eDott.it
"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
Patrocinate da - SIMG-Roma -
A.S.M.L.U.C. - eDott.it 

Periodico di aggiornamento medico e varie attualitā
di: 
Daniele Zamperini, Raimondo Farinacci
con la collaborazione di Marcello Gennari
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: www.edott.it e su http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm
Il nostro materiale č liberamente utilizzabile per uso
privato. Riproduzione riservata


Aprile 2002

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita da D.Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

 

PILLOLE


Calibro delle arteriole retiniche e rischio di malattia coronarica: differenze tra uomini e donne

Si è sempre ipotizzato un ruolo importante dei processi microvascolari nello sviluppo della malattia coronarica sia negli uomini che nelle donne, tuttavia i dati provenienti da studi prospettici al riguardo sono piuttosto limitati.
L'obbiettivo dello studio pubblicato recentemente su JAMA da Tien Yin Wongn et al.è quello di esaminare l'associazione tra restringimento delle arteriole retiniche, marker di danno microvascolare per ipertensione, e l'incidenza di malattia coronaria in uomini e donne sani di mezza età.
L'Atherosclerosis Risk in Communities Study è uno studio prospettico ancora in corso basato su una popolazione di coorte di 4 comunità statunitensi iniziato nel 1987. Sono state raccolte le fotografie del fondo retinico in 9648 pazienti di età compresa tra 51 e 72 anni senza malattia coronarica fino alla terza osservazione (1993 -1997). Per quantificare il restringimento arteriolare, le fotografie del fondo oculare sono state digitalizzate ed il diametro di arteriole e venule retiniche è stato misurato, ed infine è stato calcolato il rapporto tra diametro arteriolare e venulare (AVR).
Durante un follow up medio di 3,5 anni 84 uomini e 187 donne ammalarono di malattia coronarica.Nelle donne, dopo aver controllato la pressione arteriosa media dei 6 anni precedenti, il consumo di sigarette, il diabete, i lipidi plasmatici, e gli altri fattori di rischio, ogni deviazione standard in diminuzione del AVR fu associata con un aumentato rischio di malattia coronarica incidente con un rischio relativo (RR) pari a 1,37 e di infarto del miocardio con un RR di 1,50.
Al contrario negli uomini l'AVR non si correlò né con un aumento di malattia coronaria incidente (RR .1,0) né con un aumentata incidenza di infarto del miocardio (RR 1.08).
In conclusione il restringimento delle arteriole retiniche è correlato con la malattia coronarica incidente nelle donne ma non negli uomini ovviamente ulteriori osservazioni sono necessarie per confermare i dati emersi dallo studio.

JAMA. 2002;287:1153-1159

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Cefalea a grappolo: segni e sintomi

In questo lavoro vengono seguiti 230 pazienti affetti da cefalea a grappolo e vengono descritte le caratteristiche di questa patologia.
Il 79% dei pazienti presentava cefalea a grappolo episodica: parecchi attacchi al giorno per settimane o anche mesi seguiti da periodi senza dolore della durata variabile da mesi ad anni.
Il 21% si presentava con cefalea a grappolo cronica, cioè aveva dolore continuo senza intervalli liberi.
Il 72% dei pazienti erano di sesso maschile. Le zone algiche più comuni erano la zona retrorbitale (92%) e quella temporale (70%), ma altre zone comuni erano i denti, la mandibola, la fronte e il collo.
Di solito il dolore era monolaterale, ma poteva cambiare lato da un episodio all'altro.
Tra i segni più frequentemente associati: lacrimazione, iniezione congiuntivele, congestione nasale, rinorrea, tumefazione o ptosi palpebrale.
Nel 14% si aveva aura di tipo visivo, emiparestesico o emiparesico.
Gli attacchi duravano da un valore medio minimo di 72 minuti ad un valore medio massimo di 159 minuti.
Spesso la cefalea insorgeva durante la notte.

Neurology 2002 Feb 12; 58: 354-61

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Ulteriore conferma: Cambiare lo stile di vita per prevenire il Diabete tipo 2

3234 adulti classificati ad alto rischio per diabete tipo 2 sono stati randomizzati e assegnati a 3 gruppi di trattamento: intervento standard di cambiamento dello stile di vita più metformina (850 mg due volte al dì), intervento standard di cambiamento dello stile di vita più placebo, intervento intensivo di cambiamento dello stile di vita (obiettivo: ridurre di almeno il 7% il peso corporeo e 150 minuti di esercizio fisico alla settimana).
L'intervento intensivo consisteva in 16 sedute educazionali gestite da personale specializzato.
I criteri di inclusione erano: BMI di 24 o più, glicemia a digiuno compresa tra 95 mg/dl e 125 mg/dl e glicemia compresa tra 140 mg/dL e 199 mg/dL due ore dopo carico di glucosio.
Il BMI medio era 34. Durante un periodo medio di follow-up di 2.8 anni, l'incidenza di nuove diagnosi di diabete fu significativamente minore nel gruppo di intervento intensivo sullo stile di vita rispetto al gruppo di trattamento con metformina, nel quale l'incidenza di nuove diagnosi fu a sua volta minore rispetto al gruppo placebo (4.8%, 7.8%, 11% rispettivamente).
Non si riscontrarono differenze legate a sesso o razza e ovviamente il gruppo trattato con metformina fu quello in cui si verificarono più effetti collaterali.

N Engl J Med 2002 Feb 7; 346: 393-403

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

D-Dimero e embolia polmonare: quanto è affidabile?

Questo studio multicentrico si propone di studiare l'affidabilità della titolazione del D-Dimero per escludere o confermare la presenza di embolia polmonare (EP).
Sono stati inclusi nello studio 314 pazienti con sospetta EP. Di questi, in 100 si dimostrò effettivamente la presenza di EP (32%); la diagnosi venne posta in base alla visualizzazione degli emboli alla TAC o alla angiografia.
L'esame del D-dimero diede risultato positivo nell'81% dei pazienti con PE.
Nella sottoclasse di pazienti con embolia segmentarla o di tronchi arteriosi maggiori, la positività fu del 93%.
Nei pazienti con embolia subsegmentaria, il test del D-dimero risultò positivo solo nel 50% dei casi.
Bisogna quindi valutare in maniera critica il test del D-dimero e non esitare, in base alle indicazioni cliniche, a richiedere esami più accurati.

Am J Respir Crit Care Med 2002 Feb 1; 165:345-8

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Il decorso clinico dell'infezione da Virus dell'Epatite C durante i primi dieci anni: uno studio di coorte

Non è riscontrabile un aumento di mortalità per tutte le cause nei primi 10 anni dall'infezione tra i pazienti colpiti dal Virus dell'Epatite C.
Allo stato attuale delle conoscenze il rischio di morire aumenta soltanto nei pazienti che assumono forti quantità di alcool.
I dati provengono da uno studio condotto su 924 pazienti di una coorte inglese di pazienti trasfusi e infettati dall'HCV e monitorati attraverso il National Register Steering Group, Public Health Laboratory Service Communicable Ideas Surveillance Center, London, England.
Il gruppo di controllo era costituito da 475 pazienti trasfusi ma non infettati dal virus.
L'epatite C è una causa molto comune di patologia epatica e rappresenta un problema sanitario in tutto il mondo. L'infezione acuta viene diagnosticata di rado e le informazioni sul decorso clinico della malattia sono dovute per la maggior parte a studi retrospettivi condotti su pazienti con patologia epatica ormai avanzata. Questi studi escludono, però, i pazienti che non hanno manifestazioni cliniche dell'infezione e le osservazioni sono rivolte spesso solo alle sequele peggiori della malattia.
Nel 1995 il British Department of Health annunciò di voler intraprendere un programma di studio retrospettivo riguardante i pazienti trasfusi -prima dell'introduzione della ricerca degli anticorpi anti HCV- e che furono successivamente trovati infetti. I pazienti furono rintracciati attraverso le cartelle cliniche ospedaliere, monitorati, e sottoposti a counselling, tests sierologici e trattamento farmacologico per l'HCV. Furono così identificati un grosso numero di pazienti con infezione da HCV con una data certa di infezione, con una fonte di infezione identificata e spesso con nessun segno di malattia. I ricercatori hanno trovato che la mortalità per tutte le cause non presentava significative differenze tra i pazienti ed i controlli. Il 40 % dei pazienti che morirono per patologia epatica erano forti consumatori di alcool. Il Follow Up di 826 pazienti rivelò una funzionalità epatica anormale in 307 pazienti (37,2 %) e in 115 (13,9%) pazienti si riscontrarono segni o sintomi di patologia epatica.
Fattori associati con il manifestarsi della patologia epatica sono : La positività dell'HCV rna, l'età di acquisizione dell'infezione maggiore o uguale a 40 anni, gli anni trascorsi dalla trasfusione.
Tra i pazienti con manifestazioni cliniche severe il genere femmine fu il più colpito. Tra i 362 pazienti che furono sottoposti a biopsia epatica, 328 (91%) ebbe risultato istologico positivo e 35 (10 %) risultò cirrotico. Secondo i ricercatori l'analisi di questo studio retrospettivo mostra che la positività dell'HCVrna del donatore ha avuto l'influenza maggiore sullo stato dell'infezione mentre i fattori legati al ricevente come età o sesso non hanno mostrato differenze significative tra pazienti trasfusi positivi per HCV e pazienti trasfusi che non sono stati infettati. L'influenza dell'alcool infine è un fattore di rischio indipendente ed è più evidente per l'assunzione di grandi quantità. Se i pazienti potessero ridurre al minimo l'assunzione di alcool avrebbero un miglioramento della loro prognosi nei primi dieci anni dall'infezione. La prosecuzione nel tempo di questo studio retrospettivo potrà determinare gli esiti dell'infezione nel lungo periodo e consentirà di valutare l'impatto a lungo termine della terapia antivirale.

