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"PILLOLE" DI MEDICINA TELEMATICA
Patrocinate da - SIMG-Roma -
A. S. M. L. U. C. - eDott. it 

Periodico di aggiornamento medico e varie attualità
di:  
Daniele Zamperini e Raimondo Farinacci
Iscrizione gratuita su richiesta. Archivio consultabile su: www.edott.it e su http://zamperini.tripod.com
Il nostro materiale è liberamente utilizzabile per uso
privato. Riproduzione riservata
.


Febbraio 2004

INDICE GENERALE

PILLOLE


APPROFONDIMENTI


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita da D. Z. per l'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

PILLOLE


 

L'Acido Valproico potrebbe favorire la proliferazione dei tumori estrogeno-dipendenti

Uno studio compiuto da Ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Roma "Tor Vergata" ha dimostrato che l'Acido Valproico potrebbe favorire la proliferazione dei tumori estrogeno-dipendenti.
L'Acido Valproico è un farmaco antiepilettico ben tollerato e molto usato.
Nel 2001 uno studio aveva mostrato come l'Acido Valproico fosse un potente inibitore dell'istone deacetilasi (HDAC).
In modelli animali il farmaco ha ridotto la crescita tumorale e la formazione di metastasi.
Studi in vitro hanno anche dimostrato che l'Acido Valproico a concentrazioni d'interesse clinico, può favorire l'attività proliferativa, esercitata dal 17-beta-estradiolo in una linea cellulare di adenocarcinoma endometriale.
Effetti similari sono stati osservati in una linea cellulare di carcinoma mammario ER-alfa.

Endocrinology 2003; 144: 2822-2828

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I livelli plasmatici di aldosterone sembrerebbero non rappresentare un importante marker di progressione dell'insufficienza cardiaca

L'aldosterone è ritenuto avere un ruolo nella progressione dell'insufficienza cardiaca.
L'analisi dei dati dello studio Val-HeFT (Valsartan Heart Failure Trial) ha cercato di verificare tale ipotesi.
Sono stati misurati i livelli plasmatici di aldosterone al basale e durante il follow-up nei pazienti assegnati al Valsartan (dosaggio target: 160 mg 2 volte die) o a placebo.
Al termine dello studio, i livelli di aldosterone sono aumentati in media di 17, 8 +/- 3 pg/mL (+11,9%) nel gruppo placebo, mentre sono diminuiti di 23,8 +/-3 pg/mL (-17,4%) nel gruppo Valsartan (p<0,00001).
L'effetto del Valsartan è risultato simile in tutti i sottogruppi di pazienti, anche in quelli che assumevano ACE-inibitori o beta-bloccanti.
Il fatto che ci sia stata una riduzione paragonabile dell'end point combinato morbilità/mortalità in tutti i sottogruppi fa ritenere che i livelli plasmatici di aldosterone possano non rappresentare un marker importante per la progressione dell'insufficienza cardiaca.

Circulation 2003; 108: 1306-1309

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Apolipoproteina A a basso peso molecolare nuovo fattore di rischio per il cuore

Grazie a una ricerca pubblicata sulla rivista "BMC Cardiovascular Disorders", i medici possono ora individuare i pazienti sovrappeso che hanno maggiori rischi di sviluppare una malattia cardiaca. Questi, infatti, producono con maggiore probabilità una versione più piccola di una proteina chiamata apolipoproteina(a).
I fattori di rischio per le malattie cardiache sono tanti: oltre all'eccesso di peso, ci sono per esempio i livelli troppo alti di lipoproteine a bassa densità nel sangue. Ora sembra che a questo rischio contribuiscano anche le dimensioni dell'apolipoproteina(a), un componente della lipoproteina(a) a bassa densità. L'apolipoproteina(a) può presentarsi in molte dimensioni diverse, la più grande delle quali ha un peso molecolare quasi tre volte superiore alla più piccola.
Un team di ricercatori guidato da Diego Geroldi ha esaminato campioni di sangue prelevati da 715 pazienti esterni all'IRCSS Policlinico San Matteo di Pavia. Questi volontari sono stati poi divisi in quattro gruppi a seconda del fatto che soffrissero o meno di malattie cardiache e che fossero o meno sovrappeso.
Analizzando i campioni, i ricercatori hanno scoperto che i volontari sovrappeso malati di cuore avevano più probabilità di produrre una versione di apolipoproteina(a) con minor peso molecolare rispetto a quelli che non soffrivano di malattie cardiache. La presenza di almeno una versione della proteina a basso peso molecolare rappresenta pertanto un metodo affidabile per discriminare fra soggetti sovrappeso ad alto oppure basso rischio di malattie cardiache.

BMC cardiovascular Disorders 2003, 3: 12

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L'Aspirina riduce il rischio di morte perinatale e di preeclampsia nelle donne con fattori di rischio storici

La revisione degli studi ha avuto come obiettivo quello di verificare l'efficacia dell'Aspirina nel prevenire la morte perinatale e la preeclampsia nelle donne con fattori di rischio storici, come storia di preeclampsia, ipertensione cronica, diabete e malattia renale.
Sono stati individuati 14 studi clinici che hanno coinvolto 12.416 donne.
La meta-analisi ha mostrato un significativo beneficio della terapia con Aspirina nel ridurre la morte perinatale (odds ratio: 0,79) e la preeclampsia (odds ratio: 0,86).
L'Aspirina è anche risultata associata ad una riduzione dell'incidenza di nascita spontanea prematura (OR= 0,86) e ad un aumento del peso alla nascita, in media di 215 g.
Non è stato osservato nessun aumento del rischio di rottura del sacco placentare.

Obstet Gynecol 2003; 101: 1319-1332

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AACR-NCI-EORTC 2003 International Conference on Molecular Targets and Cancer Therapeutics, Boston

Nel corso dell'International Conference on Molecular Targets and Cancer Therapeutics, tenutosi a Boston sono stati presentati diversi studi sperimentali riguardo a due nuovi approcci alla terapia anti-tumorale:

1. Inibizione delle vie di trasduzione del segnale
L'inibitore dell'enzima Raf chinasi, BAY 43-9009 ha prodotto nel 44% (18/41) dei pazienti una riduzione del carcinoma a cellule renali, in fase avanzata e progressiva, di almeno il 25% nell'arco di 12 settimane di trattamento.
Un altro 29% (12/41) dei pazienti ha presentato una stabilizzazione della malattia.

2. Inibizione dell'angiogenesi
LY2181308 è un oligonucleotide antisenso diretto contro la survivina.
La survivina è espressa nella maggior parte dei tessuti tumorali, ma non in quelli normali.
ZD6474 è un inibitore VEGF. La riduzione di VEGF riduce la crescita dei vasi sanguigni attorno alle cellule tumorali.
ZD6474 sembra anche inibire EGF.

Studi su animali hanno dimostrato che ZD6474 è in grado di inibire la crescita di 3 tumori cerebrali: glioblastoma, medulloblastoma ed ependinoma.

Fonte. AARC / American Association for Cancer Research, November 2003

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Infezioni da ureaplasma: la Claritromicina presenta un miglior passaggio placentare rispetto ad altri antibiotici macrolidi

L'infezione da Ureaplasma della cavità amniotica rappresenta ancor oggi una sfida terapeutica.
Il passaggio transplacentare degli antibiotici macrolidi è basso, e le tetracicline ed i chinoloni sono controindicati in gravidanza.
Lo scopo dello studio, compiuto dai medici del Department of Fetomaternal Medicine dell'University of Vienna Medical School, è stato quello di verificare il passaggio placentare della Claritromicina in un modello di perfusione placentare.
L'esperimento è stato eseguito utilizzando 10 placente, immediatamente dopo il parto.
La Claritromicina ha dimostrato un miglior passaggio placentare rispetto agli altri macrolidi.
Pertanto secondo gli Autori, la Claritromicina che è somministrata dopo il primo trimestre (cioè dopo l'embriogenesi), può rappresentare un antibiotico appropriato nel trattamento del Micoplasma genitale e delle infezioni da Ureaplasma durante la gravidanza.

Am J Obstet Gynecol 2003; 188: 816-819

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Dislessia: nuovi studi

Grazie a immagini ad alta precisione del cervello al lavoro, un team di psicologi dell'Health Science Center dell'Università del Texas di Houston ha raccolto nuove prove del legame fra problemi di lettura e anomala elaborazione dei suoni.
In un recente studio, ad alcuni bambini di lingua inglese senza particolari disturbi della lettura è stato chiesto di distinguere fra sillabe il cui suono era simile. Le immagini hanno mostrato che le aree del linguaggio nella parte sinistra del cervello lavoravano molto di più delle corrispondenti aree nella parte destra, la cui funzione è ancora sconosciuta. Ma quando lo stesso compito è stato svolto da bambini che soffrono di dislessia, sono state le aree della parte destra a risultare molto più attive. La ricerca è stata pubblicata sul numero di ottobre della rivista "Neuropsychology".
I ricercatori hanno studiato le regioni cerebrali sospette isolando le aree responsabili dell'elaborazione del linguaggio parlato da quelle coinvolte in altri aspetti della comunicazione, come la memoria o il significato. Di conseguenza, gli scienziati ritengono che la propria ricerca possa contribuire all'identificazione di un marcatore centrale di questo disturbo, che rende difficile ai pazienti elaborare suoni simili ma differenti in forma sia scritta sia parlata.
Lo studio ha riguardato bambini dagli otto ai dodici anni. Per ottenere le immagini del cervello è stata usata una tecnica non invasiva chiamata magnetoencefalografia (MEG).

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Glitazoni e rischio di insufficienza cardiaca congestizia

Una dichiarazione congiunta dell'American Heart Association (AHA) e dell'American Diabetes Association (ADA) raccomanda di non prescrivere i glitazoni, anche conosciuti come tiazolidinedioni, nei pazienti a rischio di insufficienza cardiaca congestizia.
I glitazoni attualmente in commercio sono: Pioglitazone e Rosiglitazone.
Alcuni pazienti che assumono i glitazoni manifestano edemi e segni di scompenso.
I glitazoni non dovrebbero essere prescritti a pazienti con malattia coronarica avanzata, o grave insufficienza cardiaca.
Nei pazienti con ridotta frazione d'eiezione, ma senza sintomi di insufficienza cardiaca congestizia, i glitazoni dovrebbero essere prescritti solo se il controllo glicemico non venga raggiunto con altri farmaci, e a bassi dosaggi iniziali.
I pazienti con aumento del peso corporeo superiore a 3 kg, insorgenza improvvisa di edema ai piedi, dispnea o senso di stanchezza, dovrebbero avvertire immediatamente il loro medico curante.

Circulation 2003; 108: 2941-2948

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Ipertensione e comorbilità

Secondo le nuove linee guida Usa sull'ipertensione, il farmaco di prima scelta nei pazienti ipertesi è il diuretico tiazidico eventualmente associato ad un farmaco di differente classe.
La raccomandazione nasce dalle conclusioni dello Studio ALLHAT (Antihypertensive and Lipid Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial).
I pazienti con ipertensione ed altre morbilità richiedono una particolare attenzione.

