsabili dei singoli reparti, si afferma che il comportamento del Primario qui convenuto (così come sopra descritto) deve ritenersi censurabile in quanto caratterizzato da notevole inadempimento degli obblighi del suo ufficio sicché in esso è individuabile l'elemento soggettivo del dolo o, quanto meno, della colpa grave."

Anche altri aspetti (procedure di accettazione, tenuta delle cartelle cliniche ecc.) erano illegittime in quanto "Il decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128 ("Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"), aveva stabilito, all'art. 7 (terzo comma), che il primario "provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle cure" ed "è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche" e, all'art. 14, che "negli ospedali regionali e provinciali il servizio di accettazione sanitaria è espletato, qualora non sia possibile istituirlo in modo autonomo, dal personale addetto al pronto soccorso" (secondo comma), che "sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del malato decide il medico di guardia" (sesto comma) e che "il giudizio sull'urgenza e sulla necessità del ricovero è rimesso alla competenza del medico che accetta l'infermo .." (nono comma)."

I Magistrati hanno poi ulteriormente precisato che lo scostamento rilevabile, tra la condotta prescritta dalla normativa e quella tenuta in concreto dal convenuto era tale da evidenziare di per sé l'esistenza "di un atteggiamento psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora affermare che, anche se il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla sua negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità di configurare il suo operato come gravemente colposo.

Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di ricoveri impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media di reparto (secondo i dati statistici, relativi a pazienti ultraottantenni, di cui si è detto in narrativa) ed il mancato rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia di ammissione al ricovero ospedaliero".

Né, rileva la Corte, era possibile invocare, per quanto riguarda la durata dei ricoveri ospedalieri, le prerogative inerenti alla discrezionalità tecnica giacché anche gli atti a prevalente contenuto tecnico-discrezionale devono rispettare i cosiddetti "limiti interni" della discrezionalità amministrativa che, nel caso in oggetto risultavano violati " essendo le cartelle cliniche disponibili indicative di un quadro patologico che appare in evidente contraddizione con i motivi addotti per giustificare i ricoveri cui esse si riferiscono."

Veniva riconosciuto un certo grado di inadempienza anche da parte della ASL circa l'obbligo di effettuazione dei doverosi controlli, per cui la responsabilità economica di B.si riduceva alla somma di Lire 20 milioni, più interessi e spese di giudizio.

I due casi visti alla luce del Decreto Legge 3 marzo 2003, n.32 (Disposizioni urgenti per contrastare gli illeciti nel settore sanitario- GU n. 52 del 4-3-2003)- Decreto "antitruffa"

È ormai ben noto come il nuovo DL preveda all'art. 1 che " sulla base anche della sola colpa grave o una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore nel minimo a 50.000 euro … '. I soggetti interessati a questa norma sono tutti i professionisti sanitari dipendenti o convenzionati con il servizio sanitario nazionale o responsabili di strutture accreditate che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, effettuano prestazioni farmaceutiche o diagnostiche non pertinenti per tipologia o quantità con la patologia di riferimento, ovvero in violazione di legge o di regolamento richiedono rimborsi inappropriati, determinano ingiustificati ricoveri ospedalieri o assumono impegni contrattuali e obbligazioni cagionando danno alle aziende unità sanitarie locali e ospedaliere… è inoltre disposta la confisca amministrativa dei beni e delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione… Il provvedimento che conclude il procedimento deve essere comunicato al competente ordine o collegio professionale di

appartenenza, che, valutati gli atti, può disporre la sospensione dall'esercizio della professione o la radiazione dall'Albo.".

All'art. 4, a proposito del reato di Truffa, è previsto che "Se il fatto è commesso a danno del Servizio sanitario nazionale, da professionisti sanitari dipendenti dal medesimo Servizio o con

esso convenzionati, ovvero responsabili di strutture sanitarie accreditate per l'erogazione di prestazioni clinico-diagnostiche, la pena pecuniaria di cui al secondo comma è decuplicata. È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Il provvedimento che definisce il giudizio deve essere comunicato al competente ordine o collegio professionale di appartenenza che, valutati gli atti, dispone la radiazione dalla professione del responsabile.".