BMJ 2002;324:450

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

È possibile un collegamento tra il diabete di tipo 2 e i disturbi del ciclo mestruale

Sembra che, le donne che siano affette da un ciclo mestruale lungo o molto irregolare, siano esposte maggiormente al rischio di insorgenza di un diabete mellito di tipo 2.
Uno studio americano ha valutato la correlazione di questi elementi, mediante una valutazione prospettica di oltre 100mila donne senza storia pregressa di diabete, di età compresa dai 18 e i 22 anni. L'indagine è iniziata nel 1989 ed è proseguita per nove anni.
Durante tutto il periodo del controllo sono stati registrati 507 casi di diabete mellito.
È stata confrontata l'incidenza di tale patologia dividendo le donne in gruppi: donne con ciclo mestruale regolare (da 26 a 31 giorni), quelle con cicli più lunghi (uguali o superiori a 40 giorni) o donne con cicli estremamente irregolare.
Il rischio relativo di diabete mellito di tipo 2 è risultato, dopo gli aggiustamenti per i fattori interferenti, quali la massa corporea e altri fattori confondenti, di circa il doppio per le donne con ciclo molto lungo o irregolare. L'aumento di rischio non era però uguale per tutte: tra le donne con cicli lunghi e irregolari il rischio di diabete era ancora maggiore se alle problematiche mestruali si associava anche uno stato di obesità, pur risultando aumentato significativamente anche nei soggetti non obesi appartenenti a questo gruppo. I rischi relativi sono risultati correlati strettamente agli indici di massa corporea.
In definitiva, l'associazione di questi due fattori (cicli mestruali lunghi o irregolari e sovrappeso) comporta un importante aumento del rischio di diabete mellito di tipo 2.

("Jama" 2001;286:2421-2426 )

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Diagnostica ultrasonica della trisomia 21

È stato compiuto un altro passo in avanti nell'ambito della diagnostica prenatale della "sindrome di Down". Tale alterazione cromosomica, certamente una delle più frequenti, è stata finora indagata con diversi mezzi tra cui, soprattutto, tramite l'esame del cariotipo con l'amniocentesi.
Uno studio, pubblicato su "Lancet", ha evidenziato come l'ecografia ultrasonica permette di analizzare lo stato di ossificazione del setto nasale del feto: in questo modo verrebbero evidenziati, con notevole anticipo e in modo non invasivo, i soggetti portatori di trisomia 21.
I pazienti con "sindrome di Down" sono in effetti caratterizzati da un dismorfismo facciale caratterizzato da viso schiacciato e naso piccolo. L'aspetto del dismorfismo facciale si manifesta in tutti i pazienti già durante lo sviluppo fetale, visibile ecograficamente.
Altro metodo incruento finora utilizzato era quello dell'esame ultrasonico della regione nucale che appare in questi pazienti ispessita e più opaca.
Mentre l'indagine genetica comporta un rischio d'aborto spontaneo pari a circa l'1%, l'esame ecografico della regione nucale, esente da rischi, ha una sensibilità superiore all'80% e una percentuale di falsi positivi dell'8%.
Al fine di approfondire l'utilità del controllo ecografico dello sviluppo nasale, sono stati esaminati più di 700 feti; all'esame ultrasonografico è seguita poi un'indagine genetica di verifica.
È stato evidenziato come un esame ecografico effettuato tra l'undicesima e la quattordicesima settimana mostrasse come, in più del 99% dei casi di feti normali, le ossa del naso erano ben formate, mentre questo non si verificava nel 70% dei feti con trisomia 21.
Questo elemento diagnostico si rivela perciò molto efficace, anche se da solo non può essere conclusivo. Andrebbe perciò utilizzato in associazione con altri criteri già esistenti, in modo da ridurre il numero dei falsi positivi.

("Lancet" 2001;358:1665-1667)

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Incidenza di disfunzione tiroidea nella popolazione statunitense

Nell'ambito del Third National Health And Nutrition Examination Survey (NHANES III), in un congruo campione di popolazione adulta (12 anni o più) sono stati valutate le concentrazioni plasmatiche di TSH e T4.
La popolazione campionata fu di 16,533 persone, che non assumevano farmaci per patologia tiroidea né riferivano patologia tiroidea all'anamnestico.
Il 3.9% dei soggetti esaminati presentava ipotiroidismo subclinico (TSH>4.5 mIU/L; T4 normale). Nello 0.2% dei casi si evidenziò ipotiroidismo clinicamente dimostrabile (TSH >4.5 mIU/L; T4<4.5 mg/dL).
Nello 0.2% dei casi si evidenziò ipertiroidismo subclinico (TSH <0.1 mIU/L con T4 normale), e lo 0.2% dei casi presentò ipertiroidismo clinico (TSH<0.1 mIU/L, T4 > 13.2 mg/dL).
Il reperto di livelli TSH innalzato aumentava con l'età, mentre la massima prevalenza di TSH soppresso si osservava nelle persone di età compresa tra 20 e 39 anni, mentre si riduceva nella fascia di età compresa tra 40 e 79 anni per poi di nuovo incrementare nelle persone di 80 anni e più.
Alterazioni nei livelli di TSH risultarono più comuni nel sesso femminile.

J Clin Endocrinol Metab 2002 Feb; 87: 489-99

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Storia naturale della Gammapatia Monoclonale di Significato Indeterminato (MGUS)

Tra i nostri assistiti sicuramente ne abbiamo alcuni affetti da MGUS: essi presentano un picco di immunoglobuline monoclonale (MC) senza avere altre caratteristiche cliniche tali da classificarli come affetti da Mieloma Multiplo o da altro tipo di gammapatia monoclonale.
Ma cosa accade a questi pazienti con il passare del tempo?
I ricercatori della Clinica Mayo hanno seguito 1384 pazienti affetti da MGUS nel periodo che va dal 1960 al 1994, con una media di follow-up di 15 anni.
In 115 (8%) si ebbe la progressione verso una forma neoplastica (75 mielomi, 19 linfomi, 10 amiloidosi primarie,7 macroglobulinemie).
Il rischio di progressione verso una malattia neoplastica fu stimato in misura dell'1% all'anno.
Il fattore di rischio più importante per la progressione neoplastica risultò la concentrazione iniziale di CM.
Si è visto infatti che il rischio di progressione neoplastica a 10 anni variava dal 6% nei pazienti con concentrazione di CM di 0.5 gr/dl o meno al 34% nei pazienti con concentrazioni di CM da 2.51 gr/dl a 3.0 gr/dl.

N Engl J MED 2002 FEB 21: 346:564-9

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Imatinib Mesilato e Leucemia Mieloide Cronica (LMC)

La fusione dei due geni ABL e BCR, come risultato della traslocazione di materiale genetico che dà luogo al cromosoma Philadelphia, è l'evento patogenetico della Leucemia Mieloide Cronica.
La proteina che viene sintetizzata a partire da questo gene anormale è la responsabile della crescita cellulare incontrollata. Per la prima volta nella storia dell'oncologia, il meccanismo patogenetico alla base della crescita neoplastica viene specificamente inibito da un farmaco: l'Imatinib Mesilato.
In questo studio vengono presi in esame 454 pazienti affetti da LMC non più controllabili con a-interferone.
Al giorno 1 febbraio 2002, con una durata media di trattamento di 24 mesi, il 64% dei pazienti presentava una risposta citogeneticamente importante alla terapia (meno de 35% di cellule Philadelphia positive nel midollo) e l'87% dei pazienti era vivo senza progressione di malattia.
La risposta ematologia completa di solito era ottenuta entro un mese, con ricomparsa delle popolazioni di globuli bianchi normali, ripristino della quota piastrinica e scomparsa degli elementi immaturi. Solo il 2% dei pazienti ha dovuto interrompere il trattamento a causa di effetti collaterali.