Ipertensione + Cardiopatia ischemica

Nei pazienti con ipertensione ed angina pectoris stabile, il farmaco di prima scelta è un beta bloccante.
In alternativa può essere impiegato un calcio-antagonista a lunga durata d'azione.

Nei pazienti con sindrome coronarica acuta (angina instabile o infarto miocardico), l'ipertensione dovrebbe essere trattata inizialmente con beta-bloccanti ed Ace inibitori, con l'aggiunta di altri farmaci se necessari a controllare la pressione sanguigna.

Nei pazienti post-infartuati, gli Ace inibitori, i beta-bloccanti egli antagonisti dell'aldosterone hanno dimostrato di essere maggiormente benefici.

Sono anche indicati i farmaci per il trattamento delle dislipidemie e l'Aspirina.

Ipertensione + Insufficienza cardiaca

Nei pazienti ad alto rischio di insufficienza cardiaca, il trattamento della pressione sanguigna e dell'ipercolesterolemia rappresentano misure preventive importanti.

Nei soggetti asintomatici con dimostrata disfunzione ventricolare sono raccomandati gli Ace inibitori ed i beta-bloccanti, mentre nei pazienti con disfunzione ventricolare sintomatica o malattia cardiaca ad ultimo stadio, trovano indicazione gli Ace inibitori, i beta-bloccanti gli antagonisti del recettore dell'angiotensina (sartani), gli inibitori dell'aldosterone, assieme ai diuretici dell'ansa.

Ipertensione + diabete

È generalmente necessario associare 2 o più farmaci per raggiungere valori pressori inferiori a 130/80 mmHg.
I diuretici tiazidici, i beta-bloccanti, gli Ace-inibitori, i sartani ed i calcio-antagonisti hanno effetti favorevoli sulla riduzione dell'incidenza di malattia coronarica e di ictus nei pazienti con diabete.
I trattamenti basati su Ace-inibitori o sartani rallentano la progressione della nefropatia diabetica e riducono l'albuminuria.
È stato dimostrato che i sartani sono in grado di ridurre la progressione verso la macroalbuminuria.

Ipertensione + malattia renale cronica

L'obiettivo terapeutico nei pazienti con malattia cronica renale è quello di rallentare il deterioramento della funzione renale e prevenire la malattia cerebrovascolare.
La malattia renale cronica è definita da:

1) ridotta funzione escretoria con GFR (frazione di filtrazione glomerulare) al di sotto di 60 ml/min per 1,73 m(2) (che corrispondono approssimativamente a livelli di creatinina superiori a 1,5 mg/dL negli uomini, o superiori a 1,3 mg/dL nelle donne);

2) presenza di albuminuria (superiore a 300 mg/die o 200 mg albumina / g creatinina).


L'ipertensione è comune in questi pazienti che dovrebbero essere sottoposti ad un deciso trattamento, spesso con 3 o più farmaci in modo da raggiungere valori pressori inferiori a 130/80 mmHg.
Gli Ace inibitori ed i sartani hanno dimostrato di esercitare effetti favorevoli sulla progressione della malattia renale sia diabetica che non diabetica. Un aumento della creatinina sierica del 35% sopra i livelli basali con gli Ace-inibitori o i sartani è accettabile e non dovrebbe indurre a rimandare il trattamento a meno che non si sviluppi iperpotassiemia.
Nella forma avanzata della malattia renale (GFR < 30 ml/min 1,73 m(2) corrispondente a livelli plasmatici di creatinina di 2, 5-3 mg/dL) è opportuno aumentare il dosaggio del diuretico dell'ansa.

Ipertensione + malattia cerebrovascolare

I rischi ed i benefici della riduzione della pressione sanguigna nel corso di un ictus in fase acuta non sono ancora ben chiariti.
Il controllo della pressione a livelli intermedi (approssimativamente 160/100 mmHg) può risultare appropriato finché la situazione si sia stabilizzata o abbia dato segni di miglioramento.
L'incidenza di ictus recidivante è ridotta dalla somministrazione di un diuretico e da un Ace inibitore.

Fonte: NHLBI (National Heart, Lung, and Blood Institute) / NIH (U.S National Institutes of Health)
The Seventh Report of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure (JNC 7)

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Effetti benefici della Metformina nel trattamento delle donne non obese con sindrome dell'ovaio policistico

La Metformina, un farmaco insulin-sensitizing, ha dimostrato di migliorare la funzione ovarica ed il metabolismo del glucosio nelle donne obese con sindrome dell'ovaio policistico, ma non sono ben noti i suoi effetti riguardo alle donne con sindrome dell'ovaio policistico, non obese.
Uno studio, compiuto presso l'University Hospital di Oulu in Finlandia, ha coinvolto 17 donne non obese (BMI < 25 kg/m2) con sindrome dell'ovaio policistico.
Le pazienti sono state assegnate in modo random a ricevere Metformina (500mg b.i.d. per 3 mesi, poi 1000 mg b.i.d./die per 3 mesi; n=8) oppure la pillola anticoncezionale, composta da Etinil Estradiolo (35 microg) + Ciproterone (2mg).
La Metformina non ha avuto alcun effetto sulla tolleranza al glucosio o sulla sensibilità all'insulina, ma la concentrazione dell'insulina a digiuno si è ridotta da 44,4 +/- 5,1 a 29,8 +/- 4,3 pmol/litro (p=0.03), il rapporto vita-fianchi si è ridotto da 0,78 +/- 0,01 a 0,75 +/- 0,01 (p=0.01) e la clearance epatica dell'insulina è aumentata durante il trattamento.
Inoltre, la Metformina ha ridotto i livelli di testosterone sierico da 2,7 +/- 0,3 a 2,0 +/- 0,2 nmol/litro (p=0.01) ed ha migliorato la ciclicità mestruale.
L'associazione Etinil Estradiolo + Ciproterone non ha avuto alcun effetto sulla tolleranza al glucosio, sui livelli sierici dell'insulina, o sulla sensibilità all'insulina, ma ha aumentato leggermente l'indice di massa corporea (p=0.09) e significativamente le concentrazioni plasmatiche di leptina (p<0.001) ed ha ridotto i livelli di testosterone sierici da 2,1 +/- 0,2 a 1,4 +/- 0,2 nmol/litro (p= 0.03).
Secondo gli Autori, l'associazione Etinil Estradiolo + Ciproterone sembra una terapia efficace per i sintomi iperandrogenici associati alla sindrome dell'ovaio policistico, ma presentano effetti negativi sull'insulina e sul metabolismo del glucosio.
La Metformina migliora l'iperandrogenismo, l'iperinsulinemia, e la ciclicità mestruale, probabilmente attraverso il suo effetto positivo sulla clearance dell'insulina e sull'adiposità addominale.
Le donne non obese con sindrome dell'ovaio policistico e con anovulazione potrebbero trarre beneficio dal trattamento con Metformina.

J Clin Endocrinol Metab 2003; 88: 148-156

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Il Misoprostolo per os riduce l'impiego dell'Ossitocina nelle donne con rottura delle membrane senza travaglio di parto a termine

I Medici del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell'University of Texas Southwestern Medical Center a Dallas (USA) hanno valutato se il Misoprostolo per os potesse sostituire l'Ossitocina nello stimolare il parto nelle donne con rottura delle membrane e senza travaglio di parto.
Le donne nullipare alla 36^-41^ settimana con un feto non gemellare, in posizione cefalica e rottura delle membrane senza travaglio di parto, sono state randomizzate a ricevere Misoprostolo per os (100 microg) (n=51) o placebo (n=51) ogni 4 ore per un massimo di 2 dosaggi.
Se entro 8 ore dall'inizio dello studio il parto non fosse avvenuto, veniva somministrata per via endovenosa l'Ossitocina.
Il Misoprostolo ha ridotto l'uso della stimolazione con Ossitocina dal 90% al 37% (p< 0.001) ed il tempo di permanenza nella sala parto.
L'iperattività uterina si è presentata nel 25% delle donne trattate con Misoprostolo. Tuttavia solo in 3 donne (6%) l'iperattività uterina è risultata associata a decelerazione della frequenza cardiaca fetale, ma non è stato necessario il parto cesareo d'emergenza.

Obstet Gynecol 2003; 101: 685-689

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Nuovi farmaci per l'artrite?

Un team di ricercatori del Southwestern Medical Center dell'Università del Texas di Dallas ha sperimentato alcune nuove proteine, create da una azienda californiana di biotecnologie, in grado di bloccare l'attività di una molecola che regola l'infiammazione. La scoperta potrebbe tradursi in nuove possibili terapie per coloro che soffrono di artrite reumatoide.
In un articolo pubblicato sulla rivista "Science", gli scienziati affermano che inibendo l'attivazione di un regolatore dell'infiammazione chiamato fattore di necrosi tumorale (TNF), è possibile ridurre del 25 per cento il gonfiore in un modello animale dell'artrite reumatoide umana. Livelli elevati di TNF sono associati con l'insorgere di questa patologia.
La caratteristica peculiare dei nuovi inibitori, secondo gli scienziati, consisterebbe nella loro progettazione e nel modo in cui agiscono. A differenza degli inibitorii attualmente disponibili, la struttura e la sequenza di queste nuove molecole è simile a quella delle proteine prodotte naturalmente, rendendo meno probabile l'innesco di una risposta autoimmunitaria.
"Gli inibitori - spiega il fisiologo Malù Tansey - sono in realtà versioni modificate della proteina TNF che si trova naturalmente nel corpo, con alcune mutazioni che impediscono loro di legarsi ai recettori ma non ai normali TNF. Come risultato, le proteine allontanano i TNF attivi dai recettori che mediano le risposte infiammatorie coinvolte nell'artrite reumatoide e in diverse altre malattie autoimmunitarie.

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Aumento del rischio di carcinoma mammario dopo trattamento chemioterapico e radioterapico in giovani donne con malattia di Hodgkin

L'obiettivo dello studio è stato quello di quantificare il rischio nel lungo periodo del carcinoma mammario associato all'impiego della radioterapia e della chemioterapia nel trattamento della malattia di Hodgkin in giovani donne.
Lo studio ha interessato una coorte di 3.817 donne, a cui era stata diagnosticata la malattia di Hodgkin all'età di 30 anni o meno, tra il 1965 ed il 1994.
Lo studio è stato condotto tra il 1996 ed il 1998.
Il tumore della mammella si è manifestato in 105 pazienti con malattia di Hodgkin.
La dose di radiazioni di 4Gy o più indirizzata alla mammella è risultata associata ad un aumento del rischio di 3, 2 volte rispetto alle pazienti che avevano ricevuto dosi inferiori e nessun agente alchilante.
Il rischio è aumentato ad 8 volte con una dose superiore a 40 Gy.
Il rischio si è mantenuto per 25 anni o più dopo la radioterapia.
Il trattamento con gli agenti alchilanti da soli ha comportato una riduzione del rischio di carcinoma mammario, mentre il rischio è aumentato (1, 4 volte) quando all'agente alchilante è stata associata la radioterapia.
Il rischio di carcinoma mammario si è ridotto con l'aumento del numero di cicli di trattamento con agenti alchilanti.

