Aprile
 2000

PILLOLE

DI MEDICINA TELEMATICA

Patrocinate da

SIMG Roma

Aggiornamento e varie attualita' a cura di:  
Daniele Zamperini md8708@mclink.it, Amedeo Schipani mc4730@mclink.it,
Massimo Angeloni mc1448@mclink.it
e Maurizio Pino mpino@itelcad.it
"GEMELLATA" con Med-News di Enzo Brizio (eb98@multiwire.net)

L' iscrizione alla lista viene effettuata gratuitamente, su semplice comunicazione ad uno dei redattori, a chiunque ne faccia richiesta. Si consiglia l' iscrizione anche alla lista"gemella", piu' specializzata nelle analisi dei grandi studi internazionali.
L' archivio complessivo di Pillole e' consultabile su: http://utenti.tripod.it/zamperini/pillole.htm 
(Visitate anche le altre pagine, sono ricche di informazioni!)


INDICE GENERALE

PILLOLE

- NAPOLI, CAPITALE MONDIALE DEL "RAGIONAMENTO ACROBATICO"
- COME I DISTURBI EMOTIVI INFLUENZANO LA VISITA DEL PAZIENTE
- ANTIIPERTENSIVI E RISCHIO DI DIABETE MELLITO TIPO 2
- PARACETAMOLO E ASMA
- DISTURBI DEL RESPIRO DURANTE IL SONNO E IPERTENSIONE

MINIPILLOLE

-Terapia antibiotica nel linfoma gastrico
-Plasmaferesi e immunoglobuline nelle manifestazioni neurologiche in pediatria
-Frequenza nel tempo della riattivazione clinica del virus dell'Herpes Simplex
-Lo studio FRISC-ll e l'approccio terapeutico all'angina instabile
-
Microalbuminuria di origine "non diabetica" nel diabete di tipo 2
-Danno renale durante espianto da cadavere
-La chemioterapia nel cancro invasivo della vescica

NEWS

-Terapia genica anti-colesterolo
-Il messaggero della morte cellulare
-Un vaccino anti-cocaina
-Legame «genetico» tra invecchiamento e metabolismo
-Un'alternativa al trapianto di fegato?
-Curare l’ictus con un raggio di luce
-Chi distrugge la mielina
-La molecola che «rigenera» il muscolo
-Una cura per la mucca pazza?
-Fabbriche di insulina per curare il diabete

-Fumo: puo' provocare la deviazione del pene


APPROFONDIMENTI

-Farmaci e favismo: un po' di attenzione puo' salvare una vita.

NORMATIVA

-Assenza del paziente al dibattimento: potere del giudice di disattendere la certificazione (Sentenza)
-
Obbligatorieta' dell' intervento medico non dannoso (Sentenza)
-Circonvenzione di incapace: necessita' di prova (Sentenza)

 CONGRESSI, CONVEGNI E COMUNICAZIONI

I nuovi convegni segnalati dai colleghi (vedi in fondo)
INOLTRE:


Pillole di buonumore
(Questo mese: omaggio ad Ambrose Bierce, raccolte dal Dott. Zap)

-Antagonista: persona indotta dalla sua stessa malvagia natura a negare i nostri meriti o a esibirne di personali di gran lunga superiori. 
-Assurdita': Un'affermazione o un credo chiaramente in contrasto con le proprie opinioni
-Barometro: Un ingegnoso strumento che indica che tipo di tempo stiamo avendo.


PILLOLE

NAPOLI, CAPITALE MONDIALE DEL "RAGIONAMENTO ACROBATICO"

Puo’ capitare che una persona proveniente da Rotterdam, ottimo autista, rispettoso delle regole e dei regolamenti, si trovi a dover essere trasportato da un taxi a Napoli. Un' esperienza del genere viene descritta comunemente come un episodio allucinante. Il narratore non puo’ nascondere i suoi sentimenti: disagio, preoccupazione, momenti di puro terrore. Ad ogni incrocio, e' necessaria una preghiera; ad ogni semaforo l’angosciosa attesa di un urto che non avviene mai. Eppure questo passeggero arriva alla sua meta sano e salvo anzi, guardando qualche statistica, potrebbe accorgersi che gli incidenti gravi avvenuti nel napoletano sono percentualmente inferiori a quelli avvenuti nella sua ordinatissima citta’ del nord. E se il nostro passeggero e’ una persona dotata di capacita’ speculative non puo’ fare a meno di chiedersene il perche’. Viene spontaneo percio’ fare un parallelo tra gli autisti delle due diverse citta’.

L’autista del nord, tipicamente, e’ un autista rispettoso delle regole e per questo motivo, inconsciamente, convinto che ciascun altro autista abbia la sua stessa sensibilita’ al problema. Per questo motivo quando arriva a incrocio in cui sa di avere precedenza, esso tende ad applicare letteralmente il codice della strada e a pensare "Io so di avere la precedenza, chi viene dalle traverse sa di dovermi dare la precedenza, io passo tranquillo perche’ tutti mi daranno la precedenza". Questo e’ vero finche’ non si trova la persona che, non seguendo la stessa linea di ragionamento, omette la precedenza causando gravissimi danni.
L’autista napoletano opera una la strategia diversa: arrivato ad un incrocio sa che non puo’ dare per scontato un comportamento generale rispettoso delle norme del traffico. E’ per questo che sceglie di mettere sempre in discussione tutto, volta per volta. Cosa fa allora? Guarda negli occhi l’altro conducente e cerca di capire quali siano le sue intenzioni, indipendentemente dal fatto che il semaforo sia rosso o verde, dal fatto di venire da destra o da sinistra. Ha inizio cosi’ una sorta di dialogo visivo. Le due autovetture compiono piccoli movimenti in avanti e, attraverso successivi passi di una danza a loro ben conosciuta, i due autisti capiscono chi deve passare e chi deve aspettare. Si tratta insomma di una forma di negoziazione sociale che viene messa in atto ogni volta, il che vuol dire che l’autista non sara’ mai sicuro di avere o non avere la precedenza magari passando cento volte per lo stesso incrocio.

Questo episodio mette in evidenza due tipologie diverse di ragionamento. Il primo che segue una norma generale e la applica, l’altro che si orienta invece caso per caso. Il primo ragionamento prevede dei confini ben precisi, superati i quali si incorre nelle infrazioni che verranno senza dubbio sanzionate. Il secondo tipo di comportamento (quello dell’autista napoletano) e’ diverso: non che egli ignori il codice della strada, bensi’ egli viola una regola generale per cercare un accordo a livello locale cioe' in rapporto alle diverse situazioni. E’ come se dicesse: "Si, e' vero che bisogna dare la precedenza a chi viene da destra, ma in questo caso e' veramente necessario o si potrebbe fare diversamente?". Questo di modo differente di intendere una regola comporta una instancabile forma di negoziazione che fa del guidare una vera e propria attivita’ di comunicazione e di interscambio. Il codice della strada viene violato ma questa violazione assume un valore diverso a seconda delle circostanze in cui si verifica (che potrebbero, piu’ o meno, giustificarla).

Trasferendo il discorso a livello cognitivo, puo’ essere cosi’ schematizzato: l’automobilista di Rotterdam sembra seguire una forma di ragionamento che i logici chiamano sinteticamente "se P allora Q" tutte lo volte che compare "P" cioe’ (ad esempio un semaforo rosso) bisogna attenersi al comportamento "Q" (fermarsi). Gli elementi presi in considerazione da questo ragionamento sono solo due: il semaforo e il regolamento stradale. In tal modo questo ragionamento sembra dare per scontato che i contesti siano tutti uguali indipendentemente dalle circostanze particolari. La visione del mondo che tale argomentazione implica e’ abbastanza limpida, con un rapporto diadico tra cittadino e norma che sembra dire: "Se tutti si comportano come dice la legge, le cose funzionano bene". Questo ragionamento non fa una piega dal punto di vista formale.

Il secondo comportamento, quello napoletano, e’ meno perentorio e sembra seguire un ragionamento che dice: "Se trovo il verde io dovrei avere la precedenza, ma attenzione! Non e’ detto che l’altro me la dia. Quello che mi puo’ capitare e’ di dover incontrare qualcuno che pensa di averla lui e che quindi la prenda dove pure non gli spetta". Dato che non esiste la sicurezza del "Se P allora Q" l’unica cosa che rimane da fare e’ regolarsi in base al contesto. Cosi’ il modo in cui l’automobilista napoletano elabora la regola non e’ semplice e diadico, ma complesso perche’ dipende dalle circostanze contestuali tra cui, molto importanti sono le intenzioni anche dell’altro automobilista. E la decifrazione dei comportamenti deriva da un contesto di messaggi intrecciati e complessi che si lanciano gli automobilisti coinvolti nell’incrocio. La decisione viene presa non in base ad una regola precisa ma per tentativi ed errori. Il ragionamento "napoletano" utilizza quindi tre elementi: il semaforo, la regola, il contesto. Il rosso secondo la regola generale vuol dire stop, ma in base ad un contesto puo’ voler dire avanti ed in base a un altro contesto puo’ voler dire nuovamente rosso. Mentre il processo dell’automobilista di Rotterdam implica quindi un meccanismo di tipo deterministico e riflesso (somigliante ad esempio al riflesso rotuleo) il secondo tipo di ragionamento implica invece un processo interpretativo. Questi due tipi di concetti interagiscono tra loro ed esprimono due mondi culturali diversi ma in realta’ molto collegati.