N Engl J Med 2002 Feb 28; 346: 683-93

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

La leptina può essere fattore di rischio per la cardiopatia

Diversi studi hanno evidenziato come la leptina possa assumere un ruolo di marker o di fattore di rischio di cardiopatia. Per approfondire questo argomento gli autori hanno preso in esame campioni di plasma raccolti in occasione dello studio WOSCOPS, trial prospettico sulla pravastatina.
Sono stati presi in esame 377 soggetti che avevano avuto attacchi cardiaci o cui erano state praticate terapie rivascolarizzanti coronarici nel corso dei 5 anni di follow-up, confrontati con oltre 700 soggetti di controllo che non avevano subito eventi cardiaci. I due gruppi erano simili per età e per l'anamnesi del fumo.
I ricercatori riscontravano che, i livelli di leptina negli uomini con cardiopatia erano significativamente superiori a quelli del gruppo di controllo (circa il 16%).
Effettuando una valutazione statistica del rischio di eventi cardiovascolari, si riscontrava un aumento del 25% di rischio, per ogni 30% di aumento dei livelli di leptina.
Per questi motivi i ricercatori concludevano che la leptina costituiva un fattore di rischio indipendente di cardiopatia.

("Circulation" 2001;104:3052-3056)

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Nuove linee guida per il trattamento del dolore da Artrite della American Pain Society

Il 15 .03 .2002 la APS (American Pain Society) ha divulgato le nuove linee guida per il trattamento del dolore acuto e cronico associato all'artrite, un malattia cronica che colpisce un americano su 6.
Le nuove linee guida enfatizzano in modo particolare la necessità di trattare il dolore da artrite in maniera combinata attraverso un appropriata valutazione del dolore, i farmaci, un'adeguata alimentazione, l'attività fisica e l'educazione del paziente e della sua famiglia.
Sviluppate da un prestigioso gruppo di esperti le nuove linee guida per il trattamento del dolore nell'Osteoartrite, nell'Artrite Reumatoide, e nell'Artrite Cronica Giovanile sono le prime linee guida multidisciplinari e basate sull'EBM per il trattamento del dolore artritico. Esse si rivolgono a medici, infermieri e personale sanitario che trattano adulti e bambini con artrite.
Il "sottotrattare" il dolore nei bambini e negli adulti espone a diverse e serie complicazioni, come rotture muscolari, deficit di forza, difficoltà psicosociali, inclusa l'ansia e la depressione e comunque un complessivo scadimento della qualità della vita.
Le nuove linee guida si propongono di aiutare medici, infermieri e pazienti a capire meglio il dolore provocato dall'artrite e a sapere usare meglio i vari trattamenti disponibili per fronteggiare il dolore del paziente.
Il dolore artritico acuto dovrebbe essere fronteggiato nella stessa maniera degli altri tipi di dolore attraverso il tentativo di rimuovere le cause sottostanti, la somministrazione degli analgesici appropriati e la rimozione delle paure che possono esacerbare il dolore.
Il trattamento del dolore cronico è più complesso perché coinvolge interazioni tra fattori biologici, psicologici e sociali che influenzano il dolore e la funzione articolare.
L'artrite è una delle malattie più debilitanti e costose negli U.S. che può avere un impatto gravemente negativo sulla qualità e sullo stile di vita.
Un'accurata valutazione e cura del dolore richiedono una differenziazione dei tipi e delle cause del dolore e la comprensione della volontà del paziente di aderire alla terapia e di rimanere attivo.
Artrite è un termine generico che comprende più di 100 condizioni morbose, la più comune è l'Osteoartrite, una malattia che predilige l'età avanzata e colpisce 8 persone su 10 oltre i 75 anni. L'Osteoartrite colpisce dapprima le cartilagini e riduce la funzionalità delle articolazioni sottoposte a carico. Essa può derivare da carichi eccessivi o ripetuti delle articolazioni per traumi dipendenti da attività lavorative, traumi, infiammazioni, aumento della pressione dovuta ad obesità.
L'Artrite reumatoide è la seconda più importante patologia per prevalenza ed è una forma morbosa distruttiva e debilitante in cui il sistema immunitario attacca i tessuti delle articolazioni provocando infiammazione e conseguente danno articolare .L'artrite reumatoide colpisce più frequentemente le donne ed ha un picco di incidenza tra i 20 e i 50 anni e colpisce circa il 3 % degli adulti. Le maggiori raccomandazioni contenute nelle linee guida dell'APS sono le seguenti:

  • Qualsiasi trattamento per l'artrite dovrebbe essere iniziato solo dopo un accurato studio del dolore e della funzionalità articolare.
  • Per il dolore lieve e moderato il paracetamolo o acetomifene è il farmaco di scelta per i suoi scarsi effetti collaterali e per la facile reperibilità e il basso costo.
  • Per il dolore moderato e severo causato da Osteoartrite o dall'Artrite Reumatoide i FANS COX2 selettivi sono i farmaci di scelta per la potenza antalgica e per la assenza di effetti collaterali gastrointestinali.I fans non COX 2 selettivi trovano applicazione nei pazienti che non rispondono al paracetamolo ed ai COX2 e che non presentano particolari fattori di rischio per effetti collaterali sull'apparato gastrointestinale con l'uso di FANS. In considerazione dell'alto costo dei COX 2 alcuni pazienti possono giovarsi dei Fans tradizionali con l'associazione di farmaci gastroprotettori.
  • Gli oppiacei come ad esempio l'ossicodone e la morfina sono raccomandati per il trattamento il dolore severo da artrite quando i FANS non selettivi ed i COX 2 non producono alcun giovamento.

Ad eccezione di controindicazioni mediche, la maggior parte dei pazienti affetti da artrite dovrebbero, inclusi obesi ed anziani, essere valutati per un eventuale trattamento chirurgico allorché la terapia farmacologica si rivelasse inefficace e la funzionalità motoria fosse gravemente compromessa.

Le procedure chirurgiche dovrebbero essere messe in atto prima della comparsa di deformità articolari gravi e di gravi deficit muscolari.

L'Artrite Cronica Giovanile è l'affezione artritica più comune in età pediatrica e colpisce negli USA circa 285.000 pazienti. Per questi piccoli pazienti le linee guida raccomandano:

  • La valutazione del dolore dovrebbe essere fatta in ogni bambino affetto da artrite cronica giovanile.
  • L'analgesia dovrebbe seguire le stesse regole sia nel bambino che nell'adulto .
  • L'educazione del paziente e dei familiari deve essere particolarmente enfatizzata per aumentare le possibilità di autocura.
  • La terapia cognitivo comportamentale dovrebbe essere usata per aiutare a ridurre il dolore e la disabilità psicologica e per rafforzare le capacità di affrontare il dolore.
  • I medici dovrebbero porre in essere tutte le misure necessarie per minimizzare il dolore e l'ansia connessi con le procedure diagnostiche e terapeutiche necessarie alla cura dell'artrite cronica giovanile.
  • Le linee guida dell'American Academy of Pediatrics dovrebbero essere seguite ogni volta che è necessaria una sedazione per qualsiasi procedura.

I aggiunta alle misure terapeutiche specifiche i pazienti dovrebbero mantenere un peso corporeo ideale e dovrebbero seguire una dieta bilanciata.Gli adulti con BMI maggiore di 30 dovrebbero tassativamente dimagrire. I pazienti dovrebbero essere anche invitati a praticare terapia fisica e occupazionale per mantenere un buon grado di mobilità articolare, forza, flessibilità e resistenza alla fatica.In considerazione del fatto che la patologia artritica è una forma morbosa cronica e progressiva i medici dovrebbero considerare l'esercizio fisico e la fisioterapia come parte integrante del "managment" della malattia.