JAMA 2003; 290: 465-475

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Rischio di emorragia intracranica con la terapia combinata Reteplase + Abciximab nei pazienti con infarto miocardico acuto

La riperfusione con fibrinolitico in corso di infarto miocardico è limitata dal possibile presentarsi di emorragia intracranica.
Per cercare di ridurre il rischio di emorragia intracranica si è adottata la strategia di dimezzare il dosaggio dell'attivatore del plasminogeno, di ridurre il dosaggio di Eparina e di associare un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa.
È stata valutata l'incidenza di emorragia intracranica tra i 16.588 pazienti randomizzati nello studio GUSTO V.
I pazienti erano stati trattati con:
a) Reteplase + Eparina (dosaggio standard)
b) Reteplase (metà dose) + Eparina (dosaggio ridotto) + Abciximab.
L'incidenza totale di emorragia intracranica è risultata simile tra i due gruppi (0,6%).
Il tempo medio tra somministrazione del farmaco e manifestazione di emorragia intracranica è stato di 5,5 ore (3,4 - 11) con la terapia di combinazione Reteplase + Eparina + Abciximab e 9,2 ore (5,9 - 22) con Reteplase + Eparina.
Il predittore di emorragia intracranica è stata l'età.
Il rischio di emorragia dopo trattamento con la combinazione Reteplase + Eparina + Abciximab è stato più basso nei pazienti più giovani e più alto in quelli anziani.

Eur Heart J 2003; 24: 1807-1814

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Rischio di malattia di Creutzfeldt-Jakob tra i pazienti trattati con l'ormone pituitario della crescita umano

Lo studio ha valutato i fattori di rischio per la malattia di Creutzfeldt-Jakob nei pazienti trattati con l'ormone pituitario della crescita umano (hGH) in Gran Bretagna.
La coorte esaminata è consistita di 1.848 pazienti trattati dal 1956 al 1985 con hGH.
Questi pazienti sono stati seguiti fino al 2000.
Un totale di 38 pazienti ha sviluppato la malattia di Creutzfeldt-Jakob.
Il rischio di malattia di Creutzfeldt-Jakob è risultato aumentato nei pazienti trattati con hGH preparato con il metodo di estrazione di Wilhelmi dalle ghiandole pituitarie. Il rischio era ulteriormente aumentato se l'ormone della crescita era somministrato tra gli 8 ed i 10 anni.
Il rischio massimo di comparsa della malattia di Creutzfeldt-Jakob è stato individuato dopo 20 anni dalla prima esposizione.
La cromatografia ad esclusione dimensionale impiegata nei metodi di preparazione dell'hGH (con tecniche diverse da quella secondo Wilhelmi), sembra prevenire l'infezione che è causa della malattia di Creutzfeldt-Jakob.

Neurology 2003; 61: 783-791

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Studio PRISMS: Interferone beta-1a ad alta dose nella sclerosi multipla recidivante-remittente

Nel corso del 19th Congresso dell'ECTRIMS (European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis) che si è concluso a Milano il 20 settembre sono stati presentati i dati dello studio PRISMS ad 8 anni.
L'Interferone beta-1a ha dimostrato di essere efficace in relazione a tutti i parametri considerati: minor frequenza delle ricadute, più lenta progressione della disabilità e miglioramento dei dati all'esame della risonanza magnetica.
In particolare, l'80% dei pazienti in trattamento con Interferone beta-1a ad alta dose non ha presentato progressione della sclerosi multipla alla forma secondaria progressiva.
L'elevata tollerabilità dell'Interferone beta-1a nel lungo periodo è evidenziata dal fatto che ben il 74% dei pazienti ha proseguito il trattamento per 8 anni; gli effetti collaterali più frequenti, la maggior parte dei quali di lieve entità, sono stati i sintomi simil-influenzali e le reazioni al sito di iniezione.
Lo studio PRISMS ha avuto inizio nel 1994 allo scopo di esaminare l'efficacia e la tollerabilità a lungo termine dell'Interferone beta-1a rispetto al placebo nella sclerosi multipla recidivante-remittente.
I 560 pazienti inclusi nel progetto sono stati originariamente divisi in tre gruppi: un primo gruppo trattato con 44 mcg di Interferone beta-1a somministrato sottocute tre volte a settimana (184 pazienti), un secondo gruppo trattato con 22 mcg di Interferone beta-1a somministrato, sempre sottocute, tre volte a settimana (189 pazienti), e un terzo gruppo trattato con placebo (187 pz.).
Dopo due anni, sulla base dei dati di efficacia del farmaco, anche i pazienti in trattamento con placebo sono stati randomizzati a ricevere una delle due dosi attive, mentre gli altri pazienti hanno mantenuto il trattamento iniziale.

Fonte: 19th Congress/ECTRIMS, Milano 2003

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APPROFONDIMENTI


 

Il nuovo caso del dottor Cretinetti-Falchetto

a cura del dottor Giuseppe Ressa, medico di famiglia e specialista internista

[Continua la presentazione di casi clinici basati su esperienze concrete, che possono offrire lo spunto a utili considerazioni metodologiche e pratiche. I personaggi di Cretinetti e Falchetto sono stati ideati dal Dott. Giuseppe Ressa, che ha curato anche la scelta e l'esposizione dei casi.]

Il dottor Cretinetti è un medico che fa anamnesi approssimative, esami obiettivi volanti, prescrive montagne di analisi ed esami strumentali; il dottor Falchetto è il suo opposto: anamnesi ed esami obiettivi maniacali, connessioni diagnostiche mirabolanti, scorciatoie fulminanti, esami diagnostici centellinati; a volte cerca diagnosi rarissime mancandone altre più probabili e giuste.
Capita che Cretinetti e Falchetto coesistano schizoidamente nella stessa persona.

[I casi Cretinetti non sono un ennesimo irritante quiz e sopratutto non vogliono insegnare nulla a nessuno, vogliono solo banalmente rimarcare le QUATTRO regole auree del ben operare nella professione:
1) ANAMNESI
2) ESAME OBIETTIVO
3) RAGIONAMENTO CLINICO
4) SCORCIATOIE DIAGNOSTICHE
Esse sono INELUDIBILI, pena figuracce clamorose e danni a volte irreparabili.
Giuseppe Ressa]

Quegli strani testicoli

Cretinetti riceve, con fastidio, un paziente 60enne a lui noto essere un tenace assertore dei check up semestrali. Cretinetti aveva, all'inizio, tentato di opporsi, rimarcando l'inutilità di questa procedura ma poi, fiutando aria di revoca, ha, oramai da anni, docilmente obbedito.

Questa volta però il paziente non viene per questo motivo ma per una dolenzia ai testicoli; Cretinetti lo visita e rileva un bel varicocele bilaterale.
Il paziente gli dice che l'ha sempre avuto fin da ragazzo (il che non gli ha impedito di avere un figlio) anche se ultimamente gli è parso un pò più ingrossato e comunque gli interessa solo sapere se c'è qualcos'altro di nuovo.

Cretinetti nega e il paziente si ritiene soddisfatto; il medico però insiste e dopo molte resistenze riesce a imporre la prescrizione di una ecografia rene vescica scroto prostata che conferma il varicocele bilaterale senza nient'altro.

Passa un anno e il paziente ritorna lamentando per la ennesima volta un dolore lombare continuo, fa dei movimenti con la schiena toccandosela "mi fa tanto male, dalla mattina alla sera"; Cretinetti già da anni aveva documentato (con Rx e TC) una spondiloartrosi lombare con protrusioni e anche un'ernia del disco, neanche si alza dalla sedia, prescrive la ennesima fisiokinesi terapia e fans

Terminato il primo ciclo il paziente torna alla carica lamentando, in maniera decisa, l'inefficacia delle cure, Cretinetti si arrocca, prescrive secondo ciclo e visita ortopedica. Il paziente scompare e si ripresenta dopo 2 mesi, è stato da 3 ortopedici che hanno prescritto ulteriori fisiochinesiterapie, cortisonici ecc. ecc.ma senza risultati.
A questo punto Cretinetti fa eseguire un esame strumentale che indirizza sulla diagnosi ma dopo tre mesi di progressivo deperimento organico il paziente muore.

Era appena uscita la Risonanza magnetica e Cretinetti, tronfio tronfio, la consigliò al paziente per "controllare meglio la colonna", il radiologo vide un'ombra a piastrone in sede retroperitoneale con aspetto "a ragno" che nei due punti più distanti arrivava a 9 centimetri; fu eseguita biopsia, l'esame istologico orientò la diagnosi per: CARCINOSI retroperitoneale a piccole cellule.
Il paziente perse 30 CHILI IN TRE MESI e morì, imbottito di morfina, per cachessia, fu tentata una chemioterapia senza il minimo giovamento.

Esaminiamo gli errori metodologici di Cretinetti:
Cretinetti non si chiede perché questo varicocele sia aumentato, l'ecografia è negativa QUINDI il paziente, noto patofobico, ha ingigantito i sintomi.
Cretinetti ha una cartella clinica sulla quale appunta tutto e dove ben risulta l'annotazione della visita precedente, non fa la connessione diagnostica con l'altro sintomo anche se paradossalmente aveva prima dovuto sudare sette camicie per convincere il paziente ad eseguire un'ecografia dell'apparato genitourinario perché la cosa gli puzzava, adesso però è tranquillo, quasi seccato per un ennesimo mal di schiena.
Il medico non si alza dalla sedia, il paziente è un rompiscatole incontentabile!!

NESSUNO degli ortopedici si è chiesto il perché della resistenza alla terapia, il dolore era "continuo"; Cretinetti finalmente alza il deretano dalla sedia, palpa e percuote la zona lombare, il paziente NON riferisce riacutizzazione dei sintomi, può effettuare torsioni del tronco ed anche flessioni senza grosso peggioramento del dolore; NESSUNO degli ortopedici lo ha visitato; segue il resto già detto con exitus.

Poco dopo la morte del paziente, il figlio ventenne ebbe un dolore lombare continuo, Cretinetti fece SUBITO eseguire una RM convinto però che a quell'età nulla potesse venir fuori. Risultato: GROSSA ernia del disco che fu operata immediatamente.