Il sanitario di cui al caso 1, ritenuto colpevole di abuso di ufficio e di truffa aggravata, sarebbe rientrato pienamente nella fattispecie dell'art. 4. Qualora il Decreto fosse stato in vigore all'epoca dei fatti al Primario, malgrado l'avvenuta prescrizione, sarebbero state comminate le sanzioni amministrative pecuniarie, la confisca dei beni derivati dal lavoro effettuato in clinica privata verso pazienti provenienti dall'Ospedale, la radiazione dall'Ordine dei Medici.

Il sanitario di cui al caso 2, in seguito alla condotta giudicata dal tribunale Amministrativo "gravemente colposa" avrebbe subìto, a fronte di un danno di 20 milioni di lire cagionato alla ASL, le sanzioni previste dall'Art.1, vale a dire, oltre al risarcimento del danno stabilito dal Tribunale, una ulteriore sanzione amministrativa compresa tra 50.000 e 200.000 euro e il deferimento all'Ordine per un provvedimento di sospensione o radiazione dall'Albo.

Analoghe sanzioni rischierebbero pure i sanitari dirigenti ASL che, secondo il Tribunale, avevano omesso colposamente i doverosi controlli.

Le maggior parte delle polizze assicurative contro i "rischi professionali" prevede il risarcimento di quanto dovuto per danni da attività sanitaria, e non quelli da responsabilità "burocratica" o "amministrativa". L'intero onere sarebbe gravato perciò direttamente ed esclusivamente sulle tasche dei diretti interessati. Ogni polizza che prevedesse questo tipo di risarcimento subirà prevedibilmente un pesantissimo rincaro.

Vorremmo lasciare alla coscienza dei lettori il giudizio se effettivamente tali comportamenti siano stati effettivamente (specialmente nel caso n. 2) così gravi e destabilizzanti da meritare sanzioni di tale entità.

A questo scopo vorremmo anche paragonare queste sanzioni a quelle ( irrisorie, al confronto) che vengono irrogate per delitti colposi di gravità addirittura maggiore ma interessanti settori diversi da quello sanitario (come, ad esempio, i delitti contro l'incolumità personale): chi ha notizia di sanzioni così gravi nei casi, ad esempio, di omicidio colposo o di lesioni gravissime da incidente d'auto?

Inoltre va considerato che le pene accessorie, prive di gradualità, porterebbero alla radiazione dall'albo per un singolo reato, magari con un danno di pochi milioni, contro ogni possibilità di recupero o di espiazione, determinando la rovina irrimediabile del sanitario.

Daniele Zamperini (pubblicato su Doctor)

(Nelle more della pubblicazione, il Decreto Antitruffa è stato ritirato. È possibile però che le informazioni riportate su questo articolo possano essere ugualmente utili, in quanto di interesse più generale. DZ)

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Considerazioni sul concetto amministrativo di "Colpa Grave"

(DL 3/3/2003 n. 32, Decreto "Antitruffa")

L'evoluzione "burocratica" della professione nel nostro Paese ha portato in primo piano le responsabilità amministrative del medico, spesso da questi trascurate ma incidenti pesantemente sulla sua attività. Le recentissime normative (c.d. "Decreto antitruffa") accentuano ulteriormente questi aspetti, portando in primo piano il concetto di "colpa grave" che, ben conosciuto finora in ambito civile e penale, si presenta minaccioso in ambito amministrativo, potenzialmente devastante a causa delle pesantissime sanzioni previste dal Decreto. Ricordiamo solo, brevemente, che il Decreto prevede, per colpa grave connessa a prestazioni sanitarie non pertinenti re tali da arrecare danno al SSN, un'ammenda minima di 50.000 euro, oltre la sospensione o radiazione dall'albo.