APS Guideline for the Management of Pain in Osteoarthritis, Rheumatoid Arthritis and Juvenile Chronic Arthritis.
www.ampainsoc.org

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Discutibile l'utilità del Naltrexone nell'alcoolismo

Com'è noto il trattamento farmacologico dell'alcoolismo ha sempre dato risultati ambigui, tant'è vero che la maggior parte degli aiuti a questi soggetti si basano sul supporto psicologico organizzato da associazioni e centri specifici.
Recentemente la FDA ha approvato l'uso del naltrexone per la disassuefazione dall'alcool, ma gli studi sull'idea di questo farmaco sono ancora incompleti e discussi.
Il naltrexone è un antogonista del recettore degli oppioidi e sembrava, da studi precedenti, che fosse capace anche negli etilisti di ridurre il consumo di alcool e aumentare la lunghezza dei periodi di sobrietà, nonchè di diminuire il rischio di ricadute. I risultati non sempre si sono dimostrati però duraturi nel tempo. È stato perciò effettuato, al fine di chiarire questi aspetti, uno studio su circa 600 pazienti randomizzati in tre gruppi con trattamento di naltrexone per tre mesi, naltrexone per 12 mesi, placebo per 12 mesi.
L'età media dei soggetti studiati era intorno ai 49 anni, e veniva valutata la lunghezza del periodo precedente l'eventuale ricaduta nel bere, la percentuale di giorni in cui si è bevuto durante un anno, il numero di bicchieri bevuti al giorno durante un anno. I pazienti venivano seguiti inoltre, indistintamente, da un supporto psicologico che incitava all'astinenza, ed erano invitati a partecipare alle attività delle organizzazioni antialcoolismo.
Le analisi dei risultati hanno dimostrato che, non esistevano differenze significative tra i pazienti trattati col farmaco e quelli trattati col solo placebo. L'unica differenza rilevante, in termini di aumento di astinenza e di sobrietà, è stato rilevato in coloro che avevano seguito con assiduità il programma di supporto psicologico, indipendentemente dal gruppo di trattamento a cui erano stati introdotti. Anche prolungando il trattamento non è stato osservato alcun miglioramento.
Gli effetti indesiderati sono stati cefalea, nausea, sonnolenza e dolore alla schiena.
Lo studio non è esente da critiche in quanto non tiene conto delle variabili sociali in cui si trova a vivere l'alcoolista e delle sue diverse situazioni famigliari e personali.
I dati comunque porterebbero a concludere come l'uso del naltrexone nell'alcoolismo non sia da considerarsi soddisfacente.

(N.E.J.M. 2001;345:1734-1739)

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Sospendere la terapia con statine in pazienti cardiopatici espone i pazienti al rischio di morte

L'uso delle statine nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi coronarici è ben noto, ma un nuovo studio suggerisce che la sospensione della terapia per un breve periodo di tempo può avere un inaspettato e pericoloso effetto rebound.
Le statine riducono LDL colesterolo e riducono il rischio di eventi coronarici agendo su fattori coinvolti nella reazioni infiammatorie.Studi condotti sugli animali hanno evidenziato che la sospensione per breve tempo della terapia con statine riduce la biodisponibilità di ossido nitrico.
Christian Hamm (Kerchoff Heart Center, Bad Nauheim, Germany) e colleghi confermano che la sospensione delle statine dopo l'inizio dei sintomi attribuibili a patologia coronarica aumenta il rischio di morte.Gli autori hanno studiato 1616 pazienti ricoverati in ospedale con malattia coronarica e dolore toracico ed hanno monitorato i pazienti per 30 giorni al fine di studiare l'incidenza di morte e di infarto miocardio non fatale. 1249 pazienti non assumevano terapia con statine; 379 pazienti erano invece già in trattamento con statine e continuarono la terapia durante i 30 giorni di osservazione; 86 pazienti sospesero la terapia al momento del ricovero in ospedale.
Il rischio di morte o di infarto miocardio non fatale nei pazienti che assumevano statine fu pari alla metà di quello dei pazienti che non assumevano il trattamento un dato certamente non sorprendente. La sospensione della terapia al momento dell'ammissione in ospedale era, invece, correlata con un aumento del rischio di almeno 3 volte rispetto ai pazienti che continuavano la precedente terapia con statine.
È chiaro afferma Hamm che il medico non dovrebbe mai sospendere una terapia con statine nei pazienti affetti da una sindrome coronarica acuta e che la sospensione può essere molto pericolosa.

The Lancet Vol. 359; 857,2002

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Non sempre è utile nell'ictus che la pressione arteriosa sia troppo bassa

È ben noto come le attuali linee guida tendano ad abbassare il valore della pressione arteriosa ritenuta ottimale anche nella tarda età. Tale concetto è spesso avversato dai medici pratici che sostengono l'inutilità e la potenzialità disturbante di un calo pressorio eccessivo soprattutto nei soggetti di una certa età.
Un lavoro sull'argomento è stato effettuato negli USA da parte di un Team di neurologi che hanno voluto valutare l'importanza della pressione arteriosa nei soggetti affetti da un recente ictus ischemico. Gli autori hanno esaminato 13 pazienti che sono stati trattati, entro 12 ore dall'insorgenza dell'evento ischemico, con dosi di fenilefrina endovenosa, fino ad ottenere un valore pressorio sistolico superiore ai 160 mm. di mercurio e inferiore ai 200. Tutti i pazienti erano attentamente monitorati. I ricercatori hanno riscontrato come, al rialzo pressorio indotto farmacologicamente, corrispondeva un miglioramento e un'attenuazione significativa di alcuni disturbi neurologici, con un miglioramento dello stato di coscienza, delle prestazioni motorie e dei disturbi della parola. È stato osservato come, i pazienti rispondessero positivamente alla somministrazione del farmaco, ma peggioravano di nuovo con la sospensione precoce della terapia.
La durata della somministrazione variata da 1 a 6 giorni, veniva interrotta allorquando, tentando empiricamente la sospensione, si riscontrava che a questa non corrispondeva un nuovo peggioramento dei sintomi.
Risultati positivi sono stati osservati in 7 pazienti su 13 (oltre il 50%) i quali mantenevano il miglioramento acquisito anche dopo la sospensione del farmaco, senza effetto collaterale.
Il numero limitato di soggetti non permette certamente di trarre conclusioni generali, tuttavia sembrerebbe che avessero risposto meglio i soggetti che avessero un ictus ischemico con occlusione o stenosi delle grosse arterie intracraniche o extracerebrali rispetto a quelli che avevano un ostruzione dei piccoli vasi. È ipotizzabile che l'aumento di pressione arteriosa indotta dal farmaco consenta, in tali soggetti, un aumento del flusso sanguigno cerebrale attraverso circoli alternativi che saltando le stenosi possano irrorare le aree ischemiche. Va anche valutato l'effetto a lungo termine dei miglioramenti riscontrati con tale terapia.

(Neurology 2001;56:1210-1213 )

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

"Polveri fini" e problemi respiratori

Recentemente è salito all'attenzione dei ricercatori il problema delle "polveri fini" prodotte dalla combustione dei motori d'auto e dagli impianti di riscaldamento.
Non è ancora ben noto quale impatto sulla salute possano avere queste sostanze.
È stata studiata perciò la velocità con cui il particolato fine presente nei gas di scarico delle auto potesse superare la barriera polmonare e penetrare nel circolo sanguigno producendone eventualmente degli effetti sistemici.
Sono stati sottoposti a questa ricerca cinque volontari sani a cui sono state fatte respirare particelle fini marcate con tecnezio radioattivo. I ricercatori hanno evidenziato come tali particelle risultassero presenti in circolo già solo dopo un minuto e raggiungevano un picco di concentrazione in un periodo compreso tra i 10 e i 20 minuti. Il livello di massima concentrazione veniva mantenuto per almeno 60 minuti.
Lo studio quindi indica come il particolato fine derivato da inquinanti del traffico possa penetrare nel circolo rapidamente e permanere a lungo con potenzialità di danni sia all'apparato vascolare che agli organi da esso irrorati.
Sono necessari ovviamente degli studi più ampi per chiarire i meccanismi e precisare l'entità.

("Circulation" 2002, 105,411)

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Terapia antiaggregante in pazienti ad alto rischio

Per verificare l'utilità della terapia antiaggregante in pazienti classificati ad alto rischio per eventi cardiovascolari di genesi trombotica, sono stati inclusi in questa metanalisi 287 studi, con il coinvolgimento di più di 200,000 pazienti.
La terapia antiaggregante, paragonata all'assenza di terapia risultò associata alla diminuzione del 25% nel rischio di eventi vascolari gravi.
Nel gruppo che assumeva terapia antiaggregante, ogni 1000 pazienti con precedente infarto miocardico si ebbero 36 eventi in meno, ogni 1000 pazienti con infarto acuto si ebbero 38 eventi in meno, 36 eventi in meno ogni 1000 pazienti con pregresso ictus o TIA, 9 eventi in meno ogni 1000 pazienti con ictus acuto, e 22 eventi in meno ogni 1000 pazienti affetti da altre condizioni ad alto rischio (fibrillazione striale, angina stabile, vasculopatia periferica etc.).
Il dosaggio di ASA compreso tra 75 e 150 mg/die risultò efficace com i dosaggi superiori. Il Clopidogrel e la Ticlopidina risultarono superiori all'ASA, riducendo in misura rispettivamente del 10% in più e del 12% di quest'ultimo l'incidenza di eventi vascolari gravi.