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Epatite Delta

Questa volta, quando il signor Antonio, mio vecchio e affezionato paziente ormai settantenne, venne in studio lamentando i soliti vaghi disturbi (stanchezza, sonnolenza, difficoltà digestive) mi resi conto che, una volta tanto, poteva avere qualche serio motivo. Il fegato appariva infatti leggermente ingrossato, e dolente, la lingua patinosa e soprattutto le sclere erano di un bel colore giallino. Ovviamente feci effettuare di urgenza le consuete analisi del sangue: bilirubinemia, enzimi epatici, markers delle epatiti A, B, C. Gli enzimi mostravano alterazioni abbastanza tipiche dell'epatite, però i markers erano tutti negativi. L'ecografia escluse patologie neoplastiche, ma allora da cosa derivava il quadro in esame? Feci effettuare un controllo dell'HbsAg, dell'HCVab, ai quali aggiunsi la ricerca degli anticorpi per altri virus che mi sembrava di ricordare come possibili cause di epatite: cytomegalovirus, mononucleosi, ma erano tutti negativi.

Prima di arrendermi, feci effettuare un ultimo controllo affidando le analisi ad un diverso laboratorio della vicina università, e finalmente si osservò una positività degli anticorpi IgM per l'epatite B in assenza di HBsAg. Una strana infezione, che mi mise un pò in difficoltà finché non decisi di consultare un testo aggiornato di Malattie Infettive.

L'evoluzione anomala dei markers sierologici dell'epatite, riportata dal collega, potrebbe derivare da un errore di laboratorio o da una variabilità cronologica dell'espressione anticorpale verso il virus dell'epatite B, ma può essere spiegata anche dall'insorgenza di una patologia epatica quasi mai presa in considerazione dai medici: l'Epatite Delta.

Si tratta infatti di un agente virale relativamente "nuovo" e dalle insolite caratteristiche.

La scoperta del virus dell'epatite Delta (Hepatitis Delta Virus= HDV) può essere fatta coincidere con la scoperta dell'antigene Delta nel 1977. L'antigene Delta venne inizialmente considerato un epifenomeno della infezione da virus B (HBV) con la quale era costantemente associato. Successivi studi dimostrarono invece che si trattava di un nuovo agente virale dipendente, per la sua espressione, dalla concomitante infezione da HBV; di questo nuovo virus fu successivamente isolato il virione e ne fu estratto il genoma.

Una singolare struttura: Il virus Delta è una particella sferica di circa 36 nm di diametro avvolta in un involucro costituito dall'antigene di superficie dell'HBV (HBsAg). All'interno è contenuta una ribonucleoproteina senza che sia identificabile una struttura capsidica rigida. Il genoma dell'HDV è una molecola singola di RNA a struttura circolare; sono stati identificati numerosi ceppi di HDV. È stato poi identificato un antigene specifico (antigene Delta: HD-Ag); la sua localizzazione intra-epatocitaria è principalmente nucleare ma può essere presente anche nel citoplasma.

Un virus vegetale trasmissibile all'uomo?

L'HDV ha evidenziato sin dall'inizio la singolare caratteristica di essere incapace di infezione autonoma ma potesse replicarsi solo in presenza di infezione da HBV. Era quindi un virus "difettivo", la cui infezione dipendeva da funzioni biologiche complementari fornite esclusivamente dall'HBV. Una volta attecchita la sua infezione, però. l'HDV (RNA-virus) era capace di inibire la replicazione dell'HBV (DNA-virus) con meccanismo inusuale, in quanto generalmente tali interferenze si verificano solo tra virus aventi analogo genoma. Una simile dipendenza biologica tra virus geneticamente eterogenei, inusitata nel regno animale, è invece nota e frequente in virologia vegetale, per cui si ipotizzò, clamorosamente, che l'HDV fosse in realtà analogo ad un "viroide" vegetale (termine con il quale si definiscono alcuni agenti patogeni similvirali che finora erano ritenuti capaci di infezione solo nel mondo vegetale). Tale ipotesi (avanzata all'inizio degli anni 80) ha trovato poi conferma negli studi di biologia molecolare.

Le caratteristiche strutturali del genoma dell'HDV non sono proprie, infatti, dei virus ad RNA animali ma sono invece tipiche dei viroidi delle piante: le sue dimensioni, ad esempio, sono molto più piccole dei virus animali; la conformazione di RNA in forma circolare non appartiene al regno animale ma è invece propria di molti viroidi; la localizzazione endonucleare dell'HDV all'interno dell'epatocita è simile alla localizzazione prevalentemente nucleare dei viroidi nelle piante, contrariamente alla localizzazione citoplasmatica dei virus animali ad RNA. È dunque verosimile che l'HDV sia originato in parte da queste molecole simil-virali, finora ritenute infettive solo per i vegetali.

Strategia replicativa: L'analogia con i viroidi ha permesso di predire per l'HDV un modello replicativo particolare, a "cerchio rotante", tipico degli pseudovirus vegetali, sperimentalmente confermato. Per la replicazione virale sarebbe normalmente necessaria la trascrizione dell'RNA in DNA, cosa però non riscontrata, per cui è verosimile che il virus si serva per la sua replicazione degli enzimi cellulari dell'ospite, similmente ai viroidi che si replicano sovvertendo a proprio vantaggio il normale meccanismo replicativo delle piante. L'HDV-RNA, insomma, ingannerebbe il normale meccanismo replicativo dell'epatocita costringendolo a riprodurre la sua molecola.

Ruolo dell'HBV

La sola funzione richiesta dall'HDV all'HBV consiste solo nel fornire al virus difettivo il mantello di HbsAg con cui esso penetra negli epatociti e dai quali viene esportato in circolo. Una volta penetrato nella cellula, l'HDV si replica autonomamente. L'epatotropismo dell'ADV è probabilmente conseguente solo all'epatotropismo del suo vettore.

Storia naturale

Per instaurare infezione "in vivo" l'HDV richiede obbligatoriamente un'infezione concomitante da HBV. I soggetti immuni all'HBV sono quindi immuni anche all'HDV.

1) Coinfezione HDV/HBV: Trasmissione contemporanea dell'HDV insieme all'HBV (coinfezione). L'HDV, in questo caso si esprime in funzione della virulenza dell'HBV: quanto più il virus B diffonde negli epatociti, tanto più numerosi saranno epatociti infettabili dall'HDV.

2) Sovrainfezione: Un soggetto già portatore di HbsAG viene successivamente infettato da ADV.

Poiché l'HBV ha già precedentemente colonizzato gli epatociti del portatore, il virus D può rapidamente replicarsi in modo massivo. La preesistente infezione da HBV è risultata idonea ad attivare quantità infinitesimali di HDV, di per sé non sufficienti per infettare un soggetto sano. La sovrainfezione evolve, nella maggioranza dei casi, verso l'infezione cronica da HDV.

Patogenesi e forme cliniche

La patogenesi dell'epatite Delta è discussa, ma si opta per un effetto citopatico diretto, anche se alcuni studi hanno suggerito un possibile meccanismo indiretto, attraverso una risposta immunitaria citotossica. È possibile che coesistano contemporaneamente i due meccanismi patogenetici.

Sierologia

I marcatori dell'HDV vengono normalmente ricercati, ovviamente, solo nei soggetti positivi per l'HBsAg. Per una diagnosi specifica vengono determinati il genoma virale, (HDV-RNA), la sua espressione antigenica (HDAg) e l'anticorpo prodotto dall'ospite (anti-HD).

Sono state anche introdotte delle sonde genetiche capaci di misurare direttamente la viremia; le metodiche RIA ed EIA disponibili in commercio invece determinano gli anticorpi contro l'HDV totali (anti-HD), e gli anticorpi della classe IgM (IgM anti-HD).

Nel caso di coinfezione HBV/HDV si osserva il comune profilo sierologico dell'infezione HBV con possibile assenza di HbsAg conseguente all'inibizione sulla replica dell'HBV esercitata dall'HDV. Questa eventualità deve essere tenuta presente nel caso di un'epatite acuta negativa per HBsAg ma positiva per IgM anti-HBc; questo è stato, probabilmente, ciò che si è verificato nel caso esposto dal collega.

I marcatori di replicazione dell'HDV (HD Ag e HDV-RNA) compaiono tra 1 e 4 settimane dall'esordio clinico, mentre gli anticorpi antiHD-IgM compaiono in genere dopo 2-5 settimane; le IgG possono comparire dopo altre 1- 2 settimane oppure, a volte, alcuni mesi dopo l'infezione acuta

Nel caso di sovrainfezione si assiste ad una rapida e violenta moltiplicazione dell'HDV: il quadro sierologico si manifesta col rapido comparire della batteria completa dei marcatori dell'HDV (HDAg, HDV-RNA seguiti da IgM ed IgG anti-HD) oppure dalla comparsa di anti-HD di tipo IgM ed IgG ad alti titoli.

Nei casi che risolvono in guarigione l'antiHD-IgM declina rapidamente mentre l'anticorpo di tipo IgG rimane determinabile per vari mesi. Nei casi ad evoluzione cronica la replicazione virale continua ed entrambi gli anticorpi persistono a titolo elevato. Sono stati osservati profili sierologici atipici (assenza di anti-HD in presenza costante di HD Ag) in pazienti con infezione da HIV simultaneamente infettati con l'HDV, a causa dell'immunodepressione che abolisce la risposta anticorpale all'HDV.

Epidemiologia

L'infezione da HDV è ubiquitaria; sembra presente in non meno del 5% dei portatori di HBsAg nel mondo, per un totale di circa 15 milioni di casi. Malgrado l'interdipendenza obbligata con il virus B, sono state osservate notevoli differenze nella trasmissione e nelle aree di diffusione: la trasmissione madre-figlio, importante per l'HBV, sembra trascurabile per l'HDV; anche la diffusione geografica non coincide, con notevoli discrepanze: in zone dell'Africa tropicale e del bacino Amazzonico i portatori di HBsAg infettati anche dall'HDV arrivano al 60%, nel Sud-Est Asiatico si osservano basse percentuali di coinfezioni. In Italia l'infezione Delta è presente nel 20-30% dei portatori di HbsAg, mentre tale percentuale scende a meno del 3% in Giappone.

In Italia e in Grecia si osserva un profilo endemico nella popolazione generale e da una tendenza epidemica tra le categorie a rischio di infezione da HBV. I soggetti tossicodipendenti costituiscono il gruppo più esposto nelle aree urbane, con frequenza d'infezione superiore al 50%, ma sono stati identificati anche altri gruppi a rischio numericamente meno importanti.

La trasmissione dell'HDV per via trasfusionale è rara, tuttavia negli anni 70 si osservò un elevato tasso di infezioni nei soggetti emofilici portatori di HBV trattati con fattori della coagulazione commerciali ottenuti da pool "allargati", cosa che non si osservò negli emofilici trattati con fattori derivati da singoli donatori o pool ristretti.

L'infezione da HDV è frequente anche tra i soggetti istituzionalizzati e tra i carcerati, pur non potendosi ancora discriminare l'influenza della concomitante tossicodipendenza.