E’ in effetti molto difficile poter vedere nella vita di tutti i giorni un legame diadico (tipico della prima forma di ragionamento) tra una definizione e un oggetto. Ad esempio si pensi alla parola libro: un libro viene definito in un certo modo nel dizionario, per cui su questa definizione viene costruita l’immagine di un libro a cui paragonare l’oggetto che noi vediamo in quel momento e che puo’ corrispondere o no a tale definizione. Pero’ noi sappiamo bene che ci sono forme di libri che possono non essere contenuti o pienamente rispondenti a tale definizione: puo' essere, ad esempio, mancante di alcune parti o di alcune caratteristiche specificate nel dizionario. Ecco allora che la nostra esperienza sovrappone al prototipo ricavato dal dizionario una serie di immagini sovrapposte che corrispondono comunque a "libro". Allorche’ si costruisce la nuova immagine di libro, questa si fonda su un ragionamento di tipo "acrobatico" che tiene soistanzialmente conto del contesto in cui noi osserviamo quell’immagine. E' per questo che, inconsciamente, tutti sappiamo che "ogni eccezione conferma la regola", vale a dire che ogni regola contiene delle violazioni con le quali occorre venire a patti. Noi quindi costruiamo una regola che e’ "quasi una regola" perche’ ammette che ci sono circostanze in cui puo’ essere contraddetta. E’ necessario percio’ che ci si renda conto che tutti noi abbiamo quotidianamente a che fare con delle "violazioni delle norme", anche quelle che sembrano assolutamente fisse, stabili, inamovibili ma che in realta’ ammettono interpretazioni, eccezioni, variazioni dipendenti dal contesto. Persino la norma principe che vieta di uccidere contempla l’eccezione della legittima difesa o della guerra di difesa della Patria. E’ molto utile percio’ imparare coscientemente la tecnica del ragionamento "napoletano" in quanto, allorche’ la classificazione della realta’ mediante le regole della tassonomia non risultano soddisfacenti si impari a discutere negoziando i punti di vista onde trovare una via d’uscita che tolleri i casi ambigui, conflittuali, dilemmatici.

(A. Smorti, "Psicologia contemporanea", 157, 2000)


COME I DISTURBI EMOTIVI INFLUENZANO LA VISITA DEL PAZIENTE

Badare al benessere emotivo del paziente può richiedere più tempo, ma può rafforzare il rapporto medico-paziente.
In ambito sia medico che legislativo c’è crescente consapevolezza dell’importanza del trattamento della salute mentale. Nel 1996 il Congresso (americano) ha approvato la legge paritaria sulla salute mentale. Nel 1999 il ministro della sanità David Satcher ha riferito che metà degli americani che necessitano di un trattamento per la salute mentale non lo riceve, o perché temono l’etichetta di malattia mentale, o perché non hanno accesso ai servizi di salute mentale.
Come medici di famiglia, noi riceviamo messaggi confusi dal servizio sanitario circa il nostro ruolo nella gestione della malattia mentale. Da un lato siamo accusati di sottostimare problemi mentali importanti quali la depressione e l’ansia. Dall’altro lato, ci si impedisce di trattare queste condizioni, grazie ai sistemi di managed care che escludono la cura della salute mentale dalla primary care. Nonostante questi messaggi confusi, una cosa è chiara: i pazienti con problemi mentali spesso tornano al loro medico di famiglia. Ma quanto sono comuni questi problemi tra i nostri pazienti? Come si presentano più probabilmente? E come il disturbo emotivo influenza la visita ambulatoriale? Per rispondere a queste domande abbiamo analizzato 1269 visite di pazienti ambulatoriali adulti fatte da 138 medici di famiglia.
Dallo studio è emerso che il 19% dei pazienti adulti aveva avuto significativi disturbi emotivi durante le quattro settimane precedenti. Questi pazienti si rivolgevano al loro medico di famiglia più probabilmente per malattie acute o croniche che per prevenzione, e con maggior probabilità tiravano fuori problemi emotivi durante la visita. Inoltre, le loro visite erano mediamente più lunghe di quelle degli altri pazienti (11.5 minuti contro 10 minuti), con più problemi sollevati durante la visita. Il disturbo emotivo recente influenzava il contenuto della visita, anche se il paziente non riceveva una diagnosi di disturbo mentale.
Al 18% dei pazienti che riferiva recente disturbo emotivo il medico di famiglia diagnosticava depressione o ansia. Queste visite erano mediamente più lunghe (12.8 minuti di durata) e il loro contenuto differiva drammaticamente da quello delle visite degli altri pazienti. Veniva dedicato più tempo a raccogliere informazioni sulla famiglia, fare l’anamnesi del paziente e dare consigli, mentre veniva dedicato molto meno tempo all’esame obiettivo, alle chiacchiere e ai servizi preventivi.
I pazienti i cui problemi emotivi venivano diagnosticati come malattia mentale riferivano rapporti più forti con i loro medici, rispetto ai pazienti i cui disturbi emotivi non venivano diagnosticati. Quindi, sebbene l’attenzione ai problemi di salute mentale dei pazienti distragga tempo ed energia da altre aree, essa può avere il beneficio aggiuntivo di rafforzare il rapporto medico-paziente.
Conclusioni. Il disturbo emotivo e la sua diagnosi, entrambi comuni in medicina di famiglia, possono avere un impatto maggiore sulla visita del paziente, in termini di tempo dedicato, contenuto della visita e soddisfazione del paziente. Questi benefici e le interferenze del sistema integrato di salute mentale con la medicina di famiglia devono essere conosciuti non solo dai medici di famiglia che decidono come meglio occupare il loro tempo limitato con ogni paziente, ma anche dai piani sanitari e dai legislatori che prendono le decisioni politiche.
Family Practice Management, aprile 2000


ANTIIPERTENSIVI E RISCHIO DI DIABETE MELLITO TIPO 2

Premesse. Ricerche precedenti hanno suggerito che i diuretici tiazidici e i beta-bloccanti possano provocare l’insorgenza di diabete mellito di tipo 2. Tuttavia, i risultati di questi studi sono stati poco convincenti.
Metodi. E’ stato fatto uno studio prospettico su 12,550 adulti di età dai 45 ai 64 anni non affetti da diabete. All’inizio è stata fatta un’ampia valutazione dello stato di salute, comprendendo i farmaci utilizzati e la misurazione della pressione arteriosa. L’incidenza di nuovi casi di diabete è stata accertata dopo tre e dopo sei anni mediante la misurazione della glicemia a digiuno.
Risultati. Dopo aggiustamento per età, sesso, razza, livello di istruzione, adiposità, familiarità per diabete, attività fisica e malattie coesistenti, i soggetti ipertesi in terapia con diuretici tiazidici sono risultati non essere a maggior rischio di sviluppo di diabete rispetto ai soggetti ipertesi non in terapia antiipertensiva (rischio relativo = 0.91; IC 95% = 0.73 – 1.13). Allo stesso modo, soggetti che prendevano ACE-inibitori e calcioantagonisti non erano a maggior rischio di quelli che non prendevano farmaci. Al contrario, soggetti che assumevano beta-bloccanti avevano un maggior rischio di sviluppare diabete del 28% (rischio relativo = 1.28; IC 95% = 1.04 – 1.57).
Conclusioni. Preoccupazioni sul rischio di diabete non dovrebbero scoraggiare i medici dal prescrivere diuretici tiazidici a soggetti non diabetici ipertesi. L’uso di beta-bloccanti sembra aumentare il rischio di diabete, ma questo evento sfavorevole dovrebbe essere valutato rispetto ai dimostrati benefici dei beta-bloccanti nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari.
New England Journal of Medicine, 30 marzo 2000


PARACETAMOLO E ASMA

Premesse. L’antiossidante polmonare glutatione può limitare l’infiammazione delle vie aeree nell’asma. Poiché il paracetamolo negli animali svuota il polmone del glutatione, è stato intrapreso uno studio per indagare se l’uso frequente del paracetamolo negli uomini sia associato ad asma.
Metodi. Sono state raccolte informazioni sull’uso di analgesici, come parte di uno studio caso-controllo sugli antiossidanti della dieta e l’asma in soggetti adulti di età dai 16 ai 49 anni, registrati presso 40 general practices in Greenwich, South London. La frequenza dell’uso di paracetamolo e aspirina è stata confrontata in 664 soggetti con asma e in 910 senza asma. L’asma è stata precisata mediante risposte positive a domande riguardo attacchi di asma, farmaci per l’asma, o risvegli notturni con dispnea. E’ stata anche esaminata l’associazione tra uso di analgesici e severità della malattia nei casi di asma, mediante una scala di punteggio per valutare la qualità di vita.
Risultati. L’uso del paracetamolo era associato positivamente con l’asma. Dopo controllo per potenziali fattori confondenti, l’odds ratio per asma, rispetto ai soggetti che non utilizzavano paracetamolo, era di 1.06 (IC 95% = 0.77 – 1.45) negli utilizzatori infrequenti (> un mese), 1.22 (0.87 – 1.72) in coloro che l’assumevano una volta al mese, 1.79 (1.21 – 2.65) nel caso di un utilizzo settimanale, e 2.38 (1.22 – 4.64) in caso di uso quotidiano (P per il trend = 0.0002). La frequenza di uso dell’aspirina non era associata con asma né confrontando tutti i casi di asma con i controlli, né confrontando tra loro i casi di asma in base alla severità. L’uso frequente di paracetamolo era associato positivamente con la rinite, mentre l’uso di aspirina non lo era.
Conclusioni. L’uso frequente di paracetamolo può contribuire alla morbilità per asma e rinite negli adulti.
Thorax, aprile 2000