BMJ 2002 Jan 12; 324: 103-5

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Terapia radiante aggiuntiva utile nel cancro della mammella

Diversi studi hanno confermato finora l'utilità della radioterapia nella prevenzione della recidiva neoplastica nei pazienti trattati con chirurgia conservativa della mammella.
Non era stato esaminato però finora in modo dettagliato nè il dosaggio ottimale della radiazione, nè l'efficacia di un eventuale frazionamento di tali dosi.
I ricercatori hanno voluto perciò verificare l'utilità di un irraggiamento aggiuntivo della zona operata già sottoposta a radioterapia standard. La ricerca è stata condotta presso 31 centri di 9 paesi europei, e ha coinvolto oltre 5300 donne già operate di carcinoma della mammella con successiva radioterapia. La radioterapia era effettuata con dosi frazionate (50 gray di radiazioni su un periodo di 5 settimane). Il gruppo veniva poi diviso in due parti: uno veniva lasciato senza ulteriore trattamento, e l'altro veniva irradiato con una dose aggiuntiva di 16 gray di radiazioni suddivise in otto sedute.
Dopo 5 anni di follow-up, i ricercatori hanno documentato come il gruppo di donne trattate con dose aggiuntiva di radiazioni avesse avuto un tasso di recidive di circa la metà rispetto al gruppo di controllo.
Depurando i calcoli di tutti i fattori interferenti, si è visto che i risultati risultavano significativi nella fascia di età inferiore ai 40 anni; gli autori pongono indicazione all'irraggiamento addizionale per i pazienti di età inferiore ai 50 anni.
Non è stata dimostrata però nessuna riduzione della frequenza delle metastasi a distanza e nei tassi generali di sopravvivenza.
È necessario attendere controlli dopo una rivalutazione a maggior distanza di tempo.

(N.E.J.M. 2001;345:1378-1387 - da "Tempo Medico" 24 Gennaio 2002)

Torna alle Pillole
Torna all'inizio

Trattamento della epatite C: poco per pochi

Il trattamento della epatite C a base di interferone esclude molti pazienti ed è gravato da notevoli effetti collaterali.
In questo studio retrospettivo, vengono presi in considerazione 327 pazienti afferiti in un reparto di epatologia a Cleveland in seguito a riscontro di positività di anticorpi anti HCV.
Di questi, 298 (91%) furono classificati come potenzialmente trattabili, in base alla titolazione dell'HCV RNA.
I pazienti effettivamente trattati con interferone con o senza ribavirina furono alla fine il 28% del totale.
Di questi, solo il 13% a 6 mesi ottenne la scomparsa di HCV RNA nel sangue.
Il 37% dei pazienti non furono ritenuti idonei al trattamento poiché non seguivano il protocollo di valutazione, vivevano da soli o erano carcerati. Nel 34% dei pazienti vi erano controindicazioni al trattamento. Il 13% era costituito da pazienti affetti da abuso di alcool. L'11% dei pazienti non volle essere trattato.
Questo studio conferma ulteriormente quello che già si sapeva sul trattamento della epatite C: pochi risultati per pochi eletti.

Ann Intern Med 2002 Feb 19; 136: 288-92

APPROFONDIMENTI


Le basi biologiche dell'adulterio

Uomini e scimmie

Nella famiglia di grandi scimmie la gerarchia è chiara, e molto rigida: nessuno può confondere il capobranco con gli altri maschi. Più anziano, più grosso e forte, domina tutto il gruppo: le femmine sono solo sue, ed egli si assume l'esclusività dei rapporti sessuali con esse, escludendone i maschi più giovani, che vengono malmenati e allontanati ogni volta che tentino di violare il suo harem. Ma è chiaro che i giovani sono irrequieti, e mal sopportano questa esclusione: ogni volta che il capobranco si allontana, tentano di sedurre qualcuna delle femmine, incuranti del rischio; e stranamente, pur consapevoli del rischio, le femmine si mostrano molto spesso disponibili, senza tante storie.
Per lungo tempo, quindi, prosegue un continuo balletto, con il capobranco che difende con la forza il suo harem, i giovani che lo insidiano, le femmine che tradiscono spudoratamente. Ma ad un certo punto, inevitabilmente, il maschio dominante finisce per diventare troppo vecchio e debole e finisce per essere sconfitto e sostituito da un maschio più giovane, che assume il ruolo di nuovo capobranco.
Questo è un momento cruciale, nella vita della famiglia: tra i primi atti del nuovo capo, oltre a quello di impossessarsi dell'harem e difenderlo dagli altri maschi, c'è quello di uccidere tutti i cuccioli della famiglia, nati durante il periodo di dominazione del vecchio capo. Però (e questo stupì molto i primi osservatori umani) se qualche cucciolo era figlio di una femmina con la quale aveva avuto rapporti "clandestini", veniva invece risparmiato.
Sembrava quasi che, inconsciamente, il maschio avesse il dubbio che quei cuccioli potessero essere figli suoi e non del vecchio capo, e si comportasse di conseguenza.

Le osservazioni descritte hanno destato molto interesse tra gli etologi, che hanno cercato di trarne indicazioni sui meccanismi inconsci che regolano le azioni umane a livello puramente biologico e istintivo, in quanto hanno messo in luce un meccanismo relazionale intricato ma molto interessante per le sue ricadute in campo psico-relazionale: il conflitto di interessi che si sviluppa tra i due sessi nella gestione dei rapporti sessuali e della figliolanza che ne deriva: il maschio dominante, padrone delle femmine, compie ogni azione finalizzata ad evitare che le femmine abbiano rapporti con altri maschi; questo accanimento sarebbe finalizzato secondo gli studiosi, ad acquisire la certezza che la prole del gruppo sia sua; le femmine sono invece largamente disponibili a praticare sesso, senza guardare troppo per il sottile, anche con i maschi giovani, soprattutto con i più forti, in modo da garantire la sopravvivenza ai propri figli, quando uno di questi maschi dovesse ottenere il dominio sul gruppo.

Il "gene egoista"

Questi comportamenti, trasportati (con i dovuti distinguo) sul genere umano, esprimerebbero la cosiddetta legge del "gene egoista": ogni individuo, al di là di ogni motivazione conscia e di ogni matrice culturale, subisce l'impulso di perpetuare la propria linea genetica trasmettendola ai propri figli. Vale a dire che ogni essere vivente, indipendentemente dai suoi moventi consci, effettua in realtà i più importanti atti della vita, soprattutto quelli connessi all'attività sessuale, esclusivamente sotto l'impulso del mantenimento della propria linea germinale.
Questa regola generale trova però una prima differenziazione nelle diverse condotte tenute dai due sessi, differenti sia dal punto di vista fisico che psicologico: poiché in molti animali (e soprattutto nella razza umana) il neonato ha bisogno prima di poter essere autonomo di un lungo periodo di assistenza e di protezione, questa funzione assistenziale è svolta generalmente dalla madre, che "deve" difendere la sua linea germinale, ma che viene così a essere a sua volta dipendente da terzi per il mantenimento e la protezione sua e del piccolo. Il ruolo di protezione viene affidato generalmente al padre: ad un maschio, cioè, particolarmente responsabilizzato dal fatto di avvertire il bisogno di proteggere il cucciolo in quanto da lui ritenuto portatore della "sua" linea germinale.

Ma, come abbiamo visto, gli interessi tra i due componenti della coppia possono essere in conflitto: il bisogno di propagazione della propria linea genetica provocherebbe, nel maschio, la tendenza a fecondare il maggior numero possibile di femmine e contemporaneamente a creare dei meccanismi di controllo sociale che gli assicurino la "certezza di paternità" all'interno della coppia. La femmina, da parte sua, avvertirebbe invece il bisogno di un partner forte (sia dal punto di vista genetico che sociale) e contemporaneamente fedele, tale da garantire una protezione adeguata a lei e alla "sua" linea germinale senza pericolo di fughe.
Da questi meccanismi nascerebbero gli insanabili contrasti tra uomini e donne sulle problematiche connesse alla fedeltà e al tradimento.

Un esame superficiale del problema porterebbe quindi a concludere per delle posizioni molto nette e precise: maschio "farfallone" e inseminatore, femmina accaparratrice e fedele. Ma le cose non sono mai semplici: abbiamo visto, tra i primati, come anche le femmine abbiano la tendenza alla promiscuità e alla ricerca (in caso di declino del proprio partner) di un partner alternativo "forte". Tale ricerca appare sempre finalizzata, in accordo alle premesse, alla difesa della progenie. Meccanismi analoghi di infedeltà femminile possono essere ravvisati anche nei comportamenti umani: statistiche attendibili (Baker, 1996) hanno rilevato come un cospicuo numero di bambini (tra il 10 e il 30% del totale) appaiano nati, all'interno di coppie stabili, in seguito a relazioni extraconiugali.
È evidente come il comportamento umano vada analizzato più accuratamente, studiando la relazione tra comportamenti "innati" e acquisizioni sociali, tenendo sempre presente, però, che uomini e donne sono diversi perchè sono diverse le loro strategie riproduttive (Trivers, 1972).