Non si riscontra infezione Delta tra gli omosessuali maschi, in opposizione all'elevato rischio di infezione da HBV. È stato poi documentato un rischio legato all'esposizione professionale: tra il personale ospedaliero la positività per marcatori dell'HDV è stata osservata in percentuale più elevata rispetto ad altre occupazioni lavorative (20% dei casi HBsAg positivi).

Quadri clinici

Dal punto di vista clinico non è possibile delineare un quadro tipico di epatite Delta: la sintomatologia è aspecifica, simile a quella delle altre epatopatie virali. Tuttavia l'evoluzione e il quadro umorale può differire a seconda di alcune circostanze:

1) Epatite Delta da coinfezione

L'espressione morbosa della coinfezione deriva dalla somma del quadro clinico provocato dal virus B sommato a quello provocato dal virus Delta. Nei casi con scarsa espressione dell'HDV, la gravità del quadro viene sostanzialmente determinata dal solo HBV; in questi casi la coinfezione può rimanere perfino misconosciuta, la viremia HDV è di breve durata, e la risposta anticorpale può mancare o essere limitata alla comparsa di IgM anti-HD.

Nei casi in cui l'espressione dell'HDV è elevata, la malattia è severa e talora fulminante; la risposta anticorpale è completa, segue ad una precoce antigenemia sostenuta da anticorpi anti-HD delle classi IgM ed IgG.

Nella maggioranza dei casi si osservano epatiti di severità medio-grave. È caratteristica della coinfezione la tendenza ad un andamento bifasico, con due picchi di necrosi epatica intervallate da poche settimane.

In corso di coinfezione, l'HDV ha talora un effetto inibitorio così marcato sulla replicazione del virus B da reprimere la sintesi dell'HBsAg sotto la soglia misurabile, determinando quindi la comparsa di quadri di epatite a etiologia sconosciuta, simile alla vecchia forma non A- non B. È importante dunque, qualora si osservino tali anomalie sierologiche, tenere a mente questa eventualità al fine di effettuare gli accertamenti "mirati".

2) Epatite da sovrainfezione

L'infezione Delta che colpisce un soggetto già portatore di HBsAg ha presentazioni cliniche diverse a seconda della situazione basale del paziente.

Anche in questi casi possono presentarsi notevoli difficoltà diagnostiche: se il paziente era sano ed ignaro del suo stato di portatore di HBV l'infezione può essere scambiata per un'epatite B acuta, a causa del riscontro di positività dell'HBsAg. Analogamente la forma cronica dell'HDV (a causa del persistere dell'HBsAg nel suo successivo decorso) può essere scambiata per un'epatite B cronicizzata.

Qualora il paziente sia già noto come portatore asintomatico di HbsAg, il quadro può assumere le caratteristiche di un'improvvisa riacutizzazione del processo morboso sottostante.

Il controllo dei markers completi di entrambi i virus ha consentito di chiarire molti casi prima non diagnosticati.

Può anche verificarsi, a causa del marcato effetto inibitorio dell'HDV sulla replicazione del virus B, che ad un portatore di HBsAg tale antigene venga a scomparire, assistendosi addirittura, a volte, ad una sieroconversione ad anti-HBs. Si tratta però di un fenomeno momentaneo, che torna alla norma al termine dell'infezione acuta da HDV.

3) Epatite Delta atipica e fulminante

L'HDV può indurre quadri di epatite fulminante, sia in caso di coinfezione che di sovrainfezione. Nelle zone in cui è molto elevato il tasso di portatori di HBsAg, come nei paesi tropicali, l'epatite fulminante fa seguito per lo più a sovrainfezioni; nelle zone industrializzate è invece più spesso associata a coinfezione, soprattutto nei tossicodipendenti.

4) Epatite Delta cronica

Nell'ambito dei portatori di HBsAg, l'HDV è maggiormente riscontrabile in quelli che presentano un danno epatico, con una prevalenza in relazione diretta alla gravità del quadro (soprattutto, quindi, nei pazienti con epatite cronica attiva o cirrosi piuttosto che in quelli affetti da epatite cronica persistente od in quelli asintomatici).

La sottostante infezione da HBV è solitamente inattiva, con presenza di anti-HBe e mancanza dei segni umorali di sintesi del virus B; in alcuni casi però (in genere quelli più gravi) l'infezione B rimane attiva con positività per l'HBeAg.

Il quadro anatomo-patologico è aspecifico, con lesioni necrotico-infiammatorie simili a quelle dell'epatite B; aspetti tipici dell'epatite Delta sono una marcata infiammazione lobulare con degenerazione eosinofila granulare degli epatociti.

Profilassi e terapia

a) Profilassi: La vaccinazione contro l'HBV previene anche l'epatite Delta; la prevenzione dell'infezione da HBV comporta ovviamente anche la prevenzione dell'infezione da HDV.

Non è stato invece risolto il problema della profilassi nei portatori di HBsAg, per i quali sono indicate solo misure di ordine generale volte ad evitare il contatto con il virus. Non è disponibile un vaccino specifico.

b) Terapia

Nell'infezione cronica l'esperienza terapeutica è limitata all'interferone (IFN) alfa. Non è stata dimostrata efficacia né dagli steroidi né dal levamisolo.

La somministrazione di IFN determina la normalizzazione o la riduzione dei livelli di GOT in una discreta percentuale di pazienti con epatite cronica Delta, che si accompagna sovente anche ad una riduzione dell'infiammazione e della necrosi epatica. La risposta può essere più o meno precoce (talora può richiedere anche 10 mesi) ma è sempre caratterizzata da una regolare discesa dei livelli di GOT, con una evoluzione simile a quella dell'epatite C, piuttosto di quella dell'epatite B.

I migliori risultati si ottengono con somministrazione continuativa ad alte dosi, in quanto le percentuali di risposta sembrano proporzionali ai dosaggi impiegati. Si osserva però una tendenza alla recidiva all'interruzione del trattamento.

Nei casi di cirrosi o epatite fulminante l'unica terapia efficace è costituita, attualmente (malgrado un elevato tasso di recidiva di infezione da HDV (> 80%), dal trapianto di fegato.

Daniele Zamperini (Doctor 15, dicembre 2003)

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Le nuove disposizioni sulla privacy in studio: alcuni aspetti molto discutibili (1) - Le ricette anonime

"Oggi sono venuti a trovarmi il signore e la signora Rossi. Sono due candidi e simpatici vecchiettini, canuti e sorridenti. Vivono da soli in quanto i figli, sposati, hanno messo su casa in altre città ma si mantengono autonomamente. L'età, certamente, comincia a farsi sentire, in quanto la signora ha problemi di vista importanti per cui non riesce quasi più a leggere e vede con difficoltà la televisione; lui invece comincia ad avere qualche problema di memoria e di comprensione: ènecessario ripetergli più volte le cose e le prescrizioni, lasciare spesso bigliettini di istruzioni scritti molto chiaramente in quanto ha la tendenza a dimenticare.

Ho dovuto fare loro diverse prescrizioni, e, secondo le nuove norme sulla privacy, ho dovuto lasciare loro una serie di ricette anonime, senza il nome dell'intestatario. Data l'età e le condizioni fisiche un pò precarie, le ricette sono state numerose, molte su ricetta "bianca".

Quando sono usciti, mi sono chiesto: saranno in grado di identificare i farmaci di ciascuno senza fare confusione? Quante volte capiteràche uno dei due sbagli e assuma un farmaco dell'altro? ricorderanno quali sono le ricette per lui e quali sono le ricette per lei?

E a questo punto viene da chiedersi: ma è veramente utile questa norma sulla privacy? Quanti errori, quante intossicazioni, quante terapie malfatte, e (Dio non voglia) quanti morti dovranno esserci prima che il legislatore si renda conto che queste regole sono perniciose?"

Il nuovo decreto legislativo 30 Giugno 2003 n. 196 (G.U. n. 174 del 29/7/2003, supplemento ordinario n. 123) ha stabilito che dal 1° Gennaio 2004 entrassero in vigore le nuove normative sulla privacy. Il decreto suddetto, da noi già commentato in un precedente articolo pubblicato su eDott- www.edott.it " Aggiornate le norme sulla privacy: molte novità e grosse incertezze per i medici") riassume, integra e completa tutta una serie di normative che prima erano state emanate in modo abbastanza confuso e disordinato, con difficoltà quindi di integrazione e applicazione.

Il decreto doveva entrare pienamente in vigore già dal 1° Gennaio 2004, e da tale data sono in effetti scattati alcuni degli obblighi ad esso connessi. Alcuni aspetti (in primis quello riguardante l'anonimizzazione delle ricette per i farmaci distribuiti dal SSN) sono stati fatti slittare di un anno in quanto le modalità tecniche previste impongono l'uso di particolari apparecchi non ancora in distribuzione. L'entrata in vigore di questo aspetto dovrebbe scattare il 1° Gennaio 2005.

Confidiamo in un ripensamento del legislatore ed in una abolizione della norma, per i motivi che esporremo in seguito.

Le ricette "bianche"

Per quanto riguarda invece l'anonimizzazione delle ricette "bianche" essa è già operativa dal 1° Gennaio 2004 e riguarda tutti i farmaci cui è ammessa la ricetta ripetibile.

Occorre sottolineare: la normativa precedente prevedeva già per le ricette ripetibili la "facoltà" di omettere le generalità del paziente; dal 1° Gennaio 2004 tale facoltà è diventata "obbligo".

Occorre pure sottolineare come la gran maggioranza dei farmaci comunemente utilizzati, qualora prescritti in regime privato, è sottoposto a ricetta "ripetibile": rientrano in questa categoria, per esempio, i FANS, gli antibiotici, le pillole anticoncezionali, i farmaci contro il deficit erettile, molte benzodiazepine eccetera.

Si tratta quindi di prodotti dalla potente azione farmacologica, con controindicazioni spesso importanti, per i quali non è ammesso il rischio di scambio, di confusione, di uso improprio.