DISTURBI DEL RESPIRO DURANTE IL SONNO E IPERTENSIONE

Questo studio si propone di verificare l’associazione tra disturbi del respiro durante il sonno e ipertensione in una vasta coorte di persone di mezz’età e anziane.
Materiali e metodi. Hanno partecipato allo studio 6132 soggetti di età >/= 40 anni, di cui il 52.8% donne. Mediante un apparecchio portatile per polisonnografia utilizzato a domicilio delle persone è stato misurato l’indice apnea/ipopnea (= numero medio di apnee più ipopnee per ora di sonno, con l’ipopnea definita come una riduzione, rispetto ai valori basali, >/= 30% del flusso aereo o dell’escursione toracoaddominale per 10 o più secondi, accompagnata da una riduzione >/= 4% nella saturazione ossiemoglobinica). Altri indici presi in considerazione sono stati l’indice dei risvegli (= numero medio di risvegli per ora di sonno), la percentuale di sonno con saturazione di ossigeno inferiore al 90%, la storia di russamento (= russamento autoriferito per 3 o più notti a settimana). Sono stati inoltre considerati l’abitudine al fumo, il consumo di alcool, la circonferenza del collo, il rapporto vita-fianchi, l’altezza, l’indice di massa corporea, la pressione arteriosa.
Risultati. La pressione arteriosa sistolica e diastolica media e la prevalenza di ipertensione sono aumentate significativamente con l’aumento degli indici di respiro disturbato durante il sonno, sebbene alcune di queste associazioni si spieghino con l’indice di massa corporea. Dopo aggiustamento per le variabili demografiche e antropometriche (indice di massa corporea, circonferenza del collo e rapporto vita-fianchi), il consumo di alcool e il fumo, l’odds ratio per l’ipertensione, confrontando la categoria più alta dell’indice apnea/ipopnea (³ 30 per ora) con la più bassa (>/= 1.5 per ora), era di 1.37 (IC 95% = 1.03 – 1.83; P per il trend = 0.005). Confrontando le categorie più alta e più bassa di percentuale di sonno con saturazione di ossigeno sotto il 90% (rispettivamente >/= 12% e < 0.05%), l’odds ratio era di 1.46 (IC 95% = 1.12 – 1.88; P per il trend < 0.001). Nelle analisi stratificate, l’associazione dell’ipertensione con tutte e due le misure di disturbo del respiro durante il sonno è stata riscontrata in entrambi i sessi, nelle età più giovani e più avanzate, in tutti i gruppi etnici, e nei soggetti di peso normale e in soprappeso. Associazioni più deboli e non significative sono state osservate per l’indice di risvegli o per la storia autoriportata di russamento abituale.
Conclusioni. I risultati di questo lavoro indicano che i disturbi del respiro durante il sonno sono associati con l’ipertensione arteriosa sistemica in soggetti di età media e avanzata di entrambi i sessi e di etnie diverse.
JAMA, 12 aprile 2000


Pillole di buonumore

- Cavolo: Un... vegetale all'incirca tanto grande e saggio come la testa di un uomo.
- Cervello: quella cosa con cui pensiamo di pensare
- Complimento: Un prestito che da' interesse
- Compromesso: La composizione di un conflitto di interessi che da' a entrambi i contendenti la soddisfazione di persone di aver ottenuto qualcosa di insperato e di perdere solo entro i limiti del dovuto


MINIPILLOLE


Terapia antibiotica nel linfoma gastrico
Il linfoma del tessuto associato alla mucosa gastrica (Mucosa-Associated-LymphoidTissue, MALT) è correlato alla presenza dell'infezione da Helicobater Pylori. lì gruppo del dott. G. Steinbach dell'Università del Texas ha valutato l'ipotesi che il trattamento antibiotico possa essere efficace in questo particolare tipo di neoplasia, sottoponendo a terapia con tre diversi schemi (amossicillina e claritromicina, tetraciclina e claritromicina o tetraciclina con metronidazolo) 34 pazienti con linfoma gastrico in stadio 1011 (Ni). Dei 28 pazienti positivi per Helicobacter, il 50% ha avuto una remissione completa e il 29% una remissione parziale. Nei casi negativi per l'infezione da Helicobacter non e stata dimostrata alcuna regressione del quadro clinico. Anche la presenza, dimostrata all'endoscopia, di gastrite della mucosa si associava alla possibile remissione clinica con antibiotico-terapia. I linfomi MALT con positivita all'Helicobacter possono essere trattati con successo tramite antibiotici. (Ann Intern Med 1999;131:88-95)

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Plasmaferesi e immunoglobuline nelle manifestazioni neurologiche in pediatria
La presenza di atteggiamenti ossessivi e di tic nervosi può essere conseguente al mantenimento di uno stato di attività autoimmunitaria secondaria ad infezione da streptococchi beta-emolitici di gruppo A. Nel tentativo di eseguire una immunomodulazione in grado di attenuare questi sintomi, il gruppo dell'NIH di Bethesda guidato dalla dott.ssa S.J. Perimutter ha randomizzato per plasmaferesi, infusione endovenosa di immunoglobuline oppure placebo 30 pazienti con sintomi neuropsichiatrici scatenati da episodi infettivi. Ad un mese di distanza i gruppi trattati hanno mostrato un importante miglioramento sintomatologico, soprattutto in quello con plasmaferesi, relativamente all'insorgenza di tic e di manifestazioni del tipo sindrome di Tourette. lì progresso rimaneva costante a distanza di un anno nell'82% dei casi. La plasmaferesi e l'infusione di immunoglobuline si sono dimostrati efficaci in questo gruppo di pazienti.
(Lancet 1999,354:1153-8)

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Frequenza nel tempo della riattivazione clinica del virus dell'Herpes Simplex
Le manifestazioni cliniche dell'Herpes Simplex genitale continuano ad essere un motivo di frequente consulto medico, ma non e' ancora nota la storia naturale di questa malattia a lungo termine. All'Universit. di Washington (dott.ssa J. K. Benedetti e coli.) e' stata eseguito uno studio osservazionale su 664 pazienti affetti da infezione genitale da virus dell'Herpes (HSV) e seguiti per un follow-up minimo di 14 mesi. L'incidenza media di recidive cliniche della malattia durante il primo annodi follow-up erano pari a 1 e 5 episodi per l'infezione rispettivamente
da HSV-1 e HSV-2.
La frequenza di queste ultime 2 ha dimostrato una significativa riduzione a partire da 2 anni dall'inizio dei sintomi, indipendentemente dall'adozione di terapia antivirale al momento dell'esordio acuto. (Ann lntern Med 1999;131;14-20)

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Lo studio FRISC-ll e l'approccio terapeutico all'angina instabile
Si è molto diffuso il concetto che il ricorso a procedure di diagnosi invasiva e rivascolarizzazione migliori la prognosi dei pazienti con angina instabile. Il FRISC-ll èuno studio multicentrico scandinavo coordinato dal dott. L.Wallentin (Università di Uppsala in Svezia) e condotto su 2457 pazienti con angina instabile e randomizzati per terapia medica con eparina a basso peso molecolare (dalteparina). Una coronarografia è stata eseguita a distanza di una settimana dall'arruolamento nel 96% del gruppo con trattamento invasivo e nel 10% di quello con eparina, mentre una procedura di rivascolarizzazione è stata effettuata rispettivamente nel 71% e 9% dei casi. A 6 mesi di follow-up è stata dimostrata una significativala diminuzione della mortalità e dell'incidenza di reinfarto nel gruppo invasivo, in particolare nei pazienti ad alto rischio, e con una importante diminuzione dei sintomi di ischemia residua. Un approccio aggressivo con coronarografia ed eventuale rivascolarizzazione è efficace nei pazienti con angina instabile. Sempre il dott.. Wallentin nello stesso numero della rivista descrive il follow-up a lungo termine dei pazienti trattati non invasivamente e in terapia di mantenimento con la dalteparina. In questo caso si trattava di 2267 pazienti tratti sempre dal FRISC-ll a cui era stata continuata la terapia con eparina per 3 mesi oppure era stato somministrato un placebo. A 30 giorni di distanza dalla randomizzazione è stata notata una significativa diminuzione dell'incidenza di infarto miocardico o di necessità di rivascolarizzazione (chirurgica a percutanea) nel gruppo trattato. Tale effetto tuttavia non era più riscontrabile a distanza di 6 mesi terapia. La delteparina è di beneficio in questi pazienti, almeno entra un mese dall'inizio dell'assunzione del farmaco.
(Lancet 1999,354:701-15)

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Microalbuminuria di origine "non diabetica" nel diabete di tipo 2
La presenza di microalbuminuria in un diabetico è considerata un indice precoce di nefropatia diabetica. Va però sottolineato che mentre per il diabete di tipo I questa alterazione è quasi sempre causata da una tipica glomerulopatia diabetica, nel diabete di tipo 2 essa può essere, in circa il 30-50% dei pazienti, espressione di un’alterata permeabilità vascolare sistemica dovuta a un’alterazione della funzione endoteliale. I portatori di questa microalbuminuria per così dire "non diabetica". in quanto non direttamente legata alla noxa metabolica iperglicemica, sono maggiormente esposti al rischio di malattia arteriosclerotica e di mortalità cardiovascolare e pertanto andrebbero più frequentemente sorvegliati per quanto riguarda i più comuni fattori di rischio. Quanto al quesito se sia possibile discriminare fra i due tipi di microalbuminuria, va detto che l’assenza completa di lesioni microangiopatiche all’esame del fondo oculare deporrebbe per una forma di microalbuminuria di origine non propriamente diabetica.
Medico&metabolismo 4/99