Conoscere il problema: la "colpa" dal punto di vista amministrativo

Una definizione di colpa non è contenuta nel codice civile per cui usualmente si procede, per la sua definizione, in analogia con quanto disposto dal codice penale.

Mentre il dolo è l'intenzione e la consapevolezza di agire in modo illegittimo (l'atto e l'omissione sono quindi voluti, e talora attuati mediante inganni e raggiri per cui in certi casi si può sconfinare nella truffa), il delittò colposò invece è l'illecito commesso senza deliberata volontà ma in base a condotte scorrette per negligenza, imperizia, imprudenza, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline.

Chi è interessato da tali norme?

Innanzitutto va specificato che la responsabilità amministrativa è riferita alla persona in ragione dello status di dipendente pubblico (o assimilato): (art. 28 Cost.:" I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici "). Il giudice naturale delle questioni relative alle suddette responsabilità è la Corte dei Conti secondo l'art. 103 co. 2 Cost.

L'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, (modificato dalla legge 23 ottobre 1996 n. 543) sancisce la regola secondo la quale gli amministratori ed i dipendenti pubblici rispondono solo dei fatti e delle omissioni connotati da dolo o da colpa grave.

Nell'ipotesi di colpa lieve invece il dipendente è esente da responsabilità amministrativa e contabile; il rischio dell'eventuale danno ricade interamente sulla P.A.

La distinzione tra colpa grave e colpa lieve è quindi particolarmente importante, perché mentre la colpa lieve potrà essere moralmente censurabile, ma non comporta alcuna conseguenza giuridica, la colpa grave, invece, comporta la responsabilità giuridica e il conseguente obbligo del risarcimento del danno, nonchè le gravissime sanzioni stabilite nel recente decreto.

La responsabilità amministrativa è, quindi, caratterizzata dai seguenti elementi:

  • dolo o colpa grave ( a seconda dell'elemento psicologico );
  • danno alla P.A. ( concreto, attuale e non potenziale, non necessariamente patrimoniale: es: danno ambientale, danno morale, danno all'immagine, danno da tangente ecc….); il danno all'Amministrazione può essere diretto, ma può riconoscersi anche un danno indiretto.
  • nesso causale ( o eziologico ) tra la condotta illecita e l'evento di danno ).

Come viene valutata la gravità della colpa?

Il criterio di giudizio in ambito amministrativo è diverso rispetto a quello "civile", in quanto mentre in quest'ultimo si adotta il confronto con il "buon padre di famiglia medio", il primo si serve di un criterio soggettivo, che considera la situazione concreta in cui l'agente opera ( incarichi, mansioni, ruolo ricoperto, ordini di servizio, motivi dell'agire, difficoltà, livello e tipo di discrezionalità consentiti ecc...).

Il problema principale: come si distingue la colpa grave dalla colpa lieve? 

La soluzione non è semplice, proprio per la mancanza di definizioni precise: le norme relative alla responsabilità degli amministratori e del personale degli enti locali (articolo 58 della legge 142/90) rinviano allo statuto degli impiegati civili dello Stato, che appare anch'esso assolutamente generico, perché stabilisce (articolo 13, Testo unico 3/57) che l'impiegato deve curare "in conformità alle leggi, con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'amministrazione per il pubblico bene".

I criteri di individuazione della colpa grave dei funzionari e amministratori degli enti locali sono stati quindi stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa, specie della Corte dei Conti, che in estrema sintesi possono essere così indicati:

  • inosservanza del minimo di diligenza;
  • assenza di difficoltà oggettive ed eccezionali nell'ottemperare ai doveri di servizio violati
  • prevedibilità e "prevenibilità" dell'evento dannoso.
  • violazione di quei comportamenti che anche i meno diligenti e cauti sogliono osservare.
  • atteggiamento di grave disinteresse nell'espletamento delle funzioni, agendo senza le opportune cautele.
  • deviazione dal modello di condotta connesso ai propri compiti, senza il rispetto delle comuni regole di comportamento.
  • comportamento gravemente negligente sia riguardo all'esame del fatto (omissione di tale esame o aver limitato questo ad aspetti marginali), sia riguardo all'applicazione del diritto (nelle diverse forme dell'imperizia, dell'inosservanza, o dell'erronea interpretazione delle norme).