L'applicazione acritica di tale norma può creare perciò una serie di gravi problemi:

  • Diviene frequente la possibilità (come nel caso descritto sopra) che persone anziane, (oppure badanti che assistono più di un anziano o simili) possano confondere le prescrizioni dell'uno con le prescrizioni dell'altro paziente senza possibilità di distinzione o verifica.
  • Diviene impossibile la gestione delle prescrizioni per pazienti visitati dagli specialisti o negli ambulatori ospedalieri: il paziente torna dal suo medico di famiglia con una ricetta bianca anonima, e il medico non ha modo di verificare se quelle prescrizioni riguardano effettivamente il paziente o se lo stesso stia tentando di "riciclare" prescrizioni fatte ad altri (cosa importantissima nel caso, ad esempio, che il farmaco goda di limitazioni alla prescrizione)
  • Viene "svalutata " la decisione medica, in quanto, pur trattandosi di farmaci la cui prescrizione e somministrazione va stabilita dal medico e non è di libera scelta da parte del paziente, di fatto diventano di libero uso: l'anonimizzazione forzata delle ricette rende inapplicabile qualsiasi forma di verifica e controllo circa la paternità della stessa. Qualunque ricetta rilasciata ad un paziente diviene fruibile per chiunque, anche contro la volontà del medico, ed anche per farmaci potenzialmente pericolosi.
  • L'anonimizzazione forzata della ricetta impedirà la sua "tracciabilità" non potendosi verificare a chi il medico l'abbia in effetti prescritto, e se l'utilizzatore di quel farmaco era il reale destinatario della ricetta. La cosa potrà assumere rilievo in caso di problemi medico-legali dovuti ad effetti collaterali da farmaco.
  • Diventerà poi impossibile, in sede medico-legale (per valutazioni di invalidità, infortuni ecc.) vagliare mediante un effettivo esame critico la gravità di una patologia, in quanto le eventuali prescrizioni (anonime) non possono effettivamente documentarla.
  • Diviene impossibile il risarcimento da parte delle Assicurazioni che prevedano il rimborso per spese farmaceutiche.
  • Aumentano a dismisura le liste d'attesa, in barba a tutte le disposizioni ministeriali
    ("Dottore, può farmi la solita ricetta di pomata antiemorroidaria?"

"Certamente, prenda l'appuntamento"

"Ma come, non può prepararmela e lasciarla presso la segretaria, chè io passerei subito a ritirarla?"

"Impossibile: essendo anonima, la segretaria non può riconoscerne il destinatario. Deve venire personalmente da me, quando ci sarà disponibilità."

La legge, in verità, indica la possibilità di fare eccezione: "il medico può indicare le generalità dell'interessato solo se ritiene indispensabile permettere di risalire alla sua identità, per un'effettiva necessità derivante dalle particolari condizioni del medesimo interessato o da una speciale modalità di preparazione o di utilizzazione."

Tale dizione appare però poco chiara e passibile di difformi interpretazioni: le "particolari condizioni", ad esempio, possono riguardare anche problemi economici (come il rimborso da parte dell'Assicurazione) o la necessità di impedire l'uso erroneo o fraudolento della ricetta da parte di terze persone?

Noi riteniamo che tale comma vada interpretato in senso assolutamente estensivo. Sarà però necessario che tale aspetto venga avallato da una "interpretazione autentica" delle autorità. Meglio ancora se la norma venisse abolita e si ritornasse ad una anonimizzazione "facoltativa".

Le ricette del SSN (ricette "rosse")

I problemi cha abbiamo esposto per le ricette private si ripresentano, in forma molto più grave, per le ricette emanate in regime di SSN.

In questo ambito, rivestendo il sanitario una qualifica "pubblica", l'obbligo diviene ancora più cogente. Pur essendo slittata al 2005, la prospettiva sta già creando tensioni tra i pazienti, i medici e le Autorità sanitarie.

Vengono ad essere ancora più accentuati i problemi riportati sopra per le ricette private, a cui poi se ne aggiungeranno altri:

  • Impossibilità da parte del medico chiamato d'urgenza (e quindi mancante dell'apparecchio anonimizzatore) di rilasciare prescrizioni in regime di SSN.
  • Blocco completo dell'attività in caso di guasto dell'apparecchio
  • Possibilità accresciuta di confusione tra le ricette di diversi soggetti e di scambio di ricette, con conseguenze potenzialmente gravissime
  • Aumento incontrollabile delle liste d'attesa, come descritto sopra
  • Vanificazione dell'organizzazione ambulatoriale, perchè le prescrizioni dovrebbero essere materialmente scritte tutte dal medico, aumenta il tempo dedicato alla burocrazia a scapito di quello destinato alla professione
  • Impossibilità di accorgersi di un errore di ricettazione
  • Costi aggiuntivi a carico della Sanità.

Il medico non può comunque permettersi l'inosservanza delle norme, stanti le gravi sanzioni che ne potrebbero derivare:

Trattamento illecito di dati: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli … ovvero in applicazione dell'articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazionedi quanto disposto dagli articoli… è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni.

Misure di sicurezza: Chiunque, essendovi tenuto, omette di adottare le misure minime previste dall'articolo 33 è punito con l'arresto sino a due anni o con l'ammenda da 10.000 a 50.000 euro.

Inosservanza di provvedimenti del Garante: reclusione da 3 mesi a 2 anni.

La conflittualità tra paziente e medico, in conseguenza della nuova normativa, magari in conseguenza di qualche "incidente" clamoroso, potrebbe aumentare a dismisura deteriorando il rapporto fiduciario, e finendo, poi, per coinvolgere le Autorità Sanitarie e in genere la classe politica, identificata dai più come responsabile.

Sarebbe opportuno, da parte delle Autorità, abolire questa falsa "norma protettiva", in quanto in realtà potenzialmente dannosissima.

Daniele Zamperini

Per una panoramica sulla nuova normativa, vedi l'articolo esteso pubblicato su eDott.

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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA


Rubrica gestita dall'ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica (a cura di D. Z.)

 

Un passo indietro (e un sensibile miglioramento) circa i procedimenti giudiziari per invalidità civile

Come da noi sottolineato in un precedente articolo, il testo coordinato del decreto legge 30 Settembre 2003 n. 269 (G.U. n. 274 del 25/11/2003 - supplemento ordinario n. 181) disponeva, all'articolo 42, delle importanti innovazioni in materia di procedimento giudiziario per il riconoscimento dell'invalidità civile.
Tali innovazioni erano tali da comportare notevoli appesantimenti burocratici e problemi di tipo economico non indifferenti.
In particolare si prevedeva che:

  1. I Ministeri chiamati in giudizio potessero servirsi, in base ad apposite convenzioni, di medici legali dell'INPS o dell'INAIL per la gestione del contenzioso in Tribunale.

  2. In occasione della nomina del Consulente Tecnico, alle indagini doveva assistere un componente delle commissioni mediche di verifica indicato dal direttore della Direzione Provinciale. Tale nomina doveva avvenire su invito diretto da parte del consulente del Tribunale, a pena di nullità. Diveniva quindi necessario che il consulente del Tribunale nominato in udienza, pur avendo comunicato all'Avvocatura dello Stato il luogo e la data di inizio delle operazioni peritali, doveva poi, con atto separato, inviare analoga comunicazione alla Direzione Provinciale del Tesoro per la nomina di un suo proprio consulente. La mancanza di tale adempimento rendeva nulla la Consulenza eventualmente effettuata.

  3. Qualora il cittadino avesse perso la causa intentata per il riconoscimento di invalidità civile, il pagamento dell'onorario del Consulente d'Ufficio veniva posto a suo carico, eccettuati i casi di basso reddito. È presumibile che il cittadino non avrebbe certo pagato volentieri il medico che gli aveva dato torto, facendogli perdere la causa: di conseguenza il Consulente del Tribunale avrebbe dovuto attivare personalmente, per essere pagato, una serie di procedimenti ingiuntivi di lungo e incerto esito. I problemi derivanti da tale impostazione non erano indifferenti: era possibile una "fuga" dei medici legali dalle consulenze previdenziali (di cui diveniva incerta la retribuzione) nonché un'accentuazione della tendenza, da parte degli stessi, a emettere pareri favorevoli al paziente onde avere una maggiore sicurezza di retribuzione da parte dell'Ente Pubblico. Il maggior aggravio per le casse dello stato avrebbe di gran lunga superato i risparmi così conseguiti.

Trattandosi di un decreto legge, con validità temporanea e necessità di conversione, avevamo auspicato la abolizione di queste normative.
A quanto sembra ciò si è puntualmente verificato in quanto nella conversione di queste norme, avvenuta attraverso la Legge Finanziaria 2004 (art. 3 comma 121 legge 24 Dicembre 2003 n. 350) l'articolo riguardante i procedimenti di invalidità civile ha mantenuto il punto 1 (possibilità dello Stato di servirsi di medici dell'INPS o esterni) senza convertire i punti successivi, quelli più "dolenti".
A meno quindi di un ripensamento del legislatore, quindi, questi punti, fonte di potenziale conflittualità e di possibile incremento della spesa pensionistica, sono venuti a decadere.

Daniele Zamperini

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CHARM-Added: l'aggiunta del Candesartan ad un Ace inibitore ha ridotto gli eventi cardiovascolari nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica

Lo studio CHARM-Added ha valutato se l'aggiunta di un antagonista del recettore dell'angiotensina II ad un Ace inibitore fosse in grado di migliorare l'esito clinico nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica.
Nel periodo compreso tra marzo e novembre 1999 sono stati arruolati 2.548 pazienti cardiopatici in classe NYHA II-IV e frazione d'eiezione ventricolare sinistra uguale o inferiore al 40%, già in trattamento con Ace inibitori.
I pazienti sono stati assegnati in modo random al Candesartan (n=1276, dosaggio target 32 mg/die) o placebo (n=1.272).
All'ingresso nello studio il 55% dei pazienti era anche trattato con un beta-bloccante ed il 17% con Spironolattone.
L'end point primario composito dello studio era rappresentato da: morte cardiovascolare o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca cronica.
Il periodo osservazionale (follow-up) è stato di 41 mesi.
L'end point primario è stato raggiunto dal 38% (n=483) dei pazienti trattati con il Candesartan e dal 42% (n=538) dei pazienti nel gruppo placebo (hazard ratio: 0,85; p=0,011).
Il Candesartan ha ridotto ciascuno dei componenti dell'outcome primario in modo significativo.
I benefici del Candesartan sono stati osservati in tutti i sottogruppi, compreso quello in cui i pazienti erano trattati con un beta-bloccante

Lancet 2003; 362: 767-771

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Nifedipina sublinguale nelle crisi ipertensive: lo stato dell'arte

È nozione comune come si faccia largo uso, soprattutto nelle strutture di P.S., della nifedipina sublinguale in occasione di crisi ipertensive. Viene apprezzata dagli operatori soprattutto la potenza e la rapidità d'effetto del farmaco, certamente molto elevate. A questa efficacia, però, si affiancano numerosi problemi collegati agli effetti secondari, spesso molto gravi, e non infrequenti. Tali effetti sono ampiamente descritti in letteratura, e riportati anche nel foglio illustrativo del farmaco. Per questi motivi la somministrazione sublinguale non è mai stata ufficializzata dalle strutture regolatorie americane.

  • Nel 1995 la FDA, attraverso il suo Cardiorenal Advisory Committee, decise all'unanimità che la nifedipina sublinguale non dovesse essere approvata per il trattamento delle emergenze ipertensive.
  • Nel 1996 venne pubblicata una review sui danni potenziali causati dalla nifedipina sublinguale nell'emergenza ipertensiva, che restava prescritta per l'unica indicazione approvata dalla FDA (angina variabile)
  • Nel 2000 veniva riportato (Micromedex: Clinical reviews hypertensive crisis treatment: antihypertensives - calcium antagonists a. nifedipine) un ulteriore parere negativo dell'FDA.