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Danno renale durante espianto da cadavere
Il danno che i reni soffrono durante le procedure di espianto è un problema emergente e probabilmente sottostimato. lì dott. S.J.Wigmore presenta i dati deli'UK National Transpiant Database sulle procedure di espianto dei reni in un periodo di 5 anni in Gran Bretagna. In 96 su 9014 casi i reni non sono risultati utilizzabili a causa delle lesioni subite durante l'espianto. 1119% presentava danni generici, soprattutto se l'organo derivava da donatori di età superiore a 40 anni. L'incidenza di lesioni sembra essere maggiore se all'espianto provvedeva una equipe di chirurgia renale piuttosto che in occasione di prelievo multiorgano, ed era maggiore per i reni trapiantati in istituzioni esterne a quella della donazione. Tuttavia questi danni non hanno apparentemente avuto effetto sulla prognosi del trapianta a 1 e 3 anni (al contrario di quanto osservata per l'età dei donatore). I danni sono meno frequenti con donatori giovani e in centri che eseguona più di 50 espianti ali' anno (Lancet 1999354:1143-6) 

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  La chemioterapia nel cancro invasivo della vescica
Alcuni studi non controllati hanno riportato una moderata sensibilita alla chemioterapia da parte del cancro a cellule transizionali della vescica. Uno studio multicentrico europeo coordinato dal Medical Research Council Advanced Biadder Cancer Working Party (Londra) ha randomizzato 976 pazienti con cancro della vescica, gia sottoposti a chirurgia o a radioterapia, per tre cicli di polichemioterapia a base di cisplatino, methotrexate e vinblastina oppure per un gruppo di controllo con placebo. Durante il periodo di follow-up sono deceduti 485 pazienti, il 78,6% dei quali a causa della neoplasia. La mortalità legata alla terapia è stata dell'1 % contro quella del 3,7% della cistectomia. lì trattamento adiuvante ha migliorato il tasso di sopravvivenza dei pazienti a 3 anni del 5,5%. Questo protocollo non e' riuscito a raggiungere il limite minimo per il miglioramento della sopravvivenza, fissato convenzionalmente al 10%, necessario all'indicazione di questa terapia quale provvedimento di routine. (Lancet 1999;354:533-40)

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Pillole di buonumore

- Confessione: Sacramento per cui il sacerdote si dispone a perdonare i peccati grossi in cambio del piacere di sentirsi raccontare quelli piccoli.
- Conservatore: Uomo politico affezionato ai mali esistenti, da non confondersi col progressista che invece aspira a rimpiazzarli con mali nuovi. 
- Corruzione: Cio' che permette a un rappresentante del governo di vivere onestamente del proprio stipendio senza discutibili speculazioni


NEWS 


18.02.2000
Terapia genica anti-colesterolo
Testata nel topo potrebbe funzionare anche nell’uomo

Una delle cause principali delle malattie cardiovascolari consiste nella formazione delle placche aterosclerotiche, determinate dall’accumulo di grassi nei vasi sanguigni: è l’elevato livello ematico di molecole lipidiche, prima fra tutte il colesterolo, a favorire la formazione di questi depositi.
Un nuovo approccio terapeutico si è dimostrato in grado non solo di controllare il livello di colesterolo, limitando la formazione delle placche, ma anche di favorire l’eliminazione di quelle già esistenti, fornendo una linea di attacco per la cura e la prevenzione di malattie quali l’infarto e l’ictus. Lo studio, firmato da ricercatori francesi, è riportato nell’ultimo numero di «Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology», una delle riviste della American Heart Association.
Gli studiosi hanno focalizzato l’attenzione sulla possibilità di sfruttare l’attività di una proteina naturale, l’apolipoproteina E (apo-E): si tratta della molecola chiave coinvolta nel trasporto e nell'eliminazione del colesterolo dall’organismo. I ricercatori hanno creato un ceppo di topi privi del gene apo-E, considerati il principale modello dell’aterosclerosi umana e caratterizzati da un livello ematico di colesterolo molto elevato. L’idea era quella di inserire in questi topi il gene apo-E umano, allo scopo di dimostrare che il ripristino della proteina «spazzina» umana potesse non solo regolare la quantità di colesterolo in circolo, ma anche limitare l’accumulo dei depositi lipidici.
Ebbene, la terapia genica adottata si è dimostrata efficace: il livello totale di colesterolo nei topi trattati è calato notevolmente, passando nel giro di poche settimane da circa 590 mg/dl a circa 90 mg/dl e l’effetto si è verificato anche sul numero delle placche, nettamente inferiore negli animali trattati rispetto a quelli non trattati. Ma l’aspetto interessante emerso dagli esperimenti è che la presenza di apo-E non solo inibisce l’accumulo dei depositi lipidici, ma determina anche la completa degradazione delle placche già esistenti.
«Non era mai stata dimostrata prima la possibilità di limitare la formazione delle placche e soprattutto di rimuovere completamente quelle già formate: tutto questo semplicemente agendo sulla concentrazione di una specifica proteina nel sangue» sostiene Nicolas Duverger, a capo dello studio.
Al di là dei tasselli mancanti per la definizione precisa del fenomeno, l’ottimismo degli studiosi è tale da ritenere che questo approccio terapeutico, per ora dimostrato solo nel topo, possa in realtà essere efficace anche nell’uomo.
Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it

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01.03.2000
Il messaggero della morte cellulare
Identificata la molecola che trasporta l’informazione del «suicidio»

Trasportare il segnale che dà il via ai processi di auto-distruzione nel nucleo della cellula: questa la funzione svolta dalla proteina CED-4, una delle molecole coinvolte nella regolazione della morte cellulare programmata, svelata dai ricercatori del Howard Hughes Medical Institute nell’ultimo numero di Science. Oltre ad aggiungere un nuovo importante tassello alla comprensione dei meccanismi che regolano il fenomeno dell’apoptosi, da anni al centro di numerose ricerche, la scoperta fornisce le basi per lo studio di nuove terapie nei confronti di diverse patologie, in particolare le malattie neurodegenerative.
«La morte cellulare programmata è un meccanismo chiave per regolare il numero di cellule e la morfologia corretta dei tessuti: conoscevamo da tempo molte delle molecole che regolano il processo, ma ora cominciamo a capire davvero come esse funzionano» spiega Horvitz, uno dei principali artefici della scoperta.
Gli studi sono stati condotti su un piccolo verme trasparente, il nematode Caenorhabditis elegans, utilizzato come modello di studio dell’apoptosi. La proteina CED-4 era stata identificata in precedenza come una delle molecole coinvolte nel fenomeno apoptotico, insieme ad altre tre (EGL-1, CED-3 e CED-9), ma non era chiaro in che modo e a che livello queste proteine interagissero all’interno della cellula.
Con lo scopo di chiarire questo aspetto, i ricercatori hanno utilizzato mutanti di Caenorhabditis elegans per osservare cosa accade quando manca di volta in volta una di queste proteine. In questo modo essi sono riusciti a scoprire che CED-4, normalmente sequestrata a livello dei mitocondri dalla proteina inibitrice CED-9, in assenza di quest’ultima viene liberata, attraversa il citoplasma e si trasferisce in prossimità del nucleo: a questo punto viene attivato il processo di auto-distruzione. «Se è necessario il trasferimento di CED-4 verso il nucleo perché si avvii l’apoptosi, possiamo supporre che inibendo il movimento della corrispondente proteina umana si potrebbe bloccare la morte cellulare che si verifica in alcune condizioni patologiche, come il danno ischemico causato da un infarto o da un ictus, oppure nel morbo di Alzheimer» sostiene Bradley Hersh, uno dei ricercatori.
Le potenzialità della scoperta sembrano dunque promettenti: la strada da percorrere, tuttavia, è ancora lunga, dato che, come ammettono i ricercatori, non si conosce ancora in che modo sia realmente possibile bloccare lo spostamento della proteina all’interno della cellula.
Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it

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14.03.2000
Un vaccino anti-cocaina
Il vaccino contro la dipendenza da cocaina sembra essere sicuro ed efficace nei primi studi clinici

Il sistema immunitario potrebbe dare un aiuto consistente per interrompere l’abuso di cocaina. Arriva infatti dalla Yale University la notizia che il vaccino TA-CD, sviluppato dalla Cantab Pharmaceuticals per controllare la forte dipendenza provocata dall’abuso di cocaina, è stato sperimentato con successo in uno studio clinico di fase uno, che consiste nella prima reale prova di differenti dosaggi sugli esseri umani.
Trentaquattro volontari con problemi di dipendenza da cocaina si sono sottoposti alla sperimentazione del vaccino TA-CD in uno studio condotto da un team di ricercatori diretti da Thomas Kosten. Il vaccino agisce inducendo la produzione di specifici anticorpi anti-cocaina che si legano selettivamente alla droga prevenendone l’azione psicoattiva. «Il vaccino è assolutamente sicuro e non abbiamo osservato nessun effetto collaterale rilevante - sostiene Kosten. - Gli anticorpi prodotti sono rimasti stabili nel sangue fino alla fine dello studio e attualmente sono in corso indagini ancora più avanzate. Questo può rappresentare un modo completamente nuovo e affidabile per aiutare a risolvere seri problemi come la dipendenza da cocaina per i quali non esistono alternative.»
Gli esperti ritengono che il vaccino potrebbe essere utilmente affiancato alla terapia comportamentale. Kosten sottolinea infatti che il nuovo prodotto non rappresenta la panacea per l’interruzione della dipendenza, ma che deve essere sempre accompagnato dalla motivazione del paziente, tenuto a partecipare attivamente al programma di recupero. Il vaccino non blocca il desiderio di assumere la droga, ma ne previene l’effetto primario e attenua in maniera consistente i sintomi di astinenza.
Ciò significa che la sua azione potrebbe essere annullata dall’assunzione di grandi quantità di cocaina, motivo per il quale la somministrazione deve coesistere con l’effettivo desiderio del paziente di interrompere la dipendenza. Se le successive sperimentazioni avranno esito positivo, il vaccino rappresenterà sicuramente un nuovo potente strumento terapeutico e una concreta speranza per i soggetti con dipendenza da cocaina, che rimane al secondo posto dopo l’alcool in quanto ad abuso volontario, e che conta una altissima percentuale di ricadute dopo le terapie di recupero.