La colpa grave consisterebbe quindi in una sprezzante trascuratezza dei doveri d'ufficio resa palese da un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero da una particolare noncuranza dell'interesse della p.a. o ancora da una grossolana superficialità nell'applicazione delle norme di diritto.

Andrebbe cioè rapportato il comportamento dell'agente con quello che sarebbe stato necessario in ossequio a specifiche prescrizioni normative o comunque desumibili dalle comuni regole di cautela; ed il raffronto va effettuato utilizzando due criteri di valutazione, l'uno oggettivo (relativo all'individuazione dello standard di diligenza richiesto) e l'altro soggettivo (relativo alla valorizzazione delle cause che hanno indotto l'agente a discostarsi dalle prescritte regole di prudenza).

In base a tali criteri la giurisprudenza amministrativa si mostra talvolta incline ad escludere la responsabilità nelle ipotesi di errore professionale scusabile, rinvenibile, ad esempio, nella obiettiva difficoltà interpretativa delle norme, ovvero in ipotesi di irrazionale ed incongrua situazione organizzativa riconducibile esclusivamente all'amministrazione.

Profilo giuridico della "colpa grave" nei comportamenti dei Pubblici Dipendenti.

Alcune sentenze della Corte dei Conti (per es. quella delle SS.RR n. 56 del 1997) approfondiscono la materia e permettono di individuare un profilo più preciso della colpa grave: è possibile distinguere:

  1. La colpa grave nella applicazione di norme giuridiche (Quando si verifica un errore nell'interpretazione di una norma, nonostante l'obbiettiva certezza interpretativa, ovvero quando la scelta sia stata fatta in base ad opinioni soggettive, senza tener conto di direttive, istruzioni, indirizzi, prassi e pronunce giudiziali conoscibili).
  2. La colpa grave nelle scelte tecniche (La colpa grave coinciderebbe con un errore professionale (inescusabile allorchè vengano violate regole precise) oppure nella mancata attivazione del procedimento di aggiornamento culturale che avrebbe consentito di conoscere la regola d'azione da seguire).
  3. La colpa grave nelle scelte discrezionali (Anche in tal caso sarebbe decisivo, per la sussistenza della colpa grave, l'inescusabilità dell'errore nell'individuazione delle regole da seguire, l'obbiettiva rilevabilità dell'evento dannoso, e la conoscenza del comportamento diverso che doveva essere seguito).
  4. La colpa grave nell'attività di organizzazione e direzione (Tenuto conto delle recenti riforme sul pubblico impiego che hanno dato, almeno ai vertici dirigenziali, nuovi poteri in materia di disciplina degli uffici e dotazioni organiche, una attività gravemente colposa, in tale ambito, potrebbe ravvisarsi nelle ipotesi in cui manchino provvedimenti organizzativi, o gli stessi siano solo apparenti, ovvero non si siano apportati dei correttivi, nonostante l'emergere di nuove esigenze. Strettamente connessa è la problematica della colpa grave per omessa o inadeguata vigilanza).

È purtroppo da sottolineare come le stesse definizioni, essendo per la maggior parte esse stesse non definite, rimangano astratte, aleatorie e discrezionali. Questa circostanza, comune nel nostro ordinamento, diviene intollerabilmente oppressiva quando vada a comportare, come nel caso del Decreto in discussione, sanzioni enormemente più gravi rispetto ad altri soggetti, sproporzionate al danno, non graduabili e talvolta inemendabili, come nel caso della prevista radiazione dall'albo per comportamenti che, pur amministrativamente colposi, potrebbero non avere parallela incidenza nè sul piano economico nè su quello etico-deontologico.