La nifedipina, nelle sue diverse forme farmaceutiche, resta uno dei farmaci antipertensivi più diffusi in Italia.

Commercializzato da diverse Aziende farmaceutiche soprattutto nella forma in capsule o in forma "ritardo", ne esiste in commercio una confezione in gocce.

Queste gocce sono (come specificato nel foglio illustrativo) "gocce orali" e sostituiscono quindi le capsule nei pazienti con problemi di deglutizione.

Va sottolineato come la dizione "gocce orali" non sia assolutamente assimilabile a quella di "gocce sublinguali" per un duplice ordine di motivi:

  • Motivi di farmacocinetica: i farmaci somministrati per via orale hanno un assorbimento e una metabolizzazione diversi rispetto ad una somministrazione sublinguale.
  • Motivi burocratici: i farmaci per uso sublinguale (proprio per i motivi detti sopra) riportano espressamente tale dizione, e sono così registrati nella Farmacopea Ufficiale.

Malgrado ciò, a tutt'oggi, l'uso della nifedipina per via sublinguale appare, in Italia, ampiamente diffuso e addirittura raccomandato da molti medici, seppure non consigliato dalle Aziende produttrici.

Le norme di legge:

In primo luogo, per la prescrizione di un farmaco occorre attenersi a quanto riportato in scheda tecnica, ed in particolare nei paragrafi "indicazione terapeutica" e "posologia e modalità di somministrazione" (D.L. 17/2/98 n. 23 convertito con L. 8/4/98 n. 94, art. 3 comma 1): ("Fatto salvo il disposto dei commi 2 e 3, il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall'autorizzazione all'immissione in commercio rilasciata dal Ministero della sanità.").

Questa disposizione riguarda tutti i medici, siano dipendenti, convenzionati o liberi professionisti, per qualsiasi prescrizione farmaceutica, anche effettuata in regime privato.

Esiste tuttavia la possibilità di derogare:

"In singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata… qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purchè tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.").

Occorrono quindi dei requisiti precisi. Particolarmente rilevanti, nel nostro caso:

  1. Occorre attivare una procedura di informazione del paziente e acquisizione del consenso informato dello stesso.
  2. Che non esistano altri farmaci utili e regolarmente registrati per quella indicazione terapeutica.
  3. Che l'inesistenza di trattamenti alternativi "ufficiali" sia documentabile.
  4. Che esistano lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.

In conclusione, quindi, la somministrazione sublinguale è possibile ma solo nei casi in cui non si riscontri la possibilità di una terapia alternativa con altri farmaci antiipertensivi, e si sia ottenuto il consenso informato del paziente.

L'informazione al paziente deve essere ampia e circostanziata, e deve illustrare anche i possibili effetti negativi della terapia.

La mancanza di questi requisiti può assumere i connotati della responsabilità professionale.

Nota: Una più ampia disamina, con i riferimenti di letteratura e maggiori dettagli verrà pubblicata su eDott (www.edott.it) nella sezione "Approfondimenti di normativa sanitaria".

Daniele Zamperini

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Perché la legge sulla privacy (196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali) è una cattiva legge

(di Riccardo De Gobbi, O.M. della Provincia di Padova)

Riflessione iniziale

Nella comunità medica è diffuso e generalizzato un sentimento di ripulsa ed estraneazione nei confronti delle problematiche giuridiche-legali.

La giustificazione che adduciamo per questo atteggiamento è che il medico non ha gli strumenti conoscitivi per esprimere giudizi compiuti in un ambito culturalmente tanto lontano dalla medicina.

La conseguenza è che anche nei confronti di una cattiva legge, quale il Codice sulla "privacy", le reazioni si orientano su due filoni, entrambi limitati e limitanti:

  • da una parte la diligente passiva accettazione della legge, atteggiamento che può portare in questo caso ad una modifica peggiorativa del rapporto medico-paziente con ricadute negative sulla professionalità del medico,
  • dall'altra parte l'atteggiamento pure limitante, anche se umanamente comprensibile, di pura opposizione e di rifiuto, che se può tatticamente essere utile, rischia di essere alla lunga improduttivo e pericoloso per il singolo operatore.

Ritengo che la reazione più utile e costruttiva a questa cattiva legge debba anzitutto basarsi su un presupposto per noi innovativo: considerato che il legislatore non ha avuto alcuna remora, come vedremo, ad entrare nella sacralità della relazione medico-paziente, dobbiamo come classe medica assumere il coraggio e la responsabilità di sviluppare in ogni ambito possibile una critica franca, severa e costruttiva a questa come ad ogni altra cattiva legge.

Non deve scoraggiarci in questo lavoro la onesta consapevolezza dei nostri limiti culturali: il sapere giuridico deve essere uno strumento al servizio dei diritti dei cittadini, la legge un mezzo per risolvere i problemi, non per crearli.

Noi medici dovremmo farci promotori di un approccio genuinamente e non solo formalmente democratico nella legislazione.

Nelle società genuinamente democratiche la legge deve essere al servizio dell'uomo che vi si assoggetterà con la consapevolezza che i limiti alla sua libertà sono necessari per garantire un bene superiore.

Leggendo questa cattiva legge si ha invece la sensazione che essa risponda ad una logica ossessiva, che, come nelle peggiori nevrosi ossessive ha come obiettivo non un diverso modo di essere e di vivere la relazione con gli altri, ma solo l'esecuzione di una lunga serie di atti formali che anziché favorire, alla fine ostacoleranno il cambiamento.

Il Disegno Generale

Lasciamo dunque ai giuristi le disquisizioni giuridiche: come cittadini, liberi professionisti e liberi pensatori possiamo però usare gli strumenti della logica per cogliere il senso generale di questa legge, in riferimento alla nostra specifica realtà.

L'esempio di una legge molto nota in ambito sanitario può aiutarci;si tratta della legge 180 del 1978, la cosiddetta "Riforma Psichiatrica": è sufficiente anche una lettura superficiale di questo vecchio provvedimento legislativo per cogliere con chiarezza la volontà del legislatore: tra contraddizioni ed un pizzico di demagogia la Legge 180 vuole introdurre un nuovo concetto di malattia mentale, cercando di migliorare le condizioni di vita di chi ne soffre.

Questa tensione ideale era chiaramente avvertita dagli operatori sanitari che, pur tra mille difficoltà e qualche inevitabile resistenza, resero tuttavia possibile una vera e propria rivoluzione culturale.

L'intera legislazione sulla Privacy ci appare quanto mai lontana da questa prospettiva: ciò che si coglie con chiarezza, dalla prima all'ultima pagina è l'obbligo, il divieto, la sanzione.

La istituzione di tutela, cioè il Garante, non è neppure obbligato a rispondere a chi vi si appelli: per il Garante vale curiosamente non il principio del silenzio-assenso ma quello del silenzio-rifiuto(art.141…152).

Chi ritenga violati i propri diritti deve assoggettarsi a procedure di ricorso ricche di atti formali e di vincoli procedurali, ben al di fuori della cultura e delle tasche del comune cittadino (art.145…151)

In compenso, chiunque tratti dati personali, cioè, ai sensi dell'art.4, raccolga, registri, organizzi, conservi, consulti, elabori, modifichi, selezioni, estragga, raffronti, utilizzi, comunichi, diffonda, cancelli, distribuisca dati personali, può essere oggetto di sanzioni pecuniarie e penali di assoluto rilievo: fino a 90000 euro di multa per omissioni formali, fino a 2 anni di reclusione per inosservanza delle misure minime di sicurezza.

Una legge, dunque, votata più al controllo ed alla repressione che alla promozione di una nuova e più civile cultura.

Il Trattamento dei Dati in Ambito Sanitario

Nella prospettiva tracciata, anche la valutazione degli articoli di legge in ambito sanitario non può limitarsi a pure considerazioni di principio, ma deve cercare di valutare le disposizioni legislative alla luce della realtà quotidiana: consentiranno un reale miglioramento nella relazione medico-paziente, da millenni alla base di ogni processo terapeutico?

L'ambito sanitario, come prevedibile, non si sottrae alla logica burocratica, formalistica ed ossessiva. Anche in questo ambito dobbiamo dolorosamente constatare come il cittadino sia nella migliore delle ipotesi un soggetto passivo: anche il passaggio più nobile e garantista, l'espressione del consenso porta il marchio di questa deprecabile impostazione.

Si leggano con attenzione gli articoli dal 77 all'art.81: al centro non vi è il cittadino che può consapevolmente rifiutare od accettare, ma vi è il medico, trasformato per l'occasione in propaggine burocratica, che deve informare, persuadere, raccogliere solo per potere continuare a lavorare.

Al medico l'onere della prova, al cittadino il disagio di essere considerato soggetto passivo, ad entrambi, medico e paziente, la sensazione che un terzo incomodo, una sorta di Grande Fratello, entri furtivamente nella sacralità di un rapporto interumano dettando regole e leggi di cui tutto si può dire ma non che siano a misura d'uomo.

Entrare nel tortuoso intreccio dei vari articoli richiederebbe una grande quantità di spazio e di tempo.

È possibile tuttavia enucleare alcune stridenti contraddizioni ove più determinata dovrebbe essere la critica e la richiesta di modifica.

  1. L'informativa ed il consenso "a catena"
  2. Gli articoli dal 78 all'art.81 prevedono per medico di famiglia e pediatra la possibilità di informare e raccogliere il consenso anche per altre figure sanitarie che entrino nel processo terapeutico.

    Non si comprende come si concilino queste disposizioni con il principio giuridico della responsabilità individuale e con il rapporto di fiducia paziente-medico che non ha mai goduto della proprietà transitiva.

  3. Consenso scritto-Consenso Orale
  4. Ne tratta l'art.81, introducendo il consenso orale, non si precisa se con testimone o meno.

    Il Legislatore, bontà sua, propone di attestare l'avvenuto consenso con l'apposizione di speciale bollino autoadesivo sulla tessera sanitaria: non è precisato se il bollino debba essere colorato, fosforescente o quant'altro, ma non dubitiamo che il Garante fornirà presto indicazioni su questa importante materia.

    Il Bollino, maiuscolo per rispetto, avrebbe quindi la funzione di garantire il medico su possibili contestazioni del paziente sul consenso orale.

    Sorge spontanea la domanda se il gruppo di insigni giuristi che ha ispirato il "Codice" davvero non potesse formulare strumenti più adeguati alla necessità.

  5. Possibilità di fornire informazioni telefoniche a terzi legittimati

    Con l'art.83 viene introdotto un principio innovativo e potenzialmente utile al cittadino ed al medico: peccato che non venga precisato come il medico possa identificare questi "terzi legittimati".

    Il che significa, vista l'impostazione coercitiva della legge, che ogni scelta del medico può essere sbagliata: non ci resta che sperare nella clemenza del Giudice.