Barbara Bernardini Le Scienze www.lescienze.it
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24.02.2000
Legame «genetico» tra invecchiamento e metabolismo
Un gene che interrompe la trascrizione in carenza di cibo estende la durata della vita nei lieviti

Nei minuscoli lieviti la vita tende ad allungarsi se l’informazione genetica codificata nel DNA viene mantenuta sotto stretto controllo, e il modo più efficiente per ottenere questo risultato è, a quanto pare, mangiare di meno. Questo, in sintesi, il suggerimento che scaturisce da un lavoro pubblicato questa settimana su Nature da una équipe di ricercatori del MIT facente capo a Leonard Guarente. Gli scienziati hanno studiato nei lieviti la funzione del gene SIR2, Silent Information Regulator, scoprendo che in esso è codificata l’informazione per un enzima con funzione di istone-deacetilasi capace di «spegnere» intere zone del genoma. Il DNA infatti, per poter essere decodificato deve essere accessibile, ma la maggior parte di esso si trova in genere avvolto intorno a strutture proteiche, gli istoni, che formano l’impalcatura fisica dei cromosomi. Le modificazioni enzimatiche degli istoni determinano la distensione del DNA e stabiliscono quale zona del genoma deve essere letto e quale soppresso in ogni cellula. Con l’invecchiamento questi meccanismi diventano meno efficienti, e l’attivazione di geni non appropriati può causare la morte della cellula. Il gene SIR2 è capace di controllare questo processo, e infatti le cellule artificialmente fornite di una copia in più del gene hanno mostrato una vita molto superiore alla norma. Si è inoltre scoperta un'interessante connessione con l’attività metabolica della cellula, legata dalla disponibilità di cibo. Per funzionare, il gene SIR2 ha bisogno di un cofattore, il NAD, una molecola utilizzata dalle cellule per lo scambio di elettroni. «Il coenzima NAD può funzionare come un segnale dello status energetico della cellula - spiega Guarante - e se un organismo viene sottoposto a restrizione calorica, il livello di NAD può salire inducendo l’attivazione di SIR2 e di conseguenza allungando la vita cellulare». Ciò potrebbe spiegare l'osservazione che in alcuni organismi, tra cui lieviti e topi, una drastica restrizione calorica estende significativamente la durata della vita. Per verificare queste ipotesi, gli scienziati stanno ora programmando esperimenti di restrizione calorica in cellule prive del gene SIR2.
Barbara Bernardini Le Scienze www.lescienze.it

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  24.02.2000
Un'alternativa al trapianto di fegato?
Epatociti modificati potrebbero evitare la sostituzione dell'organo

Un nuovo modo di far crescere in laboratorio le cellule epatiche potrebbe in futuro rappresentare una reale opportunità di sopravvivenza per coloro che sono in attesa di un trapianto di fegato, consentendo di superare in parte il problema della reperibilità degli organi. Questo l’ambizioso obiettivo che si sono posti i ricercatori del Brigham and Women's Hospital di Boston, che hanno ottenuto i primi incoraggianti risultati riportati questa settimana in Science. Il procedimento terapeutico alla base dello studio consiste nella possibilità di utilizzare epatociti sani, trapiantati nell’organismo, per ripristinare le normali funzioni epatiche di cui il soggetto è deficitario. La tecnica non è in realtà nuova: è già stata testata nell’uomo, ma la sua applicabilità è limitata dalla difficoltà di reperire un numero di cellule sufficiente per il trapianto, dato che gli epatociti crescono molto difficilmente in provetta. Il gruppo di ricercatori guidato da Philippe Leboulch è riuscito a mettere a punto una strategia per risolvere il problema: modificando geneticamente gli epatociti, ovvero inserendo in essi un gene tumorale (oncogene), è possibile innescare il fenomeno della «immortalizzazione», per il quale le cellule acquistano la capacità di moltiplicarsi all’infinito. Per ovviare il problema del rischio tumorigenico provocato dall’iniezione di queste cellule nell’organismo, gli studiosi sono riusciti a rendere reversibile l’immortalizzazione: l’oncogene era inserito in modo tale da poter essere successivamente escisso dalle cellule mediante un trattamento enzimatico.
Gli epatociti così ingegnerizzati sono stati dunque iniettati nella milza di ratti il cui fegato era stato rimosso per il 90 per cento: a differenza degli animali di controllo non trattati, che sono morti per insufficienza epatica nel giro di pochi giorni, nel 60 per cento degli animali trapiantati si sono ripristinate le normali funzioni del fegato, consentendo la sopravvivenza e, soprattutto, senza provocare effetti dannosi. «Non ho idea quando questa tecnica potrà essere usata anche per l’uomo» ha precisato Leboulch, ribadendo che si tratta ancora di studi preliminari e che diversi sono gli aspetti che occorre definire prima di lasciarsi prendere dall’entusiasmo.
Certo è che se dovesse dimostrarsi efficace e priva di rischi per l’uomo, la procedura di immortalizzazione reversibile potrebbe in futuro essere estesa anche ad altre cellule somatiche, con potenziale applicazione in varie condizioni patologiche.
Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it

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21.02.2000
Curare l’ictus con un raggio di luce
Il laser vaporizza il coagulo senza danneggiare i vasi

Un raggio che «riconosce» il colore del bersaglio potrebbe aiutare a ripristinare il flusso sanguigno nei vasi afferenti al cervello. La nuova tecnica sperimentale per la terapia dell’ictus si basa sull’utilizzo di un laser, ed è stata sperimentata da un gruppo di ricercatori dell’Oregon Stroke Center coordinati da Wayne Clark. Cinque pazienti colpiti da ictus sono stati trattati con il nuovo metodo, che rappresenta la prima applicazione di un laser in questo campo. La delicata tecnica consiste nella introduzione di un catetere equipaggiato con un laser all’interno del vaso. Lo strumento, controllato attraverso un’immagine angiografica, viene posizionato a meno di un centimetro dal punto di ostruzione del flusso, dove viene attivato per colpire soltanto i componenti del coagulo, costituito principalmente di proteine e globuli rossi. Il raggio infatti «riconosce» l’ostruzione sviluppando energia solo quando incontra un bersaglio di colore rosso, lasciando intatte le pareti circostanti del vaso. Nonostante la buona riuscita dei primi interventi, i medici esprimono comunque cautela sulle possibilità di utilizzo della nuova tecnica su vasta scala, almeno per il momento, sottolineando che lo studio è stato progettato con l’intento di valutarne l’effettivo rapporto rischio/beneficio. «Sembra una tecnica molto promettente» afferma Clark «ma a questo stadio ne stiamo ancora valutando la sicurezza». Il professore spiega che le nuove ricerche sulla terapia dell’ictus sono tese ad accelerare la rapidità dell’intervento dopo l’attacco, e che l’obiettivo delle sperimentazioni è quello di individuare il metodo più sicuro ed efficace per giungere alla rimozione fisica del coagulo nell’arco di pochi minuti anziché di ore, come sarebbe auspicabile. Al momento, la terapia più efficace per il ripristino del flusso sanguigno è la somministrazione del TPA (Tissue Plasminogen Activator), una molecola capace di attivare i normali processi fibrinolitici del sangue, somministrata entro breve tempo dall’attacco. Ora, i medici sperano di poter affiancare la terapia farmacologia con nuovi interventi per ridurre drasticamente gli effetti deleteri causati dalla ostruzione del circolo cerebrale.
Barbara Bernardini Le Scienze www.lescienze.it

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08.03.2000
Chi distrugge la mielina
Prospettato un potenziale trattamento terapeutico per curare la malattia

Non sono soltanto le cellule T, noti rappresentanti del sistema immunitario, a distruggere la mielina nella sclerosi multipla: un nuovo componente cellulare sembra essere responsabile del processo neuro-degenerativo e per la prima volta proprio questo potrebbe rappresentare un utile bersaglio terapeutico nei confronti della malattia.
Lo sostengono i ricercatori della Emory University School of Medicine di Atlanta nell’ultimo numero di «Journal of Experimental Medicine».
Si tratta dei mastociti, cellule del sistema immunitario note in quanto svolgono un ruolo importante nei processi infiammatori e allergici, rilasciando sostanze quali l’istamina e la serotonina. Era stato precedentemente osservato che queste cellule producono anche molte delle sostanze implicate nel processo degenerativo della sclerosi multipla e che si accumulano nei siti di demielinizzazione nei pazienti affetti dalla malattia.
Basandosi su questi dati, i ricercatori hanno ipotizzato che i mastociti possano davvero svolgere un ruolo importante nello sviluppo della patologia: gli esperimenti effettuati nel topo hanno dato loro ragione. In breve, gli studiosi hanno provato a indurre encefalite allergica sperimentale (EAE), che rappresenta la versione murina della sclerosi multipla umana, in topi geneticamente modificati privi dei mastociti e, per controllo, in topi normali: ebbene, l’incidenza della malattia nei topi mutanti, dunque in assenza di mastociti, è risultata notevolmente ridotta rispetto agli animali di controllo. E non solo: se si fornivano i mastociti ai topi mutanti, la predisposizione alla malattia e la gravità con cui questa si presentava ritornavano ai livelli osservati nei controlli, confermando dunque l’implicazione delle cellule nel processo patologico.
«Siamo particolarmente entusiasti della nostra scoperta, soprattutto perché mette in luce per la prima volta reali prospettive terapeutiche» sostiene Melissa Brown, a capo della ricerca. I mastociti sono infatti studiati da tempo in altri ambiti patologici, quali l’asma e l’allergia e sono da tempo stati identificati farmaci in grado di bloccare l’attività di queste cellule: secondo gli studiosi, tali farmaci potrebbero dunque svolgere una funzione terapeutica anche nei confronti della sclerosi multipla, per la quale, al momento, le prospettive di cura sono ancora insufficienti.
Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it