I comportamenti di facciata

È interessante osservare, in primo luogo, la differenza tra le strategie relazionali dei due sessi in ambito sessuale: mentre per l'uomo è un vanto sbandierare le proprie conquiste (esibizione di una maggiore propagazione germinale) le donne invece nascondono accuratamente le loro relazioni parallele: infatti, qualora scoperta, la infedeltà femminile porterebbe il partner all'incertezza di paternità e quindi all'abbandono dell'adultera e del figlio che ne è venuto onde non investire fatiche e risorse in una prole potenzialmente altrui.

L'investimento familiare

La necessità di curare al meglio l'investimento delle proprie risorse al fine di propagare i propri geni è, alla fin fine, la causa dei lunghi fidanzamenti che precedono a volte il matrimonio: infatti in questo periodo si tende ad investigare l'altra persona in modo da poterne valutare l' affidabilità, sempre vista in base ai diversi interessi dei due partecipanti. La famiglia, dal punto di vista del "gene egoista", è vista infatti, pur nelle diverse estrinsecazioni sociali, come un investimento a lungo termine finalizzato esclusivamente alla propria riproduzione.

La gelosia

Notevole la differenza tra i due sessi: la gelosia della donna deriverebbe soprattutto dalla paura di perdere le risorse emotive e materiali del partner, che rischia di essere portato via dalla rivale.
Per questo motivo la donna teme soprattutto, come si dirà dopo, l'innamoramento del suo partner per una concorrente.
Poichè la strategia riproduttiva del maschio si basa invece sul bisogno di assicurarsi la "certezza di paternità ", la gelosia maschile deriva piuttosto dalla possibilità che la prole della coppia possa essere frutto della promiscuità sessuale della compagna.
Diventano importanti quindi per il maschio tutti quegli elementi che rafforzino questa "rassicurazione di paternità", come ad esempio il grado di somiglianza che il figlio possa avere con il padre. Alcune ricerche, effettuate negli Stati Uniti e in Italia hanno evidenziato ad esempio come una maggior somiglianza tra il padre e il figlio comporti un investimento affettivo molto più alto da parte del primo verso il secondo. E questo fenomeno si verifica anche se la somiglianza non sia oggettiva ma venga solo percepita soggettivamente dal padre stesso; in altre parole è più importante che il padre si convinca di essere tale, piuttosto che lo sia veramente. Si verificava invece una situazione di distacco emotivo allorchè il padre percepiva che il figlio fosse più somigliante alla madre che a sè stesso.

L'adulterio

Recenti ricerche effettuate in Italia hanno evidenziato come la visione dell'adulterio sia molto diversa tra i due sessi: il 95% delle femmine intervistate era sconvolta dall'immagine del proprio partner impegnato in una relazione che avesse soprattutto una componente affettiva e amorosa con un'altra donna, mentre l'identica situazione risultava disturbante solo per il 43% dei maschi. Se veniva prospettata invece l'ipotesi di una relazione puramente fisica e sessuale, i rapporti si invertivano: la possibilità che il/la partner avesse rapporti sessuali esterni alla coppia disturbava il 65% dei maschi a fronte del 32% delle femmine.
Alcuni ricercatori (Buss e al., 1992) hanno perfino riscontrato, nel rappresentare tali situazioni, potenti risposte neurovegetative, indici di notevole sconvolgimento interno.
La rassicurazione di paternità:
Le società umane hanno messo in atto diversi meccanismi finalizzati alla "rassicurazione di paternità": importante sembra ad esempio l'attribuzione del nome che verrà dato al figlio: i genitori maschi tendono con forza a dare al figlio un nome di un membro della propria famiglia di origine, quasi a voler sottolineare il legame di sangue che da esso deriva. Ricerche americane avrebbero evidenziato come, allorchè la madre si ostini a voler negare questo privilegio, si abbia un sostanziale aumento dei conflitti coniugali.

Il DNA: la certezza raggiunta

In epoca recente un importante elemento di chiarezza (ma anche di disturbo) è venuto a complicare la situazione: l'esame del DNA. L'esame del materiale genetico, infatti, è in grado di poter garantire la certezza di paternità e, di conseguenza, la corretta trasmissione della linea germinale. Sembrerebbe quindi che finalmente si sia risolto un annoso problema, ma è possibile che l'acquisizione della certezza possa invece costituire un grosso elemento di disturbo sociale in quanto idonea a rivelare una serie di comportamenti dicutibili ma finora inosservati e indolori. Si pensi ad esempio al costume sardo della "bardana" (Padiglione) per cui, fino a non molti decenni fa i pastori, in occasione dei loro periodici ritorni dalle zone di pascolo al paese, si arrogavano una serie di diritti e di prepotenze, compreso il libero uso sessuale delle donne. Da questo costume, tacitamente accettato, sono nati innumerevoli figli illegittimi o adulterini che, con l'avvento delle tecniche di accertamento parentale possono ora a venirsi a trovare in situazione di grave difficoltà. Lo stesso problema può verificarsi per innumerevoli, sebbene meno eclatanti, situazioni nochè, in genere, per quell'alta percentuale di figli adulterini misconosciuti citati in precedenza.

Natura e cultura

Da tutto ciò deriverebbe una serie di considerazioni: non sarebbe tanto la cultura, bensì la natura a rendere gli uomini più assertivi e aggressivi, più infedeli e piu sensibili alla bellezza e alla giovinezza delle partner. D'altro canto sarebbe sempre la natura a rendere le donne maggiormente inclini alla tutela e più portate ad apprezzare soprattutto la solidità materiale (economica, sociale o semplicemente personale) del maschio. Sarebbe perciò sempre la natura a render ragione delle diverse espressioni della gelosia tra maschi e femmine. Sembrerebbe perciò che, malgrado condizionamenti culturali e l'evoluzione dei costumi, rimanga, coperto ma non scomparso, questo impulso procreativo basilare.

Ma dobbiamo credere assolutamente alle teorie degli psicologi evoluzionisti? Non ne siamo affatto sicuri, ricordando come queste, nel tempo, abbiano subito sostanziali mutamenti: a lungo è stata vantata la sovranità del maschio sulla femmina, spesso sostenuta da argomenti di tipo scientifico. Solo recentemente le donne hanno reclamato e ottenuto l'uguaglianza, con criteri abbastanza discutibili a cui sono conseguiti problemi non indifferenti; attualmente si sta affermando il concetto della "diversità strutturale nella parità di diritti ed opportunità" basato sul riscontro di qualità e strutture psico-fisiche diverse ma potenzialmente analoghe ed illimitate tra maschi e femmine.
L'evoluzione di questi concetti è sempre stata supportata dalle teorie psicologiche in auge all'epoca, che si adattavano all'evoluzione della situazione sociale: dapprima si è accreditata la minor dotazione intellettuale delle donne, in seguito sono state sottolineate le differenze di origine culturale (e non strutturale).
Gli studi sulla differenza tra i sessi sono numerosi, talvolta in contraddizione: Eagly (1987) sosteneva una differenza basata sulla diversa propensione delle femmine a preservare le relazione ("communion") in opposizione alla tendenza maschile a perseguire le realizzazioni ("agency") mentre ad esempio la Chodorow (1978) basava invece sulla prolungata identificazione con la madre le sue osservazioni sulla maggior propensione al "maternage" (e quindi agli affetti) delle donne rispetto all'uomo.
Non è ancora detta, perciò, l'ultima parola.

Torna ad Approfondimenti
Torna all'inizio
 

 

MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D.Z.)

ECM e Aziende farmaceutiche

"Crediamo peraltro che non ci possano essere soggetti aprioristicamente accreditati o esclusi dal circuito della formazione continua. Stabiliti i criteri di accreditamento, qualunque soggetto li soddisfi deve poter essere accreditato in stretta aderenza al quanto previsto dal 229. La possibilità che alcuni possano perseguire interessi particolari non ci sembra un motivo sufficiente per escluderli, anzi, ci sembra un argomento a favore dell'apertura al loro accreditamento onde evitare di costringerli a percorsi poco virtuosi e non trasparenti.
Riteniamo infatti più corretto e trasparente una visibilità chiara di tutti i soggetti pubblici e privati ed una assunzione diretta di responsabilità, piuttosto che l'obbligata intermediazione di altri soggetti che potrebbero comunque, più o meno legalmente, essere condizionati ad interessi non dichiarabili."