  6. Omissione dei dati anagrafici dell'interessato nelle ricette

    Ne parlano gli articoli 87 ed 88: per le ricette del Servizio Sanitario Nazionale, date le difficoltà tecniche, la scadenza è stata rinviata al 1/1/2005: anche qui sono previsti strumenti avanzatissimi di tutela quali tagliandi autoadesivi parzialmente e transitoriamente rimovibili: sembra siano in corso approfondimenti sulla porzione di superficie amovibile e su quella inamovibile, sulle proprietà dell'adesivo, nonché, ovviamente sulle caratteristiche estetiche.

    Le prescrizioni non a carico del SSN non godono di tanta attenzione ed affettuosa considerazione: la disposizione di non indicare le generalità dell'interessato è in vigore dal 1/1/2004.

    Il medico, tuttavia, può riportare le generalità dell'interessato, ove lo ritenga indispensabile, con il consenso dello stesso.

  7. Misure minime di Sicurezza

    Ne parlano gli articoli 33...36 e l'intero Allegato B. È questo uno degli aspetti meno trattati dagli organi di informazione, ma è invece uno degli aspetti più delicati, in quanto la mancata adozione delle misure minime di sicurezza comporta, oltre a pene pecuniarie, provvedimenti penali con reclusione fino a 2 anni.

    Numerosi sono gli adempimenti previsti dal cosiddetto "disciplinare tecnico": password di otto lettere, procedure di salvataggio, sistemi anti-intrusione ed anti-virus, relazione programmatica.

    In questo ambito, anche se le finalità del legislatore sono condivisibili, è tuttavia molto discutibile che gli adempimenti non siano graduati su quantità e qualità della materia trattata: gli obblighi a grandi linee sono i medesimi per il più piccolo dei medici informatizzato ed il più grande dei centri diagnostici privati.

CONCLUDENDO:

Il Decreto Legislativo n.196 del 2003 è da tutti i medici considerato una fastidiosa, dolorosa incombenza.

A generare questo comprensibile atteggiamento molto ha contribuito il Legislatore e lo stesso Garante con l'impostazione formalistica, burocratica e sanzionatoria.

La medesima legge è paradossalmente vista con disinteresse e talora con fastidio anche dal comune cittadino, che non riesce a coglierne i potenziali aspetti innovativi e non apprezza di essere invitato a firmare moduli ad ogni passaggio della sua vita sociale.

Per inciso va segnalato che con preoccupazione vedono questa legge anche le decine di migliaia di alberi che saranno sacrificati per produrre le migliaia di tonnellate di carta necessaria per garantire ad ognuno il giusto numero di moduli firmati.

Alla classe medica, da sempre sensibile ai problemi sociali ed ambientali si presenta una occasione storica: superare il piano di pura recriminazione e proporsi alla guida di un vasto movimento di opinione che valorizzi i principi irrinunciabili sulla privacy, correggendo tuttavia le numerosissime gravi carenze della legge, spingendo cioè il Legislatore al di fuori della palude della norma formale, sul salubre terreno del diritto sostanziale.

In un paese democratico la legge è uno strumento al servizio dei cittadini: quando la legge diviene uno strumento di controllo e di repressione è legittimo il dubbio che si stia scivolando verso un regime autoritario.

Siamo gli artefici del nostro prossimo futuro: a noi la responsabilità della scelta.

A tutti i colleghi, con affetto…

Riccardo De Gobbi

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La nuova norma sulla privacy: nuovi problemi per il SSN (2) - La raccolta del consenso

Lo stesso decreto legislativo, 30 Giugno 2003 n. 196 (G.U. n. 174 del 29/7/2003, supplemento ordinario n. 123) citato nel precedente articolo, ha stabilito che dal 1° Gennaio 2004 i medici di famiglia dovessero raccogliere il consenso da parte dei pazienti per la gestione dei dati personali e sensibili attinenti le attività sanitarie ad essi effettuate.

La legge prevede che questo consenso possa essere raccolto anche oralmente (con registrazione da parte del medico di tale consenso orale) oppure, meglio, per iscritto.

Il consenso deve essere "allargato" e comprendere anche il consenso al trattamento dei dati personali da parte dei sostituti, degli associati e degli specialisti di cui il medico volesse avvalersi.

Questa norma di per sè non è punitiva in quanto potrebbe anzi evitare al medico da possibili accuse di responsabilità derivanti da inadempienze o violazioni della privacy da parte degli specialisti, che restano responsabile della tutela dei dati in prima persona. In altre parole si cerca di evitare che quando il medico invii una richiesta di consulenza contenente una diagnosi o altri dati sensibili del paziente possa essere accusato di violazione della privacy o debba richiedere ogni volta il consenso per la trasmissione di questi dati. Anche i sostituti e gli associati possono così acquistare automaticamente il diritto all'accesso e al trattamento dei dati sanitari dei pazienti (ovviamente solo a scopo di cura) senza dover chiedere ogni volta un consenso informato.

Malgrado tutto, la raccolta del consenso appare ai medici come un inutile aggravio burocratico; si tratta, tutto sommato, di un aggravio di modesta entità, in quanto esauribile in un'unica prestazione.

È da tener presente però come, contestualmente alla firma del consenso, debba essere dato in visione al paziente un modulo informativo che lo informi appunto delle regole a cui egli deve dare l'approvazione e il consenso.

Non sarebbe certo corretto (e sarebbe invece sanzionabile) far firmare i pazienti senza spiegare loro cosa stanno firmando, ed è utile che di tale informazione resti una traccia scritta.

Per semplificare la procedura potrebbe essere utile unire in uno stesso foglio una generica informazione (integrabile opportunamente a voce) a cui viene aggiunto il consenso il paziente da controfirmare.

In fondo a questo articolo articolo noi presentiamo la modulistica da noi proposta.

Tale modulo non gode di approvazione ufficiale, ma riteniamo possa essere un utile schema, a cui ciascuno potrà apportare le necessarie modifiche.

È da tener presente che la legge lascia al medico tempo per raccogliere tali consensi fino al Settembre 2004, pur dovendo essere raccolto "nell'occasione del primo contatto".

Per i pazienti che non si presentassero dal medico entro tale termine possono ipotizzarsi due procedimenti:

  • Il medico si serve dell'opzione circa il "consenso orale" e contatta telefonicamente il paziente annotando tale consenso e perfezionandolo per iscritto in data successiva.
  • Il medico tiene "congelati" i dati fino al primo contatto possibile, senza utilizzarli in alcun modo.

Non riteniamo che la legge imponga obblighi di diligenza ulteriori.

Daniele Zamperini

INFORMATIVA SINTETICA AI SENSI DEL D. Legisl. 30/06/03 n. 196

Gentile paziente, la recente legge richiede che Lei esprima il suo consenso al trattamento, da parte del suo medico, dei dati che riguardano la sua salute e gli altri suoi dati personali.

Il suo Medico dovrà prendere visione, per poter effettuare la diagnosi delle sue malattie e per procedere alle necessarie cure, di analisi, referti specialistici, e altre informazioni fornite da Lei o da altri medici che la seguono. Potrà essere necessario, inoltre, che il suo medico renda accessibili dati che la riguardano alle Autorità Sanitarie o ad altri medici che effettueranno consulenze specialistiche, al medico sostituto o ad altre persone da Lei indicate. Questi dati saranno conservati in un archivio, protetti da sottrazione o alterazione mediante appositi sistemi di gestione e di archiviazione. Il Suo medico, il personale dipendente e gli altri eventuali sanitari tratteranno i Suoi dati solo nei limiti strettamente necessari allo svolgimento del Loro compiti, e ne proteggeranno la riservatezza, nel rispetto delle norme vigenti.

È perciò indispensabile un suo esplicito consenso, da fornire una sola volta e ritirabile in qualsiasi momento qualora decidesse di interrompere il rapporto di fiducia.

Riportiamo qui sotto una sintesi delle norme attuali, che saranno integrate oralmente dal Medico, al quale può inoltre chiedere qualsiasi chiarimento.

DIRITTI DELL'INTERESSATO Art. 7 (Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti)

1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano...

2. L'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione: a) dell'origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.

3. L'interessato ha diritto di ottenere: a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati...

4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte... per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano...

CONSENSO AL TRATTAMENTO

Io sottoscritto...........

nato a........... il..............

residente a...........

documento (o cod. reg.) n° ...........

Genitore del minore...........

nato a ...........

il ..........., assistito dal Dott. da me scelto come Medico di Fiducia, e dallo stesso informato sui diritti e sui limiti di cui al D. Legisl. 30 Giugno 2003 n. 196, concernente "La tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali", letto anche quanto riportato sopra

ESPRIMO IL MIO CONSENSO E AUTORIZZO

al trattamento dei miei dati personali e sensibili, esclusivamente ai fini di prevenzione, diagnosi, cura, e prestazioni connesse, il suddetto Dottor , direttamente o tramite personale operante sotto la sua responsabilità.
Autorizzo inoltre al trattamento di tali dati, esclusivamente per i fini suddetti, gli specialisti di cui egli vorrà avvalersi; sono altresì autorizzati, esclusivamente su mia richiesta e per i medesimi fini, il medico sostituto e i sanitari che svolgono (in base alle norme attuali) attività in associazione con il mio Medico di Fiducia, qui indicati nominativamente:

  • Dott. ...........

Data FIRMA DEL PAZIENTE (o esercente patria potestà)

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PRINCIPALI NOVITÀ IN GAZZETTA UFFICIALE: mese di dicembre-gennaio 2004 (a cura di Marco Venuti)

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 22.02.2004. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?
22.12.03 296 Decreto del Ministero della salute 09.12.03 Modifica delle indicazioni terapeutiche delle specialità medicinali indicate per la terapia ormonale sostitutiva (TOS) contenenti estrogeni da soli, estrogeni in combinazione con progestinici, tibolone .........
23.12.03 296 Suppl. Ord. 195 Conferenza Stato-Regioni: deliberazione 13.11.03 Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: "Piano nazionale per l'eliminazione del morbillo e della rosolia congenita" .........
23.12.03 296 Suppl. Ord. 195 Conferenza Stato-Regioni: deliberazione 26.11.03 Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante: "Linee-guida per l'accertamento della sicurezza del donatore di organi" .........
29.12.03 300 Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 23.12.03 Attuazione dell'art. 51, comma 2 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, come modificato dall'art. 7 della legge 21 ottobre 2003, n. 306, in materia di "tutela della salute dei non fumatori" .........
10.01.04 7 Circolare del Ministero della salute 04.11.03 I farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore .........
15.01.04 11 Decreto del Ministero della salute 18.11.03 Procedure di allestimento dei preparati magistrali e officinali L'art. 8 stabilisce alcuni formalismi della prescrizione medica
20.01.04 15 Decreto del Ministero della salute 19.11.03 Attività di preparazione del radiofarmaco .........

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