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08.03.2000
La molecola che «rigenera» il muscolo
Un nuovo passo verso la crescita dei tessuti in vitro da singole cellule

Può essere sorprendentemente interessante capire cosa succede quando una lucertola perde la coda. Il modo in cui alcuni organismi sono in grado di rigenerare parti di sé stessi può essere infatti un meccanismo molto utile per preservare l’integrità del corpo, e rappresenta un fenomeno di notevole interesse scientifico per le evidenti implicazioni in campo medico.
Questa funzione, caratteristica di animali come anfibi e lucertole, è stata a mano a mano persa durante l’evoluzione ed è assente nei mammiferi, a favore, ritengono gli studiosi, di un sistema immunitario più efficiente e organizzato. Arriva ora dallo Scripps Research Institute, in California, la notizia della recente scoperta che questo fenomeno rigenerativo potrebbe essere riproducibile nei mammiferi, grazie all’attività di una piccola molecola denominata mioseverina. Chimicamente simile alle basi azotate che compongono il materiale genetico, la mioseverina sarebbe in grado di indurre la rigenerazione in vitro del tessuto muscolare dei topi, con un meccanismo simile a quello osservato negli anfibi. Lo sostiene un lavoro recentemente pubblicato su «Nature Biotechnology» a cura di un gruppo di ricercatori coordinati da Peter Schultz.
Nelle lucertole, quando una parte del tessuto viene perduto, i rimanenti gruppi di cellule si dividono in frammenti, ciascuno dei quali possiede un nucleo che contiene tutte le informazioni necessarie alla formazione di un nuovo muscolo, che cresce semplicemente per divisione. Nelle muscolo di mammifero in coltura, la mioseverina sembra capace di indurre lo stesso processo, organizzando la ricrescita in maniera selettiva ed estremamente rapida.
Quale sia esattamente la via cellulare che media l’azione della molecola non è ancora ben chiaro. Per il momento, gli scienziati hanno evidenziato che essa è capace di legarsi alla proteina cellulare tubulina e di indurre l’attivazione di una serie di geni. Proprio questo aspetto porta gli scienziati a esprimere una certa cautela riguardo alle applicazioni. «Ci sarà bisogno di ulteriori studi per determinare con precisione la basi molecolari della azione della mioseverina» sostiene Dennis Hall, coautore dello studio. «In particolare perché non si conoscono le funzioni di molti dei geni che vengono attivati.»
I ricercatori suggeriscono comunque che questo studio possa aprire la strada all'identificazione di molecole simili, che innescano i processi rigenerativi in diversi tessuti, e che questo potrebbe aiutare gli scienziati a sviluppare sofisticate tecniche per crescere interi organi in vitro a partire anche da una singola cellula.
Barbara Bernardini Le Scienze www.lescienze.it

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06.03.2000
Una cura per la mucca pazza?
Sperimentato con successo sui topi un composto chimico che rallenta lo sviluppo dell'encefalopatia

Struttura tridimensionale di un prione di topo
I tetrapirroli ciclici, composti chimici finora utilizzati nella cura dei tumori, sono efficaci anche nel ritardare lo sviluppo nei topi dell'encefalopatia spongiforme, malattia molto simile alla sindrome della mucca pazza, diffusasi negli anni passati tra il bestiame inglese. È quanto affermano in un articolo apparso sulla rivista «Science» i ricercatori del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) statunitense, sulla base dei risultati di una ricerca effettuata nello stesso istituto.
L'encefalopatia spongiforme è un gruppo di malattie degenerative dell'encefalo, a incubazione molto lunga, causate probabilmente da prioni, agenti infettanti costituiti da proteine con una struttura alterata che non permette loro una corretta funzionalità e che ne provoca l'aggregazione nel sistema nervoso centrale. I tetrapirroli ciclici, secondo i ricercatori, impedirebbero questa aggregazione tossica, tipica di tutte le forme del morbo, sia di quelle animali, sia di quelle che colpiscono l'uomo. «Precedenti studi effettuati in vitro avevano dimostrato l'efficacia del composto nell'inibire la trasformazione delle normali proteine del prione nella forma alterata che causa la malattia» - ha spiegato Suzette Priola, del NIAID - «perciò abbiamo avviato la sperimentazione in vivo su topi nei quali era stata indotta la scrapie, una forma di encefalopatia che colpisce gli ovini. Somministrati nella fase precoce della malattia, i composti hanno allungato la sopravvivenza degli animali anche del trecento per cento.»
Il farmaco, tuttavia, non ha dimostrato la stessa efficacia in una somministrazione più tardiva: tale circostanza potrebbe costituire una difficoltà nella futura sperimentazione umana.
«La diagnosi della malattia di Kreutzfeld-Jacob, la forma di encefalopatia che colpisce l'uomo, può essere fatta solo dopo l'insorgenza dei primi sintomi» - ha continuato Suzette Priola - «L'estrema varietà dei composti ancora da testare fanno comunque ben sperare di arrivare in futuro a una terapia efficace».
Folco Claudi Le Scienze www.lescienze.it

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03.03.2000
Fabbriche di insulina per curare il diabete
Prospettive di cura per i pazienti con diabete insulino-dipendente

Cristalli di insulina
Tessuti in grado di produrre insulina ottenuti in laboratorio potrebbero un giorno essere trapiantati nei pazienti con diabete insulino-dipendente, ripristinando in essi la normale produzione dell’ormone: questa la prospettiva che emerge dalla scoperta effettuata da ricercatori dell’Università della Florida, riportata nel numero di marzo di «Nature Medicine».
Il diabete di tipo 1, altrimenti definito insulino-dipendente, è caratterizzato dall’incapacità del pancreas di produrre la quantità di insulina necessaria per il corretto metabolismo del glucosio: i pazienti che ne sono affetti sono dunque costretti ad assumere l’ormone dall’esterno, in maniera precisa e assolutamente costante, per non incorrere in seri problemi legati all’innalzamento del livello di zucchero nel sangue. La possibilità di trapiantare in questi pazienti direttamente i tessuti che producono insulina (le cosiddette «isole pancreatiche») è stata per lungo tempo frutto di ricerche, finora fallite a causa della impossibilità di ottenere in laboratorio questi tessuti in quantità utili per il trapianto.
I ricercatori statunitensi hanno messo a punto una nuova strategia che sembrerebbe risolvere il problema: a partire dalle cellule staminali indifferenziate del pancreas di topo essi sono stati in grado di ottenere, con opportune procedure sperimentali, grandi quantità dei tessuti specializzati, in grado di produrre insulina quando si trovano in presenza di glucosio, analogamente a quanto avviene nell’organismo.
Per testare l’effettiva funzionalità delle «isole» anche in vivo, i ricercatori le hanno trapiantate in topi diabetici, che sono stati privati dell’apporto di insulina dall’esterno: ebbene, a seguito del trapianto, il livello ematico di glucosio veniva ridotto del 50 per cento, segno della ripristinata produzione endogena di insulina, mentre rimaneva elevato nei topi di controllo non trapiantati.
Secondo gli studiosi, se verrà confermata l’applicabilità sull’uomo, potrebbe in futuro essere possibile prelevare le cellule dal pancreas dei pazienti diabetici quando la malattia è ancora agli esordi ed ottenere da esse le isole che successivamente potrebbero essere trapiantate negli stessi pazienti per curare la malattia negli stadi avanzati.
Patrizia Pisarra Le Scienze www.lescienze.it

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OBESITA': ITALIANI SCOPRONO PERCHE' CAUSA RITARDO PUBERTA'

Roma, 3 aprile - (Adnkronos) - E' la leptina, ormone prodotto dalle cellule adipose, a causare il ritardo nello sviluppo sessuale degli adolescenti obesi fra i 12 e i 15 anni. A scoprire il meccanismo della cosiddetta sindrome adiposo-genitale, riscontrata nei ragazzi in sovrappeso che hanno un ritardo nello sviluppo dei testicoli e nella produzione di testosterone, sono stati ricercatori italiani dell'universita' La Sapienza di Roma, diretti dall'andrologo Aldo Isidori, autori di uno studio condotto in collaborazione con l'ospedale Bambino Gesu' di Roma su circa 40 ragazzi.
''Nei nostri studi, condotti prima sull'animale e poi sull'uomo - spiega Isidori all'Adnkronos Salute - abbiamo osservato che i ragazzi obesi, e cioe' con 'troppa' leptina nel sangue, avevano un volume dei testicoli inferiore del 30% rispetto ai loro coetani di peso normale e quindi una ridotta produzione di testosterone''. E questo ritardato sviluppo - ipotizzano per ora gli autori dello studio - potrebbero influire, a lungo termine, sulla fertilita'. Per scongiurare questo fenomeno l'unica soluzione, riferisce l'andrologo, e' il dimagrimento.