Queste parole sono state pronunciate da Mario Falconi, Segretario Nazionale della FIMMG, a Cernobbio, in occasione del convegno avente per argomento l'Educazione Continua in Medicina (ECM) e vanno a toccare con chiarezza e determinazione un problema che si è andato a dibattere in questi ultimi tempi: possono le Aziende Farmaceutiche fungere da provider per l'organizzazione di Eventi Formativi?
Alcune voci sostengono che ciò non debba essere possibile, a causa del possibile "conflitto di interessi" che potrebbe venirsi a creare.
Questa possibilità è reale, in quanto gli esempi di tale conflitto sono stati in diversi casi clamorosamente denunciati sulla stampa specialistica e/o generalistica, ma sarebbe erroneo volerli limitare alle sole Aziende farmaceutiche: il conflitto di interesse, infatti, non c'è solo quando lo sponsor è privato; anche il settore pubblico ha i suoi pesanti casi di conflitto di interesse, come ha riferito Trevor Sheldon dell'Università di York alla Quinta Riunione Annuale del Centro Cochrane Italiano. Anche i servizi sanitari pubblici, ed i politici che li governano, possono - a parere di Sheldon - avere i propri sostanziosi conflitti di interesse, così come tali conflitti possono interessare anche le associazioni di tutela dei malati che possono magari venire usate come "gruppi di pressione" sulle Autorità regolamentatorie.
Anche le Società Scientifiche, che alcuni vorrebbero candidare come unici provider ammessi (oltre alle ASL e agli Enti pubblici) possono essere tentate di utilizzare la propria posizione dominante per sostenere interessi privati: nel Convegno Cochrane è stato evidenziato come in effetti abdichino spesso al loro ruolo di educatori e garanti della integrità scientifica dei propri affiliati.
La soluzione, quindi sta nelle regole: aperte, chiare, trasparenti; e soprattutto sta nel garantirne il rispetto tramite un monitoraggio ed una attenzione continua.
Piuttosto che privare la categoria di una serie di eventi validi e utili per il timore di un possibile comportamento illecito, vanno invece potenziati i criteri di eticità e un forte controllo "a posteriori", con adeguate sanzioni per gli inadempienti (che potrebbero arrivare all'esclusione dell'Azienda incriminata dall'elenco dei Providers riconosciuti) senza per questo bloccare aprioristicamente la possibilità di eventi validissimi e di finanziamenti privati che potrebbero supplire, se bene indirizzati, la cronica mancanza di fondi pubblici.
Un forte ruolo in questo settore di verifica etica potrebbe essere svolto anche dagli Ordini dei Medici.
In conclusione, perciò, non è realistico pensare di poter eliminare il conflitto di interessi eliminando semplicemente le Aziende dal ruolo di provider.
Questo concetto appare, oltre che erroneo, inutilmente moralista e manicheo: da una parte i Providers Pubblici e "indipendenti" (ma quali? Esistono veramente?), dall'altra le Aziende Farmaceutiche e gli altri enti con interessi nel settore, "cattivi" per partito preso.
La trasparenza, ricercata e praticata con determinazione, ai diversi livelli, appare invece l'unica via percorribile.

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio

Il maltrattamento sul lavoro è come in famiglia

La convivenza sul luogo di lavoro è equiparabile a quella familiare - Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, sentenza n. 10090/2001)
La convivenza sul luogo di lavoro è equiparabile a quella familiare Il maltrattamento sul lavoro è quindi da considerare equiparabile a quello in famiglia previsto dall'art. 572 C. P. (Cassazione 10090/2001).
Perciò il datore di lavoro che maltratta un dipendente con minacce, insulti e violenze fisiche e morali, sottoponendolo a massacranti turni lavorativi, è responsabile del reato di maltrattamenti in famiglia.
Tale principio è stato affermato dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato le condanne per maltrattamenti e violenza privata inflitte ai responsabili di una ditta di vendite porta a porta che avevano sottoposto i giovani addetti alle vendite ad ogni serie di vessazioni e maltrattamenti.
Gli imputati si erano difesi (invano) sostenendo che il rapporto di lavoro non è assimilabile al rapporto familiare, ma la Cassazione ha ricordato che la norma prevede altresì le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, per l'esercizio di una professione o di un'arte. In questo modo viene estesa l'applicabilità del reato di maltrattamenti in famiglia anche alle persone conviventi o sottoposte all'altrui autorità.
Nel caso in esame, rileva la Suprema Corte, non vi è dubbio che il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore di lavoro nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest'ultimo nella condizione, specificamente prevista dalla norma penale, di persona sottoposta alla sua autorità. Tale circostanza, sussistendo gli altri elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il reato di maltrattamenti in danno dal lavoratore dipendente; inoltre, nel caso specifico, il rapporto interpersonale che legava l'autore del reato alle vittime era particolarmente intenso, a causa delle modalità effettive con cui si svolgeva la loro attività : infatti tra datore di lavoro e dipendente si realizzava un'assidua comunanza di vita caratterizzata, nel corso delle lunghe trasferte, dall'effettuare viaggi su un unico pulmino, consumare insieme i pasti e alloggiare nello stesso albergo.

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio

Il medico associato e i problemi di privacy

La tutela della riservatezza dell'individuo, iniziata sostanzialmente con la legge 675/1996 "Legge Privacy", ha poi trovato un preciso fondamento normativo, nato da direttive intracomunitarie e conclusosi con il DRP 318/1999 "Norme di Sicurezza della Privacy" (e successive modificazioni e integrazioni).

Il medico, dovendo quotidianamente trattare dati molto personali, attinenti la sfera della salute, quella della sessualità e altri aspetti di estrema delicatezza, è stato investito da una serie di problematiche che hanno destato non pochi dubbi e perplessità. È importante considerare che la vigente Convenzione per la Medicina Generale, ufficializzando e regolamentando la formazione di diverse tipologie di associazionismo e di aggregazione tra sanitari, ha portato prepotentemente alla luce il problema della condivisione e della trasmissione dei dati personali dei pazienti afferenti a tali strutture associative.

È utile perciò ripercorrere brevemente alcuni concetti importantissimi, per poter valutare idonee linee di comportamento.

Dati personali e dati sensibili

Sono considerati personali tutti i dati, riguardanti un singolo, che non si possono rilevare da elenchi pubblici: l'indirizzo e il numero telefonico (qualora non presenti nell'elenco pubblico) o il numero del telefono cellulare, o le voci che compongono il cedolino paga o la dichiarazione dei redditi.

I dati"sensibili" (di cui all'articolo 22 della legge) sono i dati "idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale":

È evidente come, nel corso della propria attività, il medico venga a dover trattare continuamente sia i dati personali che quelli sensibili dei propri assistiti.

Comunicazione, trasmissione, trattamento

La legge punisce sia la comunicazione, la trasmissione, la diffusione e il trattamento effettuato al di fuori di quanto stabilito dalla normativa.

Per comunicazione si intende dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti specifici, diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione. Per diffusione si intende dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti indeterminati, diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione.

Per trattamento dei dati si intende invece qualunque operazione o complesso di operazioni, in qualunque modo svolte (con l'ausilio di mezzi elettronici o automatizzati, o mediante mezzi cartacei ecc.) concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnesione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati.

Il consenso al trattamento dei dati

È necessario perciò che, come previsto dalla normativa, il medico si fornisca di idoneo "consenso" al trattamento dei dati da parte del paziente stesso.

Il consenso è definibile come l'espressione di volontà (libera e consensuale) del soggetto al trattamento dei propri dati. Tale volontà va espressa per iscritto, e tale consenso può essere revocato in qualsiasi momento in virtù dell'art. 13 L.675/96.

Il consenso è indispensabile per il trattamento dei suddetti dati sensibili: la semplice omissione di tale richiesta o l'abuso di tale consenso con colpa o dolo viene ad essere punibile con reclusione da due mesi a due anni.

L'autorizzazione del garante

La legge stabilisce che il trattamento dei dati sensibili necessiti, oltre che del consenso dell'interessato, anche dell'Autorizzazione del Garante. Tale autorizzazione dovrebbe essere richiesta ogni volta che vengano ad essere trattati tali dati. Per ovviare agli ovvi problemi cui abndrebbero incontro alcune particolari categorie (come ad esempio i medici, che si troverebbero nella situazione, ogni volta che venissero chiamati all'opera, di dover inoltrare una richiesta di autorizzazione e di doverne attendere la risposta) il Garante ha emesso periodicamente delle autorizzazioni collettive di categoria. Per tale motivo il medico non è tenuto ad inoltrare la domanda al Garante, ma è sufficiente che acquisisca il consenso personale del paziente.

Nella pratica i maggiori Sindacati medici hanno respinto l'ipotesi di una raccolta indiscriminata di consensi scritti da parte del Medico di Famiglia, sostenendo la tesi che la scelta del medico e la richiesta, allo stesso, di una prestazione sanitaria, configurassero implicitamente il consenso stesso. Questo problema è ancora in discussione; nel frattempo i medici hanno dimenticato gran parte degli obblighi che la legge impone loro. La cosa ha acquistato particolare rilievo con l'avvento dei mezzi informatici di trattamento dei dati, e con l'avvento delle forme associative.

