Daniele Zamperini: "Avvenire Medico" maggio 1999

ANTIBIOTICOTERAPIA IN ITALIA: UN MODELLO VINCENTE ?

La medicina, in Italia, ha sempre sofferto di un pesante complesso d’ inferiorita’ rispetto alla predominante cultura anglosassone, la qual detta le regole pressoche’ in ogni campo.
A tali regole sembravano adeguarsi le nuove note CUF, soprattutto nell’articolo 55 ove sembrava volessero limitare l’uso di alcuni antibiotici iniettivi (soprattutto cefalosporine di III generazione) all’esclusivo ambiente ospedaliero.
L’ambigua dizione sembrava infatti riconoscere lecito tale uso solo in infezioni talmente gravi da rendere necessaria l’ospedalizzazione; benche’ tale interpretazione sia stata poi modificata in senso piu’ estensivo, tuttavia e’ rimasta aleggiante l’ impressione che si sia trattato piu’ di un cedimento politico che di una reale convinzione sulla bonta’ della decisione presa; e’ rimasta nell’ aria  una sensazione quasi di scusa per la decisione presa, quasi fosse in contrasto con le regole della buona medicina, presa soprattutto per non penalizzare eccessivamente il Medico di famiglia.
Ma cosi’ non e’ e non deve essere: vediamone i motivi.
E’ stato rilevato come in Italia, rispetto alla maggior parte degli altri paesi, le prescrizioni di antibiotici sia notevolmente superiore. Sono generalmente supriori i dosaggi, sia per le prescrizioni orali che parenterali, in particolare e’ notevolmente superiore l’uso, sia assoluto che in percentuale,  degli antibiotici per via iniettiva.
In particolare, confrontando i dati di Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna (Huchon e al., 1996):
- In Italia si evidenzia un uso frequente delle cefalosporine di III generazione nelle infezioni delle basse vie respiratorie, a differenza degli altri paesi che usano prevalentemente penicilline semisintetiche a dosaggi medio-bassi.
- Il 71% delle polmoniti e’ trattato in Italia attraverso la via iniettiva, rispetto a 2% della Germania e della G.B. e una media del 14% nei cinque paesi considerati.
- Malgrado cio’ (Bollettino IMS 1997) gli antibiotici iniettivi rappresentano solo il 19%  degli antibiotici prescritti.
In effetti quindi si rileva come la terapia iniettiva, negli altri Paesi Europei (e fino a poco tempo fa anche negli USA) sia riservata pressoche’ esclusivamente ad ambiente ospedaliero. Gli antibiotici sono poi generalmente usati a dosaggi inferiori.

I motivi di questa difformita’ di comportamento si fondano non su singolle e cervellotiche scelte da parte dei MdF, ma su una ben precisa scuola di pensiero sviluppatasi in Italia nei decenni precedenti:
Il Rasario (Terapia Clinica Ragionata, 1971) ammoniva che nelle terapie con penicilline “ …non usare dosi troppo deboli , sia perche’ queste possono risultare insufficienti a che il farmaco possa svolgere la sua attivita’ antibiotica, sia perche’ si possono creare stipiti resistenti..”
Il Messini-Meccoli (Terapia, 1970) ammoniva “ si tenga presente che cure penicilliniche insufficienti, per intensita’ e durata, possono creare ceppi resistenti…”
Questi concetti sono estranei alla mentalita’ degli altri paesi. Il Neumann (Vademecum degli antibiotici, 1971)  si limita a consigliare, in caso di riscontrata resistenza, un aumento dei dosaggi in corso di terapia o l’ associazione con altri antibiotici.
Testi recenti  (Simon-Stille, Terapia antibiotica nella pratica clinica, 1992) consiglia l’ uso di antibiotici orali nella pratica extraospedaliera, con dosaggi piu’ bassi di quanto praticato in Italia: amoxicillina 1-1,5 g./die (in verita’ aumentabili a 3 g./die)
Secondo la criteriologia impostata dai paesi anglosassoni, dettata da criteri basati essenzialmente su principi di farmacoeconomia, ne deriva che piu’ del 90% delle prescrizioni antibiotiche italiane possono essere considerate “incongrue”.

E’ evidente come i dosaggi generalmente usati in Italia, nettamente superiori a quelli usati altrove, portino al momento un aggravio dei costi “immediati” della Sanita’. Per questo motivo anche da noi si tende, da parte delle Istituzioni, ad imporre le economiche regole europee.
Eppure e’ possibile che una volta tanto, nella differenza ideologica tra Italia e il resto del mondo abbia ragione la nostra Nazione.
Confrontiamo ad esempio i dati di mortalita’ e di morbilita’ per malattie non tumorali dell’apparato respiratorio tra Italia e Gran Bretagna (Paese spesso preso a modello per la sua razionale organizzazione assistenziale): si osserva come la mortalita’ in Italia sia del 5,8% contro il 15% della Gran Bretagna (dati ufficiali del 1996).  Eppure in G.B. questi malati vengono curati per lo piu’ in Ospedale: il tasso tasso di ricovero e’ del 9% in G.B., 5% in Francia e solo 2,8% in Italia..
Buona parte di tali ricoveri e’ conseguente al fallimento della terapia domiciliare  “anglosassone”(con soli antibiotici orali a dosi minimali): e’ stata documentata la necessita’ di un successivo ricovero finalizzato ad una terapia iniettiva nel 20-25% dei pazienti affetti da infezioni respiratorie (Mac Farlane et al, 1993).
Le spese derivanti sono ingenti: studi basati su  dati ufficiali hanno calcolato che il trattamento antibiotico domiciliare completo (con farmaci anche iniettivi di ultima generaione) comporti una spesa che varia tra le 180.000 e le 516.000; lo stesso trattamento effettuato in ambiente ospedaliero oscilla tra i 2.840.000 e i 5.680.000, 10-15 volte di piu’. In G.B. e’ stato calcolato che, per la terapia delle affezioni respiratorie non tumorali,  il 62% della spesa e’ stata assorbita dagli ospedali che pure avevano trattato solo l’ 1,4% degli episodi morbosi (Guest e al., 1996).
E’ vero che il trattamento ospedaliero comprende anche assistenze di altro tipo ed accertamenti diagnostici che non e’ possibile effettuare a casa, ma e’ anche vero solo una ristretta minoranza di soggetti necessita effettivamente di tali accertamenti, essendo gia’ chiara la diagnosi e l’ impostazione terapeutica: solo il 24% dei MdF italiani ricorre ad accertamenti complementari, contro il 43% dei tedeschi..
E’ evidente, in questi casi, il completo fallimento di un’ impostazione terapeutica tendente soprattutto al contenimento dei costi.
(continua...)

(Daniele Zamperini) 1999
Fonti, oltre quelle citate nel testo:
- “ Qualita’   delle cure e contenimento dei costi nella gestione delle malattie infettive”, Agora’, Business International, 1998)
- ISTAT
- Office of National Statistic, G.B.
( Con i ringraziamenti ad Avvenire Medico per la pubblicazione).
 

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