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FUMO: PUO' PROVOCARE DEVIAZIONE DEL PENE

Roma, 11 aprile - (Adnkronos) - Fumatori attenti: il tabacco puo' provocare la deviazione del pene. Le minacce alla virilita' non finiscono mai. E l'ultima viene da una ricerca, tutta italiana, da cui risulta che i fumatori hanno piu' probabilita' dei non fumatori di contrarre una malattia del pene poco conosciuta dalla maggioranza delle persone: la malattia di La Peyronie. Non contagiosa o pericolosa per la vita e' sicuramente una malattia invalidante per una serena vita sessuale. Questa malattia, infatti, e' caratterizzata dalla presenza di noduli nel pene, dolori e deviazione del pene all'erezione. Deviazione che a volte raggiunge angolature del pene estreme, anche fino a 90 gradi, che rendono acrobatica, se non impossibile, la penetrazione.
La ricerca, coordinata dal dottor Giuseppe Pera, andrologo romano, che sara' presentata a Bruxelles dopodomani nel corso del Congresso della Societa' Europea di Urologia ed effettuata in collaborazione con l'Istituto Superiore di sanita', ha coinvolto circa 700 uomini di eta' compresa tra i 50 e i 69 anni. La media nazionale del 7% ha mostrato un fenomeno molto piu' diffuso di quanto sino ad oggi si credeva, con punte in Emilia e in Abruzzo, valori medi in Lombardia e Lazio e tassi molto bassi in Puglia.

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APPROFONDIMENTI

Farmaci e favismo: un po' di attenzione puo' salvare una vita.

Nel mondo circa 200 milioni di persone sono affette da deficit di G6PD che allo stato eterozigote fornirebbe alle femmine una
resistenza superiore alla malaria. In alcune popolazioni la frequenza è particolarmente elevata: Curdi 62%, Negri Americani
11%, Sauditi 13%, alcuni villaggi della Sardegna 30%; il deficit è ubiquitario nell'Italia continentale, l'incidenza media è dello
0,4%.
I soggetti con deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) non sono in grado di mantenere un livello adeguato di
glutatione ridotto nelle loro emazie. Di conseguenza i gruppi sulfidrilici dell'emoglobina si ossidano, e l'emoglobina tende a
precipitare all'interno della cellula formando i corpi di Heinz.
Esistono più di 400 varianti di G6PD, distinte da caratteristiche biochimiche e funzionali.
Il gene del G6PD è stato isolato e mappato; è localizzato nel cromosoma X (X q28); l'ereditarietà del deficit è di tipo legato al
sesso con femmine eterozigoti portatrici generalmente sane e maschi affetti dal deficit.

Nel deficit di G6PD, in crisi emolitica, è presente un'anemia normocromica-normocitica, una reticolocitosi, un'iperbilirubinemia
indiretta; lo striscio periferico è di regola indifferente, ma alcune emazie presentano rottura della membrana e altre possono
essere sbiadite o bicolori. Il test di Coombs è negativo, positiva è la ricerca dei corpi di Heinz. Il dosaggio dell'enzima è
generalmente ridotto. Si rammenta che l'importante aumento del numero dei reticolociti ad elevato patrimonio enzimatico
rispetto ai globuli rossi (GR) può portare a un dosaggio ai limiti della normalità del G6PD. Di fatto, peraltro in soggetti omo ed
emizigoti, anche in presenza di un elevato numero di reticolociti, il dosaggio enzimatico permette di fatto la diagnosi. Solo nelle
femmine eterozigoti con basso numero di eritrociti G6PD carenti la determinazione spettrofotometrica dà valori sovrapponibili
alla norma. In questo caso sarà utile il test citochimico di Sansone o il dosaggio della 2-deossi-glucosio-6-fosfato.

Deficit di G6PD e alimentazione
Le fave causano crisi emolitica e devono essere eliminate dall'alimentazione. La responsabilità della crisi pare legata al
contenuto nelle fave di divicina e di isouramile. La fisiopatologia della crisi è complessa e non ancora completamente chiarita;
comunque, i bersagli principali della divicina sono i tioli di membrana; sono alterate l'omeostasi del calcio e le proteine di
membrana; la rimozione dei GR è prevalentemente extravascolare. La gravità della crisi non è proporzionale alla quantità delle
fave ingerite e risente di fattori individuali non ancora chiari oltre che al modo di preparazione dell'alimento. Si ricorda
l'opportunità di leggere la composizione di prodotti pre-confezionati a base di verdure miste. Esiste una segnalazione di crisi
emolitica dopo ingestione di pesche acerbe; il frutto maturo è consentito senza alcun pericolo. Non esiste al cuna proibizione
per altri legumi (piselli, fagioli, fagiolini, tegoline) ne' per gli agrumi. Si ricorda una segnalazione di crisi dopo ingestione di grandi
quantità e in breve tempo di bevande dissetanti addizionate con vitamina C (3-4 giorni).

Crisi emolitica durante le infezioni
La crisi emolitica nei soggetti affetti da deficit di G6PD può insorgere entro pochi giorni dall'inizio di un processo infettivo
febbrile. E' stata segnalata soprattutto nelle broncopolmoniti, salmonellosi, febbre tifoide, sepsi, epatite virale, ma può
presentarsi raramente anche per processi infettivi meno gravi.

Farmaci da proscrivere in maniera assoluta (lista aggiornata al 1992)
1. Doxorubicina (Antitumorale)
ADRIBLASTINA - fl 10 mg
2. Furazolidone (Chemioterapico)
FURAZONE - cp 100 mg
GINECOFURAN - cand. Vag. (in ass. con nituroxima)
TRICOFUR - polv. Vag. (in ass. con nifuroxima)
TRICOFUR - ov. Vag. (in ass. con nifuroxima)
3. Acido nalidixico (Chemioterapico)
BETAXINA - cp 500 mg
NALIDIXIM - cp 500 mg
NALIGRAM - scir. 10%; cp 500 mg
NALISSINA - Cp 500 mg
NEG GRAM - cp 500-1000 mg
URALGIN - scir 5%
URALGIN - cp 500 mg
URIFLOR - cp 500 mg
UROGRAM - cp 500-1000 mg
UROPAN - cp 500 mg
4. Nitrofurantoina (Chemioterapico)
CISTOFURAN - cp 50 mg
FURADANTIN - scir. 0,5%
FUREDAN - cp 50 mg
FURIL - cp 50 mg
NITROFUR - scir. 0,5%; cp 50 mg
UROLISA - cp 50 mg
MACRODANTIN - cp 50- 100 mg
NEOFURADANTIN - cp 50-100 mg  5. Sulfacetamide (Chemioterapico)
MINIMS SULFACET - sol. Oft. 10%
PRONTAMID - coll. 30%
SULFACETAMIDE SOD - pomata; soluz 10%
BRUMETON - coll. (in ass. con betamelasone)
VISUBLEFARITE - sosp. Oft. (in ass. con betametasone e tetrizolina)
AUREOMIX - gtt (in ass. con clortetraciclina)
CHEMYTERRAL - gtt oft. (in ass. con oxitetraciclina e cloramfenicolo)
COSMICICLINA - pom. Oft. (in ass. con oxitetraciclina e cloramfenicolo)
ANTISETTICO ASTRINGENTE SEDATIVO - coll. (in ass. con ammonio cloruro, zinco soltofenato, nafazolina
lidocaina)
6. Sulfametoxazolo (Chemioterapico)
GANTANOL - cp 500 mg (non in commercio in Italia)
ABACIN - supp. cp scir. (in ass. con trimetoprim)
BACTERIAL - cp sosp. (in ass. con trimtloprim)
BACTRIM - cp scir. fl (in ass. con trimetoprim)
CHEMITRIM - cp sosp. fl (in ass. con trimetoprim)
EUSAPRIM - cp sosp. (in ass. con trimetoprim)
GANTRIM - cp scir. (in ass. con trimetcprim)
ISOTRIM - cp (in ass. con trimetoprim)
MEDIXIN - cp scir. (in ass. con trimeioprim)
STREPTOPLUS - cp scir. (in ass. con trimetoprim)
SUPRIN VALEAS - cp scir. (in ass. con trimetoprim)
TRIM - cp sosp. (in ass. con trimetoprim)
PULMOTRIM - cp (in ass. con TMP e oxolamina)
7. Sulfanilamide (Chemioterapico)
EXOSEPTOPLIX polvere uso esterno 10 Gamma (non in commercio in Italia)
SOLFANILAMIDE 1 g.
OTOCAINA - gtt. otologiche (in ass. con cloro-butenolo, guajacolo acido borico, carbamide)
8. Sulfapiridina (Chemioterapico)
Pazienti non responsivi al dapsone nelle dermatiti erpetiformi.
La sulfapiridina è un componente della sulfasalazina:
SALAZOPYRIN EN - cp
SALISULF - cp (non in commercio in Italia)
DAGENAN - cp (non in commercio in Italia)
9. Primachina (Antimalarico)
PRIMAQUINE - cp 15 mg (non in commercio in Italia)
PRIMACHINA - cp 75 mg
PLASMACHINA
10. Blu di metilene (Terapia metaemoglobinemia;Evidenziatore fistole)
In pazienti con metaemoglobinemia.
Agente diagnostico per evidenziare fistole.
METHYLENE BLEU - fl 10 ml (non in commercio in Italia)
PANATONE - fl 5 ml (non in commercio in Italia)
DESMOID JILLEU (non in commercio in Italia)
DESMOID PILLEN (non in commercio in Italia)
UROLENE BLEU (non in commercio in Italia)
VITABLUE (non in commercio in Italia)
11. Niridazolo (Antielmintico)
AMBILHAR - cp 100-500 mg (non in commercio in Italia)
12. Naftalina (Antitarme)
Usata in passato come antielmintico e nel trattamento della
pediculosi e della scabbia
SCENT. OFF. (non in commercio in Italia)
13. Acetanilide (Analgesico-antipiretico) Analgesico e antipiretico (non più usato)
14. Fenilidrazina (Anti-policitemia -- non più utilizzato) Utilizzata in passato nel trattamento della policitemia vera;
oggi sostituito con farmaci più efficaci e meno tossici. Può essere ossorbita attraverso la cute
15. Tiazole sulfone (Antilebbra) Azione simile al dapsone. Usato in passato nel trattamento della lebbra (meno efficace tuttavia di altri sulfoni)
16. Blu di toluidina (Evidenziatore tumori) Usato per evidenziare tumori orali e gastrici Somministrato EV per evidenziare le paratiroidi
Somminisrato per trattare i disordini mestruali
17. Trinitrotoluene (Esplosivo) Esplosivo
18. Fenazopiridina (Analgesico urinario) PYRIDIUM - cp 100 mg (non in commercio in Italia)