La tutela dei dati

L'obbligo della sicurezza dei dati riguarda in primo luogo il "titolare" e il "responsabile" del trattamento, ma si estende agli "incaricati" e riguarda sia i "dati" che il "software", il "sistema" e, nel suo complesso, l'ambiente stesso nel quale avviene il trattamento. Chi non adotta misure di sicurezza idonee (che la legge non specifica, lasciando alla responsabilità dei singoli adattarle alle concrete situazioni locali) può incorrere in sanzioni civili e penali. I controlli sull'applicazione delle misure di sicurezza devono essere costanti, ripetitivi e aggiornati.

Le sanzioni

Sono diverse e importanti, e vanno tenute assolutamente presenti. Per l'abolizione della Pretura alcune fattispecie sono rientrate nell'ambito del Tribunale

  • Omessa o infedele notificazione (art.34). Si tratta di omessa, incompleta o non veritiera notificazione al Garante. È di competenza del Pretore, perseguibile d'd'ufficio. La pena consiste nella reclusione da 3 mesi a 2 anni. È prevista la pena accessoria della pubblicazione della sentenza
  • Trattamento illecito di dati personali (art.35) in violazione degli articoli 7, 20 e 27. Salvo che integri reati più gravi, consiste nel trattamento di dati personali al fine di trarre per sé o altro profitto o recare danno ad altri. La competenza è del Pretore e si procede d'ufficio. Sono previste delle aggravanti (quando il fatto consiste nella comunicazione o diffusione - se dal fatto ne deriva nocumento). La pena è di reclusione da 3 mesi a 2 anni o reclusione da 1 a 3 anni. Pena accessoria: pubblicazione della sentenza
  • Trattamento illecito di dati personali (art.35) in violazione degli articoli 21, 22, 23, 24 e 28. Salvo che integri reati più gravi, consiste nel trattamento di dati personali al fine di trarre per sé o altro profitto o recare danno ad altri. È prevista aggravante qualora derivi nocumento. Competente è il Pretore, e si procede d'ufficio. La pena: reclusione da 3 mesi a 2 anni o reclusione da 1 a 3 anni Pena accessoria: pubblicazione della sentenza
  • Omessa adozione di misure necessarie alla sicurezza dei dati (art.36). Consiste nell'omessa adozione delle misure necessarie a garantire la sicurezza dei dati personali. È prevista l'aggravante se dal fatto ne deriva nocumento. È competente il Pretore, e si procede d'ufficio. Pena: reclusione fino ad 1 anno o reclusione da 2 mesi a 2 anni Pena accessoria: pubblicazione della sentenza.
  • Inosservanza dei provvedimenti al Garante: mancata osservanza del provvedimento adottato dal Garante ai sensi degli artt.22 e 29 (art.37). È competente il Pretore, e si procede d'ufficio. Pena: reclusione da 3 mesi a 2 anni Pena accessoria: pubblicazione della sentenza

Il medico in associazione

Essendo già discutibile il fatto che la semplice scelta del medico configuri un implicito consenso al trattamento dei dati, ancor più discutibile (per non dire peggio) è l'ipotesi che tale consenso venga ad essere automaticamente esteso ai medici associati.

Infatti l'iscrizione al medico si basa essenzialmente su una libera scelta di tipo fiduciario, strettamente personale; volerla estendere automaticamente configurerebbe una sorta di fiducia obbligata del paziente verso sanitari da lui non liberamente scelti e, magari, neppure graditi.

Eppure gran parte dei programmi gestionali per medici associati si basano sulla condivisione degli archivi, magari su un unico server, con password "globale" che permette al medico l'accesso all'intero archivio. È logico, dal punto di vista operativo, che il medico che sia in associazione con altri ritenga essere nel suo pieno diritto allorchè consulti i loro archivi, ma le cose devono essere valutate dal punto di vista legale.

Possono infatti verificarsi facilmente situazioni altamente lesive di quella riservatezza di cui il paziente ha diritto: si pensi al paziente che, scontento di un medico, voglia sceglierne un altro e scopra che il primo ha libero accesso ai suoi dati; oppure alla persona che voglia tener riservata una sua condizione di salute (una interruzione di gravidanza, una malattia venerea ecc) verso un medico che sia magari parente o amico ma che venga invece compromessa dalla condivisione dei dati negli archivi computerizzati. Difficilmente il medico "titolare" dei dati di quella persona potrebbe evitare seri problemi giudiziari qualora la persona stessa si sentisse danneggiata e interessasse l'Autorità.

Come ovviare?

Le soluzioni tecniche, connnesse all'uso dei calcolatori, possono essere diverse. È importante però che siano sempre corredate da una idonea ed esplicita manifestazione di consenso da parte del paziente.

È importante che, nel caso di medici associati, si ottenga un consenso scritto esplicito per ciascun medico dell'associazione e non ci si limiti ad un generico consenso cumulativo. Il paziente ha diritto (salvo cambiare idea in ogni momento) a concedere l'accesso ai suoi dati ad alcuni medici dell'associazione, negandolo ad altri. In tal caso il sistema (computerizzato o cartaceo) deve poter impedire l'accesso ai medici esclusi (soluzione ottimale) o deve poter monitorare esattamente gli accessi alle singole cartelle cliniche in modo da registrare eventuali ingressi illegittimi da parte di medici che, ammoniti della mancanza di consenso, "forzino" l'ingresso.

Qualora poi il paziente cambi idea e chieda una prestazione ad un medico che era finora escluso, è sufficiente che questi faccia firmare estemporaneamente un modulo di consenso a lui indirizzato.

È da sottolineare che il trattamento dei dati sanitari da parte dei medici è concesso solo per prestazioni sanitarie, e non per ricerche cliniche o per curiosità. Un medico, anche titolare di un consenso, non è autorizzato, per questo, a servirsene per scopi diversi da quelli professionali. Quando poi si intenda coinvolgere i pazienti in sperimentazioni, il consenso informato va chiesto volta per volta, in quanto egli ha diritto di sapere sempre che i suoi dati verranno utilizzati a questo scopo, nonchè eventuali pro e contro della sua partecipazione alla sperimentazione.

Proposta di modulo

Quello che segue è un modulo di consenso informato idoneo, a nostro giudizio, ad evitare le problematiche più scottanti. Il paziente, oltre al medico titolare della scelta, deve indicare nominativamente quali medici dell'associazione possono accedere ai suoi dati. Questo consente ai sanitari di espletare la maggior parte degli atti medici. Il paziente, come si è detto, può integrare il consenso in ogni momento, aggiungendo o cancellando i vari nominativi.

MODULO DI CONSENSO

Io sottoscritto.............................................................................................................................

nato a................................................................... il...................................................................

residente a...........................................................documento n° .................................................

Genitore del minore......................................................... nato a.................................................

il........................................, assistito dal Dott.............................................................................

da me scelto come Medico di Fiducia, e dallo stesso informato sui diritti e sui limiti di cui alla Legge n° 675/96, concernente "La tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali",

ESPRIMO IL MIO CONSENSO E AUTORIZZO

al trattamento dei miei dati personali e sensibili, esclusivamente ai fini di diagnosi, cura, prevenzione e prestazioni connesse, o per ricerche scientifiche statistiche, il suddetto Dottor.............................................................
Informato che il suddetto Medico opera in associazione con altri sanitari, autorizzo al trattamento dei dati personali e sensibili, esclusivamente nel caso che io voglia avvalermi della loro opera, e per i medesimi fini:

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

  • Dott...............................................................................

Autorizzo, in assenza del medico di fiducia, per le medesime finalità e con le medesime modalità di cui sopra, l'eventuale sostituto.

FIRMA DEL PAZIENTE (o di chi esercita la patria postestà, se minore)

...................................................................

Daniele Zamperini (pubblicato su Corriere Medico, n. 2, 31/1/2002)

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio

PRINCIPALI NOVITĀ IN GAZZETTA UFFICIALE mese di aprile 2002

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, č fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa č libera fino al giorno 20.05.2002. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?
17.04.02 90 Decreto-legge 63/02 Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture Segnalo l'articolo 3 (Razionalizzazione del sistema dei costi dei prodotti farmaceutici) e 4 (Concorso delle regioni al rispetto degli obiettivi di finanze pubblica)
11.04.02 85 Decreto del Ministero della Salute del 27.12.01 Disposizioni per il versamento di un contributo alle spese per l'accreditamento di specifiche attivitā formative e per l'attribuzione dei crediti formativi .......
11.04.02 85 Legge 56/02 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 8, recante proroga di disposizioni relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione sanitaria, ordinamenti didattici universitari e organi amministrativi della Croce Rossa .......
09.04.02 83 Garante per la protezione dei dati personali, provvedimento 31.01.02 Autorizzazione al trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. (Autorizzazione n. 2/2002) .......
05.04.02 80 Decreto del Ministero della Sanitā del 11.06.01 Regolamento recante criteri indicativi per la valutazione dell'idoneitā dei lavoratori all'esposizione alle radiazioni ionizzanti, ai sensi dell'articolo 84, comma 7, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 .......

Torna a Medicina Legale
Torna all'inizio