Criteri concreti di giudizio delle Autorità Amministrative

Alcune sentenze che possono illustrare dei casi concreti o che esprimono massime di carattere generale:

  • La Corte Dei Conti, Sez. Lazio, Sentenza 18 giugno 2001 n. 2485/2001/R ha stabilito che Non assume il carattere della colpa grave il comportamento del medico in servizio presso un carcere, quando il danno derivante dal mancato controllo, secondo le disposizioni ministeriali, delle diverse scadenze dei farmaci acquistati in grande quantità, discende da un disordine gestionale del servizio di medicina a causa dell'annessione di altro Istituto alla Casa Circondariale dove il medesimo medico prestava servizio, con la conseguente aggregazione di risorse umane e strumentali in una condizione di precarietà logistica e con evidenti e documentati attriti tra il personale medico e quello paramedico.

  • La Corte Dei Conti Sez. Piemonte, Sentenza 10 giugno 1999 n. 1058/99, in seguito a condotta sanitaria colposa da parte di un ginecologo che aveva portato ad un risarcimento verso i danneggiati che superava il massimale assicurativo dell'Ente, stabiliva che "Al fine di valutare la responsabilità dei medici ospedalieri, si possono applicare anche nel giudizio di responsabilità amministrativa i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo i quali bisogna distinguere tra interventi di difficile esecuzione ed interventi di routine. Per questi ultimi, incombe al medico l'onere di dimostrare che l'insuccesso dell'intervento non è ascrivibile ad un difetto di diligenza o di perizia… Costituisce colpa grave per un medico ginecologo, omettere l'esecuzione di un monitoraggio cardiotocografico in presenza di chiari sintomi di sofferenza fetale, in quanto l'uso di tale strumento consente ai sanitari di scegliere la tecnica d'intervento più appropriata (taglio cesareo e non espulsione naturale).

  • Corte Dei Conti, Sezione Puglia - Sentenza 15 gennaio 2001 8/EL/2001, a proposito del comportamento non collaborativo di uno specialista causato dalla mancanza o dall'assoluta inadeguatezza degli strumenti messi a disposizione del dipendente (essendo onere dell'amministrazione, che ha previamente valutato la necessità di avvalersi di tale attività, assicurare l'efficiente allestimento delle apparecchiature necessarie) stabiliva che " Costituisce colpa grave non aver curato il tempestivo acquisto di attrezzature, occorrenti per lo svolgimento dell'attività professionale da parte di un medico specialista convenzionato, nonostante la disponibilità dei fondi e la conoscenza della necessità dell'acquisto.
    Costituisce colpa grave, sotto il profilo dell'ingiustificabile negligenza, il ritardo nell'esecuzione di un adempimento, quando vi è un'evidente e macroscopica sproporzione tra l'assoluta semplicità dell'adempimento ed il tempo impiegato per attuarlo, (nella specie sono stati impiegati circa otto mesi far pubblicare l'avviso dell'indizione di una trattativa privata)."
  • Corte dei Conti, sez. Umbria, sentenza n. 98/E.L./2001, del 6 marzo 2001: è colpevole di colpa grave il primario che permetta lo svolgimento della professione sanitaria a dei medici volontari non strutturati, nelle more del rilascio delle prescritte autorizzazioni, nonché, addirittura, ad un soggetto del tutto sprovvisto della necessaria laurea, e questo anche in assenza di un danno erariale diretto, in quanto si configura un danno indiretto ("danno all'immagine"). Del medesimo fatto risponde altresì, sempre a titolo di colpa grave, anche il Direttore sanitario per avere omesso l'attività di vigilanza e controllo.
  • Particolarmente importante, a nostro giudizio, il pronunciamento della Corte Dei Conti, sez. Emilia-Romagna, sentenza 29 maggio 2001, n. 1135 che sanzionava come colpa grave il comportamento di un Primario ospedaliero che ricoverava ripetutamente la propria madre ultraottantenne nel suo ospedale per periodi eccessivamente prolungati e, in un caso, saltando il parere del medico di accettazione: "Lo scostamento rilevabile, ad un esame comparativo, tra la condotta in astratto prescritta dalla normativa vigente e la condotta in concreto tenuta dal convenuto (come provata dalle cartelle cliniche disponibili) è di tale evidenza da essere di per sé ostensivo dell'esistenza di un atteggiamento psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora affermare che, anche se il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla sua negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità di configurare il suo operato come gravemente colposo.
    Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di ricoveri impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media di reparto ... ed il mancato rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia di ammissione al ricovero ospedaliero".
    Il danno per l'erario venne quantificato in circa 20 milioni di lire, a fronte del quale, in epoca attuale, il medico dovrebbe soggiacere a tutte le sanzioni previste dal DL (vale a dire, oltre al risarcimento del danno stabilito dal Tribunale, ad una ulteriore sanzione amministrativa compresa tra 50.000 e 200.000 euro, con deferimento all'Ordine per un provvedimento di sospensione o radiazione dall'Albo).