Farmaci e sostanze che a dosi terapeutiche non causano crisi emolitiche
Alcune sostanze generalmente a dosi terapeutiche non provocano crisi emolitiche, ma appartengono a una di queste categorie:

1.Sostanze segnalate come responsabili di crisi emolitica ma in associazione ad altri fattori (generalmente processi infettivi e
stato febbrile). Si ritiene che la responsabilità della crisi sia del processo infettivo; non esiste una documentazione
scientificamente valida che dimostri la responsabilità dei farmaci incriminati.
2.Sostanze responsabili di crisi emolitica dopo assunzione di alte dosi per ingestione accidentale o avvelenamento o per
terapie particolarmente "importanti" per affezioni rare o gravi.

1. Paracetamolo antipiretico analgesico
2. Fenacetina "
3. Acido acetilsalicilico "
4. Aminopirina (amidopirina) "
5. Antipirina "
6. Fenilbutazone "
7. Cloramfenicolo Antibiotico
8. Streptomicina "
9. Isoniazide chemioterapico anti-TBC
10. Sulfacitina chemioterapico
11. Sulfadiazina "
12. Sulfaguanidina "
13. Sulfamerazina "
14. Sulfametossipiridazina "
15. Sulfisoxazolo "
16. Trimetoprim "
17. Clorguanidina antimalarico
18. Clorochina "
19. Chinina "
20. Pirimetamina  antimalarico, antipneumocisti
21. Acido ascorbico (vit. C)  vitamina
22. Menadione Na bisolfito 
23. Vitamina K 
24. Fenitoina anticonvulsivante
25. Colchicina antiartritico
26. Difenidramina antistaminico
27. L-dopa antiparkinsoniano
28. Plobenecid antigottoso
29. Procainamide idrocloruro antiaritmico
30. Chinidina "
31. Antazolina antistaminico-decongestionante nasale
32. Benzexolo antiparkinsoniano
33. Menaptone vitamina K
34. Acido para-aminobenzoico vitamina H
35. Tripelenamina antistaminico


Consigli terapeutici pratici 
A. Antibiotici e chemioterapici
In caso di necessità possono esse re assunti senza pericolo di crisi: l'ampicillina, l'amoxicillina, l'amoxicillina + ac. clavulanico, le
cefalosporine, i macrolidi, le ureidopenicilline, gli aminoglicosidi, gli aminopeptidi.
L'associazione sulfametoxazolo-trimetoprim, che trova indicazione in pediatria soprattutto nell'otite e nelle infezioni delle vie
urinarie, è in genere sconsigliata. Su questo punto non c'è peraltro accordo. Numerosi sulfamidici sono stati segnalati come
responsabili di crisi emolitiche.
Esiste una segnalazione di crisi emolitica dopo ciprofloxacina (non in deficit di G6PD). Data l'assenza di prove sicure di emolisi
causata dai chinolonici (norfloxacina, ofloxacina) sembra probabile che possano essere utilizzati a dosaggio normale (ma non in
pediatria, considerata la loro tossicità a livello osteo-cartilagineo).

B. Antipiretici, antinevralgici, antinfiammatori
Acido acetilsalicilico: alte dosi di aspirina (8-100 mg/kg) causano una riduzione della vita dei GR in alcuni pazienti affetti da
deficit di G6PD, numerosi studi dimostrano che l'aspirina a dosi normali antipiretiche non è responsabile della crisi emolitica
eventuale; questa sarebbe causata dall'infezione. Emolisi, tuttavia, è stata dimostrata dopo ingestione di aspirina in soggetti con
G6PD A--, nelle varianti Asiatiche e Milwokee. Come noto, l'acido acetisalicilico è da evitare sotto i 7 anni di età (sindrome
di Reye); nel deficit di G6PD può essere somministrato, se indicato, nelle età successive a dosi antipiretiche (20-40 mg/kg/die).

Paracetamolo: non ha effetto emolitico in numerose varianti di deficit di G6PD (G6PD A--, Canton, Mahydol). Il problema è
analogo a quello dell'aspirina: sono segnalati casi di emolisi in corso di infezione; un ampio studio italiano dimostra l'assenza di
effetto emolitico in bambini affetti da deficit di tipo mediterraneo. In caso di necessità, a qualsiasi età, può essere somministrato
senza alcun pericolo il paracetamolo a dosi antipiretiche (20-40 mg/kg/die).
La fenazopiridina è da evitare in maniera assoluta.
L'aminopirina, l'antipirina, la fenacetina e il fenilbutazone sono riportati fra i farmaci "dubbi". Non esistendo dati di
valutazione rigorosa di questi farmaci in pazienti affetti da deficit di G6PD, è conveniente non utilizzarli.

Antimalarici
La pamachina (era nella lista dei farmaci da evitare) non è più utilizzata per la sua tossicità; la primachina è da
evitare; la clorguanidina, la clorochina e la pirimetamina possono essere utilizzate a dosi terapeutiche.

[Marradi e al. da Medico e Bambino 8/1993]

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Pillole di buonumore

- Diagnosi: Talento molto sviluppato fra i medici che consiste nell'intuire le'entita' del conto in banca del paziente in modo da poter stabilire quanto a lungo debba essere ammalato. 
- Dottore: Un gentiluomo che prospera con le malattie e muore con la buona salute. 
- Egoista: una persona di bassi gusti, piu' interessato a se stesso che a me.
- Idiota: Membro di una grande e potente tribu' che nel corso dei secoli ha sempre esercitato un dominio assoluto sulle vicende umane. 


NORMATIVA

 

Dibattimento - Impedimento a comparire dell’imputato - Certificato medico - Potere del giudice di disattendere la certificazione - Sussistenza. (C.p.p. art. 486).
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 18 febbraio 1998, n. 1938 - Pres. Dinacci - Rel. De Maio - P.M. De Nunzio (conci. diff.) - Cannata.

Il giudice, nel valutare la prova dell’impedimento dell’imputato a comparire, puo' disattendere la certificazione sanitaria che, parlando di necessità solo di cura e riposo, non esprime in alcun modo una situazione di legittimo impedimento a comparire (nella specie la Corte ha ritenuto non sufficiente a provare l’assoluto impedimento a comparire la certficazione attestante " bronchite cronica con ripetuti episodi di broncospasmo").

Obbligatorieta' dell' intervento medico non dannoso
CASSAZIONE PENALE, Sez. IV, 4giugno 1998, n. 6613
- Pres. Satta Flores - Rel. Merone - P.M. Calderone (conci. diff.) - Barraco.
Ai fini della responsabilità per colpa professionale del medico, deve essere considerato obbligatorio un intervento terapeutico che, pur avendo scarse probabilità di successo, non è comunque dannoso per il paziente. Tuttavia dalla doverosita' dell’intervento non si può far derivare la necessaria imputazione dell’evento dannoso, dovendosi accertare la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione addebitata all’imputato e l’evento (fattispecie di annullamento con rinvio della sentenza di merito per omessa motivazione sul punto relativo al nesso di causalità tra l’applicazione di una sonda nasale per effettuare lo svuotamento gastrico ed il decesso della paziente avvenuto a seguito di sommersione interna per reflusso di materiale alimentare)

Circonvenzione di incapace: necessita' di prova
CASSAZIONE PENALE, Sez. lI, 10 giugno 1998, n. 2532
- Pres. I Cava - Rel. Carmenini - P.M. Febbraio (concl. conf.) - De Franciscis.
In tema di circonvenzione di persone incapaci, lo stato di infermita' o deficienza psichica della persona, pur non dovendo necessariamente consistere in una vera e propria malattia mentale, deve pur sempre provocare una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva tale da rendere possibile l’intervento suggestivo dell’agente; deve, cioè, essere esclusa la capacità del circonvenuto di avere cura dei propri interessi. Questa condizione di incapacità del soggetto passivo costituisce un presupposto del reato, e pertanto il giudizio di colpevolezza può fondarsi solo sull’assoluta certezza della sua sussistenza.

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- Le donne. Dovremmo cadere nelle loro braccia senza cadere nelle loro mani
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