Secondo la sentenza costituiscono quindi criterio di individuazione della "colpa grave":

  • reiterazione prolungata del comportamento illecito
  • comportamento diffusamente noncurante delle normative in vigore
  • macroscopica violazione delle norme di appropriatezza, ingiustificabile in base ai comuni criteri di diligenza.

Il danno da colpa grave amministrativa può essere coperto dalle Assicurazioni?

Il CCNL per la Dirigenza Medica prevede la copertura a spese dell'Ente della "responsabilità

civile dei dirigenti, ivi comprese le spese di giudizio per le eventuali conseguenze derivanti da

azioni giudiziarie di terzi, relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera professione

intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di dolo o colpa grave".

La Corte dei Conti ha ribadito (Sez. Lazio, sentenza 24.02.97 n. 12) che possono essere messe a carico dell'Amministrazione solo le spese per un'assicurazione che copra responsabilità diverse da quelle derivanti da dolo o colpa grave del dipendente: è priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo (C. Conti, sez. I, 29 novembre 1990 n. 254). Alla stregua della citata giurisprudenza, pertanto, nel mentre possono ritenersi ammissibili le assicurazioni volte a coprire la responsabilità, ad esempio per infortuni, non può ritenersi ammissibile la stipula di una polizza per coprire i componenti del Consiglio di amministrazione dai rischi conseguenti ad un'eventuale responsabilità amministrativa."

Seguendo questo indirizzo il D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, art. 29, dispose che: "Le unità sanitarie locali possono garantire anche il personale dipendente, mediante adeguata polizza di

assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivante da azioni

giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio, relativamente alla loro

attività, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo."

Il medico che volesse cautelarsi dovrà quindi provvedere con apposita polizza personale, curando che siano espressamente comprese le coperture per colpa grave o illecito amministrativo, nonchè una copertura in caso di sospensione o radiazione dall'Albo.

Daniele Zamperini (03/2003) Pubblicato su Edott: www.edott.it

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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di marzo-aprile 2003 (a cura di Marco Venuti)

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 22.04.2003. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?
27.03.03 72 Decreto del Ministero della Salute Modifica degli stampati di specialità medicinali contenenti come principio attivo eparine a basso peso molecolare In particolare su precauzioni d'uso e associazioni
11.04.03 85 Conferenza Permanente Stato-Regioni Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sugli obiettivi e sul programma di formazione continua per l'anno 2003, di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 16-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, proposti dalla Commissione nazionale per la formazione continua ..........
15.04.03 88 Decreto del Ministero della Salute Modifica degli stampati di specialità medicinali contenenti come principio attivo Amiodarone cloridrato In particolare sulla tossicità polmonare
16.04.03 89 Ordinanza del Ministero della Salute Misure profilattiche contro la sindrome acuta respiratoria severa (SARS) ..........

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